Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: E m m e _    25/07/2013    1 recensioni
Per secoli è stata tramandata l’esistenza di un’entità buona e di una malvagia.
Ed una volta era così:
Lucifero e Dio, l’eterna lotta tra il Bene ed il Male.
Ma ora non più.
Eravamo abituati a parlare di Dio come una presenza buona, genuina.
I nostri genitori, i nostri amici, preti e suore
ce lo hanno presentato come la Salvezza.
Ma si sbagliavano, si sbagliavano tutti.
Perché è a causa sua che la più grande di tutte le guerre si è abbattuta sulle nostre terre, sulla nostra gente.
E sta cercando i suoi Angeli, tra noi, quelli che lo hanno tradito, che lo hanno oltraggiato nel nostro mondo…
E se anche tu pensavi che Dio ti avrebbe risparmiato, ti sbagliavi.
Ora né Dio né nessun altro potrà salvarci.
STORIA SCRITTA A DUE MANI DA MIRIANA (ME) E ANGELICA (ENGI)
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 21
Il passato che ritorna (DI ENGI)

Mikael

Restai sveglio. Hariel si era assopita con la testa sulla spalla di Hesediel, che a sua volta posava la sua su quella della ragazza; Gabriel, anche lui seduto a terra, era posato contro la corteccia di un altro albero e teneva gli occhi chiusi, che ogni tanto tremolavano sotto la palpebra, come se vedesse le immagini del proprio sogno simili a tante diapositive che si susseguivano tutte, una alla volta. Lia, invece, stava stesa sul terreno, tutta raggomitolata per tenersi caldo e con le mani sotto il lato della testa, a mo’ di cuscino. Potevo vedere ogni piccolo fremito del suo esile corpo, all’apparenza così fragile e inerme, ma, forse, dentro resistente come le più dure delle corazze.
Il piccolo fuocherello che Hesediel era riuscito ad accendere, utilizzando ramoscelli, pezzi di corteccia e foglie rinsecchite, si agitava in mezzo a loro, illuminando ogni pallido volto con la sua calda luce e proiettando enormi ombre danzanti sui tronchi legnosi.
Io me ne stavo in disparte, al buio, a contemplare l’universo infinito e ogni suo mistero immortale, in balia della luce delle stelle che mi riempiva gli occhi.
Non potevo permettermi di dormire, almeno uno di noi doveva rimanere sveglio a sorvegliare e proteggere gli altri. I Demoni sarebbero potuti tornare e, questa volta, più preparati di prima.
Alle mie spalle, oltre lo spesso tronco che mi divideva dagli altri, il fuoco scoppiettò, facendo volare verso l’altro piccole scintille rosse, che si spensero non appena si ritrovarono lontane dal calore delle fiamme, svanirono nell’aria rigida della notte perdendo la strada del ritorno.
I miei occhi rassegnavano ogni stella, ogni singolo astro, provando a riconoscerne il nome e a immaginare la linea che univa le une alle altre.
Un fruscio non troppo distante da me mi riscosse, mi trascinò giù dal cielo scuro e dalle stelle candide, e mi fece precipitare un’altra volta al terreno.
Lia si sedette, appoggiando la schiena contro l’albero, e anche lei contemplò il chiaro di luna, che creò nei suoi infiniti occhi neri una piccola pupilla bianca.
Improvvisamente mi accorsi di non star più guardando il cielo, ma quella creatura così ricca di piccole imperfezioni ed emozioni incontrollate, che potevano scatenarsi in qualsiasi momento, senza riuscire a prevenirne l’intensità o la grandezza.
La sua pelle rifletteva la luce pallida dell’enorme satellite, che sembrava perdere d’intensità; i capelli erano scuri quanto una notte priva di stelle, e le incorniciavano l’intero volto, fino a ricadere leggeri sul petto, che si alzava e abbassava a seconda dal respiro.
- Conosci il nome delle costellazioni?
La sua voce era dolce e piena di curiosità, i suoi occhi erano rivolti verso il cielo, come se io non fossi degno nemmeno di uno sguardo.
- Sì, qualcuna me la ricordo ancora.
Feci, e la mia voce mi parve dannatamente sbagliata in confronto a quella di lei.
Un piccolo sorriso le fece risplendere le labbra, incurvandogliele in una semplicità priva di ogni impurità. Lei era purezza, semplicemente questo. La sua anima brillava più di tutte le stelle e la luna messe insieme, più di una danza di lucciole, più della Luce stessa, quella che era sfuggita inspiegabilmente dalle mie mani la notte prima per salvarle la vita.
Sorrisi anch’io, al pensiero che fosse la prima volta che la vidi serena per qualcosa che avevo detto o fatto. E quel suo sorriso mi sollecitò a parlarle, a dirle tutto ciò che voleva e desiderava.
- Quella dovrebbe essere la costellazione del Cigno.

