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Autore: Egi_    01/08/2013    3 recensioni
Londra, 1882.
"C’era un solo luogo dove avrebbe potuto cominciare davvero a vivere intensamente: Londra."
Kurt Hummel è un giovane aspirante poeta alla ricerca della sua ispirazione perduta, troverà molto di più.
Santana Lopez, giovane donna indipendente e moderna, vivrà un amore che la porterà a rivedere le sue convinzioni.
Quinn Fabray, sposata, è prigioniera di una passione imperdonabile.
Sullo sfondo una città magica, fatta di poche luci e tante ombre.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Quinn/Rachel
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ciao a tutti! Allora questa è la mia prima fan fiction ed è una cosa completamente nuova per me, non mi ero mai misurata prima con un'avventura del genere.
I primi cinque capitoli sono già pronti (al mare ho avuto parecchio tempo libero) quindi aggiornerò diciamo ogni tre giorni per ora.
L'idea per la storia mi è venuta dopo aver letto "La signora delle camelie" di Dumas e nei prossimi capitoli sarà evidente.
Ringrazio già in anticipo chi leggerà (se qualcuno la leggerà ovviamente) e se vi và lasciate una recensione, avrete la mia eterna gratitudine!




CAPITOLO UNO
 
 
A distanza di anni il primo ricordo del suo arrivo a Londra sarebbe stato l’odore del vapore.
Era un odore particolare che Kurt Hummel, giovane membro della nobiltà di campagna inglese, non aveva mai sentito prima.
Sembrava che il vapore fosse ovunque, galleggiava a pochi centimetri da terra e a Kurt ricordò quella nebbiolina che di mattina presto, nelle giornate d’autunno, sostava sui campi coltivati e sugli ampi prati che poteva ammirare dalla grande finestra di casa. 
Il vapore però aveva un odore decisamente sgradevole e richiamava a Kurt l’idea dello sporco, dei miasmi che sapeva fuoriuscivano dalle moderne industrie londinesi.
La seconda cosa che Kurt notò, appena messo il piede fuori dalla stazione, fu la gente.
La gente era dappertutto. 
Le persone attorno a lui gridavano, si sbracciavano, si calpestavano i piedi a vicenda e si spingevano senza accorgersene.
C’erano tanti tipi di persone attorno a lui, appartenenti alle più disparate classi sociali.
Vide un vecchio con il naso aquilino vestito elegantemente, un giovane dalla pelle ambrata che vendeva cibo di dubbia provenienza, due giovani donne con lunghi abiti e cappelli con veletta, una madre con un bambino in braccio e uno per mano vestiti di stracci e senza le scarpe.
Il bambino più grande continuava a tirare su con il naso e quando gli si avvicinò con la piccola mano sporca tesa verso di lui, Kurt non poté trattenersi dallo scostarsi facendo una faccia schifata di cui subito si vergognò.
 
“Non si preoccupi, signorino. La povertà non è contagiosa.” 
La voce della donna era bassa e rauca e non aveva quasi più denti in bocca.
La donna si avvicinò, gli occhi fissi sulla borsa che Kurt si portava appresso.
In quel momento, in mezzo a tutta quella gente ebbe paura della donna e della sua bocca sdentata, dei suoi piedi sudici, del suo odore sgradevolissimo.
Ecco un’altra cosa che si sarebbe ricordato a distanza di anni: la paura di quei suoi primi minuti nella capitale che era così diversa da ciò che aveva sperato e così simile a ciò che aveva temuto.
 
“Vattene via donnaccia! Prendi questi spiccioli e sparisci!”
Kurt si voltò in direzione della voce e il suo giovane viso si distese in un sorriso allegro: “Finn!”
Suo cugino Finn Hudson, figlio del fratello di sua madre, era davanti a lui e per Kurt in quell’istante rappresentò la salvezza.
Suo cugino era cresciuto dall’ultima volta che Kurt l’aveva visto. Il suo viso aveva perso le ultime rotondità della giovinezza e poteva giurare che fosse cresciuto ancora di cinque o sei centimetri. Era talmente alto che Kurt al suo fianco si sentiva un bambino.
Finn lo abbracciò cameratescamente, incurante della donna che si era gettata a terra per raccogliere i pochi spiccioli che l’uomo le aveva lanciato come si lanciano le ossa ai cani.
 
