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Autore: Momoko The Butterfly    01/08/2013    3 recensioni
Sono ormai passati cento anni dalla quasi distruzione del genere umano. Dopo un'estenuante battaglia tra bene e male, il mondo è caduto infine preda di tenebre fatte di solitudine e sofferenza; il Conte del Millennio regna baldanzoso su una terra devastata dalla fame e dalla morte, tartassata fin nel profondo dell'animo da eserciti di Akuma voraci e famelici. Ma l'umanità non demorde, per questo si nasconde dalla loro vista, fiduciosa di poter riassemblare i tasselli di una vita in frantumi. Leda e Alan, fratelli inseparabili, hanno perso ogni cosa. Eppure sembra che la sede Nord America possa davvero diventare la loro nuova casa, grazie a benevole persone che hanno saputo ridonare speranza ai loro cuori avviziti dal dolore.
Ma nulla andrà per il verso giusto. Quando la sede verrà messa sotto assedio, sarà tempo per loro di cominciare un viaggio fatto di rischi e incertezze alla ricerca di risposte. Ad accompagnarli, i paladini dell'Innocence, gli Esorcisti, e un sempre più enigmatico Tyki Mikk...
Genere: Angst, Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bookman, Nuovo personaggio, Rabi/Lavi, Tyki Mikk, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 8: Al termine del viaggio...  
 
 

“Leda!!”
“Che c’è?"

"Oggi torna papà, non sei contenta?”
“Già..”
“Avrà da raccontarci tante di quelle cose… Chissà se ha conosciuto gli Esorcisti.”
“Be’, quando tornerà glielo chiederai.”
“Ahah, giusto!”

 
La minestra bolliva sul fuoco.
Gli uccellini canticchiavano ancora allegri, benché il sole fosse ormai spirato dietro gli alberi, oltre le colline. Le prime stelle luminose punteggiavano il cielo, come tanti lumini gentili e pazienti.
Un piacevole vento estivo scompigliò i capelli di una giovane Leda, intenta a girare con un piccolo mestolo di legno ciò che gorgogliava in una larga pentola di ferro.
Alan era accanto a lei, osservava l’intruglio muoversi e di tanto in tanto ci dava un colpo di naso.
 
- Mhm, che buono! – esclamò, estasiato dal profumo.
 
Leda gli sorrise di rimando, continuando a mescolare.
 
Quella era una serata speciale, molto speciale.
Il loro padre sarebbe tornato a casa dal lavoro. L’Ordine gli concedeva un breve periodo di riposo, in via eccezionale, e gli permetteva di tornare a casa per un paio di giorni.
Leda e Alan erano entusiasti della notizia. Ogni anno decidevano di cucinare fuori, in giardino, e mangiare a lume di lucciole, tutti insieme.
Come una famiglia normale, al di fuori della guerra.
 
Lei lo sapeva, aveva sentito i discorsi preoccupati dei suoi genitori. Ma sapeva anche che la loro casa, nascosta dalle fronde, li avrebbe protetti.
O almeno, così credeva.
 
Fu come l’inizio di un temporale. Brevi lampi ciechi e soffusi tinsero il cielo di luce per qualche istante. Le nuvole s’accesero, giusto il tempo di qualche secondo, per poi tornare nere come la notte.
 
Leda ne rimase come incantata. Osservò quei tuoni furenti spirare nel buio e si sentì come attratta, incuriosita. Era come se avesse osservato il rapido percorso di un fuoco d’artificio colorato nel cielo. Qualcosa le diceva che non avrebbe dovuto esserci, che era sbagliato; pericoloso. Ma l’altra, sembrava come assecondare quell’evento, ammirarlo, in un certo senso.
Era sempre stata attratta dai tuoni, dai fulmini, e dall’improvviso mutare della terra ad ogni loro venuta.
La rendeva partecipe della forza della natura, di quella potenza che mette in ginocchio l’essere umano, il quale non può fare a meno di sentirsi inferiore.
Provava grande rispetto per i temporali. Erano come il grido furente di qualcuno che, dal cielo, li osservava e non approvava ciò che stavano facendo.
Avrebbe voluto tanto poter possedere quella stessa forza, un giorno, per poter far cessare la guerra.
 
Ma quelli che vide non erano fulmini. Nessun rombo di tuono seguì a quel breve flash nell’oscurità, nessun rumore. Ed ecco che un’altra luce, più breve e fugace della prima, si accese tra le nuvole.
 
E fu allora che vide uno stormo di uccelli stridere e levarsi dalla boscaglia, volando lontano. Non seppe distinguerli, ma dovevano avere sì e no le dimensioni di un’anatra.
Trovò la cosa assai strana, ma continuò ugualmente a mescolare la zuppa nella pentola. Stavolta con aria leggermente più cauta.
Oltre il bosco, da quel che ricordava, c’era un piccolo villaggio, ma era distante e non sapeva dire con esattezza cosa stessero facendo. Che fosse una specie di festa? Doveva essere parecchio chiassosa, se gli animali scappavano così…
 
Alan osservava il movimento oltre gli alberi curioso.
 
