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Autore: kirlia    26/07/2013    4 recensioni
Nessuno si è mai chiesto come Franziska affrontò la morte di Manfred von Karma? 
E se avesse bisogno dell'aiuto di qualcuno per riprendersi dal dolore della perdita di un padre, anche se non è mai stato presente per lei? E se quel qualcuno fosse proprio herr Miles Edgeworth?
Dal capitolo 18: 
Sapevo che la presenza della nipotina avrebbe cambiato molte cose nella mia vita. Anzi, in effetti, stava già succedendo: mi sentivo meglio, quando ero con lei, non avvertivo il peso opprimente delle mie responsabilità e del mio cognome. Mi sentivo semplicemente me stessa. 
Spesso succedeva anche quando ero in presenza di lui, ma non volevo ammettere che mi tranquillizzasse. Lui mi destabilizzava.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Franziska von Karma, Miles Edgeworth
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Perfect for Me'
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Capitolo 16 – You Saved Me

I had hope in my heart
That you’d run for me
Can saved it all
Now I feel in my heart that you’ve come for me
When everyone left me
you loved me and no one else
You came and saved me
you saved me from myself

You saved me.



Stordita per un attimo, quasi non mi resi conto di quello che era successo in un solo istante. Ero stata spinta via dal mio posto sul banco degli imputati e l’impatto con il pavimento freddo dell’aula mi aveva confuso, ma solo per un attimo. Il mio cervello ricominciò a ragionare appena vidi qualcosa color magenta accanto a me.
«Miles! Miles…» gemetti spaventata, mentre mi avvicinavo a lui, cercando di capire in che condizioni era. Era caduto su un fianco, e dopo un attimo di esitazione, lo voltai lentamente e con delicatezza verso di me, sperando di non fargli male. I suoi occhi plumbei erano chiusi, e la sua espressione vuota, come se… no.
Lui non…? Lui non poteva, vero? Non poteva essere, insomma, morto. Lui mi aveva salvato e non avrebbe pagato quanto aveva fatto già mia sorella – era tutta colpa mia, colpa mia!
Con un singhiozzo sommesso, gli carezzai i capelli, senza capire esattamente cosa fare. Ero troppo agitata per reagire responsabilmente come avrei dovuto, non riuscivo a soccorrerlo davvero.
«Miles…! Ti prego dimmi che stai bene…» lo supplicai, mentre lo osservavo per cercare di capire dove il proiettile lo avesse colpito. Dopo aver lanciato per prima uno sguardo sulla zona degli organi vitali, mi resi conto finalmente di dove la sua giacca era macchiata da un rosso più scuro, lo stesso che brillava in alcune macchie sul mio incarnato cereo.
La manica nella zona della spalla destra era strappata, quasi squarciata, e da essa sgorgava quel sangue caldo che tingeva il tessuto. Con un sospiro di sollievo mi dissi “Solo la spalla, è solo ferito alla spalla…”. Questo avrebbe dovuto in un certo senso consolarmi, visto che anche io avevo subito solo un anno prima lo stesso trattamento e ne ero uscita perfettamente guarita. Eppure… eppure non riuscivo a darmi pace sulle sue condizioni.
«Fr… Frannie? Stai bene…?» sussurrò allora lui, aprendo faticosamente gli occhi, che sembravano più scuri del solito, con uno sguardo allarmato. Le mie lacrime decisero che quello era il momento per venire giù, mentre sorridevo leggermente. Come poteva pensare a me, quando era stato lui a subire quel colpo di pistola e ora stava sopportando quel dolore atroce?
«Certo che sì, sciocco» sussurrai anch’io con dolcezza, e il mio “fratellino” sapeva benissimo che quell’aggettivo, in quel momento, era il mio modo di ringraziarlo per tutto ciò che aveva fatto per me. Infatti anche lui tentò di sorridere, mentre i nostri occhi si incrociavano e, come poco prima era successo, si fissavano come a voler vedere sempre più nel profondo dentro di noi.
Presa com’ero dall’accertarmi che stesse bene, non mi accorsi di tutto quello che succedeva attorno a me, non finché non sentii una voce in particolare, acuta ma piuttosto dolce, ergersi in mezzo alle altre.