Lei osservò più attentamente il cielo, anzi, l’universo che non temeva di mostrarsi che di notte, al buio più eterno, alla tenebra più fitta.
- Quale?
- Quella.
E con un dito unii i puntini luminosi, creando quella linea che prima cercavo di individuare con i soli occhi. Il suo sorriso si espanse sul suo volto chiaro, senza perdere né forza né lucentezza.
- Lì, invece, c’è il Dragone.
Le indicai una lunga composizione di stelle, senza temere di sbagliare.
Lia mi ascoltava, in silenzio, senza interrompermi una sola volta, nemmeno per chiedermi di continuare, dopotutto non era necessario, perché finché lei non mi avesse fermato io avrei continuato a dirle il nome di ogni singola stella, al costo di inventarmene qualcuno e ripeterne degli altri.
- Chi ti ha insegnato a riconoscerle?
Chiese a un tratto, continuando a guardare in alto, lasciandomi struggere dal desiderio che quegli occhi guardassero me, e non il cielo. Ero un egoista, ma cosa ci potevo fare? Chi non avrebbe desiderato avere il suo sguardo addosso? Dentro il proprio?
- Non ricordo.
Dissi in un gran sospiro di stanchezza.
- Forse sono sempre stato in grado di farlo.
Aggiunsi, distogliendo in fretta gli occhi da lei, ma riuscii solo a farli scivolare giù, sul suo polso. Il piccolo braccialetto le brillava freddamente contro la pelle.
- L’hai ripreso.
Osservai, dando voce alla mia perspicacia.
Anche Lia si guardò il polso e, d’istinto, lo allontanò dalla mia visuale.
- E’ l’unico modo che ho per riuscire a farmi capire da voi.
La sua voce era soffocata dalla sua stessa fragilità, e vidi che lei si odiava per questo, per le sue debolezze, per via di ciò che non era in grado di fare senza l’aiuto di nessuno che le stesse accanto, che le mettesse a disposizione anche la propria forza.
- Ti farà solo del male.
E lei sollevò lo sguardo, lucido e improvvisamente infiammato. Lei aveva capito. Aveva inteso tutto. Sapeva ciò che provavo, sapeva i miei obiettivi e quello che stavo facendo per raggiungerli.
- E tu? Tu non stai facendo questo?
A quel punto anch’io rialzai lo sguardo, che salì finché non si scontrò con quello di lei.

