Anime & Manga > Puella Magi Madoka Magica
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Autore: Sphaira    01/08/2013    0 recensioni
«Apri gli occhi.»
La ragazza obbedì. Vide una luce avanti a sé, un disco luminescente del colore del cristallo azzurro. Istintivamente allungò le mani verso di esso, che gentilmente scese più veloce di lei nella caduta e si fece chiudere fra i palmi delle mani.
«Benvenuta tra le Puellae Magi.»
Genere: Angst, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~Innocent Happiness
 
Il suono della sveglia trillò prepotente nelle orecchie di Miho la mattina dopo che ebbe stretto il contratto. Se lo sarebbe dovuto aspettare, ma essendo andata a dormire tardi per studiarsi la sua nuova Soul Gem si era totalmente dimenticata che c’era ancora scuola l’indomani. Biascicò qualche protesta pressandosi il cuscino sulle orecchie, e si girò di spalle. Ma sapeva che non avrebbe potuto resistere a lungo, né che sarebbe riuscita a riaddormentarsi.
«Miho!» sentì chiamare dalla cucina, due stanze più in là rispetto a dov’era la sua camera da letto.
«Svegliati, che è tardi, o farai tardi a scuola!»
Arrivo, arrivo, pensò intontita, sicura di averlo detto ad alta voce per farsi sentire.
Poco più tardi, quando tutti erano pronti, si riunirono intorno al tavolo per fare colazione insieme come tutte le mattine, e il fratello maggiore di Miho, Hoshi, iniziò a punzecchiarla.
«Che splendide occhiaie che hai stamattina, sorellina!» disse con un sorrisetto scherzoso.
«Ma quali occhiaie...» rispose la ragazza, guardandolo con la coda dell’occhio e gonfiando una guancia. Lui ridacchiò.
«Suvvia, Hoshi, non esagerare,» si intromise la mamma, poi guardò la figlia distraendosi dai fornelli. «Però è vero, Miho, sembra che tu abbia dormito poco stanotte. Tutto bene?»
«Ah... sì, certamente sì.» La ragazza annuì per confermare quello che stava dicendo. «Semplicemente, ora che siamo così vicini alla fine della scuola sembra che il conto alla rovescia non finisca più.»
«Ha! Scuola! Non so nemmeno più che significa.»
«Ma, senti un po’,» cambiò discorso Miho tornando a guardare suo fratello, e allungò un dito a toccargli una guancia, come spesso faceva per abitudine. «Il tuo maestro non ti aspetta fra dieci minuti nel suo studio?»
«...in effetti sì» controllò il ragazzo studiandosi perplesso l’orologio appeso al muro. Allora Miho si alzò con un sorriso.
«Usciamo insieme, dai, così mi accompagni fino a metà strada.»
«Va bene.»
 
Per strada entrambi i due stettero abbastanza in silenzio, ognuno pensando ai fatti suoi. Miho sembrava eccitata, il che lasciò molto incerto il fratello, ignaro del perché si toccasse così spesso il nuovo anellino che portava al medio destro la ragazza.
«Quello cos’è, Miho?» chiese a un certo punto il giovane, continuando a fissare l’anellino. Miho tornò con i piedi per terra.
«Eh? Cosa?»
«Quell’anello» precisò indicando la mano dell’altra. Allora lei chiuse le dita della mano in quell’altra, tenendole avanti al petto, poi le riabbassò insieme al viso, impacciata.
«Beh, questo, è...» fece un sorrisino rialzando il viso e guardando l’altro negli occhi. «Carino, vero?»
«Fammi indovinare: è un regalo di Ryu.» A quel punto Hoshi fece una smorfia e incrociò le braccia, tornando a guardare avanti. A quel punto Miho colse l’occasione e resse il gioco.
«Ah! Ecco, Ryu... Da cosa si capisce?»
«Dalla tua faccia da pesce lesso, ovvio!» replicò l’altro un tantino stizzito.
Miho sapeva che Hoshi era geloso di lei e che il suo fidanzato non gli piaceva gran che. Ormai si era abituata a questa sottile ostilità che lui dimostrava, ma in fondo sperava che si sarebbe sciolto un po’ in futuro in occasione del loro incontro.
Perché prima o poi si sarebbero incontrati.
Anche se erano insieme da più di sei mesi e né i genitori né il fratello l’avevano mai visto se non in foto, e neanche lei conosceva la famiglia di lui se non dalle descrizioni del giovane. La ragazza si strinse nelle spalle. La distanza era stata un grosso problema fin dall’inizio.
Almeno fino ad ora, aggiunse lei, e ancora una volta si toccò l’anello. Da quel momento in poi sarebbe stato tutto diverso. Però si affrettò a non distrarsi di nuovo, non le piaceva far stare in quel modo suo fratello.
«Daaai...» fece con la vocina dolce all’altro aggrappandosi al suo braccio, poggiandosi col mento sulla spalla e facendolo sbandare un po’ a camminare. Allora Hoshi arrossì.
«Mollami il braccio»
«Daaai!» ripeté allora Miho, sorridendo.
«Ma dai che cosa!» sbottò allora Hoshi, puntando i piedi e lanciandole un’occhiataccia imbarazzata. A quella vista lei rise, e lui gonfiò le guance alla stessa maniera di lei quando metteva su il broncio. E come lui, con due dita si allungò a sgonfiargliele, con uno “sbuff”.
«Certe volte sembri un mio coetaneo, vecchio mio.»
«Se mi consideri un vecchio allora dovresti portarmi più rispetto! Ahhh, giovani d’oggi!»
E finirono a scherzare fino al cancello della scuola, dove indugiarono ancora qualche minuto prima di separarsi.
«Allora vengo a prenderti oggi verso le quattro. Vedi di non farti lasciare da sola, sta’ sempre in compagnia e se vai in giro fa’ attenzione.»
«Mi sembra di risentire mamma.»
«Ora che sono più grande capisco le sue preoccupazioni, davvero. Sai bene quanto ci teniamo tutti a te.»
«Non preoccuparti.» Sorrise tranquilla, poi si voltò di schiena e fece un cenno con la mano.
«Ci vediamo oggi!»
Hoshi ricambiò lo stesso cenno, poi si levò gli occhiali da sole dalla scollatura della maglia, li inforcò e si avviò con le mani in tasca. Sperò che il maestro avesse dormito troppo anche quella mattina, non gli andava di sentire nessuna ramanzina. Si dimenticò del suo discorso da ragazzo maturo che aveva fatto poco prima a sua sorella.
 
