Azzurra
D’Amore.
Una storia semplice
Ma non è colpa mia se per noi questo è vivere.
Una
storia semplice _Negramaro.
Capitolo 2.
«Aspetta, ti prego.»
«Lasciami
stare, ti ho detto!»
Flavio è impazzito. Dopo il corso sono schizzata fuori dalla sala congressi
dritta in camera a fare le valigie per tornare a Roma e mi ha seguito fin lì, lasciando
a bocca asciutta quanti volevano complimentarsi; non ho portato quasi niente,
mi agito e butto tutto per aria ma nel giro di venti minuti ho finito e
prenotato un taxi per la stazione. Lui è lì che mi fissa con quegli occhi
piccoli che vorrei scavare via a mani nude; quel nero colato.. mi guarda e mi
implora.
«Non vuoi neanche ascoltare cosa ho da dirti?»
«Perché adesso vuoi parlare?!» Rido beffarda più per difesa che
per cattiveria. Non sono cattiva, non lo sono mai stata anche se avrei voluto
tanto; avrei voluto scopare con questo uomo bellissimo anziché farci l’amore,
avrei voluto riempire il tempo con la consapevolezza di tirarmi indietro quando
avrei voluto anziché sospirare ogni attimo passatogli accanto. Avrei voluto un
sacco di cose ma quello che voglio io non conta più niente ormai. “Voglio solo volere andar via.” «Spostati,
non mi interessa cosa vuoi dirmi. Ho sentito abbastanza e quello che ho sentito
fa schifo e niente, assolutamente niente di quello che potrai dire cercando
biecamente di giustificarti mi farà cambiare idea in merito.»
«Lo so, ma io ho qualcosa
da dire.»
«Ah ma davvero? Dov’era ieri la tua voglia di parlare
dottor Spagnoli?» Lo guardo gelida, ferma. «Puoi comandare i tuoi subordinati ma non me, perché
io non voglio starti ad ascoltare. Non più. Mi hai riempito la testa di parole,
ma non erano altro che chiacchiere.» Dalla reception
un trillo mi avvisa che il taxi è arrivato. Ci guardiamo un ultima volta, alzo
il manico al trolley e lo oltrepasso sfiorandogli la spalla; è un attimo, un
fremito, un sospiro smorzato.
«Non andare.»
Ma non lo ascolto veramente, chiudo gli occhi e chiudo anche il
cuore; in ascensore piango, contro volere ma piango perché come sempre sono
stata schiacciata dal bene che sono in grado di provare e non ho avuto in
cambio nulla.
Chiara ho avvisato
l’azienda che mancherò un paio di giorni.
Sto bene, stanca ma sto
bene.
Un bacio tesoro.
Spagnoli ti ha
stremato?:)
Oltremodo : (
Spengo il cellulare, non voglio rischiare -nel mezzo del cazzeggio
con Chiara- di sentirlo ancora. Il viaggio prosegue senza intoppi e per mia
fortuna sono a Roma in perfetto orario; non so cosa devo fare, oltre recarmi a
casa, farmi un bel bagno rilassante, strappare via certi momenti dal cuore e
cancellare per sempre Flavio Spagnoli dalla mia vita. Non ho davvero nulla da
fare! Decido di rimandare il momento tragico della rimozione ricordi ad
un’altra volta e così senza pensieri, mi accingo a saltare su un altro treno
–un regionale che in un ora scarsa mi porta fuori città, al mare- e a bussare
ad un portone che mi ha accolto infinite volte.
«Mi fai entrare?!»
Il ragazzo sulla porta si fa trovare con un sorriso consapevole e
sincero.
Riccardo e io ci conosciamo da secoli, diciamo che lui è la mia
ancora di salvezza in momenti tragici come questi; abbiamo frequentato lo
stesso liceo e la stessa classe per cinque lunghissimi anni, anche se le nostre
famiglie si conoscevano già da tempo. E’ il tipo di ragazzo che piace a tutti
perché è sincero, altruista e se ama una persona è disposta a tagliarsi un
braccio pur di vederla sorridere; lui mi ha salvata un sacco di volte, a scuola
e anche dopo quando non ho smesso di essere la calamita attira catastrofi.
Mi squadra da capo a piedi prima di farmi entrare, con il suo
tipico atteggiamento da papà apprensivo.
«Se mi avessi avvisato del tuo arrivo ti avrei fatto trovare
qualcosa da mangiare. Sei magra da fare schifo.» Mi stringe il braccio e scuote
il capo; va verso la cucina e mi accorgo solo dopo aver spostato l’attenzione
sulla sala che c’è una ragazza bruna seminuda sul divano intenta a fumarsi una
sigaretta.
«Ciao, io sono Azzurra.»
«Miria, piacere.»
Abbandono il trolley in un angolo, dirigendomi in cucina. «Senti
ma.. non è che ti sto disturbando?»
«Ma dai figurati! E comunque se ne stava andando, lei. »
«Mica tanto eh, l’ho vista bella accomodata.» Mimo il gesto di
fumare e rido. «Bella però. Cavolo Rich, tu si che
hai capito tutto della vita.»
Posa il coltello sul piano lavoro e butta il trito di carote e
cipolle in una padella, prima di girarsi a guardarmi con aria compita. «Che è
successo stavolta? Sono sei mesi che non ti fai vedere, cavolo ho pensato..
sarà la volta giusta?»
«Sono una stronza lo so.» Mi alzo, apro il frigo e stappo una
birra. «Ma stavolta ho fatto una cazzata esagerata. Sto veramente a pezzi.»
«Lo vedo.» Indica la divisa che ho addosso. «Che fai arrivi?
Parti?»
«Arrivo.»
«E quindi, la cazzata? Ti ho lasciata tutta cuori e fiori.» Fa
finta di ficcarsi due dita in gola e mi guarda schifato.
«E’ sposato.» Trasalisco al sol pensiero.
Allarga le braccia, il sorriso all’ingiù. «Te lo ha detto lui?»