«Großvater! [Nonno!] Come hai potiuto fare del male a Tante Frannie e Onkel Miles?! Loro sono i tuoi Kinder! [figli]» disse la mia piccola Annika, affrontando il nonno. Correndo giù per le scalinate si mise tra noi e lui, quasi a voler fare da scudo anche lei alla sua pazzia. Vidi tutti mettersi all’erta al suo gesto, terrorizzati da ciò che quel mostro di mio padre avrebbe potuto fare alla sua stessa nipotina.
No! Non Annika, non l’avrebbe toccata! Non avrebbe fatto del male anche a lei!
Strinsi di scatto le mani intorno al viso di Miles, visto che gli carezzavo ancora i capelli, e lo guardai terrorizzata senza riuscire a muovere un passo, proprio mentre lo spirito maligno sbarrava gli occhi, e con grande sorpresa affermava: «…Groß… Großvater?»
Lo stupore si dipinse nei suoi tratti, celando il suo sguardo duro e crudele, che sembrò quasi svanire, quasi addolcirsi in un’espressione sorpresa e stupefatta. Mi alzai di scatto, senza però muovere un passo, indecisa se prendere subito la bambina in braccio e portarla via dalla sua vista o lasciare che la fissasse in quel modo non tutto convincente.
Cosa passava nella sua mente, mentre i suoi occhi di ghiaccio scrutavano la sua unica nipote, che coraggiosamente proteggeva i suoi zii?
Cosa pensava di quella piccola così simile a me che allargava le braccia a fare da scudo, mentre con i suoi occhi celesti tentava di convincerlo a fermare quelle atrocità?
«Sie bitte, Großvater? [Per favore, nonno?] Sii buono per questa unicka volta… Sii perfetto!» chiese lei, prima dolcemente, poi imprimendo nella propria voce melodiosa, da bambina, una forza senza pari che la fece come splendere. Non avevo mai visto nulla del genere. Nemmeno io, con l’ausilio della mia frusta, riuscivo ad essere autorevole come lo era Annika in quel preciso istante. E dire che aveva utilizzato solo il coraggio e la forza di volontà!
«P-perfetto? Vuoi che sia… perfetto?» ribatté a bassa voce Vater, facendo un passo indietro, come se lo sguardo della nipote e la sua sola presenza lo spaventassero. Non avevo mai visto mio padre così: conoscevo la sua ira, la sua rabbia, il suo disprezzo. Ma non conoscevo la sua paura. Annika… come poteva lei essere la sua paura?
La bambina fece un passo avanti a sua volta, con atteggiamento forse amichevole nei suoi confronti, come se volesse fare pace con lui. E io feci a mia volta un passo avanti, seguita, come mi resi conto subito, da Miles, che nel frattempo si era faticosamente alzato e ora camminava a passo incerto accanto a me, tenendo la mano sinistra sulla spalla destra, come a bloccare l’emorragia. Avevamo paura di muoverci in fretta, avevamo paura che mio padre potesse sparare di nuovo, stavolta a lei.
Notai infatti con orrore che la pistola era ancora tra le sue mani, e che la teneva stretta come se volesse puntarla di nuovo. Non potevo sapere quante pallottole tenesse herr Sciattone nella sua pistola, non potevo sapere quante volte avrebbe potuto ancora colpire. L’idea sola che la piccola potesse essere ferita o addirittura uccisa da lui mi terrorizzava.
Ma lei sembrava non accorgersi di niente o, forse, ignorava volontariamente il fatto di trovarsi in pericolo.
«Sie bitte, Großvater! Loro sono la mia unicka famiglia, adesso…» chiese ancora la Mädchen, questa volta quasi supplicando il parente, con la voce che tremava. Immaginavo che se avessi potuto vedere i suoi occhi adesso, sarebbero stati pieni di lacrime.
Quasi come i miei. D’altronde, come avrebbero potuto non esserlo? Sentire una frase del genere, sentire che considerava me e il mio “fratellino” la sua unica famiglia, mi fece sentire un’emozione dentro che probabilmente non avevo mai provato. Quella bambina mi voleva bene, ed era qualcosa che nessuno aveva mai manifestato verso di me, o almeno non apertamente…
Guardai Miles solo per un attimo mentre decine di pensieri diversi su di lui si affollavano nella mia mente: spesso era freddo, scostante e si comportava come se qualsiasi cosa dicessi o facessi per lui era totalmente indifferente. Ma poi, in alcune occasioni particolari, sembrava riuscire a dimostrare gentilezza, comprensione, calore. Affetto. In quel momento poi, il legame che c’era tra noi sembrava essersi rafforzato come non aveva mai fatto prima: aveva fatto di tutto per proteggermi dall’accusa di omicidio, e poi… aveva appena rischiato di perdere la propria vita per salvare la mia. I miei occhi luccicarono di gratitudine e di qualcos’altro, un qualcosa che però non riuscii a decifrare.
