Buonsalve.
No,
non ho scusanti per il ritardo, ma stavolta penso che in queste note
mi dilungherò un poco.
Scherzavo,
sarò breve perché, davvero, mi basta una parola.
Il fatto è... be', grazie.
Grazie a chi recensisce perché mi regala un bel momento, a chi ha storia tra le preferite/seguite/ricordate e anche a chi ha letto e pensato “Ehi, mica male questa storia” o “Mi piace proprio”, anche se non ha recensito.
In
questo momento, poter scrivere è una delle poche cose che mi
aiuta.
Vi giuro che risponderò a tutte le recensioni, il prima
possibile. Purtroppo ora non mi è possibile, ma ce la
farò.
Dedicato a tutti voi.
Every breath, every hour has come to this, one step closer
Il
vuoto di lunghi anni di distanza
può
un attimo colmare,
poiché
l'assenza del mago non rompe l'incantesimo
Emily
Dickinson
La
cena era andata esattamente come i fratelli Salvatore volevano, anche
se ora si trovavano con cinque Originali e senza la minima idea di
cosa ci fosse in quella che Bonnie e sua madre stavano cercando di
aprire.
Apparentemente
la situazione non era delle migliori, se non fosse stato per il fatto
che Klaus non sembrava in un ottima posizione, così
costretto dalle
braccia del fratello, e neanche gli altri apparivano esattamente di
ottimo umore.
Inutile
dire che Stefan non vedeva l'ora di andarsene e concludere quella
battaglia una volta per tutte.
A
casa ne aveva un'altra ad attenderlo e non era sicuro che il livello
di difficoltà fosse di molto inferiore.
Julya
sapeva rivelarsi un osso duro, quando voleva, e se si fosse messa in
testa di fargli passare le pene dell'inferno allora lo avrebbe fatto
e non sarebbe stato per niente divertente.
Non
capiva come lei non comprendesse che lo faceva
solo perché le
voleva bene e voleva vederla di nuovo sorridere come faceva prima che
si addentrassero di propria volontà in quella ricerca del
Graal.
Con
il senno di poi, non era stata una grande idea iniziare
quell'impresa, ma lui pensava che Julya avesse calcolato tutti
i
rischi.
Ora
però non era il momento di piangere sul latte versato e
doveva
mettersi al lavoro per farla tornare in sé.
“Siete
liberi di andare” li congedò Elijah con un cenno
del capo,
accennando un sorriso ironico “E' una questione di
famiglia”
Damon
e Stefan erano quasi alla porta quando questa si spalancò e
Stefan
venne travolto da Julya che lo trascinò a terra senza
curarsi del
posto, del momento e di qualunque altra cosa.
Il
suo vestito era sporco di sangue e gli occhi scuri spiccavano sulla
pelle più pallida che mai, chiaro segno che per liberarsi
aveva
dovuto superare tutte le trappole.
Per
quanto seccato, Stefan non poté non provare un briciolo di
ammirazione per la forza d'animo e la testardaggine che Julya aveva
avuto.
Molti
si sarebbero fermati alla porta tinteggiata con la verbena.
“Tu!
Lurido bastardo” inveì contro di lui e
probabilmente se avesse
avuto un pugnale glielo avrebbe ficcato nello stomaco, esattamente
come lui aveva fatto con lei.
“Mi
hai pugnalata e avvelenata con la verbena!”
La
spinse via e si rimise in piedi. Julya aveva gli occhi luccicanti di
furia, i capelli spettinati e le labbra aperte in una specie di
ringhio roco.
“Andiamo
a parlarne fuori”
“Parlarne?”
ringhiò lei “io non voglio parlarne. Voglio solo
farti provare le
stesse cose che ho provato io”
A
quel punto intervenne Damon.
O
meglio, si sarebbe sicuramente intromesso con qualche commento
sarcastico -e Stefan già lo vedeva balenare nei suoi occhi e
raggiungere le labbra incurvate nel solito sorriso beffardo- ma
qualcun altro intervenne.