Lia

Lo stavo ferendo, ne ero consapevole. Ogni mia parola, da quel momento, ogni singola sillaba, sarebbe stata come una pugnalata sferrata contro il suo petto, dritta dritta al cuore.
I suoi occhi verdi si scurirono.
- Cosa t’importa di quello che faccio io?
Capii che stava ergendo delle mura intorno a sé, le stesse che poco prima, erano state momentaneamente abbattute. Si stava chiudendo di nuovo in sé stesso, con le proprie emozioni, all’interno della corazza.
- Non ne capisco il motivo!
L’esasperazione della mia voce mi stupii. Ero stanca, ero davvero esausta, del suo inutile comportamento. Mikael deglutì e distolse lo sguardo, posandolo sulle ombre tra le tenebre.
- Tu non capisci ed io… io non posso spiegarti.
Fece, e la sua serietà mi colpì come uno schiaffo.
- Io capisco, invece.
Ribattei, infastidita da quella sua affermazione.
- Cosa? Pensi davvero di conoscermi? Credi seriamente di sapere quello che provo, solamente osservando quello che lascio trasparire in superficie?
Il suo sguardo mi ricordava la chioma degli abeti scossi durante un temporale. Fremevano di collera, accesi dalle emozioni che reprimeva dentro sé stesso.
Da quanti anni, da quanti millenni, sopportava tutto? Quanto il tempo che non si sfogava con qualcuno? Che non permetteva che gli si potesse leggere dentro qualunque tipo di sentimento?
- Beh, ti sbagli.
Aggiunse.
- Tu scappi.
Dissi, senza riuscire a trattenermi. Volevo dimostrargli il contrario di ciò che pensava, di ciò che aveva detto.
- Tu fuggi non appena qualcuno è disposto ad aprire il proprio cuore con te o per te. Oppure come vedi che è l’altro a chiederti di aprire il tuo, tu ergi una cortina di ferro, che divide te e le tue vere emozioni da qualsiasi tentativo di amore nei tuoi confronti.
Non parlò. Non mosse nemmeno gli occhi nella mia direzione.
- Tu credi di non poter meritare nulla, quindi scappi, portandoti tutto dentro, e impedendo a chiunque di aiutarti.
Riuscivo a percepire il suo cuore sanguinare alle mie parole, e la sua anima piangere, ma Mikael non diede segno di nulla, come se in realtà tutto quello non stesse accadendo, come se le mie parole non fossero altro che aria nel vento.
- Ma, dopotutto, come puoi sfuggire da ciò che è dentro di te?
Mikael fu scosso da quella mia domanda, pensò alle parole che la componevano e, come ne comprese il significato immediato, la schivò.
- Il tuo tentativo di dare un senso alla mie azioni è veramente patetico.
Anche il tuo tentativo di far terminare il discorso, pensai furiosamente.
- Cosa c’è che non va in te? Perché non accetti le tue emozioni e quelle degli altri?
Una strana consapevolezza mi colpì la mente insieme al ricordo dello sguardo del ragazzo dietro la vetrata appannata mentre i dottori mi liberavano dalle mie oppressioni.
Tristezza, smarrimento, delusione, rabbia e… invidia.
Sbarrai gli occhi, mentre il cuore perdeva diversi battiti, diminuendo il suo costante pulsare.
No, pensai terrorizzata, non è vero, non può esserlo.
Mi cancellai subito quella risposta dalla mente, spaventata anche al solo averla pensata.
- Non puoi continuare a scappare. So che puoi mettere fine al dolore che t’infliggi.
Ormai non avevo più parole, come potevo averne, non potevo continuare a dire le stesse identiche cose col risultato che lui le respingesse ogni volta, impedendo il loro tentativo di fargli capire che era inutile punirsi per il proprio passato e le proprie azioni.
- La tua falsa speranza mi disgusta.
Fece dopo un altro attimo di silenzio.
- Come i tuoi tentativi di salvarmi. Nessuno può farlo. Il mio passato non ti riguarda e mai ti riguarderà. Lasciami in pace e pensa alla tua di vita, così che non debba più avere il peso di pensare anche a te. Perché è questo che fai… Tu pesi su tutti noi, su di me.
Il mio momentaneo stupore si tramutò immediatamente in rabbia, che si manifesto in brucianti lacrime che salirono ai miei occhi, rimanendo lì, a ustionarmi e offuscarmi la vista.
Guardai Mikael e per un attimo anche i suoi occhi tornarono nei miei. Né tristezza, né pentimento o rammarico per le parole che aveva appena riversato su di me, erano presenti nel suo sguardo duro e crudele. Quelle cose, tutto quello che aveva detto, le pensava davvero.
Forse aveva ragione, ero un peso, eppure non fu tanto quello a ferirmi, ma la mia reazione al suo giudizio. Mi sentii un’illusa, come se mi fossi lasciata abbindolare dalle mie emozione e dai miei pregiudizi. Perché pensavo davvero di riuscire ad aiutarlo, che la mia speranza, il mio aprirgli gli occhi alla realtà, sarebbero bastati… ma evidentemente mi sbagliavo. Avevo provato ad aiutarlo e, anche se nessuno mi aveva assicurato che lui si sarebbe lasciato soccorrere, rimasi stupefatta dal mio fallimento. Aveva ragione e io torto: non potevo aiutarlo né io né nessun altro, solo lui poteva decidere le proprie azioni, solo lui era in grado di decidere se ciò che faceva era giusto o no.
Se avesse voluto salvarsi, allora ci sarebbe dovuto riuscire da solo, perché nessuno lo avrebbe più aiutato.
- Marcisci all’Inferno.
Mi sentii dirgli a denti stretti, mentre le lacrime si ingigantivano, senza però scendere.
Non volevo piangere. Non davanti a lui. Non gli avrei dato questa soddisfazione. Le sue parole non dovevano contare nulla per me.
Mi alzai, prima che il mio volto cominciasse a rigarsi e tornai vicino al fuoco, decisa a rimanere lì a piangere in silenzio, lontana da lui.
Decisi di abbandonarlo lì, con il suo dolore, con le sue emozioni, con le sue ombre, nel buio della sua anima.