Quasi ad aver sentito il mio sguardo celeste su di lui, Miles si voltò verso di me. La sua espressione seria e sofferente allo stesso momento si addolcì in un sorriso, come se volesse fare in modo che io fossi certa dei pensieri che avevo appena avuto su di lui.
«Enkelin…? [Nipote…?]» chiese ancora mio padre, non riuscendo quasi a capacitarsi di ciò che stava succedendo. A quella parola sia io che mio “fratello” ci distraemmo dalle nostre occhiate e tornammo a guardare con preoccupazione la bambina.
Improvvisamente Vater, il cui sguardo sembrava incastonato in quello della nipote, come se fosse ipnotizzato dalla sua presenza, fece di nuovo un passo avanti, trovandosi pericolosamente vicino a lei e allungando la mano che non teneva la pistola nel desiderio di volerla toccare.
Ebbi paura. Non volevo che la sfiorasse con quelle mani macchiate di omicidi e violenze, con le mani crudeli che più volte durante l’infanzia – e fino a non molto tempo prima – mi avevano strattonato e picchiato per la mia imperfezione. Quelle mani che avevano ferito anche Miles.
Scattai in avanti prendendo Annika e tirandola indietro, per poi circondarla in un abbraccio che voleva essere protettivo, restando in ginocchio accanto a lei.
«Non lei, Vater.» dissi soltanto, a bassa voce.
Il significato di quelle parole poteva essere vago o addirittura inesistente per molte persone, ma non per quell’uomo che avevo definito per tanti anni mio padre, e che ora era lì di fronte a me.
Non lei. Non avrebbe subito le sue malsane influenze. Se avessi potuto scegliere, non avrei mai accettato un incontro fra i due.
Dagli occhi di lui trasparivano sentimenti contrastanti, forse emozioni che non aveva mai provato? Cosa stava pensando mentre poggiava la pistola sul banco della difesa, restando disarmato, e continuava a fissare la piccola in quel modo?
«È quasi uguale a te, mein Kind [bambina mia]» commentò lui, con stupore, con gli occhi color ghiaccio che scintillavano. Quello che mi stupii di più però fu il tono che usò. Non crudele, non di scherno… mi aveva chiamato mein Kind  ma l’aveva detto in modo sincero!
Avrebbe dovuto farmi sorridere, avrebbe dovuto farmi sentire finalmente amata anche da lui. Avevo lottato tutta la vita per ricevere un’espressione del genere: tutti i miei studi, un’infanzia sprecata, anche i miei atteggiamenti spesso scontrosi e violenti, erano stati dettati dal desiderio di essere amata, di ricevere un sorriso e una carezza. Per un attimo, sentii la mia speranza crescere, eppure… eppure…
Mi faceva solo stare più male, mi faceva decidere che non volevo più vedere il suo volto e soprattutto che non l’avrei mai perdonato per ciò che aveva fatto e aveva tentato di fare. Non importava che ora la conoscenza di Annie l’avesse addolcito.
Quell’ultimo commento aveva fatto calare un silenzio e una tensione quasi palpabile nella stanza. Tutti erano immobili, tutto era immobile, e per un attimo mi chiesi se stessimo respirando. Poi Annika si liberò della mia stretta, e disse, con mia grande sorpresa:«Adesso, Pearly!»
Tutti ci voltammo verso la piccola sensitiva, che in quel momento alzò la voce e sembrò completare un rito che nessuno aveva visto cominciare.
«Via, spirito maligno! Rendi il corpo a colei che te l’ha ceduto. Lascia andare la Mistica Maya!» strillò la bambina dai capelli castani, mentre il magatama che portava al collo si illuminava di un intenso verde smeraldo.