- Che cosa staranno facendo? – domandò, senza distogliere lo sguardo.
 
Leda scosse il capo, continuando a girare la loro cena.
 
- Non ne ho idea – rispose. In effetti la cosa non le interessava minimamente. Non più.
 
Tornò a pensare a suo padre, tanto intensamente che gli sembrò di vedere la sua faccia in mezzo alla zuppa.
Era impaziente di rivederlo. Quelli che pensava fossero lampi erano ormai passati in secondo piano.
 
Oh, se solo lo avesse saputo prima…

 

Riaprire gli occhi si rivelò ben più faticoso del solito. Oltre alla sempre più insistente morsa del sonno che avanzava, si aggiungevano il dolore, la nausea e probabilmente anche qualche linea di febbre.
Leda maledisse sé stessa e chiunque nel raggio di cento chilometri, mentre ordinava mentalmente ad ogni muscolo del suo corpo di farla sollevare.
Era di nuovo nella sua cabina, di nuovo con le coperte bianche tirate su fino al mento, con un’unica differenza: Tyki non c’era.
Non era sicura di volersi alzare, ma il continuo ribollire del suo stomaco decise per lei, e la portò a barcollare incerta fin sul ponte della nave, dove sperava avrebbe potuto vomitare in santa pace senza la paura che qualche maniaco amante dei pirati tentasse di invitarla a cena con l’inganno.
Fortunatamente, trovò la zona deserta, e si apprestò ad appoggiarsi alla prima ringhiera di ferro che trovò. Successivamente, si sporse oltre e i capelli le coprirono il viso, come a volerla quasi mascherare. Ma i rumori che si sentirono furono perfettamente riconoscibili.
 
Fu in quell’istante, dopo aver rimesso solo bile, che udì una voce lontana.
Aveva un che di giovanile e giocoso.
La riconobbe immediatamente. Si sollevò e si passò il dorso della mano sulle labbra, in modo molto poco educato. Ma a lei cose come il bon ton non erano mai interessate. Era già tanto che sapesse cos’erano. Si voltò, il viso pallido più di un cadavere e le occhiaie più nere mai esistite appena sotto gli occhi di liquirizia. E lo scorse.
Fu come se non lo vedesse da mesi; come se stesse cercando un tesoro prezioso, con sguardo attento e vigile.
 
Alan stava ridendo a pochi passi da lei, assieme a… Lavi, se non ricordava male.
 
Leda ne fu molto sorpresa, ma non sapeva dire se in positivo o in negativo. La prima volta che aveva visto il rosso, lui le aveva fatto delle avance alquanto pietose, poi fortunatamente lei era svenuta.
Non aveva la benché minima voglia di parlarci di nuovo, il solo pensiero le fece salire in gola un altro conato. Odiava categoricamente qualsiasi contatto con persone che non fossero lei o Alan. Chiunque fosse escluso da questa riservata categoria andava tenuto a tre metri di distanza; come minimo.
 
Tuttavia, il destino aveva per Leda qualcos’altro in mente.
Come Alan si accorse finalmente di lei, anche Lavi volto il capo nella sua direzione e la salutò agitando la mano, seguendo il bambino per raggiungerla.
La ragazza non accennò a ricambiare per un solo istante. Doveva rimanere ferrea, nella decisione di non voler parlare con nessuno. Con nessuno a parte suo fratello.
 
- Alan! – lo accolse tra le sue braccia e lo strinse come se fosse stato la cosa più preziosa al mondo. Be’, in effetti lo era. Almeno per lei.
Gli scompigliò amorevolmente i capelli castani con una mano – non quella con la quale si era pulita la bocca – e gli chiese come stesse.
Il bambino mostrò un sorriso radioso e rispose:
 
- Io benissimo! E tu?
 
Leda sorrise, prendendogli le mani e guardandole. Piccole e sottili. Gracili, sotto certi punti di vista. Per nulla adatte alla guerra.
 
- Bene – pronunciò, quasi in un sussurro, mentre fissava le proprie: piene di tagli e calli sotto le dita. Sembrava le fosse esplosa una bomba in mano – Bene…
 
A quel punto Alan fece un salto allegro, mentre indicava Lavi con aria del tutto convinta.
 
- Sono stato io a dir loro di andarti a salvare, sai?
 
Leda fece finta di essere stupita. Non poteva che essere così, Alan non era tipo da raccontar bugie. Puntò poi i suoi occhi neri e profondi sul rosso, il quale stava fissando a sua volta il bambino come se si vergognasse di quello che aveva detto.
Modestia. Falsa, forse. Oppure no…
- Grazie – disse abbozzando un sorriso quanto più sincero possibile.
 
Lavi agitò le mani, mentre ridacchiava nervoso. Fu in quel momento che la ragazza vide sulla sua testa un bernoccolo gigantesco, ancora pulsante. Come avesse fatto a non notarlo prima non lo sapeva nemmeno lei.
 
