2.
La mattina seguente mi
ritrovai nel letto. Della sera precedente non ricordavo assolutamente
niente.
Mi alzai e andai in bagno, con fatica riuscii a trovarlo. Ero ancora
tutto
scombussolato. Eppure la mia camera da letto non era così
grande nella quale una
persona si perde facilmente. Anche un neonato, che ci mette piede la
prima
volta, non si sarebbe perso. Era una stanza normale come le altre: un
letto
matrimoniale sulla parete opposta alla porta, un armadio a muro sulla
sinistra
e la porta del bagno sulla sinistra. Sopra il letto c’era una
finestra
abbastanza grande. Vicino alla porta, c’era un mobile che
faceva sia da
scrivania che da appoggia televisione. Era un mobile che occupava tutta
quanta
la parete e era a scaffali, in mezzo c’era un enorme
scrivania.
Anche il bagno non era
molto grande: vicino alla porta c’era il lavandino sulla
sinistra e un
mobiletto, in fondo alla stanza, all’angolo destro
c’era la vasca ad angolo,
nell’angolo sinistro, invece c’era la doccia. Dalla
parte destra della porta
infine c’era il water e il bidet.
Una volta in bagno entrai
in doccia, avevo un bisogno pazzesco di farmi una doccia ghiacciata, e
così
feci. Stetti circa venti minuti sotto la doccia fredda cercando di
ricordarmi
cosa successe la sera prima.
Appena arrivati a casa
Giada mi svegliò “Ehi piccoletto, siamo a casa, ce
la fai ad alzarti?” io mi
svegliai e “perché lo fai?” lei mi
aiutò ad alzarmi “cioè
perché mi aiuti?”,
chiuse la portiera e la macchina. Tirai fuori le chiavi e le diedi a
lei. Non
mi rispose, forse nemmeno lei sapeva il motivo di perché mi
stesse aiutando ma
“Grazie” la ringraziai, “figurati, per
così poco” rispose.
Entrammo dentro casa e
lei mi aiutò a sedermi sul divano “vuoi rimanere
qui
stanotte?” le domandi “no grazie” mi
disse guardandomi, a dire il vero non ho
idea di come mi stesse guardando, il suo viso era indecifrabile
“tranquilla,
non ho intenzione di fare chissà che” dissi
scherzando “e poi è tardi non posso
lasciarti andare in giro da sola a quest’ora”
aggiunsi. Lei ci pensò un po’ e poi
si sedette accanto a me “d’accordo,
rimango”.
L’accompagnai
in camera e
io andai nella mia. Mi spogliai e mi misi sotto le coperte. Dopo poco
venne
Giada e “Ehi, dormi?” “no”
dissi sbadigliando, “ti va se parliamo?” mi disse
venendo verso di me “vuoi parlare adesso?” si
sedette ai piedi del letto e “si
perché?” “va bene” la feci
sedere vicino a me e mi tirai un po’ su. “di cosa
vuoi parlare?” “voglio dirti chi sono”
“lo so già chi sei Giada, la mia cugina
che risalta fuori dopo chissà quanto, della quale non ho mai
sentito parlare”
dissi in tono quasi ironico “non so per quale motivo tua
mamma non mi ha mai
parlato di te” mi irrigidii, ogni volta che sentivo parlare
di mia mamma, mi
saliva la rabbia e lei se ne accorse ma continuò
“però posso dirti cosa ha
fatto per me: vedi in realtà io non sono tua cugina di
sangue diciamo, tua
mamma aveva una sorella la quale non poteva avere figli e” la
bloccai “come mia
mamma aveva una sorella?” lei mi zittì
“vuoi ascoltare la mia storia o no?”
feci segno di sì con la testa e continuò
“stavo dicendo ehm..” pensò un secondo
e io per tutto il tempo guardavo il soffitto della mia camera
“ah si ecco, tua
zia non potendo avere figli mi adottò quando ero piccola,
avevo circa due mesi
quando mi prese con se però diciamo che lei non è
mai stata una madre molto
presente. Quando avevo circa tre anni lei mi abbandonò in un
orfanotrofio e
appena tua mamma lo seppe, mi venne a trovare ogni giorno, mi manteneva
lei
anche se vivevo in un orfanotrofio, tua mamma è sempre stata
un angelo con me.
Una volta uscita da lì dentro, dopo essere stata adottata da
una nuova
famiglia, tua mamma continuava a venirmi a trovare, però poi
mi trasferii a
Londra con la mia famiglia e ci sentivamo sempre meno fino a non
sentirla più e
non sapevo che fosse… cioè che se ne fosse
andata, credevo che si era stancata
di me” una lacrima le rigò il viso e si
asciugò velocemente con la maglia del
pigiama che le avevo prestato. Mi tirai più su e la guardai
negli occhi “come
mai ti trovi da queste parti, adesso?” “ah giusto,
ero venuta qui per le
vacanze di Natale con la mia nuova famiglia e ho pensato di passare a
trovarla”
le asciugai un’altra lacrima caduta sul suo bel viso
“mia mamma ti voleva bene,
lei quando voleva bene ad una persona, difficilmente smetteva e aveva
un grande
cuore”.
Ci sdraiammo tutti e due
sul letto a guardare il soffitto. Eravamo in silenzio.
Non so per quanto tempo restammo in quella posizione prima di
addormentarci.
Tutti e due a fissare il soffitto, lei persa nei suoi pensieri, io
perso nei
miei. Pensai a quello che mi aveva raccontato lei. Pensai a come mia
mamma si
era presa cura di lei. Pensai a mia mamma. Pensai a quanto mi mancava.