Mio padre fece un passo indietro, come stordito dalla luce e dal suono di quelle parole, e cercò di coprire gli occhi con le mani. Per un attimo si voltò di nuovo verso di noi, con uno sguardo che diceva molte parole. Parole confuse, parole crudeli e cattive, parole dolci e di scuse.
Il mio sguardo invece, malgrado la sorpresa, fu duro e freddo, senza un minimo di cedimento. Perfetto come lui lo avrebbe voluto.
«Lebewohl, Vater. Addio.» sussurrai quasi impercettibilmente, ripetendo una delle poche parole che Miles aveva detto durante l’ultimo incontro con mio padre.
Lo spirito di mio padre si portò le mani alle orecchie, come se un suono che nessuno riuscisse a sentire lo stesse assordando. Poi, con un urlo agghiacciante, lasciò il corpo che aveva occupato, volando in alto e scomparendo nel tetto della stanza.
Una singola lacrima sfuggì al mio controllo, rotolando giù per la mia guancia e rigandomi il volto.
E spero di non rivederti mai più, questa volta…


{Miles Edgeworth}

Il processo era finalmente concluso, la sua innocenza era stata dimostrata.
Dopo la spiacevole comparsa del signor von Karma e la sua chiara confessione di aver assoldato De Killer per uccidere Franziska, era chiaro che lei era solo stata una vittima di una terribile coincidenza. Il solo pensiero mi faceva ancora rabbrividire: non avrei mai creduto che si sarebbe spinto fino a tanto, non avrei creduto che avesse voluto portarla insieme a lui nella tomba…! Frannie non era certamente perfetta come lui voleva, ma questo non significava che non avesse il diritto di vivere la sua vita! Chissà come questa scoperta le aveva fatto male, chissà quanto aveva sofferto, e quanto stava soffrendo in quel momento!
Scossi la testa con fatica, cercando di ignorare quei pensieri così tristi, e per poco non urlai per il dolore che quel movimento, attraverso il collo, portò alla mia spalla destra. Trattenni un gemito tra i denti e chiusi gli occhi, mentre per un attimo la vista si oscurava per la debolezza.
Ero stato portato urgentemente alla Clinica Hotti, dove mi avevano subito operato per estrarre il proiettile nel mio corpo e avevano fatto il possibile per medicare la ferita. Non avevano voluto che assistessi al verdetto di “non colpevolezza” di Franziska, dicevano che potevo essere grave e che avevo già danneggiato troppo la spalla nell’attesa di vedere scomparire lo spirito maligno di von Karma. Ma non avrei potuto fare altrimenti! Non potevo andare via e lasciare ancora in pericolo Frannie, e nemmeno Annika, che si era coraggiosamente parata davanti a noi per proteggerci.
A proposito di quella bambina, non riuscivo ancora a capacitarmi del suo gesto! Avevo scoperto in quei due giorni di conoscenza che era certamente un tipo particolare, sveglia per la sua età e anche piuttosto adulta nei pensieri, ma fare un gesto così temerario era strano anche per lei. Avrei dovuto chiederle delle spiegazioni non appena…
«Onkel  Miles! Sei qui!» la vidi aprire la porta, sbirciando all’interno e salutandomi con la manina. Io le sorrisi leggermente ma non ebbi la forza di alzare il braccio per salutarla a mia volta. Si voltò, come se dietro di lei ci fosse qualcuno, e disse a voce un po’ troppo alta:«Tante Frannieee!! Ho trovato Onkel Miles!».
Poi entrò nella stanza d’ospedale, correndo verso il mio letto e poggiando le manine piccole e paffute sulle lenzuola ingrigite. Si sporse a baciarmi la guancia con uno schiocco.
Sbarrai gli occhi, per un attimo stupito dal suo gesto, e mi voltai a guardarla: i suoi occhi azzurri sprizzavano allegria come se quella fosse una giornata come tante altre, come se si fosse totalmente dimenticata di ciò che era successo nel giro di poche ore e fosse tornata quella di un tempo, non la bambina coraggiosa e seria che era stata poco tempo fa.
La osservai più attentamente. Il fiocco che portava tra i capelli non era più sgualcito come quella mattina, quando mi aveva pregato di aiutarla a legare i capelli con un nastro e io ne avevo fatto uno per niente carino, ma perfettamente annodato. Il vestito perfettamente stirato e i capelli ben pettinati… Bastava un colpo d’occhio per notare il tocco di Franziska.
