A
poco meno di un anno di distanza, pubblico il capitolo 37.
Ormai molti dei miei “seguaci” mi avranno abbandonata
ma purtroppo, se l’anno scorso è stato difficile, quest’anno è stato anche
peggio e credevo che non sarei più riuscita a scrivere per tutto ciò che mi è
successo. Ho passato davvero dei giorni bui, in cui nulla per me aveva più senso, ma ora eccomi qui, non tanto convinta di questo
capitolo e ormai con la “crisi dello scrittore”: piacerà? E se deludo tutti? Ma che senso ha la mia storia?
Eh
sì, sono una che si fa mille paranoie.
Comunque
vi lascio al capitolo.
Questo
è dedicato a te, Bobo.
Mi
manchi.
Dovresti
essere ancora tra noi.
Chapter XXXVII:
Boulevard Of Broken Dreams
“Vorrei
appartenere alla bella grande anima umana,
quella che sa da che parte stanno i buoni e i
cattivi,
gli aggrediti e gli aggressori.
Vorrei essere il fortunato possessore di un’intima
convinzione
che
mi dicesse che non ho colpa di nulla.”
-Ultime notizie dalla famiglia, Daniel Pennac -
Casa
Heartmann era innaturalmente silenziosa tant’è che sembrava che i suoi membri
fossero come svaniti. L’unico suono udibile era quello di una melodia suonata a
pianoforte che continuava a essere interrotta sempre nello stesso identico
punto.
Alistair
Piton era seduto al pianoforte a coda nel grande salone. Gli occhi del ragazzo
erano chiusi, i capelli ricadevano davanti ai suoi occhi e le dita si muovevano
insicure sui tasti. Indossava un elegante completo nero con camicia bianca, la
cravatta poggiata sullo sgabello accanto a lui. Imprecò per l’ennesima volta e
scosse il capo, riprendendo a suonare dall’inizio, per poi interrompersi non
ricordando come proseguisse quella melodia che aveva imparato a quattro anni
durante le vacanze di Natale.
“Alistair?”
La
voce di Priscilla Heartmann risuonò per tutta la stanza cogliendo di sorpresa
il giovane, che subito sobbalzò. Voltò il capo di lato e guardò la donna ferma
sotto l’arco che collegava il salone all’ingresso. La guardò qualche istante,
poi abbassò lo sguardo e riprese a “suonare”.
La
donna sospirò e s’avvicinò a lui. Prese tra le mani la
cravatta e si sedette al suo fianco.
“Come
stai, Alistair?” Gli domandò.
Non
una parola uscì dalle labbra del ragazzo troppo concentrato su quel maledetto
pezzo.
“Alistair,
rispondimi.” Disse imperiosamente posando la mano tra le sue scapole in un
gesto materno.
“Non
mi ricordo come va avanti.” Sussurrò.
“Parla
più forte, Alistair. Non sei un bambino: sei un uomo forte.”
“Non
mi ricordo come prosegue la canzone.” Ripeté, questa volta a voce più alta. “Me
la insegnasti tu quando avevo quattro anni. Era il periodo in cui passavo molto
tempo qua e tu mi insegnasti a suonare questa canzone.
“ Fece una piccola pausa. “La suonai davanti a tutti, te lo ricordi? Quando
finii, Crono mi sorrise, tu mi scompigliasti i capelli
e papà mi prese in braccio. Era tutto perfetto.”
Priscilla
sospirò e gli diede un bacio sulla guancia, per poi incrociare le braccia sotto
il seno volgendo lo sguardo ai tasti del pianoforte.
“Fammi
sentire.”
Alistair
annuì, chiuse gli occhi e ricominciò a suonare, per poi bloccarsi
improvvisamente.
“Non
mi ricordo come va avanti.” Sussurrò.
Senza
dire niente, la padrona di casa posò le lunghe dita sui tasti e riprese a
suonare dal punto in cui il ragazzo s’era interrotto.
Il moro
rimase in silenzio ascoltando quella melodia che gli
era tanto familiare, per poi sistemarsi sullo sgabello. Fece un respiro
profondo e si mise a suonare insieme a quella donna che era la sua unica figura
materna.
Completarono
la melodia e Priscilla sorrise dolcemente mentre posava
le mani sulle proprie gambe.
