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Autore: andromedashepard    24/07/2013    2 recensioni
“Speravo dormissi, almeno tu”, disse Thane quando lei ebbe aperto il portellone. Le sembrò esausto. Coprì con due brevi falcate la distanza che li separava, uno sguardo che lei non seppe interpretare. “Dammi un buon motivo per andarmene”, aggiunse, appoggiando la fronte contro la sua. Lei trattenne il respiro, mentre le sue dita si intrecciavano ai suoi capelli. Se c’era davvero un buon motivo, lei non lo conosceva.
#Mass Effect 2 #Shrios
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Thane Krios
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Andromeda Shepard '
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 “For a moment your eyes open and you know 
 
All the things I ever wanted you to know 
 
I don't know you, and I don't want to 
 
Till the moment your eyes open and you know”
 
(Keane, "Your Eyes Open")

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Quel pomeriggio, a pranzo, solo Tali e la Chakwas si ritrovarono a consumare il pasto al solito tavolo. L’assenza di Garrus e Shepard aveva insospettito parecchio la Quarian, che mangiò talmente in fretta da rischiare di strozzarsi, decisa a scoprire prima possibile il motivo di quell’inusuale circostanza. Aveva controllato, ed erano tutti di turno quella mattina, quindi era improbabile che quei due se ne fossero andati a zonzo sulla Cittadella. Lasciò la dottoressa a finire da sola il pranzo e si catapultò verso la Batteria Primaria.
Garrus era intento a lavorare, come al solito, e lei fu sollevata di vedere che almeno quello non fosse cambiato.
“Tali, che succede?”, esclamò lui, vedendola arrivare.
“L’ora di pranzo è passata già da un po’, non ti unisci a noi?”
“No, grazie… Non ho fame”.
Lei lo raggiunse accanto ad una delle batterie a cui stava lavorando e prese un datapad a caso, dandogli un’occhiata.
“Pignolo come sempre, eh?”
“Mi conosci”.
Tali decise che avrebbe colto la palla al balzo, ora o mai più. “Proprio perché ti conosco”, asserì, “so che c’è qualcosa che non va. Vuoi parlarne?”
Garrus si aggiustò il visore sopra l’occhio sinistro, poi la squadrò, incerto su cosa rispondere.
“Non c’è davvero niente da dire”.
“Mi aspettavo di trovarti sollevato dopo la faccenda Sidonis. So che hai fatto quello che volevi”.
“Non l’ho fatto per quello, Tali. Della tranquillità interiore m’importa ben poco, ciò che volevo era vendicare i miei compagni e togliere di mezzo un criminale, nulla più…”
“Allora perché ti vedo più cupo di prima?”
Garrus inarcò la schiena, passandosi una mano sulla fronte, poi si sedette su uno scalino e la guardò con aria sconsolata, parlando come se ogni parola pesasse una tonnellata. “Ho paura che Shepard non avesse intenzione di aiutarmi fino in fondo. Mi fidavo di lei”.
“Che vuoi dire? Non l’avete tolto di mezzo?”
“Sì, ma… se non ci fosse stato Krios… Non lo so.”
“Krios? Chebosh’tet c’entra l’assassino?”
“Shepard ha esitato di fronte a Sidonis. L’avevo in tiro e lei non si spostava, nonostante le stessi ordinando di farlo. Poi lui l’ha tirata via per un braccio lasciandomi libero di sparare”.
Tali si portò una mano sulla maschera, in direzione della fronte. “Keelah’… E lei come l’ha presa?”
“Non lo so, non ci siamo più parlati”.
La Quarian sgranò gli occhi da dietro il visore e gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla. “Perché non fai uno sforzo e tenti di chiarire?”
“Sono combattuto, Tali. Ho cercato di fare del bene in questi due anni, potendo contare solo su me stesso, perché credo di sapere qual è la differenza tra bene e male, e Shepard è stata una delle persone che più mi hanno aiutato a crescere in questo senso. Ma il gesto che ha fatto, la sua esitazione… sono stati uno schiaffo morale per me. Era il suo modo di dirmi che stavo sbagliando… E forse aveva ragione, forse dovevo lasciare Sidonis in vita, dovevo dimostrare di essere superiore a lui”.
“Prima di tutto, stiamo parlando di un criminale, poi non conosci le vere ragioni di Shepard. E’ bene che chiariate, prima che quest’ammasso di cose non dette vi travolga completamente”.
Tali aveva ragione e Garrus lo sapeva, ma non riusciva a convincersi di andarle a parlare, un po’ per orgoglio, un po’ per paura del confronto con una persona che stimava così tanto, fino a quel giorno. Per il momento, tutto ciò che lo teneva distratto erano le sue calibrazioni.
 