«Oddio, non tecnicamente lui. Ho ascoltato una conversazione..»
Adesso ride, un sorriso che coinvolge gli occhi; adorabile. «Sei
la peggio. Almeno sei sicura di aver sentito bene?»
«La parola matrimonio è abbastanza eloquente non trovi? C’era
questa tizia e parlava di una certa Susanna e che dovevano darsi un’altra possibilità,
che lei stava meglio e chiedeva sempre di lui. Cosa dovrei pensare secondo te?»
«Ok, ma lui che ti ha detto? Magari è una ex. Non mi sembra poi
tanto grave.»
«Grave è che non mi ha detto un cavolo di niente in sei mesi e
neanche dopo! Se ne è stato impalato a vedermi andare via senza muovere un
dito. Cioè cazzo, combatti no? Evidentemente non sono così importante come
ritenevo d’essere, tutto qua.»
Mi leva la birra di mano e intanto con l’altra gira il sugo per la
pasta; sale un odore intenso e mi accorgo di avere fame veramente. La bruna fa
capolino in cucina con i capelli umidi tirati su e profumata di vaniglia, ci
guarda, va verso Riccardo e lo bacia velocemente.
«Ho fatto una doccia, spero non ti dispiaccia. Sono stata bene.» Si
morde il labbro. «Il numero è sul comodino. Ciao Azzurra.» Fa per andarsene ma
torna sui suoi passi. «Scusa ma.. involontariamente ho sentito tutto, posso
dirti una cosa?» Alzo le spalle. «Quale relazione può vivere se basata su una
menzogna?»
«Esatto, proprio questo. Voglio dire non potevi dirmi subito che
eri o sei sposato.. ancora non lo so.. e far decidere me se voler essere presa
per culo o no?»
«Certi uomini sono fatti così. Non hanno le palle per decidere
quale paio di mutande indossare, figurati se sanno indossare una relazione.» E in attimo siamo tutte e due con lo
sguardo su Riccardo, il quale se la ride nervosamente.
«Non guardate me, eh! So che mutande mettermi, giuro!»
«Vabbè, io vado eh.» Miria alza il mento e stavolta se ne va
davvero.
«Grazie!» Le urlo dal mio sgabello, poi torno su Rich e sul suo labbro corrucciato. «Ma che aspetti, scusa?
Perché non le dici di restare? Sai quale mutanda mettermi però sei duro di
comprendonio eh. Non l’hai capita la manfrina?»
«Oddio dici che..»
«Eh già. Senti è una gran gnocca, simpatica e pure sveglia. Un
piatto di pasta non è mica un contratto col sangue.»
Si puntella sui piedi, sospira e corre a riprenderla. Ecco, io non
capirò nulla di uomini e Riccardo è il mio salvagente da più o meno tutta la
vita ma per una volta, unica e irripetibile lo so, sono contenta di averlo
potuto aiutare io.
Rich mi passa al volo il
cuscino, mentre timido mi dice che Miria si tratterrà anche per la notte.
«Hai capito.. te le sei cambiate le mutande?»
«Oddio, basta con questa storia eh!»
Rido buttandomi di peso sul letto; indosso una delle sue magliette
extra large e ringrazio il cielo di non dovermi sentire a disagio se preferisco
dormire in mutande. La vestaglia di seta che ho indossato a Firenze per Flavio
sarebbe stata una cosa dolorosissima da tirar fuori; mi accuccio stordita, lui
di nuovo prepotente fra i miei pensieri. Rimugino sul cellulare ancora spento,
sbuffo incerta ma lo lascio lì nel fondo della borsa inanimato.
«Puoi chiamare mia madre e dirgli che sto bene? Resterei da te
qualche giorno se sei d’accordo.»
«Tutto il tempo che vuoi piccola.» E mi bacia la guancia. «Però mi
devi promettere che farai qualcosa per tirarti su. Mettilo sotto con la
macchina o ignoralo se preferisci, ma fa qualcosa. Non mi piace vederti giù.»
Lo abbraccio e sospiro; il mio grande Rich. «Domani
ce ne andiamo al mare.»
«Non ho il costume.» Bofonchio con la faccia schiacciata sulla sua
spalla.
«Non sarebbe la prima volta, brutta sporcacciona!»
Sorrido ripensando a tutte le cavolate che abbiamo fatto insieme e
nel farlo mi lascio cullare in sonno leggero e calmo dove non esistono
mostruosità e il mio cuore è libero di volersi bene e volerne un po’ anche me.
Il paio di giorni si trasformano come niente in quattro, nel
pomeriggio mentre io e Rich siamo a fare la spesa in
un market non lontano da casa sua mi trilla il telefono; non ho resistito e in
più mia madre ha minacciato di mandarci quelli dei Nas
se non avessimo fatto in modo di far tornare attivo il mio cellulare.
Nella sola giornata di domenica mi ha cercata circa cinquanta
volte e sette messaggi più o meno tutti uguali e disperati; dove sei,
parliamone, mi manchi, ti prego.. ti prego cosa?
Ho una soglia del dolore molto alta, tendenzialmente riesco a
superare un dramma in circa tre giorni, il dolore diventa assuefazione che
diventa a sua volta rabbia, odio se sono proprio in vena. Decisamente lo sono.
Lo detesto con tutte le mie forze.
Dopo lunedì e circa altre trenta chiamate ha smesso di
tormentarmi; beh, di tormentare un telefono muto. Immagino la soddisfazione nel
riporre in una laconica voce che ti informa che tizio non è raggiungibile,
tutti i tuoi perché; per un po’, assaporo il dolce gusto della vendetta. “Ben ti sta, stronzo!”
Guardo angosciata verso Riccardo che posa la confezione di gelati
e sospirando prende il telefono al posto mio; siamo a giovedì, perché vuoi
tormentarmi proprio di giovedì?
«E’ Chiara.» Scorre il testo e vedo montare un certo divertimento
sulla sua faccia; glielo sfilo malamente e lui mi fulmina con lo sguardo «Ti
divertirà, vedrai.»