“Come
stai?” Domandò con tenerezza.
“Ho
paura.” Rispose sottovoce Alistair.
“Oh,
Alistair.” Sussurrò Priscilla stringendolo in un forte abbraccio come quando
aveva tre anni e scoppiava a piangere dopo un incubo. “Andrà tutto bene, piccolo mio. Stai tranquillo: andrà tutto bene.” Aggiunse
afferrando un fazzoletto dalla tasca e asciugandogli le lacrime.
Il
ragazzo annuì lentamente mentre si strofinava gli
occhi, somigliando incredibilmente al se stesso di tre anni.
“Sono
fiera e orgogliosa di te: non molti avrebbero preso la tua stessa decisione.
Sei solo un ragazzo e sei già pronto a seguire il Signore
Oscuro.” Continuò. “E sono sicura che pure la tua mamma sarebbe
fiera di te.”
Alistair
accennò un timido sorriso e chiuse gli occhi, andando a raggomitolarsi contro
la donna. Lo sarebbe stata davvero? Lily Evans sarebbe stata orgogliosa di suo
figlio Alistair? Avrebbe approvato la sua scelta di rinunciare alla propria
vita per permettere a suo fratello di salvarsi e sconfiggere l’Oscuro Signore?
O si sarebbe arrabbiata e lo avrebbe odiato? Cos’avrebbe provato nel vederlo
mettere in pericolo la propria vita? Non ne aveva idea e mai avrebbe ottenuto
risposta a queste sue domande. Avrebbe potuto chiederlo a suo padre, ma non lo
avrebbe mai fatto.
“Alistair.”
Si
girarono entrambi e, sulla soglia, videro Severus nel suo completo da Mangiamorte,
la maschera stretta in una mano.
Il
giovane impallidì e si strinse maggiormente a Priscilla sentendosi morire
dentro. Il momento si stava avvicinando e non era più tanto sicuro di volerlo
fare, di essere in grado di sopportare tutto quello.
“Sei
pronto?” Chiese Severus con il suo tipico tono annoiato.
Come
poteva? Come poteva essere così normale, così… così se stesso in una situazione
del genere? Come poteva essere impassibile mentre lo stava condannando a morte?
Annuì
lentamente, incapace di dire qualsiasi cosa.
La
signora Heartmann baciò sulla fronte il ragazzo, per poi alzarsi e
accompagnarlo dal padre.
“Sono
fiera di te.” Ripeté Priscilla stringendolo in un forte abbraccio e baciandogli
la guancia, per poi liberarlo.
Gli
sistemò la cravatta e gli lisciò l’elegante giacca, per poi voltarsi verso
Severus.
“Abbi
cura del mio bambino, Severus.” Disse con gli occhi lucidi e un dolce sorriso. “Stai benissimo, sai? Se fossi in te, andrei in giro vestito
più spesso così: tutte le donne cadrebbero ai tuoi piedi.”
Scherzò.
“Grazie,
Priscilla.” Posò la mano su quella della donna, poi le baciò la guancia. “Sei
sempre molto gentile.” Si guardarono negli occhi
qualche istante, poi l’uomo si allontanò di un passo e fece un cenno del capo
al figlio. “Andiamo.”
Severus
s’incamminò e Alistair guardò Priscilla. Tirò su col naso, si strinse nelle
spalle e seguì il padre tenendo lo sguardo basso.
L’uomo
serrò la mascella e si fermò al centro del salone d’ingresso, posando lo
sguardo su Crono e Lucius che parlavano fermi sulla
soglia del portone.
“Sono
fiero di te, Alistair.” Sussurrò sistemandosi una manica. “Di te e dell’uomo
che sei diventato e sarai. Non è da tutti rinunciare alla
propria vita, alla propria felicità…” Fece una piccola pausa.
“…all’amore.” Fece un respiro profondo e lisciò il mantello. “Non avrei mai
voluto coinvolgerti in tutto questo, mai. Non avrei mai voluto che tu
diventassi un Mangiamorte. Avrei desiderato lasciarti fuori.”
Alistair
lo ascoltò, stupito da tutte quelle parole. Quanto aveva desiderato udirle? Da
quanto bramava sentire tali complimenti?