- Ma di che! – lo sentì esclamare, mentre si passava una mano tra i capelli rossi sparati in aria – Piuttosto, scusa per il mio comportamento di prima; il vecchio si è arrabbiato molto con me dopo!
 
Leda spalancò gli occhi, basita.
 
“Ecco perché ha quel bozzo enorme in testa” dedusse, abbastanza sconcertata. Ma cercò di mascherare la sua espressione ebete con un sorriso forzato. E subito dopo si maledì ancora: si era ripromessa di non parlare con lui, eppure… Perché sembrava che avessero avviato una conversazione?!
 
- Figurati – disse, e in quell’istante le venne in mente l’anziano che aveva visto la prima volta in compagnia del ragazzo – Vecchio? Vuoi dire quello che era con te?
 
Decisamente aveva dimenticato i pensieri fatti precedentemente. Qualcosa dentro di lei si era mosso, al sol udire parlare di quell’uomo anziano.  Lavi s’incupì appena, sedendosi per terra a gambe incrociate con aria rassegnata. Leda doveva aver toccato un tasto dolente.
 
- Ecco… lui è il mio maestro – spiegò, ma molto a fatica – Come posso dire… deve istruirmi, eh eh eh.
 
Leda si sedette anch’ella, con Alan al suo fianco. Dal tono con cui aveva spiegato la situazione, non sembrava che ne fosse molto contento. Tuttavia ora la curiosità la stava divorando come mai prima d’ora. Aveva trovato molto strano il vecchietto con gli occhi cerchiati di nero, anche se in quel momento non aveva reputato molto importante fargli il quarto grado su chi fosse. Non pareva proprio il tipo che chiacchiera volentieri delle proprie faccende personali, al contrario di Lavi. Lui sembrava ben disposto a parlare, nonostante ad una prima occhiata paresse piuttosto ostico.
E in quell’istante a Leda tornarono in mente le parole di Tyki, poco dopo il suo risveglio:
 
- Su questa nave mercantile c’erano delle persone come te…
 
E lei gli aveva chiesto in quale modo le somigliassero, ma lui non le aveva risposto più. A ricordar bene, non sembrava molto contento di vederli. Che significasse qualcosa?
 
- Lavi – lo chiamo, interrompendo i suoi discorsi all’improvviso. Aveva molte, troppe domande per la testa. E le avrebbe poste tutte, a tutte le persone possibili. Prima però aveva bisogno di schiarirsi le idee. E la nausea non gliel’avrebbe impedito.
Il collegamento che univa lei a Lavi e al suo maestro era più importante. In base a cosa lo deduceva? Niente, semplicemente… Aveva visto il volto di Tyki rabbuiarsi. C’era qualcosa in quelle persone che la insospettiva, e se era capace di mettere in stallo persino quel damerino strambo… La incantava e inquietava al tempo stesso. Era come se quella verità che era lì a portata di mano bramasse di essere scoperta, ma al tempo stesso Leda provasse uno strano timore che le impediva di concretizzarla.
E per qualche strana ragione, non le riusciva di credere che la somiglianza fosse in un dato comportamento o nell’aspetto.
 
Il rosso fissò il suo occhio verde e malinconico sui suoi, perplesso.
 
Leda abbassò il capo, fissando assente per qualche attimo le assi di legno che componevano il ponte della nave. Non era più tanto sicura di volerglielo chiedere. Più ci ragionava e più pensava che quella verità che cercava fosse in qualche modo sbagliata, preoccupante. Ma ormai, non poteva più tirarsi indietro.
 
- Voi non siete dei normali viaggiatori, giusto?
 
Ecco.
L’aveva detto.
Il tono sicuro tradiva una certa inquietudine. Una certa preoccupazione. E ora poteva affermarlo con certezza: aveva avuto paura.
Paura di cosa, poi?
Di sapere.
Di venire a conoscenza di cose troppo complicate, spaventose. Il volto oscurato di Tyki; l’aria terribilmente seria del vecchio… erano segnali.
Segnali che forse portavano tutti a una scomoda verità, che Leda avrebbe voluto non scoprire, ma che al tempo stesso la chiamava, e anche forte. Il desiderio di renderla chiara davanti ai propri occhi aveva vinto per qualche istante l’incertezza. La curiosità, forse, l’avrebbe portata al fallimento. Per esperienza, aveva capito ormai che tutte le cose che in qualche modo la attiravano, portavano solo pericolo e morte, persino quelle all’apparenza innocue.
Ecco, cos’era lei. Una sconsiderata votata al pericolo e all’istinto primordiale e inconscio di andare incontro alla morte.
Lavi reagì in modo inaspettato. Non disse niente. Si limitò a osservare taciturno le onde del mare cozzare contro la chiglia della nave, rapito da pensieri ben più profondi e importanti.
Solo dopo una lunga pausa, iniziò a parlare, come se si fosse visto costretto.
 
- Siamo Esorcisti.
 
Per un attimo a Leda si fermò il respiro. Restò lì, sospeso per qualche attimo, per poi tornare normale. E il suo cuore iniziò a battere all’impazzata.
 
Esorcisti…
 
Aveva capito bene?
 