Brutta stronzetta che
non sei altro, quando avevi intenzione di dirmelo?
Spagnoli mi ha tormentato
per due giorni per farsi dire dove ti fossi cacciata.
Alla fine ho ceduto, ma
la storia che ti sei dimenticata il beauty case
in albergo e vuole
rispedirtelo non è originale, eh. Diglielo! :S
Cosa hai fatto! E’
pazzo, non lo sapevi?:(
Mi stai dicendo che è
una specie di maniaco? Aiutononlosapevo.
Sì. : (
Cazzo.
Scherzavo! : ) Ma ti
prego dimmi che non facevi sul serio anche tu.
No, sono serissima.
Cazzo.
Scherzavo! Col cavolo..
che gli davo l’indirizzo. Non prendertela dai, mi ha fatto tenerezza.
Non so cosa è successo
fra voi due (giuro ti uccido quando torni)
Ma sembrava davvero a
pezzi.
Ps=Come è a letto?
Un po’ ci speravo che
finisse così. : )
Sa dove sono.
Panico. Panico. Panico.
Non voglio vederlo o meglio muoio dalla voglia di rivederlo, ma
non così; sono in uno stato pietoso, Riccardo mi ha trasformata in una specie
di trita rifiuti facendomi ingoiare praticamente cibo ogni tot ore col
risultato che ho la faccia devastata, i capelli da fare schifo e le sue vecchie
tute addosso da quattro giorni. Non voglio vederlo, voglio stare nel mio stato
di pietà ancora molto a lungo. Non voglio assolutamente vederlo.
«Cosa ci troveresti di tanto divertente in questo messaggio, me lo
spieghi?»
«Per prima cosa era ora che ti dessi ad un po’ di azione. Non
fraintendermi.. ti adoro, ma quando sei in modalità depressa sei
insopportabile. Punto secondo, io sarò lì a godermi la scena se il tizio è così
pazzo da venire a cercarti. Punto terzo, Chiara ti farà il sedere e la cosa è
un vero spasso!»
«Grazie tante. Ridi delle mie disgrazie, che amico!» Spingo il
carrello più avanti e lo lascio inveire con la cassa d’acqua in mano; mi
raggiunge e la butta dentro malamente, un vasetto di yoghurt si spappola sotto
il suo peso.
«Bravo. Guarda che casino hai combinato!»
«Ma smettila di frignare. E’ solo un po’ di yoghurt.»
«Io non frigno!»
«Si tu frigni. Lo fai sempre. Con Luca hai frignato. Con Mirko hai
frignato. Con..»
«Oh, frena! Non ho tutti questi ex.»
«Menomale, il mio fegato ti ringrazia! Per una volta che hai
beccato uno che si sparerebbe ‘sti novanta chilometri per venire a chiarire,
stai qui a farti paranoie. Ma non era quello che volevi, infondo? Tutte brave a
lamentarvi e poi quando il principe azzurro arriva, gli azzoppate il cavallo.»
Lo era? Era vero che volessi mi raggiungesse? Oddio fremo all’idea
delle sue mani, delle sue labbra, della sua voce. “Che bisogno ho dei capelli a posto? Dei bei vestiti, la faccia
migliore. Io voglio lui è vero!”
«Rich hai maledettamente ragione.»
«Come sempre piccola.»
«Però era meglio se avessi detto.. quando il principe arriva,
scappate con quello sull’Harley!»
«‘Fanculo cretina!»
E’ un sabato pigro a casa di Riccardo; oggi non lavora e ci stiamo
godendo il cofanetto di Sex and the City che gli ho regalato un San Valentino
di alcuni anni fa. Non siamo mai stati fidanzati, non ne saremmo stati capaci
ma ci piace comunque scambiarci regali e il bello di averlo nella mia vita
corrisponde al fatto che per farmi felice se lo è fatto regalare ben sapendo le
ore che avrei speso a casa sua e l’amore spropositato per Carrie&Co.
Miria è in cucina che prepara un tiramisù alle fragole, ogni tanto
fa capolino e recita qualche battuta; è peggio di me, le sa a memoria! Da
quella Domenica famosa non se ne è mai andata via veramente; sospetto che il
mio Rich stavolta faccia sul serio. Sarei più che
felice, i lunghi anni di scopazzate a destra e a
manca hanno rotto le scatole anche a lui e poi a dirla tutta lo vedo bene con
una donna fissa accanto. Lui è un papà mancato; dolcissimo, comprensivo ma
autoritario quando serve. A venticinque anni ha un lavoro serio in banca e una
famiglia solida alle spalle; quello che si direbbe un ragazzo inquadrato, con
sfumature di pazzia che lo rendono speciale.
«Questa puntata mi fa venire i lucciconi agli occhi.» Miria ci
passa i popcorn e si mette seduta accanto a Rich; lui
le posa il braccio intorno alle spalle e le bacia i capelli.
«Qui è quando Big viene operato al cuore e nella guarigione sembra
quasi un altro. Ve lo ricordate?»
«Che stiamo facendo? E’ di noi che parlo, che stiamo facendo?»
Ripeto la battuta di Big con enfasi.
«Già e Carrie gli dice che non lo sa e
si guardano in quel modo assurdo!»
«Oddio sì, ho i brividi!»
«Ehi voi due, vorrei vederlo se non vi dispiace!»
Rich le fa la linguaccia e
quando Miria torna con il viso alla tv le si butta addosso senza pietà, facendo
rotolare la ciotola con tutti i popcorn ai piedi del divano. Tipico suo e ci
toccherà ripulire! Mentre mi chino per aiutarli a sistemare, suona il
campanello.
Ci guardiamo manco fossimo in un film dell’orrore, l’unico che
sghignazza è Riccardo, anche il primo ad alzarsi per andare ad aprire. Torna
dopo qualche minuto, il viso teso.