 
 
La mattinata per Shepard era stata piuttosto faticosa, ma almeno l’aveva tenuta lontano da ciò che la tormentava dalla sera prima. Approfittando della sosta alla Cittadella, Miranda le aveva chiesto una mano per ritrovare sua sorella e tutto era andato a buon fine. Un paio di graffi in più sulla corazza e niente più, come al solito.
Aveva fatto una doccia e aveva atteso pazientemente l’arrivo di Kelly in cabina. L’aveva esortata a interrogare Thane al più presto e adesso era impaziente di sapere cosa era venuto fuori dal colloquio. Qualcosa, dentro di lei, sperava fortemente che Kelly le portasse cattive notizie. Si sarebbe sbarazzata di lui in un batter d’occhio, lasciandolo sulla Cittadella senza pensarci due volte. Perché? Non lo sapeva neppure lei. E’ solo che non riusciva a non farsi travolgere da un ondata di rabbia quando pensava alla sua mano, stretta delicatamente al suo braccio. E al suo sguardo, che l’aveva trapassata da parte a parte come se, d’un tratto, fosse sparita la sua corazza, fossero spariti i suoi vestiti e persino la sua pelle. Si appiattì alla parete della sua cabina, mentre EDI le comunicava che Kelly stava per arrivare. Chiuse gli occhi e si passò una mano fra i capelli, ripetendo a se stessa che c’erano altri modi di andare in fondo alla faccenda, diversi dallo sperare che la Chambers le desse qualcosa a cui appigliarsi per sbarazzarsi dell’assassino. Era il suo orgoglio a parlare? Probabile, e il fatto di non averne discusso con nessuno non poteva che peggiorare le cose.
Pochi minuti dopo, Kelly bussò al portellone della cabina, con un datapad in mano.
“Comandante”, fece, l’espressione del suo viso solare come sempre.
“Allora… hai quello di cui avevo bisogno?”, Shepard non perse tempo e le fece cenno d’accomodarsi sul divanetto.
La specialista si sedette e le porse il datapad, un file compilato con accuratezza, ma non più lungo d’una pagina. Shepard gli diede uno sguardo fugace, ma ciò che voleva era un confronto a parole, non un mucchio di pixel.
“Fammi un riassunto, Kelly. Si è dimostrato disponibile?”
“Molto. Ha risposto con precisione a tutte le mie domande, anche se il suo modo di fare denotava una certa riservatezza”.
“Credi che abbia qualcosa da nascondere?”
“No, no… Probabilmente è solo il suo carattere. Vivere da soli per dieci anni, sai…”
“Dieci anni?”
“Sì, è questo quello che mi ha detto”, sorrise. “Ma, Comandante, perdona l’invadenza, non hai mai parlato con lui direttamente?”
“Non ne ho avuto modo finora”.
Kelly la osservò, pensierosa, come se volesse leggere dentro di lei. Era sicuramente arrivata ad una delle sue conclusioni da strizzacervelli, ma si guardava bene dal dirglielo.
“Avanti Kelly, sputa il rospo. Che c’è?” Shepard l’aveva capito dal suo sguardo che fremeva dalla voglia di parlare.
“Non è da te. Voglio dire… la Shepard che conosco io preferisce fare tutto da sé quando si tratta del proprio equipaggio. Perché non gli chiedi le cose che vuoi sapere apertamente? Poi, se hai dubbi, possiamo parlarne”, rispose lei.
“Non credi che possa semplicemente non importarmi nulla del suo passato o della sua vita? Ho chiesto il tuo parere solo perché voglio sapere se c’è qualcosa di importante che devo conoscere. Qualcosa per cui la mia squadra potrebbe essere in pericolo…” Subito dopo aver pronunciato quelle parole si rese conto di quanto doveva essere suonata paranoica, paranoica a livelli ridicoli.
Kelly non poté fare a meno di sorridere.
“Abbiamo in squadra elementi potenzialmente mille volte più pericolosi di lui, Comandante”, disse gesticolando, “Una sola parola: Grunt. Perlomeno Thane è un individuo equilibrato”.
“Bene. Quindi non c’è nulla che…”, tentò nuovamente lei.
“Shepard, qual è il problema? Non sarà che la sua aura misteriosa ti rende paranoica più del dovuto, con tutto il rispetto?”
“Aura misteriosa?”, Shepard sgranò gli occhi, scettica.
Kelly fece per alzarsi, con un sorriso divertito stampato sulle labbra. “Io la trovo sexy”, concluse, avviandosi verso il portellone.
“Se hai altre domande, sono sempre a tua disposizione, ma non c’è davvero nulla di cui doverti preoccupare”.
 