“Julya”
Si
voltò e a quel punto Stefan assistette al rapido susseguirsi
di
diverse espressioni sul volto della vampira. Dapprima vi fu in
disappunto, come se pensasse che qualcuno la stesse prendendo in
giro, poi sorpresa, incredulità, disorientamento e infine i
suoi
occhi si accesero in un modo che Stefan non aveva mai visto.
Gli
era sembrato impossibile calmare Julya, ma ora, dopo la tensione
iniziale, sembrava essere improvvisamente in pace e pareva quasi che
la sua persona emanasse luce.
“Kol”
La
sua voce ebbe un inaspettato potere su di lei, probabilmente
perché
non si aspettava di sentirla.
Per
prima cosa provò frustrazione perché
pensò che quella fosse
un'allucinazione da verbena invece che la realtà.
Sarebbe
stato troppo bello se così non fosse stato e Julya non
credeva che
quel periodo potesse portarle qualcosa di buono.
Poi
però Kol sorrise nel suo solito modo, con quel irresistibile
mix di
irriverenza e fascino, e Julya capì che era la
realtà.
Tuttavia
le ci volle un attimo per connettere le idee e realizzare davvero
che Kol era lì, non più in una bara con
un pugnale nel petto.
Sbatté
le palpebre con una buffa espressione di incredulità e
sorpresa sul
volto fino a quando la consapevolezza non la colpì in pieno
petto
come un luminoso lampo di luce bianca, tanto intenso da far
sciogliere come neve al sole la rabbia e il rancore.
D'un
tratto le sembrò di essersi illuminata, come se avesse visto
il sole
dopo tanto tempo e invece era solo Kol.
Ma
il punto era esattamente quello: lui era Kol e non c'era nessun solo
quando si trattava di lui e di lei.
Pensava
di aver smesso di provare qualcosa per lui, ma ora che era
lì, di
fronte a lei con quel suo solito sguardo, sentì che non era
mai
stato vero.
Qualunque
cosa avesse provato per Stefan – e qualcosa c'era stato,
anche se
era stato fuggevole come un temporale estivo- non era nulla
paragonato a quello che provava in quel momento e solo
perché
lui la stava guardando.
Avrebbe
voluto toccarlo, ma temeva che se si fosse avvicinata e avesse
provato a stringerlo a sé si sarebbe accorta che era tutta
un'illusione del suo stupido subconscio.
Come
se avesse bisogno che lui le dicesse cosa
desiderasse e non lo
sapesse già da sola.
Titubò
nella speranza di trovare il coraggio di avvicinarsi.
Lui
la aspettava con un sorriso, guardandola con occhi così
intensi da
farle venire la lacrime agli occhi. E non seppe come o quando fosse
passata dal groppo alla gola al pianto, ma si trovò con le
guance
bagnate di lacrime in un battito di ciglia.
Non
ricordava neanche l'ultima volta che aveva pianto come una bambina.
Doveva
essere uno spettacolo orrendo, con i capelli fuori posto, gli occhi
cerchiati dal mascara che si scioglieva e l'abito sporco di sangue e
terra.
“Ti
sono mancato, tesoro?”
Lo
chiedeva anche?
Certo
che le era mancato: ogni minuto di ogni giorno, anche se aveva fatto
di tutto per dimenticarlo.
Aveva
seppellito se stessa e il proprio cuore tra i libri di storia,
filosofia e teologia per trovare il Graal e non aveva chiuso gli
occhi di fronte ai grandi drammi della sua vita perchè se
avesse
trovato il Graal sarebbe andato tutto bene.
Ma
non era vero, era solo una bugia che aveva inventato per riparare se
stessa dalla sofferenza che altrimenti l'avrebbe travolta come
un'onda.
Ma
aveva solo ottenuto di rimandare la resa dei conti e l'unico
risultato che aveva ottenuto era stato di rendere le cose
più
difficili e più dolorose.
“Il
gatto ti ha mangiato la lingua?” le domandò
ancora, ma stavolta
sembrava più incerto, titubante.
Fece
un passo avanti e posò il bicchiere di vino sul mobile
accanto
all'ingresso.
Julya
moriva dalla voglia di abbracciarlo, davvero.