«Gli ho detto che se ti fa soffrire gli spacco la faccia.» “Flavio!” Provo a dire qualcosa ma le
parole non ne vogliono sapere d’uscire così annuisco e mi alzo come un automa
in direzione della porta. «Cazzo, però ha fascino.» Mi sciolgo e gli sorrido
come un ebete; quando mi porto fuori dalla loro vista sento Carrie
e Big parlare di nuovo ma a volume bassissimo.
«Azzurra.» E’ seduto in cucina, con un bicchiere colmo d’acqua
davanti a se. “Se è bello, mamma mia.”
E’ vestito informale, una polo chiara su dei pantaloni che non gli
ho mai visto addosso; solo adesso mi accorgo di averlo visto poche volte
vestito a quel modo e sorrido amaramente, passando in rassegna i diversi
vestiti che indosso anche io; un pantalone sportivo di Riccardo e una t-shirt
che Miria mi ha portato dal suo armadio. Non faccio poi tanto schifo ma quando
sognavo di stare in altri abiti in sua presenza non intendevo proprio questi.
«Ciao Flavio. Come stai?» Il mio super autocontrollo ha la meglio
sul cuore, riesco ad articolare qualcosa per fortuna; è tutta una questione di
respirazione, questo spiegano a certi corsi si self control.
«Senza di te? Un vero schifo. Ti prego, possiamo parlare?»
«Solo se smetti di dire ti prego. E scriverlo. Mi da la nausea,
nessuno prega nessuno.»
«Ok. Mi sei mancata. Ti posso abbracciare?»
«Vuoi il permesso?» E non appena finisco di parlare si alza e mi
paralizza in una morsa impetuosa.
“Il suo odore. Il suo
meraviglioso odore. Oddio lo amo, sì lo amo proprio.” «Ti sono mancata proprio tanto.»
«Scusa, sì tanto.» Prende il respiro e mi slega non allontanandosi
troppo. Occhi neri, occhi scuri, occhi ardenti e agognati. «Non sono sposato
tanto per cominciare. Ma lo ero, tempo fa.»
Prima pallottola sparata; e mi centra proprio bene. «Lei chi è,
Susanna?»
«Sì. Sua madre, Lidia, è originaria di Firenze.»
Seconda pallottola. Firenze. Brucio di gelosia.. hanno respirato
la stessa aria.
«Che ne è stato del vostro.. del vostro..» Non riesco a dirlo. Mi
fa male.
«Ci siamo lasciati quasi subito.»
«Perché?» Mi interessa davvero? E’ importante? “Ah, fanculo sì!”
«Non è importante.»
“Non cedere! Non
cedere!” «Per me lo è.»
«Mi fa male ricordarlo. Ti p.. prego.»
Voltastomaco. «Perché, la ami ancora?»
Mi guarda disgustato. «No!» “Ami
me?!”Questo non riesco proprio a dirlo e fluttuo nell’immobilità, lui
se ne accorge e continua. «E’ una
vecchia storia finita male ma ci sto lavorando su. Non sono stato esattamente
il miglior marito ma le volevo bene e gliene voglio ancora, questo sì. Ma solo
questo, te lo giuro.»
«Non giurare cazzo! Sai parlare senza pregare e senza promettere
nulla che non sei in grado di mantenere?»
«Azzurra io non ho mai promesso nulla proprio per questa mia inadeguatezza nel confrontarmi con i
miei sentimenti, ma credimi se ti dico che sono pronto per un tentativo se
vuoi.»
«Inadeguatezza? Ci stai lavorando? Mi spieghi cosa stai dicendo?»
«Mi sento in colpa e questo non mi aiuta nelle relazioni con le
donne. Questo è quanto dice anche il peggior terapeuta. Ma sai che novità.»
«Ok, vai da un’analista quindi.»
«Ogni tanto. Ma sono passati tanti anni, la situazione è
migliorata.»
Ripenso alla dolcezza di certi momenti vissuti insieme e subito
dopo ai suoi occhi evasivi e al panico quando gli ho detto che lo amavo
riuscendo a capire perfettamente di cosa parla. “Sarà mai in grado d’amarmi?!”
«E dov’è il problema, allora?»
«Che vorrei tanto sbloccarmi, ma questo mi spaventa.»
«Ti spaventa cosa?»
«Sbagliare, una cosa del genere, sì. Non voglio farti male, eppure
lo faccio.»
«Già il problema è proprio questo. Chi mi dice che non mi stai
prendendo per il culo? Chi mi dice che non mentirai ancora? Chi mi dice che io
posso fidarmi di te? Fiducia Flavio è una cosa importante.»
«Lo so, nonostante i miei cazzo di errori, lo so! Tu sei speciale per me. Credimi se puoi.»
«Vorrei.»
«Fallo. Sono vere le cose che ti ho detto, tutte quante.»
“Ma non mi hai detto
che mi ami.” Mi stringo nelle spalle,
annego nella voglia di essere stretta ancora fra le sue braccia. Non so se
posso fidarmi, non mi ha detto tutto e quello che mi ha detto mi ha sconvolta. Inadeguatezza è una parola così tanto
tecnica.. poco di pancia. «Perché Flavio, andava tutto così bene.» E mi accorgo
di quanto in realtà il bene nostro era un qualcosa di finto e per questo mi fa
piangere. «La nostra bolla. La nostra perfetta bolla di inconsapevolezza dove riuscivo, anche se per poco, a sentirmi alla
tua altezza, degna di te.»
«Ma lo sei. Ed io sono un cretino.. » si avvicina e mi prende a se
nuovamente, «non è colpa tua se sono uno che ha problemi ad amare una donna
straordinaria come te.» “No!” Il
terribile uomo anaffettivo di cui fin da ragazzina ho sentito parlare dalle
ragazze più grandi di me esiste davvero e per mia sfortuna non l’ho solo
beccato, me ne sono anche innamorata! Cerco di divincolarmi ma le sue braccia
si estendono per tutta la schiena; cerca di rilassarmi strofinando la guancia
contro i miei capelli.