Sperava di no.
Sperava che Lavi non avesse detto Esorcisti. Sperava di aver frainteso. Di essere diventata sorda, persino.
E invece..
 
- Impossibile.
 
Fu l’unica cosa che riuscì a mormorare, con voce tremula, mentre arretrava appena, trascinandosi sul pavimento.
 
- Menti – pronunciò, quasi sibilando adesso. Nella sua voce balenò per un secondo qualcos’altro, oltre allo stupore: rabbia. Una profonda rabbia, un rancore che le fece tremare le parole – Tu menti!
 
Lavi si preoccupò, ma doveva ammettere di non essere mai stato così sincero. Aveva capito che Leda non era una persona da prendere alla leggera, ignorava però che la sua infanzia fosse stata segnata così profondamente e perciò non capì la gravità di ciò che aveva detto, finché Leda non iniziò a piangere. Lei stessa non si capacitò di come le lacrime avessero iniziato a bagnarle così velocemente il viso. Niente singhiozzi, niente grida. Solo calde lacrime salate che le rigavano le guance, silenziose. Era il suo corpo che piangeva per lei, al suo posto, come prova di tutto il dolore patito e soppresso, per anni, celato in fondo all’anima e che lei stessa ancora non voleva ammettere di provare.
- Impossibile – ripeté, come se quella parola, da sola, potesse rendersi vera e realizzarsi. Come se fosse pregna di una qualche influenza positiva, che scacciasse il male.
 
- Impossibile! – esclamò d’improvviso, alzando il tono di voce, modulandolo in modo che potesse sembrare più deciso. Tentativo che fallì miseramente. Non si era mai vista tanto scossa prima d’ora. La parola ‘Esorcisti’ evocava in lei orrori ben peggiori a quelli cui aveva assistito nei giorni precedenti, orrori che fino a quell’istante era stata tanto brava a nascondere, sigillare.
Lavi aveva abbattuto ogni sua difesa, benché ancora non lo avesse compreso. Tutto ciò che poté fare fu restare in silenzio. Osservare. Infondo, rappresentava il suo compito primario. Un compito che si era ben guardato dal rivelare a Leda, o a Tyki, o a chiunque altro sulla nave.
 
Leda si alzò, tremolante. Improvvisamente la nausea era tornata a farsi sentire, ancora più forte e fastidiosa che in precedenza. Ebbe l’impulso di chinarsi e vomitare, ma si trattenne, tappandosi la bocca. Subito dopo, iniziò ad arretrare, quasi timorosa nei confronti di qualcosa. O meglio, di qualcuno. Di Lavi.
 
- Voi… - mormorò, cercando di trattenere i singhiozzi – Siete… estinti…
 
Lavi cercò di rispondere, in qualche modo, ma la ragazza continuò.
 
- Molti anni fa… il Conte… vi aveva…
 
Un tremito le corse lungo la schiena. Si sedette su di una cassa di legno, portante la scritta “fragile”. Si guardò le mani. Le stesse che un tempo avevano scavato, inconsce e incuranti del dolore, dei graffi, tra le macerie. Le stesse che si erano macchiate di sangue. Sangue non suo; quello di sua madre. Lei era morta per farli fuggire. Per salvarli.. Lei, una persona normale, che non c’entrava nulla con la guerra. Una donna semplice, che come tale aveva cresciuto Leda e Alan con tutto l’amore che riusciva a dare, con la severità, il perdono, il sorriso, le lacrime…
 
- PERCHE’?!
 
Un ultimo, disperato grido.
 
- Se c’eravate, perché non siete venuti?!
 
Alan abbassò il capo, mordendosi il labbro per evitare di piangere. Persino lui, in quel momento, non poteva che trovarsi d’accordo con la sorella. Non dubitava certo di quelle figure tanto eroiche sulle quali aveva sentito incredibili miti e leggende, eppure quel giorno anche la sua fiducia e la sua speranza erano crollate, così come la sua casa. Il luogo nel quale era nato, cresciuto, mosso i primi passi.. ora non c’era più. E se davvero ci fossero stati gli Esorcisti, a difendere la loro città dagli Akuma, ora forse starebbero in giardino a preparare la zuppa, con mamma e papà, ansiosi di poter finalmente cenare tutti insieme.
 
Non doveva trarre però conclusioni affrettate. Leda poteva anche aver perso la speranza, ma lui no. Seppur vacillante, era ancora lì, viva dentro di lui, e batteva allo stesso ritmo del suo cuoricino. Se c’era una cosa che la vita gli aveva insegnato, era che la fortuna sorride sempre agli audaci, e che per quanto le disgrazie possano abbattersi, non bisogna mai perdere la fiducia e credere nei propri amici.
 