Ogni
parte del suo corpo le diceva di stringerlo a sé e non
mollare la
presa fino a quando non fosse stata sicura di non cadere
più, ma
all'ultimo momento si bloccò.
Il
suo corpo diceva una cosa, il suo cuore un'altra e la sua testa ne
diceva un'altra ancora.
Tra
loro c'era la distanza di un passo: le sarebbe bastato un piccolo
movimento per essere tra le sue braccia.
Ma
non poteva, ecco il punto.
Non
poteva stringerlo a sé e rendere tutto reale
perché se se ne fosse
andato un'altra volta... oh, se lui fosse andato via ancora di lei
avrebbero raccolto solo cocci e non ci sarebbe stato nulla da fare
per rimetterla insieme.
Lei
era già a pezzi ed era fragile. Permettere a Kol
– ed era
lui il punto- di avvicinarsi di nuovo a lei in quel momento avrebbe
potuto essere la sua fine.
Julya
era diversa dalle altre persone.
La
gente normale
–
non i vampiri folli come lei- cercava il conforto degli amici, dei
parenti, di un compagno. Lei invece lo rifuggiva come la morte ed era
un eccellente paragone perché pur di non morire lei era
diventata
una vampira.
Il
punto era che le faceva paura – una paura insensata e
irrazionale-
l'idea di permettere a qualcuno di avvicinarsi a lei così
tanto
proprio quando era così vulnerabile, così
terribilmente esposta.
Non
poteva farlo.
Si
sottrasse a quella vicinanza asciugandosi gli occhi.
“Io...
devo andare” balbettò e senza attendere oltre
scomparve oltre la
porta.
Kol
fissò il punto oltre il quale era sparita apparentemente
imperturbabile, ma nei suoi occhi c'era ancora lo stesso sguardo con
cui l'aveva guardata l'ultima volta perché per lui non era
cambiato
nulla.
Julya
sarebbe sempre stata sua, anche se fossero passati
più di
cento anni e il mondo avesse iniziato a ruotare su un nuovo asse.
*
Non
si era accorta di aver camminato sino a casa di Caroline sino a
quando lei non era uscita e si era seduta accanto a lei, proprio
sotto il portico.
All'inizio
non parlarono, stringendosi nei propri vestiti e guardando l'una
davanti a sé, l'altra un punto sul selciato di fronte alla
casa.
Dentro
casa, l'orologio stava scoccando la mezzanotte, ma sembrava che
nessuna delle due avesse troppa fretta di rientrare e rimanere da
sola.
Entrambe,
quella sera, avrebbero preferito non dover restare da sole.
Fu
Caroline a spezzare il silenzio.
“Hai
un aspetto terribile”
“Anche
tu non sembri proprio in forma”
“Mio
padre sta morendo”
“Mio
fratello è morto”
“Che
schifo”
“Puoi
scommetterci”
Ci
volle un attimo perché i loro cervelli prendessero atto
dell'intera
conversazione e poi scoppiarono a ridere.
Probabilmente
la loro era solo una reazione allo stress degli ultimi giorni, una
sorta di valvola di sfogo, un po' come la rabbia per Julya e il
pianto per Caroline.
Risero
fino alle lacrime e alla fine Caroline non smise di piangere,
appoggiandosi alla spalla di Julya che la sostenne come poté.
Caroline pianse e lei la invidiò per questo, perché la sua era una reazione normale di fronte a un lutto; la invidiò perché sembrava così facile per Caroline manifestare il proprio dolore mentre lei, che provava la stessa emozione, probabilmente con la stessa intensità, non sapeva fare altro che tenersele dentro fino a implodere e poi afflosciarsi su se stessa.
“Grazie”
le sussurrò mentre si asciugava con una mano le guance e gli
occhi
bagnati di lacrime “Questo non è un periodo facile
neanche per te”
“Per
questo non mi devi ringraziare. Non c'è nessuno che ti
capisca come
me”
Caroline
accennò a un mezzo sorriso per poi tornare seria e triste,
anche se
questo non offuscò minimamente la luce che sembrava emanare.
Chissà
se c'era stato un tempo in cui anche lei sembrava risplendere di luce
propria, un po' come una stella.