Shepard restò inebetita a fissare distrattamente il datapad, dopo che Kelly ebbe lasciato la cabina. Era vero, non aveva mai dimostrato particolari preoccupazioni nei confronti degli altri membri dell’equipaggio, neanche quando si era trattato di un grosso Krogan artificiale predisposto alla bellicosità. Soprattutto, non si era fatta mai problemi a fare quattro chiacchiere con loro, in tutta calma, qualora l’avesse ritenuto necessario. Realizzò che non si era mai sentita così delusa da se stessa come in quel momento, mentre sentiva di perdere il controllo su tutto.
 
 
 
Il bip dell’elettrocardiogramma era l’unico suono a malapena udibile all’interno dell’infermeria, insieme ai passi lenti della dottoressa che camminava con una mano sotto al mento, pensierosa. Quando il tracciato fu completo, Thane si rimise a sedere sul lettino.
“Può rivestirsi”, fece la Chakwas, esaminando con attenzione i dati dell’esame sul factotum. Il Drell recuperò la sua maglia leggera e la indossò in un unico, elegante movimento. Era abituato a quei controlli di routine, ma quella mattina si sentiva particolarmente teso, quasi come se gl’importasse davvero di conoscere il responso.
“Le notizie non sono buone, ma neanche pessime. Lo sa meglio di me che avendo rifiutato di entrare in lista per il trapianto le possibilità di sopravvivere si riducono di molto”, disse la dottoressa schiettamente, guardandolo da sopra gli occhiali. Lui annuì. “Il cuore sta bene, abbiamo una leggera aritmia, ma potrebbe non significare nulla. Mi dica solo se spesso si sente affaticato o presenta altri sintomi…”, continuò lei.
“Sto bene”, fu la risposta secca del Drell.
La Chakwas lo osservò per una manciata di secondi, per nulla convinta della sua affermazione, pronunciata con una fretta eccessiva. “Continui a prendere i farmaci che le ha prescritto il suo medico precedente e faccia costante attività fisica. Deve tenersi in allenamento”, disse infine, mentre Thane era già in procinto di lasciare l’infermeria. “E soprattutto… eviti l’isolamento. Non sono esperta di biologia Drell come il professor Mordin, ma ne so abbastanza da sapere che nelle sue condizioni è bene tenersi alla larga dai ricordi”. Thane si volse brevemente a quella frase e le sorrise, salutandola con un inchino del capo appena accennato.
 
Tornò al Supporto Vitale dopo aver preparato una tazza di thè in sala mensa, fortunatamente vuota e silenziosa. Si sedette alla scrivania e iniziò a sorseggiare lentamente la bevanda calda, cercando di respingere i pensieri negativi che sembrava l’avessero seguito dall’infermeria e che adesso si accalcavano tutti dietro alle sue spalle, in attesa che lui permettesse loro di sopraffarlo. Anni ed anni di pratica nell’arte della meditazione sembravano essere improvvisamente svaniti da quando aveva messo piede su quella nave. Aveva dimenticato cosa significasse avere accanto delle persone, siano esse familiari, o conoscenti, o semplici colleghi di lavoro. Aveva dimenticato quanto le azioni degli altri potessero incidere sulla psiche di un individuo, fino a farla cambiare totalmente.
La conversazione avuta con Vakarian, due sere prima, gli aveva riportato alla mente tanti ricordi, memorie che non aveva mai condiviso con nessuno e che, probabilmente, non avrebbe mai condiviso in futuro. Si era rivisto nelle parole del Turian, così cariche di rabbia e allo stesso tempo di tristezza, di smarrimento. Quello che Garrus cercava era giustizia, anche se continuava a chiamarla vendetta. La stessa giustizia che lui aveva rincorso dieci anni fa, quando era stato privato di una delle cose più preziose della sua vita. Togliere di mezzo i responsabili l’aveva fatto sentire meglio, ma l’aveva anche privato della sua integrità morale. Si chiese se, col senno di poi, l’avrebbe rifatto e la risposta fu “mille altre volte”.
E poi lei, invece, aveva esitato. Riuscì quasi a sentirlo, il laser del mirino del Mantis puntato su di lei, che faceva da scudo a Sidonis.
 