“Tua
madre…” Si interruppe per schiarirsi la gola. “Tua
madre sarebbe orgogliosa di te.” Concluse a fatica.
Sollevarono
entrambi il capo nello stesso momento e Severus si perse negl’occhi
verdi del figlio, che tanto somigliavano a quelli della donna ch’amava.
Alistair cercò più volte di parlare, ma non trovò alcuna parola da dire, così
si limitò ad annuire.
Ripresero
a camminare e con pochi passi raggiunsero Crono e
Lucius.
“Severus! Alistair!”
Li salutò felice il padrone di casa.
“Crono.” Disse Severus. “Lucius.”
“Severus.”
Ricambiò il saluto Lucius, per poi posare lo sguardo gelido sul viso del
giovane. “Sei pronto, Alistair?”
“Si, lo è.” Rispose Severus al posto del figlio.
Crono guardò pieno d’orgoglio il
giovane Piton, si avvicinò a lui e lo strinse forte a sé, come solo un padre
potrebbe fare. Non disse niente e posò semplicemente le mani sulle sue spalle,
annuendo felice. Lo liberò dalla propria stretta e si fece da parte.
“Andiamo,
dunque.” Disse Lucius varcando il portone.
Severus
posò una mano sulla spalla di Alistair e lo spinse appena. Il giovane tornò
alla realtà e riprese a camminare. Salirono in carrozza e si sedette vicino al
finestrino. Guardò il paesaggio scorrere e si perse nei propri pensieri, tanto
che non si rese nemmeno conto che avevano abbandonato
i confini della casa del migliore amico ed erano giunti in aperta campagna.
“Scendiamo.”
Ordinò Lucius.
I tre
scesero, poi Lucius allungò la mano chiusa a pugno e invitò i due Piton a
posare le loro mani su di essa. Non appena lo fecero, un uncino li arpionò dall’ombelico
e pochi istanti dopo si ritrovarono in una stanza molto buia, se non per delle
candele che la illuminavano fiocamente.
“Mettigli
questo.” Malfoy porse a Severus un cappuccio nero. “E fagli togliere scarpe,
giacca e camicia.”
“Lo so
come funziona.” Ringhiò quasi l’uomo.
I due
si guardarono qualche istante, poi Lucius varcò una porta che, da quanto aveva intuito
Alistair, era la stanza dove si sarebbe svolta la sua cerimonia per divenire
Mangiamorte.
Deglutì
a fatica, poi si voltò e posò le mani sulle ginocchia, si piegò in avanti e
vomitò, il respiro affannato e la fronte imperlata di sudore. Si mise di nuovo
eretto e si guardò attorno terrorizzato.
“Voglio
andare via da qui.
Non lo voglio più. Voglio scappare.” Si ritrovò a sussurrare.
“Ali.”
Suo padre posò le mani sulle sue spalle. “Ali, calmati.
Siamo al punto di non ritorno, non possiamo più tornare indietro. Devi calmarti
o altrimenti tutto ciò a cui hai già rinunciato sarà
stato vano. Così abbiamo una possibilità mi capisci?” Domandò
portando ora la mano alla sua guancia per costringerlo a guardarlo negli occhi
e provò la stessa paura che il figlio provava.
“N-non
credo di potercela fare.” Balbettò.
“Tu
ce la farai.
Sei forte, sei l’uomo migliore che io abbia mai conosciuto e vorrei aver avuto
il tuo coraggio tanti anni addietro. Vorrei aver fatto le tue stesse scelte. Tu sei un uomo da ammirare.”
“Ammirare?!” Sbottò. “Sto per diventare un Mangiamorte e
probabilmente un assassino!”
“No,
non lo permetterò mai.” Disse fermamente Severus. “E ora
ascoltami. Respira, figlio mio. Respira e
calmati poiché ciò che affronterai non sarà facile né bello. Per i prossimi
anni dovrai fingere e occultare i tuoi pensieri e sentimenti all’Oscuro
Signore, dovrai essere un’altra persona ma sono sicuro che ce la farai.”
“Non
voglio più farlo.” Sussurrò con gli occhi lucidi.