«Nichte Annika [nipotina], è sconveniente urlare e correre in un ospedale.» commentò severamente la zia, fermandosi per un attimo all’entrata della stanza e incrociando le braccia. Il mio sguardo stanco si posò su di lei, e non riuscii a non sorridere. Sembrava essere tornata esattamente quella di un tempo: i capelli color cielo perfettamente lisci, l’incarnato sano e lucente, i soliti vestiti con cui si presentava al lavoro puliti e stirati. Come se niente fosse successo.
Poi i miei occhi incontrarono i suoi e allora la vidi davvero. La maschera che portava poteva proteggerla dagli sconosciuti, dai conoscenti, da chi non sapeva chi era davvero ma la considerava semplicemente il successore della famiglia von Karma. Ma non l’avrebbe mai protetta da me, che la conoscevo ormai troppo bene: i suoi occhi urlavano, piangevano, chiedevano aiuto come mai avevano fatto prima. Il conflitto che si svolgeva dentro di lei era ben celato a tutti, ma io riuscivo a guardarla nel profondo, a scrutare i suoi sentimenti, e sapevo che in quel momento avrebbe solo voluto nascondersi e piangere. E io avrei voluto consolarla…
Mi resi conto che la mia “sorellina” però non mi guardava, non rispondeva alle mie occhiate, probabilmente per non crollare definitivamente. Era consapevole che io sapevo della sua sofferenza, e mi ignorava di proposito. Tuttavia, le sorrisi.
Annika la guardò con atteggiamento tranquillo, come se il suo rimprovero non l’avesse sfiorata, e le chiese, inclinando il capo in quel modo tenero che le avevo spesso visto fare:«Tante Frannie, non vieni a salutare Onkel Miles?»
“Tante Frannie”sembrò a disagio e si mosse sul posto per un attimo, indecisa su come comportarsi. A quanto avevo potuto vedere con Larry e con… Manfred von Karma, era difficile resistere al fascino delle richieste della bambina, ed ero curioso di sapere se questa sua sorta di “potere” funzionasse anche su di lei.
Franziska fece lentamente un passo all’interno della stanza, poi si fermò. Si morse il labbro inferiore confusa, poi, sotto lo sguardo della nipote, si arrese.
«C-certo… Ma certo che vengo.» commentò sottovoce, poi si avvicinò e si sedette su una sedia accanto al letto, senza però avere il coraggio di guardarmi davvero. Con grande forza di volontà, alzai il braccio sinistro, tormentato da una flebo che lo manteneva debole, e la avvicinai a quella di lei, priva di guanti. Lei si sentì sfiorare e prese la mia grande mano tra le sue piccole e soffici.
Annika, osservandoci con uno sguardo indecifrabile e furbo, ci diede le spalle e andò ad osservare il panorama fuori dalla finestra, come per consentirci un po’ di privacy. Ero sempre più stupito dal suo atteggiamento. Una bambina di sette anni poteva davvero pensare a queste cose…?
Distogliendo lo sguardo dalla piccola, tornai a guardare la mia “sorellina”, che finalmente riusciva a guardarmi negli occhi, esprimendo emozioni contrastanti.
«Ciao…» sussurrai, indeciso su cosa dire. Non volevo che crollasse, ma non volevo nemmeno che restasse così fredda e scostante. Non ero più abituato a vederla in quel modo.
«Miles… Come stai?» chiese lei, e la sua voce esprimeva tutta la preoccupazione che i suoi gesti non riuscivano a far trasparire. Come stavo, mi chiedeva, ma era quello che avrei voluto domandare io a lei. Cosa pensava in quel momento? Cosa stava provando? Stava bene?
E invece l’unica cosa che riuscii a risponderle fu «Mi riprenderò» seguito molto velocemente da «Ti hanno lasciato andare, finalmente».
Lei annuii con un sospiro, ma i suoi occhi tremarono e sembrarono nervosi, come se qualcosa non fosse andato esattamente bene come aveva voluto. No… forse pensavo troppo. Doveva essere solo provata per tutta quella faccenda. In fondo, le aveva sconvolto la vita, e tutte le sue sicurezze erano crollate: anch’io avevo perso mio padre, e ne soffrivo ancora, ma almeno avevo la certezza che mi volesse bene. Lei invece non poteva vantare lo stesso trattamento da parte del suo.