«Dammi tempo, anche se non sono bravo con le promesse. Ho bisogno
di te, lo senti?» Sento come mi stringe. «Senti qua, ascolta il mio cuore.» Mi
prende la mano e se la posa sul petto.
«Accidenti quanto rumore.» Lo sento sorridermi addosso e piegarsi
sul mio viso; le sue labbra in un attimo sono sulle mie e ci baciamo pieni di
passione e qualcosa di più disperato, irrazionale, primordiale. Le nostre mani
restano intrecciate sul suo petto, anneghiamo l’uno addosso all’altra,
spaventati dalla potenza dei nostri sospiri e respiri; apro gli occhi e lui mi
guarda, le nostre lingue sui denti, sulle labbra, un altro bacio e poi un
morso. Chiudo gli occhi e ridiamo e lontano molto lontano, mi ricordo di Carrie&Mr.Big e che forse ce la possiamo fare anche
noi.
C’era voluto il miglior
cardiochirurgo di New York, ma il cuore di Big era finalmente sbloccato.
Addirittura spalancato.
Cit.
“Effetto Domino” _Sex and the city.
Riprendere il lavoro dopo una settimana di stravizi non è cosa
semplice; tanto per cominciare la gonna della divisa mi tira e per questo dovrò
punire seriamente Miria e i suoi tiramisù bomba, secondo poi rivedere lui dove
tutto è cominciato, dopo quello è successo ultimamente fra di noi.. mi fa stare
completamente con la testa fra le nuvole. Più del solito, da non crederci! Se a
questo aggiungiamo la voglia di starci sempre addosso abbiamo un cocktail
letale di passione, libidine e disattenzione per tutto ciò che ci circonda.
«Sei così bella.» Maria Rita ha sempre qualche scartoffia da
recuperare infondo ai baratri che sono i nostri archivi sul piano, per questo
quando mi interpella alla fine lo faccio sempre con il sorriso e Chiara se la
ride ormai in sintonia con il nostro gioco; ogni volta che apro quella porta
–piccola, rossa con la dicitura “solo personale addetto”- lo trovo lì ad
aspettarmi, a volte già nudo, spesso assorto, il più delle volte fra le
scartoffie anche lui. La prima soluzione è quella che mi piace di più, già..
proprio come adesso che seduta sul suo grembo sento le sue gambe flessuose
sfregarmi sulle cosce nell’attrito di spinta per la risalita; mi tengo salda
allo scaffale alle sue spalle e intanto gemo il mio piacere sulle sue labbra
dolci e succose. «Ti voglio sempre di più.»
«Sono tua.» I fogli tremano, io tremo, lui trema ed esplode.
«Siamo irrecuperabili.» Mi asciugo veloce con una salvietta
rinfrescante gettandogliela in faccia con una smorfia. «la prossima volta la
boss manderà una squadra di ricognizione a cercarci.»
«Assolutamente no. La galleria ha ingresso privato.»
«Solo personale addetto.»
«Io e solo io sono addetto
a te.»
Esco per prima con un fascio di fogli al petto, mi do una vigorosa
scrollata ai capelli ed entro in stanza dalla responsabile; mi guarda come se
si fosse completamente dimenticata che esistessi e fa un gridolino di stupore
solo quando vede ciò che stringo fra le mani. Poco dopo Flavio arriva alle mie
spalle, sospira e prende posto sulla sedia difronte a quella di Maria Rita; ha
i capelli scompigliati ma tutto sommato non così diversi dal solito.
«Azzurra?!»
«Oh sì, ecco» Mi affretto nel consegnare il materiale e svignare
via, M. Rita ha cambiato tono e quando lo fa aria di problemi in vista; getto
un’ultima occhiata fugace all’uomo di tutti i miei sogni proibiti ed esco.
«Dove eri finita Dio mio!» Chiara sbuca dal corridoio mulinando
passi veloci su tacchi dodici, sventolandosi con delle cartellette rosse. «Riunione
all’ultimo momento. Agenti, venti, penne e blocchi. Se non ci fossi io!» Me la
trascino in sala riunioni e gli faccio cenno d’abbassare la voce, indicando la
stanza oltre le parete.
«Eri con lui?» Bisbiglia ed io annuisco energicamente con la
testa.
«Hai un aspetto invidiabile. Ma come fa?!»
«E’ il numero uno.»
«A me è capitato il numero ninja invece! Quando io e Piero finiamo
di fare l’amore sembro un lego smontato!»
«E ti lamenti?»
Scoppiamo a ridere ma dei passi strusciati ci avvisano della
presenza di qualcuno; la boss parla a Flavio–dai sospiri capisco che è lui- con una voce un po’ troppo confidenziale ed
attivo il radar/conversazioni.
«Ma dai Rita questa storia non la capisco proprio. Sono abituato
ad altro, mi dispiace.»
«Ma come non sei contento? Roberta Saona
è la nostra punta di diamante, nonché una bellissima donna!» La sento ridere
civettuola e il radar/conversazioni perde campo passando a linea/ansia; che
cazzo c’entra la stangona milanese con Flavio adesso? «E poi si tratterebbe
solo di un fuori sede, al posto della hostess ti aiuterebbe lei e farebbe
pratica con questo genere di appuntamenti. Come si dice, due piccioni con una
fava!»
“La stanga deve
prendere il mio posto? Chi lo dice!”
«Cerca di non romperlo per piacere!» Chiara mi sgomita togliendomi
il videoproiettore dalle mani. «Perché non torni in reception, magari sta
suonando il telefono e siamo tutte e due qui.»
Nego
con il capo, se uscissi adesso me li troverei difronte e sarei costretta a
perdermi stralci del momento confessionale. «Azzurra,
vedi di essere seria.» Già, glielo ho promesso; l’unica richiesta da parte sua
per il prezioso silenzio è stata assicurarle che non ci avrei messo nei
pasticci con la mia cotta subissale, così controvoglia esco dalla stanza e mi
becco la plateale visione della stangona su Flavio. “E’ quiii?! Merda!”