Eppure… Leda, ormai… questa concezione di vita l’aveva completamente persa.
Lui non sapeva cosa avesse visto, quel giorno. Non seppe per quale motivo la vide tornare con quello sguardo vacuo, vuoto, privo d’ogni emozione. E per ogni volta che l’aveva pregata di spiegargliene il motivo, lei l’aveva sempre scansato in malo modo, intimandogli di tacere e seguirla. Non aveva più obbiettato. Non voleva più farlo. Decise che sarebbe stato vicino a sua sorella, cercando di far rivivere quei sorrisi che ormai avevano perso. Senza mai più piangere, per darle un po’ del suo coraggio, sperando che potesse riceverlo nel suo cuore.
 
Tuttavia, così non avvenne.
E la Leda allegra, sorridente, che lui aveva imparato a conoscere ed apprezzare, sparì per sempre.
 
Lavi prese Leda per le spalle, cercando i suoi occhi di liquirizia nascosti dalle lacrime. Con un gesto calmo e rassicurante, le sollevò il viso affinché anche lei potesse fare lo stesso con il suo unico occhio verde smeraldo. E come i loro sguardi s’incrociarono, Lavi rimase come pietrificato dalla sorpresa. Leda lo guardava come se lui l’avesse appena picchiata. Il viso incerottato, solcato dalle lacrime, incorniciato dai capelli… gli diede l’immagine di un’altra persona. Inerme, debole, arrendevole…
Non sembrava affatto Leda, la persona conosciuta poco prima.
I suoi occhi persi nel vuoto parvero ipnotizzare il rosso, che per interminabili istanti vi si perse dentro, isolandosi da qualunque sensazione esterna. All’interno vi vide un’infinita tristezza, una solitudine agghiacciante che da anni l’accompagnava, silenziosa e tacita, come una maledizione. Una maledizione che si era auto inflitta, pur di caricarsi sulle spalle da sola un unico grande fardello.
 
Non ritenne di dover dire altro.
Qualsiasi parola sarebbe stata superflua. Non avrebbe certo placato i suoi traumi parlandole. Ma forse da qualche parte poteva cominciare.
 
- Mi dispiace, Leda – sussurrò, sinceramente pentito, nonostante non portasse alcuna colpa. Ma guardando i suoi occhi colmi di disperazione, si era in qualche modo sentito in dovere di dirglielo. Per farle capire che lui non era come gli altri. Che ci sarebbe stato.
E detto questo, si alzò, rivolgendo un piccolo sorriso incoraggiante ad Alan il quale ricambiò con inaspettata energia. Dopodiché, si allontanò verso la porta che conduceva alle cabine dove, appostato nell’ombra, lo aspettava il vecchio maestro.
 
Leda lo vide sparire nel buio, in silenzio.
Si asciugò le lacrime, appallottolandosi sulla cassa come se d’improvviso sentisse il bisogno di isolarsi.
 
- Sorellona – Alan si mise di fronte a lei, sorridente – Andiamo a mangiare qualcosa, eh?
 
Dopo la tempesta che sconvolgeva il suo animo, ecco che arrivava il sole a rasserenarlo.
 
Leda lo fissò per qualche secondo. Abbozzò poi un sorriso, mentre lentamente si calmava. Annuì, seguendolo.
Ed insieme si avviarono alla porta, silenziosi.
 
E quando anche loro si furono dileguati, un’ombra saettò dietro la cassa di legno sulla quale la ragazza era seduta fino a poco fa. Nessuno se ne accorse, ma dal suo nascondiglio improvvisato, Tyki tirò un sospiro di sollievo, abbassando il capo, affranto.
 
“Ormai, non posso più tornare indietro”…

   †

 

Il gruppo trascorse altri due giorni sulla piccola nave e, stranamente, questi passarono in modo innaturalmente calmo. Leda si riprese dalla conversazione con lavi, ma esitò a rivolgergli la parola per tutto il giorno successivo. Quella frase, dettagli poco prima di allontanarsi, le frullava ancora in testa e non poteva fare a meno di ripetersela, senza sosta, come una fastidiosa filastrocca. Più volte aveva tentato di rifuggire la paura e raccontargli la verità, scusarsi: fallimento totale..
Proprio non ci riusciva. E non perché glielo impedisse quel suo carattere orgoglioso, no. Era il terrore che la bloccava, le serrava le labbra e la tratteneva dal muoversi, parlare, fare qualsiasi cosa. Ma cosa peggiore era la seconda prospettiva che, come l’altra faccia della moneta, la perseguitava: le parole di Tyki, presagio di qualcosa che non le piaceva per niente. Ed ogni volta che ci pensava, anche solo di sfuggita o per sbaglio, ecco che immediatamente scuoteva la testa, perché tutto avrebbe voluto all’infuori di quella che, purtroppo, le pareva la verità più ragionevole.
Ma non poteva tornare indietro. Non poteva ritirarsi ora, che era a metà del viaggio. Nemmeno sapeva dove quella dannatissima nave avrebbe attraccato. Lo scarso equipaggio di cui disponeva non aveva saputo riferirle nulla di significativo.
 
“Europa”.
 