Non si sposta. Perché? Occhi verdi indugiano sul viso del Turian, la voce di Garrus è impaziente. Shepard, spostati! Lei resta fissa a guardare Sidonis, le mandibole del Turian si muovono nel panico. L’afferro per un braccio, delicatamente. Cos’ho fatto? Garrus ha sparato, lei mi guarda, è smarrita.
 
Era scivolato in una delle sue memorie. Era come perdere il contatto con la realtà ed essere catapultati in un universo parallelo fatto solo di sensazioni identiche in tutto a quelle reali. Aveva sentito il braccio di Shepard sotto la sua mano, aveva percepito il suo sguardo, era stato investito nuovamente da quella sensazione di sorpresa che aveva provato in risposta al suo stesso gesto. E poi, la consapevolezza.
“Lei…”, sussurrò, quasi come se le parole gli fossero sfuggite dalle labbra. “No, non può essere…”
Si alzò e andò a stendersi sulla branda, coprendosi il viso con le mani.
Una chiamata improvvisa sul suo factotum lo fece tornare alla realtà, una chiamata che avrebbe cambiato tutto.
 
 
 
Quella sera Shepard avrebbe avuto la libera uscita. In una normale circostanza avrebbe deciso di spenderla in compagnia del suo equipaggio, avrebbe convinto Joker a seguirli al Purgatory e avrebbero passato tutta la serata a scherzare di fronte a un drink e un paio di birre, lontano dalla Normandy e dalle preoccupazioni, almeno per un po’. Quella sera, però, Shepard avrebbe di gran lunga preferito uscire a fare una passeggiata in solitudine, sedersi su una delle panchine del Presidium a cercare di schiarirsi la mente. Aveva appena fatto una doccia e si stava rivestendo quando EDI la informò che Thane Krios desiderava parlare con lei.
Lei si fermò per un istante, con la maglietta ancora in mano, per cercare di indovinare quale fosse il problema stavolta. Non aveva intenzione di discutere ancora su ciò che era successo, non finchè non avesse fatto chiarezza sulle sue azioni. Tuttavia, non poteva semplicemente ignorare la sua richiesta, così diede un lungo sospiro e mormorò all’IA di comunicare al Drell che l’avrebbe raggiunto subito nella sua cabina, di malavoglia.
Continuò a rivestirsi lentamente, quasi come se volesse ritardare il più possibile il momento dell’incontro; perse tempo davanti allo specchio del bagno legando i capelli in una coda, poi in uno chignon, poi in una treccia. Sbuffò innervosita e si arrese a lasciarli liberi sulle spalle, una cascata di boccoli color rame che le davano un’aria giovane, quasi fanciullesca. Poi lasciò la sua cabina e prese l’ascensore, col cuore che per qualche motivo le martellava in petto. Si lasciò andare sulla parete fredda, reclinando la testa all’indietro.
Diamine, perché…
La porta dell’ascensore si aprì di fronte a lei con un suono metallico e lei ricacciò indietro l’impulso di fare dietro front. Andò dritta verso il Supporto Vitale, ribadendo a se stessa di essere il fottuto Comandante Shepard e che non c’era nessun motivo per sentirsi in ansia. Avrebbe affrontato qualunque discussione con diplomazia e calma, com’era solita fare, a differenza della sera prima.
 
Shepard aprì il portellone della cabina senza bussare, percorse il piccolo corridoio affiancato dalle taniche d’acqua d’emergenza e i tubi per la diffusione dell’ossigeno e si fermò, in piedi dietro di lui che stava seduto alla scrivania.
“Qualche problema?”, domandò.
Thane si voltò verso di lei per un breve istante, poi abbassò il capo.
“Si”, disse mestamente, mentre Shepard avanzava per fronteggiarlo. “Ma adesso che sei qui, mi viene difficile parlarne”.
La sua sincerità la spiazzava ogni volta. “Di che si tratta? Riguarda la tua malattia?”
“No”, rispose lui, alzandosi. Si avvicinò alla vetrina dove teneva le sue armi, allineate precisamente l’una accanto all’altra. Un Viper, una Predator, una Tempest e una Suppressor, lucidate tanto da sembrare nuove. Parlò senza neppure girarsi ad incontrare il suo sguardo.
“Avevo una famiglia, una volta”.
Shepard non se lo aspettava e, in fondo, conosceva ancora così poco di lui. Gli si avvicinò lentamente, appoggiandosi alla vetrina.
“Ho ancora un figlio, si chiama Kolyat… non lo vedo da molto tempo”.
“Non ne avevo idea”, disse lei debolmente. No, questo non se lo sarebbe proprio mai aspettato.
“Non ne abbiamo mai parlato”, rispose lui quasi a volerla giustificare, guardandola per un breve istante.
“Cos’è successo?”, la domanda le venne spontanea.
“Li ho abbandonati. Beh, non all’improvviso. Il mio allontanamento è stato graduale. Stavo via per lavoro, all’inizio una volta al mese, poi sempre più spesso… L’ultimo ricordo che ho di mio figlio risale a dieci anni fa”.
 