Mi è sempre stata sulle scatole a dire il vero, il suo modo di
guardarci –anche adesso, mi squadra da capo a piedi mentre lancio uno sguardo
interrogativo in direzione di un catatonico Flavio- sempre con quell’aria da
snob puzza culi della serie “siete delle cacche al mio confronto”, da farti
venir voglia di prenderla per i capelli e sbatterla per aria. “Oddio che aggressività; devo farmi dare il
numero dello specialista di Flavio.”
Scivolo via da quella situazione ridendo dei miei pensieri quando
la sento aprire bocca fra il ticchettio spedito dei miei tacchi e un colpo di
tosse da una delle porte del corridoio; in questo preciso momento vorrei
volare.
«A quanto pare da domani niente hostess caro Spagnoli. Ci faremo
compagnia come i vecchi tempi..»
“Come i vecchi tempi.”
Maria Rita tossicchia presumo imbarazzata, prima di interrompere
la piega ambigua del discorso e riportarlo alla serissima noiosità della
riunione imminente.
“Come i vecchi tempi.” Non riesco a pensare ad altro perciò mi sforzo di guardare il
telefono -mai come oggi muto- ed attendo impaziente che qualche cliente nervoso
faccia la sua chiamata/bufera giornaliera e mi tenga impegnata; la stronza si
parcheggia al desk dopo pochi minuti dal suo arrivo con Flavio sotto braccio.
Si aggrappa a lui in maniera imbarazzante e la troppa confidenza di ciò mi
rende alquanto nervosa; se l’è scopata, sono pronta a scommetterci.
Alzo lo sguardo per capire se vogliono chiedermi qualcosa ma lei
mi guarda incantata.
«Ti diamo fastidio se restiamo qui?»
“E perché mai, adoro
vederti strusciare come una gatta in calore sul mio uomo.”
«A patto che non parliate male di nessuno. Non voglio essere la
testimone di massacri.»
«Solo chiacchiere innocenti.» Alza le mani e non le crederei
neanche se fosse sotto tortura; con quella faccia da iena che si ritrova! «Me
lo godo prima che arrivino gli avvoltoi.»
Se lo gode. “Come no,
stronza!” «Come i vecchi tempi.» E non so perché ho la sfacciataggine di dirlo
e nel preciso istante in cui lo dico Flavio diventa rosso e comincia ad agitarsi,
la Saona prima guarda me, poi lui e fa finta di
sbellicarsi dalle risate.
«Sarebbe interessante, non trovi Flavio?». E si perde in uno
sguardo malizioso che sa solo lei; per fortuna il trambusto per le scale ci
avvisa che stanno salendo gli altri ospiti, lei si d auna sistemata veloce e a
grandi passi ripercorre il corridoio al contrario portandosi in sala.
«Come i vecchi tempi, eh?» Rimasti soli, Flavio mi parla con un
sopracciglio arcuato; è arrabbiato?
«Lo ha detto lei.» Rispondo lagnando.
«Smettila di fare così. E smettila di metterti in competizione con
lei. Non conta un cazzo per me, chiaro?»
«Certo dottor Spagnoli.»
«Flavio!» Un onda umana lo travolge prima di poter aggiungere una
qualsiasi cosa.
«Siediti.»
Chiara arriva con la faccia da brutte notizie. «Che è successo?»
«La stangona prenderà il posto di Spagnoli, l’ho sentita chiacchierare
al telefono circa un trasferimento, credo centrasse un immobiliarista, parlava
di trasferirsi a Roma. Che avrebbe lavorato qui!»
Ok, siamo ufficialmente le spie di questo posto. «Magari lo
affiancherà e tu hai capito una cosa per un altra.»
Quale ipotesi può risultare meno peggio dell’altra? Flavio che va
via o la stronza a lavorargli gomito a gomito? “Oddio che mal di testa.” «E come la metti che Maria Rita me l’ha
presentata come nostra futura collaboratrice?»
La metto che come al solito devo sapere dagli altri ciò che
succede nella sua vita.
«Scusa un attimo.» Scappo in bagno perché sento la bile annegarmi
i polmoni; dopo pochi minuti, sento bussare. “Oddio povera Chiara, si sentirà in colpa da morire.” «Entra è
aperto. E ti prego non dire te lo avevo detto perché me lo sono detta centinaia
di volte anche io. Non c’è verso, mi piace. Lo amo. Lo amo, punto.»
Getto la carta nel water e mi volto; decisamente non c’è Chiara a
sorridermi come un ebete, la camicia bianca slacciata di qualche bottone, i
capelli scomposti. «Mi fa piacere che stai meglio. Mi ha fatto spaventare.»
«Sto di merda invece.» Caccio giù la sorpresa e l’imbarazzo per
avergli confessato nuovamente i miei sentimenti e lo oltrepasso nell’angusto spazio
che ci circonda, fiondandomi sulla borsa appesa alla maniglia della porta alla
ricerca di una caramella; lo sento respirare forte alle mie spalle, più vicino
da sentire il calore della sua pelle contro la mia stessa pelle. Quando mi tiro
su, mi cinge la vita.
«Non voglio che stai male per colpa mia.»
«Non farmi stare male, allora.» Mi volto. “Oddio devo avere un pessimo alito.” Eppure non smette di tenermi stretta.
«Mi sembra elementare, no?»
«Lo sarebbe se io..»
«Se io. Se tu. Cazzate! E posso anche capire che ti resta
difficile innamorarti di me per non so quale psico
paturnia tu abbia passato, ma non dirmi che te ne vai.. questo mi sembra un
colpo basso in grande stile. Una vigliaccata. Ecco cosa sei, un vigliacco.» Lo
guardo con il fuoco negli occhi, un crescendo di rabbia da farmi tremare.
Allarga gli occhi incredulo ma tiene salde le sue mani su di me,
sente che fuggirei. E lo farei.