Rimase in silenzio per un po’, prima di parlare di nuovo.
«Miles, io volevo ringr…» ciò che stava per dirmi fu interrotto dall’arrivo come un uragano di molte persone all’interno della stanza, che ruppero la tranquillità che la presenza di Frannie e Annie mi portavano.
«Signor Edjiwood, come sta?!» chiese entrando e correndo verso di noi la piccola Pearl, seguita a breve da Maya Fey e poi da Wright, che restò per un attimo sulla porta, come mia “sorella” prima di lui aveva fatto. Portavano ancora gli stessi abiti della mattina – non che le sensitive indossassero altro, a quanto potevo vedere – ma non sembravano stanchi, anzi. Erano felici e spensierati come non mai e si avvicinarono al mio letto come se fossero ansiosi di potermi parlare. In realtà, anche se la loro visita era piacevole, in quel momento mi sembrarono estremamente soffocanti.
Annika tornò vicino a me e Franziska, per poi salutare la medium più piccola in modo vivace:«Hallo, Pearly!»
«Ehi Annie! Siamo state bravissime stamattina, vero?» disse felice la bambina, saltellando mentre batteva le mani, applaudendo.
Credevo si riferisse, ovviamente, a quella specie di magia che aveva fatto per cacciare lo spirito del signor von Karma dal corpo di Maya. Era stata davvero brava, ma come aveva fatto?
Quasi leggendomi nel pensiero, la nipotina di Franziska rispose alla mia domanda.
«Pearly ha eseguitou la Tecnica di Sparizione delo Spirito…» cominciò, spiegando attentamente e, con mia sorpresa, in quasi un perfetto inglese. Che sua zia le avesse fatto un corso accelerato di quella lingua, mentre non ero cosciente? Tutto era possibile con lei.
«Di Separazione dello Spirito, Annie…» la corresse Maya, per poi inchinarsi verso Frannie e dire con voce triste «Mi dispiace davvero per ciò che è successo, Franziska. Non credevo che lo spirito di tuo padre fosse talmente forte da sopraffarmi».
Lei fece un gesto come per dirle di non abbassarsi, poi le sorrise.
Oh, non credevo che lei e la sensitiva fossero così in buoni rapporti. Cioè, sicuramente non si odiavano ma non le avevo mai viste scambiarsi più di poche parole formali. Invece notai che adesso sembravano essere molto più in confidenza, e che la mia “sorellina” la guardava in modo amichevole. Era un tipo di sguardo che le avevo visto rivolgere a poche persone, davvero poche: me, Annika e… forse nessun altro. Di certo in quel momento non mi veniva in mente nessun altro.
«Non fa niente, Maya. Mio padre doveva essere davvero ostinato a…» la sua voce si incrinò, e lasciò perdere il seguito della frase voltandosi a guardare un punto imprecisato della stanza. La sentii sospirare e concentrarsi, come se volesse trattenere le lacrime. Povera Frannie… se non fossi stato inchiodato a quel letto…
Non riuscii a completare il mio pensiero, qualcuno parlò.
«Dicevo!» riprese all’improvviso la bambina dai capelli color cielo, quasi a voler distogliere l’attenzione di tutti dalla zia «Ha fatto questa Tecnica, e mi sono resa contuo che aveva bisogno di un diversivo. E allora ho cominca… cominciato a distrarrie Großvater
Adesso si che capito il suo comportamento! Era d’accordo con Pearl per fare in modo che avesse il tempo di completare quello strano rito senza che nessun’altro si facesse del male! Ingegnoso. Davvero, mi stupivo sempre di più dell’intelligenza di quella bambina, che sembrava sempre più un genio.
Però non aveva pensato al rischio che stava correndo: si era messa a discutere con un uomo che aveva appena sparato, con la pistola ancora in mano, contando solo sulla sua capacità di convincere gli altri e sul suo fascino da bambina.
«Non fare mai più una cosa del genere, Mädchen. Promettimelo» le ordinò Franziska, che nel frattempo sembrava essersi ripresa perfettamente. La sua occhiata era severa, ma il tremore nella sua voce diceva che aveva davvero avuto paura per lei, e che non voleva più vederla in pericolo come lo era stata quella mattina.
Anch’io ero d’accordo con lei, infatti annuii, procurandomi una fitta che cercai di ignorare malamente.