“sono così contento che tu sia qui Kurt. Mi sei mancato così tanto cugino!”
Finn e Kurt sono nella carrozza del primo, un'elegante vettura nera e blu scuro dai comodi sedili di pelle chiara. 
Per il nuovo arrivato è un sollievo essere al sicuro nella carrozza e non dover sentire il puzzo delle strade londinesi.
Kurt sorrise al cugino. 
Anche lui era contento di rivederlo.
Erano cresciuti lontani ma avevano sempre avuto un buon rapporto.
Quando Kurt aveva manifestato il suo desiderio di passare un periodo nella capitale, Finn si era immediatamente offerto di ospitarlo nella sua casa asserendo che gli avrebbe procurato un immenso piacere fare da chaperon al cugino e fargli conoscere la Londra borghese e illuminata di cui faceva parte.
Dal canto suo Kurt non aveva assolutamente potuto rifiutare un’offerta così generosa.
“sono contento di essere qui, anche se per quello che ho visto Londra non è esattamente quello che mi ero immaginato.” La voce di Kurt è allegra e squillante ma dentro si sente soffocare. 
La prima impressione che ha avuto di Londra non è stata all’altezza delle aspettative.
Non riesce a non rimpiangere la tranquillità della sua amata campagna che tante volte aveva provato a celebrare in sonetti e ballate.
Non era mai riuscito a comporre qualcosa di davvero soddisfacente nella sua breve vita e aveva attribuito la colpa dei suoi fallimenti alla vita protetta che conduceva, all’esistenza sicura cui la sua condizione di figlio di possidenti l’aveva condannato.
C’era un solo luogo dove avrebbe potuto cominciare davvero a vivere intensamente: Londra.
Arrivato a questa conclusione non aveva potuto fare a meno di trasferirsi nella capitale per cominciare finalmente a vivere l’esistenza che il suo animo da artista reclamava.
“quando mai le nostre aspettative corrispondono alla realtà?” disse Finn con un lieve sorriso sulle belle labbra “imparerai presto ad amare la nostra Londra credimi. È una città di luci e di ombre come sono tutte le capitali dei grandi imperi. Pensa alla Roma di Augusto, per esempio.
Abbiamo la fortuna di vivere in un secolo di progresso e Londra è il più straordinario esempio di questo progresso illuminante amico mio.”
Kurt annuì e rivolse il suo sguardo all’esterno, sulle strade polverose.
Alcuni bambini cenciosi correvano accanto alla vettura, tutti rigorosamente a piedi scalzi.
Kurt si chiese se il progresso avrebbe prima o poi illuminato anche loro o se sarebbero vissuti e morti nella desolante oscurità della povertà, nell’ombra della grande Londra del progresso.
 
