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Autore: Yuni    24/07/2013    3 recensioni
Lei era solo il fantasma bianco della morte, quella che ammazzava i crucchi con un sol colpo. Eppure la sua bravura l'aveva tradita, il suo innato senso della sopravvivenza, del vivere la vita fino all'ultima goccia non le aveva lasciato scampo. Lei era la ragazza dai capelli color della pece, lei era Tamar.
Il suo incubo si chiamava Willhelm, ufficiale d'alto rango delle SS, una delle guardie personali dello stesso Fuhrer dagli occhi nocciola e i capelli di un biondo innaturale.
I due opposti si odiano al punto da desidarare l'uno la morte dell'altro ardentemente, senza ripensamenti.
Ma qualcosa in entrambi cambia totalmente, e l'idea che prima avevano d'entrambi viene spazzata via, come una folata di vento.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Gender Bender, Tematiche delicate | Contesto: Guerre mondiali
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La ragazza si alzò il cappuccio bianco indispettita, osservando tutt’attorno quell’inferno di macerie bianche coperte dalla prima neve, che aveva ricominciato a cadere. Prese a camminare nella soffice coltre di bianca che superava le caviglie in cerca di un riparo sicuro. Con lei non c’era nessuno, ma tramite la radiolina di fortuna che si era portata appresso aveva dedotto che una pattuglia di tedeschi sarebbe giunta presto.
L’assedio della cittadina era cominciato ad agosto dello stesso anno, ma i soldati e la resistenza non davano segni di cedimento così come il nemico, che cercava di irrompere nelle difese. Per questo era lì, per cercare di fermare quella mezza dozzina di tedeschi e non lasciare che attraversassero il confine. Ormai quella parte di città era stata rasa al suolo e solo poche abitazioni si mantenevano ancora in piedi.
Giunse ai piedi di una casa residenziale a più piani; le pareti grigie erano rotte e piene di crepe in molti punti ma avrebbe resistito. O almeno ci sperava.
Entrò dalla porta principale e si diede un occhiata attorno, studiando alternative vie di fuga. Superò l’anticamera delle scale ed imboccò quella che doveva essere una cucina. In fondo al corridoio di piatti rotti e finestre sfondate trovò una seconda porta, bloccata da un calcinaccio che dava al cortile esterno. Quella doveva essere l’entrata della servitù. Provò a sfondarla, ma era completamente bloccata. Sospirò profondamente e si diresse verso il salotto, ridotto ancora peggio della cucina.
Era come se fosse stata colpita in modo ravvicinato da una bomba, ma le fondamenta erano solidamente rimaste in piedi, come a voler ignorare la guerra che scalpitava attorno a lei. Si fece avanti e la punta dello stivale di gomma andò a schiacciare una cornice di vetro, che si ruppe al suo passaggio. Si chinò e prese tra l’indice e il pollice la foto sbiadita di un padre, una madre e i loro due bambini. La lasciò cadere con non curanza, concentrandosi sul resto della stanza che sembrava non avere vie di fuga. Se fosse stata in pericolo e non avrebbe potuto utilizzare la porta principale avrebbe utilizzato la vetrata del salotto ormai in frantumi. Perse un paio di minuti preziosi a togliere i residui taglienti di vetro, così da ottenere un buco sicuro da cui scappare.
Si recò al piano superiore e studiò le rimanenti stanze, due delle quali sembravano appartenenti a due bambini. Diede un occhiata alla camera da letto dei coniugi, ma non ci trovò nulla di interessante. Si spostò in bagno e nel piccolo armadietto bianco caduto in terra trovò un paio di garze e dei flaconi di pillole. Erano anticoagulanti. Controllò la data di scadenza; ormai non servivano più dal ’39. Li gettò in terra e osservò il soffitto.
Non c’erano soffitte o solai, quindi doveva accontentarsi dell’ultima camera posta sul lato sinistro della casa da dove sapeva sarebbe giunta la camionetta. Si fece strada tra le macerie e creò un varco tra la porta e una voragine sul muro, creata dall’esplosione dell’ordigno.
 