Hariel

I primi raggi di sole che si posarono sulla pelle del mio viso mi svegliarono.
Sbadigliai e subito l’odore di Hesediel mi raggiunse, inebriandomi. Lo ritrovai a guardarmi con i suoi grandi occhi celesti, un celeste che nemmeno il cielo sarebbe riuscito a raggiungere.
Gli sorrisi, imbarazzata. Mi aveva guardata mentre dormivo?
Sentii stranamente caldo, nonostante il forte freddo, e mi alzai, pulendomi il retro dei pantaloni, sicuramente sporchi di terriccio e pezzi di foglie.
Mi guardai intorno. Gabriel stava spegnendo le ultime braci del fuoco che Hesediel aveva acceso; Lia si stava appena svegliando, anche lei per via dei deboli e tiepidi raggi di luce, la sua pelle era più pallida che mai e mi parve sottilissima, come se durante la notte qualcuno gliel’avesse consumata, gli occhi arrossati e leggermente gonfi mi fecero pensare che avesse pianto. Sentiva anche lei nostalgia per sua madre?
Cercai Mikael, ma non lo trovai, finché non fu lui a comparire dal nulla, come un fantasma. Le spesse ombre sotto agli occhi erano il risultato della mancanza di sonno e anche lui mi sembrò abbastanza scosso, anche se non dava segni di pianto. Cos’era successo quella notte?
- Dobbiamo ripartire.
Fece Gabe, guardandoci tutti e, infine, soffermandosi con gli occhi su di me. Distolsi lo sguardo e vidi Hesediel affiancarmi e allacciare le sue dita a quelle della mia mano. Non riuscii a trattenergli un sorriso, che lui ricambiò dolcemente. Ero consapevole che Gabriel ci stava ancora guardando, e che sicuramente il suo umore non si fosse sicuramente risollevato. Ma perché non poteva essere contento per me? Per noi? Avevo finalmente trovato qualcuno che mi rendeva felice, eppure lui era come se non riuscisse ad accettarne nemmeno l’idea.
Mikael aspettò alcuni istanti poi, con aria assente, s’incamminò da solo, spazientito dalla nostra poca volontà.
Gabriel lo seguì per primo, poi partimmo anch’io e Hesediel, infine Lia, che restò in fondo per tutto il viaggio, silenziosa come l’anima di un morto, e la stessa cosa fecero Gabe e Mikael.
Tutti tormentati dai loro pensieri. Perché solo io e Hesediel eravamo contenti?
La risposta mi apparve immediatamente chiara, cristallina quasi.
Noi avevamo l’amore, ecco perché. Loro invece no, forse lo respingevano, lo schivavano, o semplicemente non lo avevano ancora trovato, ma, in ogni caso, era il nostro amore che ci rendeva felici e ci differenziava.
Strinsi, senza rendermene conto, la mano di Hesediel, che ricambiò a sua volta, e con la stessa intensità, la presa.