“E'
stata una pessima giornata”
“Puoi
dirlo forte. Sto cercando di decidere quale sia stato il momento
più
traumatico”
“Pensavo
che avresti detto il momento in cui hai scoperto le trappole piazzate
perché tu non fuggissi”
“Quello”
ammise con un sospiro, appoggiando le braccia sulle ginocchia
e
sistemandoci la testa sopra “non
è stato divertente. Ma credo che rivedere l'uomo che mi ha
creata e
che ho amato e amo ancora dopo cento anni... uhm, credo sia appena
schizzato in cima alla mia lista dei momenti più
destabilizzanti”
“Aspetta,
quando è successo? E lui chi è? Come è
successo?”
“Trenta
minuti fa, più o meno. E lui è Kol, il fratello
minore di Klaus. Il
resto non lo so”
Si sistemò meglio affianco a quella che aveva imparato a considerare un'amica e rimasero in silenzio.
All'improvviso non furono più due amiche sedute sotto un porticato, ma due spiriti affini, accomunati dalle azioni beffarde di un destino ingiusto.
Nessuna delle due meritava ciò che le era capitato, di questo Caroline era fermamente convinta.
Eppure non sembrava importante a nessuno.
La ragazza le prese una mano tra le sue e la strinse appena.
Julya sentì una fitta al petto e le fu grata di quello. Non credeva di aver trovato in lei un'amica così meravigliosa, ma era più che chiaro che aveva valutato male il tesoro che aveva scoperto.
Caroline non era solo piena di luce, ma anche leale e generosa e Julya lo sentiva, percepiva l'affetto e la sua presenza lì accanto a lei, anche nella difficoltà.
Fu strano pensare di avere accanto qualcuno del genere: non era abituata, ma era innegabilmente bello.
Era sicura che tra loro ci fosse un legame speciale, anche se si conoscevano da così poco.
Non c'era bisogno di alcune etichetta per questo legame: era lì e tanto bastava.
“Lo ami ancora?” le chiese la bionda senza voltarsi, giusto per rompere il silenzio. Se non aveva qualcosa a cui pensare avrebbe continuato a vagare con la mente verso la stanza in cui suo madre stava morendo e non lo voleva fare, non fino a quando non fosse tornata dentro ad affrontare la schifosa realtà e avrebbe potuto dare libertà al proprio dolore.
“Non lo so” confessò con un sospiro tremulo “credevo di aver dimenticato ogni cosa di lui e mi odiavo per questo, ma è bastato che mi guardasse... oh, ogni cosa è tornata alla mente. Ma non posso, ora, permettere a qualcuno di avvicinarsi a me”
“Stai lasciando che io ti sia vicina” le fece notare, ma la sua voce era dolce e carezzevole, senza alcuna nota di biasimo.
“E' diverso per il semplice fatto che lui è Kol e questo fa tutta la differenza del mondo”
Poi si accigliò e sembrò ricordarsi all'improvviso qualcosa di fastidioso perché sbuffò e poi si morse il labbro.
“Ma qui non dobbiamo parlare di me. Io posso aspettare”
“Non ne voglio parlare”
“No” concesse Julya attirandola a sé in un abbraccio “non dobbiamo per forza parlare. Ma volevo che sapessi che sei la cosa più vicina a un'amica che abbia mai avuto e che se hai bisogno... be', seconda stanza a destra a casa Salvatore”
“E se decidessi di rintanarmi sotto un letto?”
“Ti chiederei di tenermi un posto. O di venire sotto il mio: è grande e c'è un sacco di spazio anche per te”
Caroline le sorrise e la strinse, attirandola un po' di più a sé per ringraziarla di essere lì per lei, nonostante tutto.
Si separarono quando comparve sulla soglia Liz Forbes ed entrambe capirono che era quasi giunto il momento.
“Va'” la incitò Julya “ci vediamo domani, Caroline”
La ragazza annuì e caracollò oltre la porta di ingresso, sostenendo sulle spalle un peso davvero enorme per un corpo così minuto, ma Julya la capiva.
Rimase sola sotto il portico fino a quando non trovò la forza di dirigersi verso casa. Voleva solo nascondersi sotto le coperte e dormire.
Continua
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