Sento una melodia antica, lui corre intorno per la stanza e grida “ehi papà fammi girare”, lo prendo in braccio, poi il terminale chiama, “papà” mi dice, io rispondo, devo leggere il contratto, lo metto giù, continua a chiamarmi, io lo ignoro, devo andare.
 
Shepard restò basita ad osservarlo, mentre lui sembrava caduto in una sorta di trance, la sua mente posseduta da quella memoria. Era una sorta di manifestazione violenta e incontrollabile, ipnotica.
“Cos’era quello?”, gli chiese, quando lui sembrò tornare alla realtà.
“Scusami. Avrai sicuramente sentito parlare della memoria eiedetica dei Drell. A volte sfugge al nostro controllo”, disse lui, con una leggera sfumatura d’imbarazzo nella voce.
Lei increspò appena le labbra in quello che doveva essere un sorriso rassicurante. Non aveva ancora capito quale fosse il nocciolo del problema e perché lui le stesse parlando di questo.
“Da quant’è che non vedi tuo figlio?”
“Dieci anni”, lui si voltò, appoggiandosi di schiena alla vetrina di fianco a lei. “Stamattina ho ricevuto una chiamata. Un mio vecchio contatto sulla Cittadella mi ha informato che Kolyat potrebbe essere stato assunto come mercenario e io…”, esitò per un istante.
“…tu vuoi fermarlo”, concluse Shepard.
“Esattamente”, sospirò, voltandosi ad incontrare i suoi occhi.
Lei abbassò istintivamente lo sguardo, portando una mano ad accarezzarsi una ciocca di capelli che le ricadeva sul viso. “Se vuoi puoi andare, sei in libera uscita anche tu”.
“Non ti ho chiesto di venire qui per avere il permesso, Shepard. Vorrei il tuo aiuto”.
Il mio aiuto?
“Perché? Voglio dire… Hai lavorato da solo per così tanto tempo e non mi sembri il tipo di persona che ha bisogno di una mano per una questione simile. Hai fatto fuori più persone tu su Omega in un’ora che io in dieci missioni di fila, probabilmente”.
“Ah… hai sentito di quella storia”.
“Era tutto nel dossier”, disse lei.
“Comunque no, non ho bisogno del tuo aiuto. Lo voglio”.
Lei restò in silenzio, dandogli l’opportunità di spiegarsi per evitare un possibile fraintendimento.
“Non lo pretendo, ma trattandosi di una missione così delicata vorrei avere a fianco qualcuno di cui potermi fidare”.
“E ti fidi di me? Solo ieri sera hai messo in dubbio il mio giudizio”. Stavolta lei non riuscì a trattenersi.
“Mi fido delle tue capacità. Non era mia intenzione giudicarti, ho commesso un errore anche io e ribadisco che non succederà più. Vorrei potessimo dimenticare questa storia”.
“Lo vorrei anche io…” Fu quasi più una confessione, la sua, che una frase di circostanza.
“Sono sicuro che Garrus capirà le tue motivazioni”.
“Perché, tu le hai capite?”, gli domandò lei in un tono di sfida.
“Più di quanto immagini”. I suoi occhi, ancora una volta, si posarono su quelli di lei come lame affilate capaci di trapassare la carne.
“Preparati, andiamo subito”, disse Shepard, intenzionata a scrollarsi al più di dosso quella sensazione di completo e totale smarrimento che provava al suo cospetto.
Lasciò il Supporto Vitale e andò a prepararsi anche lei, concentrandosi solo su ciò che andava fatto. Avrebbe lasciato tutte le dovute riflessioni per dopo.

   
 
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