Risposta vaga; inaccettabile, secondo Leda. Ma a quel punto era troppo impegnata a frenare i conati di vomito per replicare. Di chiederlo a Lavi o al vecchio neanche per sogno. Era già difficile sostenere i loro sguardi, o contenersi dal morire di disagio in loro presenza, figuriamoci se poteva davvero trovare coraggio e parole adatti a domandar spiegazioni! E Alan, ahimè, ne sapeva quanto lei. Eppure, alla ragazza sembrò che lui e Lavi andassero molto d’accordo. Che la destinazione fosse qualcosa di top secret, avente a che fare con la loro particolare condizione?
 
Leda si rifiutava di credere persino a questo. Il suo cervello rifiutava in partenza qualunque cosa fosse collegata agli Esorcisti. Sperava che non c’entrasse nulla, che la destinazione non vi fosse coinvolta.
 
Era confusa.
Non capiva più niente.
Si sentiva un’estranea, messa da parte, a cui nessuno voleva più dir nulla; un peso. Ma allora… perché erano venuti a salvarla? Se fosse stato per Alan, avrebbero potuto benissimo ignorarlo, abbandonarlo o..
No! Non doveva pensare a quelle cose orribili!
Perché gli Esorcisti non erano altro che codardi. Fino a poche ore prima, Leda pensava che fossero tutti morti. Estinti. Che il Conte l’avesse avuta vinta e che il mondo non avesse più chance di vedere la luce. Ma ecco che, all’improvviso, le sbucavano dal nulla quei due individui: Lavi e un vecchio con gli occhi cerchiati di nero. Poi dicevano di essere Esorcisti, e lei.. proprio non capiva.
Se non erano morti, allora… allora erano dei codardi.
Si erano nascosti, da bravi traditori. Avevano lasciato il mondo nei casini per evitare di perderci la vita. Ma la faccia, quella l’avevano già persa da un pezzo. Non avevano più autorità, erano dei relitti. Nel momento in cui erano scomparsi, quando l’umanità aveva più bisogno di loro, erano stati privati di quell’orgoglio e quel senso di onnipotenza che da sempre circondava le loro fulgide figure fautrici di leggende. E ora non erano nient’altro che un’ombra, un residuo di quel che erano stati in passato, quando ancora c’era chi aveva il coraggio di morire per proteggere il proprio popolo.
Era su quelle splendide persone che Leda aveva raccontato innumerevoli storie ad Alan, non certo su quelle che aveva visto quel giorno. Non erano lontanamente paragonabili a loro…
 
Tyki fece solo sporadiche apparizioni, per tutto il tempo del viaggio. Per qualche strana ragione, sembrava voler evitare i due Esorcisti. E così, ogni volta che si poteva avere l’”onore” della sua presenza, o si trovava dietro una qualche cassa – per passare inosservato – o nella propria cabina.
Leda non l’aveva mai visitata. Non voleva parlare nemmeno con lui, sebbene in quel momento fosse la persona che più si sentiva vicina, dopo Alan. Ma i motivi del suo silenzio erano ben altri: non riteneva giusto nei suoi confronti chiedergli nulla. Il disagio che l’uomo mostrava inconsciamente alla presenza dei loro speciali compagni era quasi palpabile, per non dire contagioso. La causa di ciò era totalmente sconosciuta alla ragazza, la quale si asteneva dal parlargli per evitare di accrescere quel suo nervosismo.
Era il minino che potesse e volesse fare, per ripagarlo – a modo suo – dell’aiuto che aveva dato a lei e ad Alan. E sperò che Tyki l’avesse capito.
 
Il giorno dopo, mentre il cielo lentamente si tingeva delle più belle sfumature di blu e violetto, Leda osservava dal parapetto di prua come quei delicati colori pastello si fondessero col cielo, creando e annullando al tempo stesso l’orizzonte e dando l’illusione che questo non esistesse.
 
- Che pace… - un mormorio le era fuoriuscito dalle labbra, quasi ansioso di sentirsi. La conferma che quello era stato un giorno tranquillo, senza problemi d’alcun tipo. Leda tirò un profondo sospiro, poggiando braccia e mento alla ringhiera di ferro e chiudendo gli occhi, completamente assuefatta dal silenzio come un bimbo dalla ninnananna. Persino il vomito le stava dando un po’ di tregua, segno che il suo corpo aveva deciso di concederle un po’ di tempo per sé stessa.
Un altro sospiro, più sentito del primo. E il vento tra i capelli le provocò una tale sensazione di piacere che…
 
- Hai smesso di vomitare?
 
Leda si risollevò all’improvviso, voltando la testa alla sua sinistra. E come riconobbe l’uomo che aveva appena parlato, poco ci mancò che gli fracassasse la testa con un pugno.
 
- Mi stavo rilassando, Tyki.
 
- Anch’io – si sentì rispondere. Il nervoso le salì alle stelle. E anche la più microscopica possibilità di passare una serata all’insegna della tranquillità sfumò completamente.
 
- Be’, allora vai a farlo da un’altra parte! – insorse così, visibilmente seccata. Tyki sorrise beffardo, accettando la sfida all’istante.
 