«Non sono un vigliacco.» Prende possesso delle mie spalle con le
sue grandi mani e mai come adesso mi rendo conto di quanto sia forte,
pericoloso. Indietreggio, la parete bianca e asettica del bagno mi sfiora
ormai.
«Lo sei, invece. Sei incapace di assumerti responsabilità Flavio,
il tuo problema è un problema comune a tutti gli uomini, non servono grandi
psicologi per capirlo e tu forse per troppo tempo ti sei nascosto nelle pieghe
di questa insicurezza che millanti credendoti diverso, mentre invece sei come
tutti gli altri.»
Mi divincolo da quelle mani improvvisamente fiacche afferrando con
un solo gesto la borsa e la maniglia della porta. «E’ finita.» Inspiro
profondamente per non essere investita dall’onda di tristezza che le mie stesse
parole mi provocano muovendo passi di ritorno al desk. “Adesso stai calma, per favore, stai calma.”
Chiara mi abbraccia, quando mi vede; la parete che divide il bagno
dalla reception è talmente sottile che alle volte abbiamo paura ad appoggiarci.
Tante volte abbiamo riso di questa cosa così sciocca, adesso vorrei solo
piangere e la frustrazione di non poterlo fare mi rende ancora più nervosa.
«Mi dispiace.»
«Dispiace a me di averti ficcato in questo casino. Non succederà
più.»
Sì non succederà più. Un altro Flavio Spagnoli sulla faccia della
terra è qualcosa di impensabile da credere.
«Vai a casa, non farmelo ripetere di nuovo.. per favore.»
«Ma c’è ancora tutto da sistemare.. i fogli, la lavagna..»
«Eh sì una nazione da rifare! Azzurra dai, non farti pregare. Hai
bisogno di riposare.»
“Sì, anche di un bel
bagno caldo e un cuore nuovo. Grazie, quanto le devo vita cara?”
«Grazie Chià. Ti prometto
che starò meglio e basta casini, giuro. A domani.»
«Sì, sì. L’ho già sentita questa. Corri!!»
La
saluto schioccandole un bacio in guancia, affrettando i passi per le scale
visto l’improvviso trambusto proveniente dalle nostre sale; “Probabilmente la riunione è finita. Oddio!” Saluto tutti giù nell’atrio e schizzo
in strada come fossi una saetta; occhialoni neri infilati sul naso e cuffiette
per l’I-pod, sono accessori essenziali al mio totale
estraniarmi con il mondo. La musica parte su un pezzo nostalgico che mando via
con un gesto secco del dito spazientendomi. “Flavio.”
Un tizio in giacca e cravatta passando mi urta; alzo lo sguardo speranzosa, ma
i suoi occhi azzurri fanno a pezzi tutte le mie speranze. “Flavio.” Mi sembra di vederlo nel sorriso di un ragazzo e nel
passo svelto di un altro, in una canzone sciocca e un po’ frivola e nella
dolcezza di un lui che tiene stretta la sua lei come potessero rubargliela. “Flavio. Non riesco a non pensare a te,
Flavio.”
All’improvviso
degli schiamazzi mi distolgono dai foschi pensieri; il conducente del sessanta
sta platealmente mandando a fanculo un tipo che con la macchina gli ha tagliato
la strada incanalandosi in fermata. “Idiota.”
Penso e una botta di clacson conferma la mia teoria, ma mettendo a fuoco l’auto
e il finestrino semiabbassato, noto un ciuffo di capelli folti e scuri assai
familiare.
«Flavio!» Mi sfilo le
cuffie, lui esce dall’auto.
«Ti do un passaggio, vieni con me.» Non mi da il tempo di
razionalizzare, mi tira per il gomito fino alla portiera la apre e gentilmente
mi fa accomodare sul suo sedile passeggero. “La
sua macchina!” Alza la mano in segno di scuse all’autista del bus e mette
in moto sgasando come esistessimo solo noi.
«Cosa non ti è chiaro della frase è finita?»
«Tutto. Questo è il tuo modo di darmi tempo?»
«Sei bravo a rigirarti le cose, ma te l’ho già detto
una volta io non sono una tua subordinata. Non mi freghi Flavio.»
«Non voglio fregarti, cazzo! Come te lo devo far
capire?»
«Parlami. Rendimi parte di te, della tua vita.»
«Ti ho promesso che ci avrei provato.»
«Bel modo di cominciare. »
Sbuffo arrendendomi allo schienale confortevole del mio sedile. «Sei stato sposato mio Dio, sai cosa significa
condividere no?»
«Non ho condiviso molto di me.»
«Che significa?»
«Non le ho dato niente. Se non dolore. Ma ti prego..»
«Non ne parliamo, ok.» “Condividere..” «E Roberta Saona, allora?»
«Roberta Saona, cosa?»
«Perché non mi hai mai detto che te la sei scopata?»
Per un attimo molla la strada e mi guarda con sopracciglio
inarcato. «Devo farti una lista per caso?»
«Sì, se le bastarde ti girano intorno come mosche sulla merda.»
«Tante grazie.»
«Sai cosa intendo. E in questo caso un po’ merda lo sei per non
avermi detto niente, accettalo.»
«Ok non te l’ho detto. Ma è una storia vecchia e sono
stato chiaro con lei fin da subito.»
«Non abbastanza a quanto pare.» Mi struscio sul suo braccio imitando la stangona, piegando il
capo e ridendo come una barbie scema; perfetta, da cabaret quasi. «Vuole farti ricordare i vecchi tempi. Quella è una
promessa amico mio.»
«Non sono tuo amico.»
«Si dice tanto per dire, non fare l’acido.» Guardo la strada e mi accorgo solo adesso del
diverso percorso che sta compiendo; in realtà non gli ho mai detto dove volessi
andare, adesso non capisco dove mi stia portando lui. «Mi
dici dove stiamo andando? Abbiamo passato dieci fermate della metropolitana!»