 
Kurt si svegliò nel tardo pomeriggio e ci mise qualche secondo a rendersi conto di dove si trovava. 
Era a Londra, nella capitale e lontano chilometri e chilometri da casa e dalla sua famiglia.
Dal piano sottostante giungeva il suono di alcune voci fra cui riconobbe solo quella di Finn.
Decise di scendere dopo essersi riassettato, sicuramente Finn aveva parlato ai suoi amici di Kurt e non era sua intenzione offenderli facendosi attendere ulteriormente.
Una decina di minuti dopo Kurt fece la sua entrata in salotto. 
In quel momento non poteva saperlo ma stavano per entrare nella sua vita le persone che l’avrebbero cambiata nel bene e nel male, le persone che avrebbero cambiato lui facendolo diventare quell’uomo che non avrebbe mai pensato di diventare e l’artista che aveva sempre sognato di essere.
La musica invadeva la stanza. 
Kurt non aveva ancora oltrepassato la soglia che già era stato catturato da quella musica e dalla voce celestiale che accompagnava.
La donna cui apparteneva la voce monopolizzò l’attenzione di Kurt. 
Era di bassa statura e aveva capelli castano scuro lucidissimi e acconciati in uno chignon morbido.
Cantava tenendo gli occhi chiusi e la testa leggermente buttata all’indietro.
Kurt ne fu incantato.
Rimase immobile, gli occhi fissi su di lei.
L’ultima nota lo colse impreparato, era stato completamente assorbito dalla melodia.
Finn si accorse di lui e si affrettò a introdurlo ai suoi ospiti con un ampio sorriso.
“amici miei questo è Kurt Hummel, il figlio di mia zia Odette. Viene dallo Yorkshire ed è la sua prima volta a Londra, fatelo sentire a suo agio.” La voce forte di Finn aveva attirato su Kurt l’attenzione di tutti nella stanza.
Un uomo alto, dai capelli ricci e rossicci strinse a Kurt la mano con forza.
“sono William Shuester, molto piacere.” si presentò “e questo è mio nipote Arthur Abrams.”
Kurt sorrise a un ragazzo con gli occhi azzurri e lo sguardo mansueto seduto in poltrona che si affrettò a sorridere a sua volta.
“puoi chiamarmi Artie. Mi scuserai se non mi alzo ma sono, diciamo, impossibilitato.”
Kurt non fece in tempo a chiedere quale fosse il problema che una voce squillante lo fece voltare verso l’unica donna presente nella stanza, la meravigliosa creatura dalla voce magnifica.
“io sono Rachel Barbra Berry, cantante e attrice di professione.” La voce di Rachel era acuta e non sembrava quella stessa voce che aveva emozionato Kurt qualche minuto prima. 
Rachel era molto più giovane di quello che il ragazzo aveva pensato in un primo momento.
“Rachel Berry! Ho sentito parlare di voi persino nella mia lontana provincia agricola!” disse Kurt.
“Ha interpretato una straordinaria Giulietta l’anno passato a quanto ho udito.”
Rachel s’illuminò e i suoi occhi scuri presero a brillare come stelle.
Kurt pensò che la ragazza aveva un volto particolare, non bello secondo i canoni classici e rinascimentali (il naso era importante e poco femminile, molto ebraico) ma sicuramente affascinante. Quando sorrideva poi non si poteva fare a meno di guardarla.
“non sa quanto piacere mi suscitino queste parole. È appena arrivato signor Hummel e mi ha già resa la donna più felice di Londra e dintorni” squittì Rachel “la invito già ufficialmente alla prima del mio nuovo spettacolo perché è evidente che lei è un intenditore, Kurt. Posso chiamarla Kurt non è vero? Voi nobili siete suscettibili e lo dico per esperienza…”
“Rachel non essere petulante! Il povero signor Hummel è confuso dai tuoi sproloqui autocelebrativi.”
Una voce profonda e calda che suscitò in Kurt un’affezione immediata. 
L’uomo che aveva parlato era il pianista.
Aveva suonato per l’esibizione di Rachel ma Kurt era così preso da lei che non l’aveva notato.
Si chiese come fosse possibile che non si fosse accorto di lui subito.
Era di una bellezza magnetica. 
I capelli nerissimi erano pettinati elegantemente, con la scriminatura da un lato ed era vestito splendidamente.
Unica pecca nella sua persona era la bassa statura. Kurt lo sorpassava di tutta la testa.
I loro occhi s’incontrarono e Kurt rimase subito affascinato da quegli occhi nocciola nei quali si ritrovò a specchiarsi.
Stava per presentarsi quando la porta del salottino si spalancò di colpo facendolo sobbalzare.
Finn si alzò di scatto in tutta la sua imponente corporatura: “quante volte ti ho spiegato che devi bussare Becky? Sono stufo di pazientare perchè tu impari le buone maniere.”
Becky, una donnina bionda e affetta da un evidente ma non invalidante ritardo mentale, sembrava in preda al panico.
“è la signora, milord. È stata ferita, milord. 
È a casa dell’ambasciatore, milord.”disse Becky, la voce incrinata dal pianto.
Kurt girò il suo sguardo su Finn che d’un tratto si era fatto pallidissimo. 
Per un attimo temette uno svenimento.
Nella stanza scese un silenzio tombale.
Kurt faceva scorrere il suo sguardo da un ospite all’altro, in cerca di un indizio su quanto stava accadendo.
Non gli sfuggì che anche Rachel era impallidita e aveva il respiro corto.
 
Finn si riscosse dal torpore e quando parlò la sua voce era ferma e intrisa di rabbia.
“fa preparare la carrozza. Voglio essere in strada fra non più di due minuti.
Kurt gradirei la tua compagnia.”
Un modo carino per dirgli che gli ordinava di accompagnarlo.
 
Kurt non poté fare a meno di annuire e seguire suo cugino fuori dalla stanza, per niente pronto a rituffarsi fra i vapori di Londra.
  
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