- Mi dispiace, ma sto bene qui. Vai via tu, piuttosto, se ti do così fastidio – era inutile sperare di averla vinta con lui. Non demordeva neanche se vedeva di essere in svantaggio. Finché non si fosse messo in ridicolo da solo, era certo di poter continuare a sostenere una conversazione accesa come quella.
 
- Neanche per sogno! – strillò Leda, serrando i pugni nella sua direzione – C’ero prima io! Vattene tu, damerino da strapazzo che non sei altro!
 
- Mhmpf – un sorrisetto mal celato si dipinse sul volto dell’uomo, che per la prima volta parve manifestare non può sprezzo, bensì irritazione – Come mi avresti chiamato, prego?
 
Leda ricambiò l’espressione con un evidente ghigno sbruffone, ridicolmente orgogliosa di essere riuscita a produrre una crepa in quella sua corazza di pungente sarcasmo. E per la gioia dell’altro, ripeté sillabando il suo nuovo soprannome.
 
- Damerino-da-strapazzo!
 
E Tyki fece altrettanto.
 
- E tu sei una bisbetica musona!
 
- Che hai detto?!
 
- Problemi d’udito, oltre che di stomaco?
 
- Inutile, inutile barbone!
 
E sarebbero anche arrivati alle mani se l’improvvisa apparizione del vecchio non li avesse interrotti bruscamente, a metà tra la sorpresa e lo sconcerto. Leda si ricompose, indietreggiando. Ancora non aveva accettato la presenza di quei codardi sulla nave.
Tyki invece si voltò e si concentrò come un pazzo sul panorama davanti a lui, come se preferisse morire che guardare in faccia l’anziano.
 
- Vi siete ripresa, signorina – pronunciò questo, con tono calmo e ponderato.
 
Leda serrò gli occhi. Annuì, diffidente. Il suo pensiero corse alla ferita da arma da fuoco riportata in seguito al suo salvataggio. L’aggressore non l’aveva visto, ma il buco che gli aveva lasciato era ancora ben visibile, tenuto a bada da una solida fasciatura che, giorno dopo giorno, richiedeva sempre controlli. E non le dava nemmeno più tanto fastidio.
Il vecchio parve voler accennare un sorriso, e invece si affacciò – per quanto potesse farlo, alto com’era – dal parapetto, osservando il mare con aria incredibilmente seria.
 
- Ci siamo – pronunciò, solenne.
 
Leda puntò i suoi occhi di liquirizia sull’orizzonte che si confondeva col cielo, e lì vide qualcosa che poco prima non c’era. Laddove il suo occhio non ne distingueva più il confine, vide sorgere una forma scura e solida, che diventava man mano sempre più grande. Inizialmente piccola e indistinta, quella macchia di nero che contrastava con l’oro del tramonto divenne qualcosa di più definito, assumendo una forma, sempre più chiara e concisa.
 
- Terra… - mormorò Leda, come rapita da quell’immagine. Per lei era una porta che si apriva. Avrebbe significato rispondere a molte delle sue domande, in compenso avrebbe favorito l’insorgere di nuovi misteriosi interrogativi. Per ora, comunque, non chiedeva di meglio.
 
Il vecchio rivolse un’occhiata scrutatrice verso di lei, senza l’accenno di un sorriso sul volto. Nulla pareva riuscire a provocare in lui la benché minima parvenza d’emozione. Totalmente apatico, fece lo stesso anche verso Tyki, stavolta aggravando l’espressione seriosa. Ma l’uomo non si accorse di nulla, impegnato com’era a osservare il mare davanti a lui. Ma Leda sospettò si fosse sentito addosso quegli occhi così severi che avesse preferito evitarli.
 
In breve tempo la ‘terra’ si arricchì di nuovi dettagli. Divenne una imponente scogliera fatta di dure rocce scure, sulle quali le onde del mare cozzavano impervie e burrascose. Sopra, un tetto di alberi e piante talmente fitto che Leda non fu in grado di determinare se oltre di esso vi fosse situato alcunché. Piuttosto, si accorse di qualcosa che la sbalordì non poco. In un punto poco precisato della roccia, questa parve improvvisamente rivelare un passaggio che vi penetrava all’interno. Un’ampia insenatura, la cui scarsa visibilità era favorita dall’avanzare della notte e dall’illusione creata dalla parete rocciosa stessa, che non dava affatto l’impressione di nascondere un passaggio. Si voltò verso il vecchio, ancora preso ad osservare la loro avanzata proprio verso quell’apertura. E si soprese, pensando che probabilmente lui lo sapeva. Onda dopo onda, la nave cominciò ad infilarsi, e le assi di legno del ponte gemettero sempre più all’avanzare dell’imbarcazione.
Leda si sentì avvolgere da un silenzio quasi glaciale. Osservò quelle alte pareti acuminate che la circondavano e si sentì trascinare da una sgradevole sensazione di chiuso. Non si era mai sentita così piccola e insignificante come in quel momento. Udì dei passi dietro di lei, si voltò e vide che anche il vecchio e Lavi osservavano il loro percorso con aria assorta. Istintivamente diede loro le spalle e aguzzò la vista per tentare di scorgere cosa vi fosse alla fine.
Ma la nave continuò a inoltrarsi tra le rocce sempre più, e il passaggio si restringeva metro per metro. Leda iniziò a preoccuparsi.
 