«Ti porto da me.» Sorride e si immette in tangenziale verso il
foro italico; io resto così un po’ accigliata, stupefatta e contenta. Contenta
e spaventata, curiosa, perplessa. E contenta. Ma forse l’ho già detto.
Ferma
l’auto in Via Doria, quartiere prati, una zona ultra chic della Roma che ho
sempre snobbato.
Ed
evitato, come la peste. Tuttavia adesso che so che ci vive lui.. comincia a
farsi interessante.
«Di un po’, quanto è che vivi qui?»
Cerco
di sciogliere il ghiaccio che si è creato fra di noi, dalla sua faccia tesa e i
suoi movimenti schematici.
«Sono a Roma da tre anni, lo sai questo te lo avevo
detto.» Già e la regola parla chiaro, superati
i tre anni l’azienda tendenzialmente vira al ricambio, ne ho vista passare di
gente nel tempo.
«Questo cosa significa, che te ne andrai?!» Gli chiedo con un velo di tristezza, mentre gira la
chiave nella toppa e mette in luce il nido in cui passa le notti che non siamo
insieme; è tutto un tripudio di luminosità, bianco candido con tocchi di crema
e giochi di specchi che danno all’appartamento un aria di classe bon ton
d’epoca.
Mi prende per mano conducendomi per il salone fino ad un corridoio
lungo per la quale si snodano diverse porte; alla fine di questo si apre una
sala che funge da cabina armadio dove mi fa lasciare la borsa e mi indica delle
cose che posso indossare. “Per quanto
tempo hai intenzione di tenermi qui, Spagnoli?” Guardo in basso al parquet
finemente levigato, chiaro e mi perdo nelle venature del legno, negli intrecci
di quella materia così diversa all’apparenza, nata per stare insieme e mi
chiedo se in qualche modo anche noi siamo nati per questo; lui mi alza il viso
e posa un bacio leggero sulle mie labbra; sentimenti contrastanti si fanno
largo in me, rabbia, frustrazione, ma anche dolcezza e amore. “E’ finita.” Ed io, non sono mai stata
più bugiarda.
Si allontana e va verso la finestra, il suo profilo in controluce
è deleterio per il cuore. «E’ una probabilità.» Risponde alla mia domanda
iniziale, frantumandomi.
«E noi?» Gli chiedo sull’orlo della disperazione; si fa avanti di
nuovo ma resta a metà strada fra il pouf rosso al centro del locale e le grucce
con i suoi abiti perfettamente ordinati.
«Non posso decidere al posto tuo. Ma sappi che sono disposto a
strisciare purché tu mi segua.»
L’idea che ci abbia pensato mi fa dimenticare di tutto. Del
trasferimento, della stangona milanese, del suo passato di merda.. in attimo finisco fra le sue braccia.
«Mi sembra un sì.» Mi alza da terra poggiandomi a sé con tenerezza,
scorre una porta comunicante con un’altra stanza e ci ritroviamo nella sua
camera da letto; un letto King capeggia al centro della stanza, con gli angoli
arrotondati e alle spalle delle stampe di paesaggi in bianco e nero commoventi
da tanto belli. Tutto intorno è perfetto, pulito, sgombro, non una cosa fuori
posto, le tende bianche e spesse semi socchiuse con quel tanto di luce che
basta, il sofà ai piedi del letto libero.
«Che ordine Dio mio, io impazzirei.»
«Io sono già pazzo.» Fa una smorfia, poi torna serio. «Di te.»
«Sai il fatto che tu non mi abbia mai detto ti amo non è poi così
male..» Ridacchio come una bambina ma lui mi fa scendere. “Spettacolo terminato.” «Pensavo d’esser stata simpatica.»
Mi lascia intravedere l’ombra di un sorriso agli angoli della
bocca, ma si inginocchia e affonda il viso nella mia pancia, bacandola. Tiro
indietro la testa mentre sento che mi sfila i jeans e li tira giù strattonando
all’altezza delle cosce; con delicatezza invece fa scendere gli slip e con
estrema bravura, mi ama nel solo modo in cui è capace d’amarmi… ma lo fa
benissimo.
«Trovi interessante il soffitto?» Sono con occhi sognanti al cielo
da non so quanto tempo; lui mi è di fianco, con i capelli scomposti sul cuscino
a pancia in giù che mi osserva; mi passa l’indice sotto al naso, sorridendo.
«Non sapevo nemmeno avessi una casa a Roma.»
Gli dico, tornando prepotentemente con i piedi in terra, dove i
miei sogni scappano via spaventati.
Sospira angosciato. Si gira dalla parte opposta ma torna subito al
suo posto.
«Lo so, ma adesso sei qui, no?» Mi giro abbracciandomi al suo petto,
lui si piega fra i miei capelli
annusandoli. «Sei così calda. E dolce. Da quando ti ho vista la prima volta non
faccio che pensare a te, a quanto ti voglio. E’ un qualcosa che non riesco a
dominare, l’istinto di volerti mia sempre.»
Dovrei sentirmi lusingata ma la possessione quando si tratta di
sesso mi ha sempre reso molto scettica.
«Dottor Spagnoli, in parole povere mi sta dicendo che vuole
saltarmi sempre addosso.»
«Più o meno, sì. Ma non è tutto
nemmeno questo; hai toccato la mia anima Azzurra, hai smosso delle cose dentro
che credevo assopite ormai da anni e tutto questo credimi è scioccante.»
«E’ così difficile crederti Flavio, sei sempre così..
ermetico.»
«Ermetico? Ti ho appena detto che sei tutto per me.»
«Sappi che non mollerò!»
Gli urlo sulla bocca, dondolandomi sul suo sesso dopo ore di
chiacchiere e baci.
«Non avevo dubbi.» Mi butta giù di peso, saltandomi addosso
all’istante. «E ti adoro per questo.»
Lo sento entrare nuovamente in me e mi sento piena e viva nella
nostra bolla personale; è bello amarlo, ed è bello che in qualche modo lui mi
ami. Anche o solo così sarà il doloroso e amico tempo a dirlo.