«Tua zia ha ragione, Annika.» commentai, trattenendo un gemito e cercando di mettermi più comodo sui cuscini senza attirare le preoccupazioni di tutti.
La piccola sembrò colpita dai nostri rimproveri, e le vennero le lacrime agli occhi. Oh no, non volevo che piangesse! Vederla piangere quando aveva scoperto della morte di sua madre era già stato abbastanza… faceva davvero male al cuore. Sembrava tanto indifesa!
«È ingiusto! Io l’ho fatto per voi, perché Ich liebe dich... [Vi voglio bene…]» gemette, mentre si nascondeva il viso tra le mani, singhiozzando.
Ecco, proprio quello che non volevo che succedesse. Sembrava proprio che io e Franziska non fossimo adatti al ruolo di tutori di quella bambina… anche se ero certo che era nelle sue intenzioni adottarla e occuparsi di lei. Per quanto si dimostrasse spesso fredda e priva di sentimenti, sapevo che in realtà voleva molto bene ad Annika, che si era creato un legame fra loro e che non l’avrebbe mai lasciata andare. Ne avevo avuto la conferma quando l’aveva abbracciata per proteggerla dal padre, quella mattina.
E ne avevo avuto un’altra conferma in quello stesso momento, quando si alzò dalla sedia e si abbassò davanti a lei, guardandola negli occhi, senza curarsi della gente che la vedeva senza la sua maschera spietata da von Karma.
«Obwohl wir lieben dich, Liebling.[Anche noi ti vogliamo bene, cara.] Ed è per questo che non vogliamo che tu corra dei pericoli» le disse gentilmente, con una dolcezza tanto sconfinata da farmi sentire invidioso.
Bloccai subito il pensiero. Perché dovevo essere invidioso che dicesse alla bambina “Ich liebe dich”? Insomma, non potevo esserlo, non potevo aspettarmi che dicesse anche a me una cosa del genere. Non l’aveva mai fatto.
Eppure in fondo desideravo che lo facesse? Ero piuttosto confuso.
Mentre mi perdevo in quelle domande, Franziska aveva abbracciato Annika, e adesso i singhiozzi diminuivano e un silenzio piuttosto imbarazzante si era creato nella stanza.
Wright tossicchiò leggermente, cercando di farsi notare, e ricevette subito un’occhiataccia da mia “sorella”, che stava ancora consolando la piccola. Beh, doveva essere uno sguardo davvero terribile, di quelli che promettevano mille frustate, considerato il modo in cui lui spinse via dalla stanza le due assistenti e salutò silenziosamente con la mano.
E mentre Annika veniva da me e mi stringeva il braccio non ferito con delicatezza, e Franziska sorrideva spontaneamente, non potei fare a meno di sentire un commento detto sottovoce da Pearl, prima che la porta si chiudesse dietro di lei.
«Sembrano davvero una famiglia. Non è vero, signor Nick?»

Angolino di Kirlia:
Allooora! Metto il capitolo un po' in anticipo con i tempi per festeggiare (?) la materia che ho appena superato evvaiii! Adesso finalmente è estate anche per me, emozione ç_ç
Che pensate della piega che hanno preso gli eventi? Che ne pensate di Miles, Frannie e Annie? 
Volevo inoltre avvisarvi che pensavo di far diventare questa storia parte di una serie che racconterà ancora a lungo le vicende dei nostri protagonisti... anche per dare una sorta di "cesura" che tutti avete notato. Infatti la domanda più gettonata ultimamente è stata: "Ma la storia sta per finire, vero?" Beh, non esattamente.
Questa prima parte della serie comprenderà ancora un paio di capitoli, o tre al massimo credo. Poi pensavo di cominciare la seconda parte... mi seguirete comunque, vero? Non mi abbandonerete? ç_ç
Beh, vi dirò in seguito anche che titolo darò alla seconda parte, così la ritroverete facilmente. Stay tuned! :D

Infine, dopo l'angolo informazioni, torna l'angolo della vignetta! Non posso fare a meno di trovare queste immagini e volerle condividere con voi! Questa mi sembrava anche adatta al capitolo, quindi XD

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Okay, direi che adesso ho proprio finito! Aspetto con ansia i vostri commenti sul capitolo :)
Un bacione, Kirlia <3
   
 
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