Appena arrivammo alla Resistenza, Damabiah ci mise alle strette, bombardandoci di domande, senza preoccuparsi del fatto che sembrasse ciò che realmente fosse: un interrogatorio.
L’unico riuscito a scampare era Mikael, scomparso chissà dove.
Gabriel gli fece un breve riassunto di tutto, raccontandogli del bracciale, di ciò che era riuscita a fare Lia grazie ad esso, del salvataggio di Mikael mentre cadevo dalla Torre Bianca, dell’esercito di Demoni che si è abbattuto su di noi, di Azazel e tutto ciò che aveva detto sul mio conto, che ero un’incognita, senza identità quasi. Non disse nulla su Hesediel o su come fosse riuscito miracolosamente a tornare in vita grazie all’anello.
- E Azazel che fine ha fatto?
Domandò Damabiah, speranzoso di sentire una buona notizia.
- Credo sia fuggito.
Fece Gabriel, come se avesse appena rivelato un suo fallimento. L’Angelo annuì, chiudendo gli occhi grigi, poi li riaprì. Non era arrabbiato e la sua delusione fu subito sostituita dalla comprensione. Ci guardò, poi ci disse di andare a ripulirci e riposare.
Gabe lo ringraziò e, prima di tutti, s’incamminò verso la nostra stanza. Lo seguii con lo sguardo. Teneva le spalle leggermente ricurve e camminava quasi strisciando i piedi a terra, come se non avesse la forza di sollevarli.
- Puoi venire da me se vuoi.
Mi disse Hesediel, guardandomi negli occhi, e intuendo i miei pensieri. Mi sentii lo stomaco improvvisamente leggero per l’agitazione, ma declinai l’offerta, dicendo che ero affamata. Lui annuì e avvicinò il suo volto al mio, finché la distanza tra le nostre bocche non si azzerò e queste si unirono, diventando un’unica cosa. Ci staccammo dopo qualche minuto e lui si ritirò nella sua stanza, ribadendo che se avessi cambiato idea lo avrei trovato lì.
Mi girai verso Lia, ma anche lei era sparita. Probabilmente era andata via mentre mi baciavo con Hesediel, pensando di disturbarci se fosse rimasta, quindi restai sola.
Con un sonoro sospiro, mi avviai in direzione della mensa, realmente affamata. Era da giorni ormai che non toccavo cibo, e il mio corpo cominciava a risponderne con fiacchezza e capogiri.
Entrai nella dispensa e presi le prime cose che mi capitarono sotto mano: pane, formaggio da spalmare e succo di frutta. Mi munii di coltello e piatto, poi mi andai a sedere a uno dei tavoli. Presi una fetta di pane e, silenziosamente cominciai a spalmarci sopra col coltello il formaggio.
Appena gli sferrai il primo morso, la porta della mensa si aprì. Mi voltai e, sulla soglia, individuai un uomo sulla cinquantina. I capelli castani, striati qua e là da alcune ciocche grigie, gli ricadevano sul collo, gli occhi azzurri erano fissi su di me e la sua bocca piegata in una smorfia di stupore misto a... gioia?
- Hariel?
Fece con la sua voce sconosciuta e rotta dall’emozione.
Lo osservai, confusa. Chi era costui?
- Chi sei?
Quella mia domanda sembrò ferirlo e smorzare la sua infondata gioia.
- E come sai il mio nome? Te l’ha detto Damabiah? Gabriel?
Lui scosse il capo, sorridendo mestamente.
- No, Hariel. Sono… Sono tuo padre.
Lasciai ricadere il pane nel piatto e mi alzai di colpo, tossendo per via del cibo che mi andava di traverso.
Ricordai le parole di Azazel, la prima volta che lo vidi.
- Ti manda Azazel?
Gli chiesi, seria e intimorita.
L’uomo fece un passo avanti ed io arretrai di due.
- No! Non osare avvicinarti!
Gridai, ringhiando il più minacciosamente possibile.
- Ma cosa… Perché?
Sembrava veramente confuso e sconvolto dal mio comportamento.
- Rispondi, sei stato tu a incaricare Azazel di rapirmi?
L’espressione dell’uomo fece si che il mio cuore si contorcesse, improvvisamente stretto in una morsa gelida.
- No.
   
 
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