Sarebbe stato più facile non dare nell’occhio lì in quanto la sua  mantella bianca l’avrebbe mimetizzata. Si distese sul pavimento e sporse di poco la canna del fucile fuori dall’enorme buco nel cemento. Socchiuse l’occhio destro mentre avvicinava il sinistro alla lente, calibrando lo “zoom”, la latitudine e la longitudine. Spostò la mano su una delle molteplici tasche della sua uniforme estraendo cinque proiettili. Ogni proiettile era lungo 7 cm (circa), ognuno pesante quasi dieci grammi.
Posò una mano sull’otturatore e con abilità e una certa quantità di forza lo tirò indietro. Infilò nella cassetta i cinque proiettili riportando la leva curva alla sua posizione originale.
Cominciò a respirare profondamente, come in una sorta di preparazione lasciando che il fiato venisse portato via dalla brezza gelida. Si soffiò nelle mani, osservando la neve che lentamente si posava in terra.
Un lieve rumore la fece ruotare e d’istinto si portò alla posizione di fuoco. Spostò la canna verso sinistra e zoomò su quella che doveva essere una camionetta. Aveva però un qualcosa di diverso, che le fece gelare il sangue. Si dirigeva a passo spedito verso l’interno della cittadina. Cosa credevano di trovarci lì? Nel caso non lo avrebbero saputo mai, né lei né i crucchi.
Attese pazientemente che la vetture si fermasse di fronte alla strada interrotta da un palazzo crollato. I soldati cominciarono a scendere, prima l’autista e poi tutti gli altri che con le mani sui fianchi blateravano in tedesco cosa avrebbero potuto fare per superarla.
“ Nulla. “ pensò lei con una nota di sarcasmo, puntando il mirino contro un soldato che parlava con un compagno. Le loro altezze coincidevano, così come la loro stupidità di togliersi gli elmetti. Trattenne il respiro e fece fuoco. Il colpo esplose, riecheggiando tra le quattro mura del palazzo. I due caddero in terra quasi nello stesso istante, creando sotto di loro una pozza di sangue scuro.
« Scharfschützen! »urlò uno di loro, che si nascose dietro alla camionetta in cerca di riparo. Tirò nuovamente indietro l’otturatore. All’autista era stato ordinato di salire sul mezzo e guidare lontano da lì.
Si sistemò, appiattendosi contro il pavimento freddo e polveroso, puntando la canna contro il cofano dell’auto. Sapeva bene che il proiettile avrebbe attraversato la sottile lamiera che divideva il recipiente col petrolio e che quest’ultimo si sarebbe riversato sul motore, avrebbe preso fuoco e surriscaldandosi sarebbe esploso.
Respirò col naso e appena l‘auto mise in modo, il proiettile viaggiò veloce e preciso. In una manciata di secondi, quella che era una pattuglia era stata ridotta ad un mucchio di cadaveri brucianti.
 
Si spostò col mirino attorno alla carcassa del veicolo bruciato e tutto sembrava quieto ora. Attese qualche altro minuto prima di caricarsi il fucile in spalla. Scese con cautela le scale, soffermandosi ad ogni minimo rumore.
Superò l’anticamera e aprì la porta principale. Si guardò attorno prima di uscire e con la schiena china estrasse la pistola calibro nove dalla fodera sul fianco. Si diresse verso il cadavere dei due soldati colpiti in piena fronte. Un ghigno soddisfatto si dipinse sul suo volto e cominciò a rovistare sulle loro divise, in cerca di qualcosa di utile. Afferrò per il colletto uno di quelli e constatò che quella era una molto probabilmente una scorta, probabilmente di alcuni membri delle SS.
Inviò un segnale radio alla più vicina stazione indicando che il bersaglio era stato abbattuto, eliminato completamente. Si guardò ancora attorno: solo neve, sangue e macerie. Si abbassò il cappuccio, avanzando in un passo verso la destra diretta al centro città.
Il fantasma aveva colpito ancora nel più totale dei silenzi, il completo anonimato la circondava. La sua fama non era rimasta solo in Russia, aveva sentito che i crucchi conoscevano la sua bravura ma allo stesso modo erano contrariati dal fatto che fosse una donna ad fare razzia dei loro “perfetti” soldati ariani.
Era il 13 di Novembre e dopo quella data non seppe più nulla. Che qualcuno fosse sfuggito alla sua vista? Al fantasma? Al cecchino temuto dai tedeschi? Il calcio della pistola non le fece perdere subito i sensi, il colpo sferrato era debole. Si rotolò nella neve con una mano sulla nuca, bagnata da un liquido denso e rosso, caldo. I suoi occhi azzurri vagarono fino a quando non incrociarono quelli di una figura umana, che si premeva la mano contro la spalla. Non poté riconoscere le sue fattezze, né il suo viso, ma ricordò quei capelli biondi che splendevano alla luce della neve.
Socchiuse gli occhi, mentre una folata di vento portava lontano l’odio, il rancore, tutte quelle emozioni che un vero soldato avrebbe dovuto dimenticare. Non ci fu nessun altro sparo per quel giorno, nessun’altro spargimento di sangue.
  
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