- Ma ci passerà mai? – domandò a Tyki, il quale osservava l’accorciarsi delle distanze fra le due pareti di roccia con la sua stessa apprensione in volto. Eppure dopo pochi secondi parve ritrovare la calma, come se avesse appena capito che quello non era affatto un problema.
 
- Ci passerà, fidati – disse infine, sbadigliando.
 
Leda si sporse oltre il parapetto, vide le onde infrangersi contro la chiglia e si chiese dove diamine avesse visto che ci sarebbe passata. Decise però di stare in silenzio ed aspettare. Non era così stupida da pensare che l’equipaggio si fosse infilato in un’apertura impossibile da praticare. Era un suicidio bello e buono. No, doveva esserci qualcosa, altrimenti non si sarebbero mai spinti tanto oltre.
Il quarto d’ora successivo trascorse nel silenzio più totale, tanto che Leda poté sentire i battiti del proprio cuore accelerare sempre più. Finalmente l’apertura iniziò ad allargarsi, fino a divenire abbastanza larga affinché la nave non cigolasse più così pericolosamente.  E infine, imboccando l’ultimo cruciale tratto di mare, Leda poté scorgere finalmente, illuminata nel buio, la loro destinazione.
Si ergeva su di un’altura, perfettamente visibile da quel punto nonostante fosse nascosta da una fitta foresta. Dalle ampie vetrate posizionate sulle grosse pareti di pietra filtrava una vivida luce giallastra. A Leda parve assomigliare molto alla famosa cattedrale parigina Notre Dame, che aveva visto sui libri di suo padre. Ma questo non poté che accrescere l’enorme, per non dire ingestibile senso di irrequietudine dentro di lei. Ebbe un brutto, orribile presentimento, e pregò con tutto il suo cuore che quell’edificio, che si innalzava con la grazia e l’austerità di un maniero medioevale, non fosse veramente ciò che lei pensava che fosse.
 
A fugar ogni dubbio vi pensò il vecchio che, avvicinatosi a loro, rese veri e palpabili i peggiori timori di Leda.
 
- Finalmente siamo arrivati. Benvenuti all’Ordine Oscuro...




♣ Angolo di Momoko 

Yess! Mi son dimenticata delle note d'autore! xD
Viva la vecchiaia :D
Comunque, strano ma vero, ho aggiornato. Ma non abituatevici, durerà poco questa puntualità >.>
In questo capitoletto pian piano le cose iniziano a muoversi (e perdonatemi per avervi fatto aspettare così tanto). Ormai avrete capito perché Leda odia gli Esorcisti, purtroppo sta andando direttamente nella tana del lupo e, poretta, non le sarà facile uscirne. In verità non pensavo che si potesse annullare così di fronte a loro, sono andata per ragionamenti e ho pensato che con un trauma del genere uno poteva solo sentirsi male come lei. Ma credetemi, non è finita qui! La aspettano molte altre difficoltà da superare, dal prossimo capitolo in poi la storia prenderà quella piega definitiva che ho deciso di darle giusto qualche settimana fa. Purtroppo le idee arrivano quando meno ce le si aspetta.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e ringrazio di cuore tutti quelli che hanno recensito, messo tra le seguite/preferite questa storia. E' una soddisfazione immane. Ed ora, sarò petulante/antipatica/bastarda, ma ho due parole da dire. No, più che altro è un appello. Nasce da una piccola discussione che ho avuto con altre scrittrici, e tutte la pensiamo un po' alla stessa maniera. Siamo un po' deluse, perché di recente il fandom viene sommerso unicamente di personaggi blandi e poco caratterizzati. Ciò denota una trascuratezza incredibile da parte delle autrici, e sinceramente a volte non ci capacitiamo di come questi loro scritti possano ottenere tanto consenso, nonostante errori e svarioni. Ora, io non mi reputo affatto superiore ad altri, né penso che la mia storia lo sia. Però scrivere mi piace e dato ciò, metto particolare cura e amore nei capitoli, voglio che chi legge possa provare quella stessa passione che ho anche io. E mi impegno in ugual misura anche nella caratterizzazione dei personaggi. So che scrivere dovrebbe essere un hobby o un divertimento, ma anche da cose così piccole si può capire quanto una persona metta molta poca cura in quello che fa, anche nella vita quotidiana. Per cui mi appello a voi: date una struttura di base alle storie, curatele di più, e se non trovate il tempo poco male. Non conta affatto aggiornare alla velocità della luce con capitoli di scarsa qualità, quanto più aggiornare con meno frequenza ma con capitoli ben scritti e qualitativamente superiori. 
Ora potete linciarmi, inslutarmi, darmi fuoco, a scelta. Ma ho detto la mia, era da un po' che covavo queste parole e aspettavo solo il momento migliore per dirle. Ora mi dileguo, a prestooo,

Momoko <3
   
 
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