“Non
abbiamo altra scelta.” Mormorò l’uomo stringendo il figlio in un abbraccio. “Ti
voglio bene, Alistair. Te ne voglio così
tanto che vorrei scappare, ma lui ci troverebbe e tutto il lavoro svolto
finora, la copertura… tutto salterebbe e metteremmo in pericolo… Potter.”
“Mio
fratello.” Sussurrò ancora.
“Sì. Lui.” Disse gelidamente. “Ora
capisci perché non possiamo più tirarci indietro?”
Alistair
annuì lentamente e tirò su col naso come un bimbo.
“C-cosa
devo fare?”
“Resta solo con indosso i pantaloni.”
Annuì
e, una volta liberatosi dall’abbraccio del padre, iniziò a spogliarsi come ordinato. Si fissò le mani nude e si mordicchiò il labbro inferiore.
“Farà
male?” Sussurrò.
Severus
indossò la maschera da Mangiamorte e rimase in silenzio qualche istante così da
celare le lacrime che a quella domanda avevano iniziato a rigargli le guance.
“Sì.”
Rispose soltanto.
Alistair
chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e annuì.
“Sono
pronto.” Disse con voce incrinata dalla paura.
“Hai
liberato la mente?”
“Sì,
papà: crederà sarà emozione.”
“Allora
andiamo.”
Severus
afferrò un cappuccio e lo mise in testa al figlio.
“Tra
poco sarà tutto finito.
Almeno questa parte.” Sussurrò al suo orecchio.
Dal
piano di sotto giungeva un gran frastuono: bicchieri che cozzavano l’uno contro
l’altro per festeggiare, risate, inneggiamenti al Signore
Oscuro, un gran vociare su quanto fosse stato coraggioso il giovane Piton
durante l’iniziazione, come non si fosse minimamente scomposto nel momento in
cui il Marchio Nero era stato impresso sul suo avambraccio sinistro.
Dal
canto suo, Alistair era nascosto nella stanza che da sempre gli era appartenuta
quando era ospite a casa Heartmann. Seduto sul bordo del letto, indossava solo
un paio di pantaloni del pigiama e i piedi scalzi erano posati sul freddo
marmo, come se questo lo aiutasse a capacitarsi di ciò che era successo, di ciò
che era diventato: un Mangiamorte a tutti gli effetti.
Sentì
bussare e mormorò un semplice “avanti”. La porta si aprì e fece il suo ingresso
Selene, la sorella maggiore di Eric, vestita di un abito bianco che lasciava
scoperta la schiena e la scollatura metteva in risalto il suo piccolo seno.
“Dovresti
essere giù a festeggiare con tutti gli altri.” Gli disse portando alle labbra
un bicchiere pieno fino all’orlo di champagne mentre chiudeva la porta.
“Sì,
dovrei.” Mormorò continuando a fissare il Marchio Nero illuminato solo dalla
luce della luna che entrava dalla finestra.
“Ma qualcosa mi dice che non ne hai tanta voglia.”
“Già.”
Rimasero
in silenzio qualche istante, poi Selene posò il bicchiere sul comò e andò a
sedersi al suo fianco. Prese tra le proprie mani la sua mano
sinistra e osservò il “tatuaggio” appena fatto. Senza dire una parola si piegò e baciò il serpente impresso nella pelle del
ragazzo che la osservò attentamente.
Senza
nemmeno rendersene conto, Alistair posò la mano sulla sua nuca e l’attirò a sé. Premette le labbra sulle sue e la fece stendere
sul letto. Immediatamente Selene ricambiò il suo bacio, desiderosa
di lui e di tutto ciò che avrebbero potuto fare.
“Sono
contenta che hai deciso di lasciare quella schifosa.” Sussurrò baciandogli
lentamente il collo.
“Già, anche io.” Mormorò strizzando gli occhi mentre l’odio pareva
invaderlo.
Tornò
a baciarla e le lacrime cominciarono a rigargli le lacrime: stava tradendo la
donna che amava, era diventato un Mangiamorte e stava
rischiando di implodere.
“Perché
piangi, Ali?” Domandò asciugandogli una lacrima col pollice.
“Non
fare domande, Selene.” Rispose cercando nuovamente le sue labbra. “Solo per
stanotte.”
Selene
lo guardò interrogativamente, per poi annuire.
“Solo
per stanotte.” Ribadì Alistair.
Così,
Alistair, si maledì da solo.