Pensai a
tante cose quella notte, prima di addormentarmi.
Uscii
dalla doccia e mi
vestii, che fine aveva fatto Giada?
La cercai per tutta casa e di lei non c’era traccia, se non
fosse per il
profumo che aveva lasciato, sarebbe sembrato che non fosse mai stata
lì la sera
prima.
Cercai di non farci caso e scesi di sotto a prepararmi la colazione.
Come al solito brioche con crema e cappuccino, non al bar, ma anche a
casa mi
trattavo bene. Finita la colazione decisi che non era necessario andare
a fare
la spesa, avevamo già abbastanza cose da finire
così dedicai la giornata al
dolce far niente.
Accesi il computer e mi
sistemai sulla poltrona dell’ingresso della biblioteca.
Cercavo un posto per
passare le vacanze di Natale, non avevo voglia di passarlo in questa
biblioteca
anche se, alle mie sorelle sarebbe piaciuto un sacco addobbarla tutta
per
Natale. Guardai diversi posti: Londra, Venezia, Roma, Parigi ma non
trovai
nulla. Mi arresi e lasciai perdere mettendo il computer sul piccolo
tavolino
davanti alle quattro poltrone messe a cerchio. Mi appoggiai allo
schienale
della poltrona e pensai. Non so per quale motivo ma pensai a Lei.
Dovevo sapere
dov’era. Mi alzai e andai vicino al bancone e cercai, doveva
essere da quelle
parti. Cercai per circa due minuti e poi lo trovai, era davanti ai miei
occhi,
il bigliettino con il suo numero di telefono. Digitai il numero sul mio
telefonino. Uno squillo. Due squilli. Tre squilli e niente. Non
rispose. Ci
riprovai una seconda volta e stessa storia, non rispose. Lasciai
perdere e
decisi di uscire a fare una passeggiata.
Fuori era freddo, così
misi sciarpa e cappello e uscii. Non avevo una destinazione precisa,
volevo
solo fare quattro passi. Mi aiutavano a pensare e a rilassarmi. Non che
la mia
vita fosse stressante però dovevo rilassarmi lo stesso.
La città in quel
periodo era deserta, le persone preferivano andarsene in qualche altro
posto
per passare il Natale, così mi ritrovai in giro per Halifax,
completamente
solo, o quasi. Le vetrine erano addobbate dei soliti colori natalizi:
verde,
rosso, giallo e arancione. La neve non si era ancora fatta vedere,
stranamente.
Stavo camminando da più di mezz’ora quando dalla
porta di un negozio uscì Lei.
Senza rendermene conto le andai incontro, era vestita con un minidress
di lana
color beige, dei leggins neri e degli stivali bassi sul grigio, e aveva
un
piccolo cappellino di lana color beige. Mi avvicinai e “Ehi,
Giada!” lei si
girò verso di me “Ciao” era fredda e non
ne capivo il motivo, quindi “Che
succede?” lei iniziò a camminare e
“niente, perché questa domanda?”
“beh,
stamattina te ne sei andata senza dire niente e adesso sei, come dire,
fredda”
la guardai per studiare le sue espressioni ma, come al solito, non
riuscivo a
capire cosa stesse pensando “non sono fredda e non ho niente,
stamani ho
ricevuto una chiamata da mia mamma e sono dovuta tornare via”
“capito”. Lei mi
guardò un ultima volta e mi salutò con la testa,
il suo sguardo era triste, non
volevo se ne andasse “ti fai un giro con me?”
abbassai la testa di lato, e lei
si fermò guardandomi negli occhi “Vuoi lasciarmi
in pace per favore?”.
Non
capivo la sua
reazione, non avevo idea di perché facesse così
“che ti prende, Giada?” “non mi
prende niente okay? Voglio solo starmene da sola, è
possibile?” “d’accordo”.
Lei riprese a camminare e io la seguii con le mani nelle tasche e
fischiettando, non volevo lasciarla da sola “ma tu capisci
quando qualcuno ti
parla?” “si perché?”
“perché ti ho detto che voglio stare
sola” mi disse, “si
ma, Giagi, la strada non è tua, io posso camminare dove
voglio” mi guardò
perplessa e “Giagi?” ripeté
“si, da ora in poi ti chiamerò Giagi! Ti
piace?” ci
pensò un po’ su e “E’
carino” riprese a camminare.
Silenzio.
Nessuno dei
due parlò più per un bel po’. Fu lei a
rompere il silenzio “Scusami, non volevo
trattarti così..” continuava a camminare
“tranquilla, capisco, non
preoccuparti” “è che oggi sono nervosa e
tratto male chiunque mi trovo
davanti..” la fermai, la presi per un braccio e la guardai
dritta negli occhi
“Giada, davvero, non preoccuparti, capisco”.
Mi
fece un sorriso, uno
splendido sorriso. Penso che fosse il sorriso più bello del
mondo “senti io
devo andare a recuperare le mie due pesti, ti va di
accompagnarmi?” “Le tue due
pesti?” mi chiese confusa “beh si, Sofia e Lucy, le
mie sorelline” lei sorrise
“con piacere, non sapevo avessi due sorelle”. Ci
avviammo a prendere Sofia e Lucy.
Che fai?
Il
numero era
sconosciuto, quindi risposi:
La risposta non tardò ad arrivare:
Ti va di vederci?
Così saprai
chi sono..