Miho passò le sei ore della mattinata scolastica con la testa fra le nuvole, guardando fuori. Colse l’occasione delle interrogazioni di fine anno (che lei era riuscita a completare già la settimana prima) per stare solo fisicamente nel banco, scarabocchiando sul suo quaderno dello sfogo e pensando a come usare il suo nuovo potere per arrivare da Ryu.
Il desiderio che aveva espresso con Kyuubey la notte prima era stato quello della manipolazione dello spazio; in parole semplici, il teletrasporto. Il famiglio le era apparso all’improvviso in una notte di due mesi prima. L’aveva sorpresa in un momento di disperazione con le lacrime agli occhi. Quel giorno si era concluso il quarto mese di fidanzamento a distanza della coppia, una cosa così splendida e triste allo stesso tempo che lo strano essere non aveva potuto non notare.
Miho non si fidò subito delle parole di Kyuubey quando le apparve. Diceva che bastava un semplice contratto per ottenere poteri magici capaci di esaudire un qualunque desiderio, che lei ne aveva le capacità. Lì per lì lo mandò via, ma poi, continuando a vederlo passare per strada che le lanciava delle occhiate per i giorni a seguire, non poté che cedere alla tentazione. Una mossa avventata da parte sua, ma l’avrebbe scoperto solo in seguito. Nel frattempo, sognava, felice come non mai. La sua compagna di banco le chiese invano cosa avesse, e una buona metà della classe si accorse del suo strano atteggiamento. Ma alla fine Miho era una personalità marginale nel gruppo di classe, quindi quasi nessuno se ne curò più di tanto se non per pettegolezzo.
Quando suonò la campanella dell’ultima ora, la ragazza stava ancora disegnando. Fu un ragazzo, suo amico più stretto, a risvegliarla con una sbirciata al suo quaderno. Miho ci teneva fin troppo ai suoi disegni. Nessuno doveva vederli se non voleva ridurla a balbettii e colorito peperone. Ma a Kusuri non dispiaceva vederla così, e a maggior ragione perché doveva farle rendere conto che era finita la lezione le poggiò le mani sulle spalle e guardò.
«Chi è quella piccolina che hai disegnato lì?» non fece in tempo a dire prima che l’altra sobbalzasse e chiudesse il quaderno. Si girò di scatto, e lui sorrise, divertito.
«Nessuno!»
«Però aveva dei bei vestiti. Lolita, eh?» Si sistemò la cartella in spalla. «Comunque sbrigati a mettere a posto, dobbiamo andarcene.»
«Di già?»
«Eh sì.»
Ben presto si ritrovarono a scendere le scale dei due piani dell’edificio e ad uscire fuori dal portone. Miho si guardava intorno. Teneva la Soul Gem in mano adesso, chiusa tra le mani, e non vedeva l’ora di usarla.
«Ti accompagno a metà strada anche oggi?» chiese Kusuri, ignaro, guardando il dito da cui mancava l’anello che aveva tenuto fino a fine mattina. Lei non se ne accorse.
«No, oggi no, ho una faccenda da sbrigare.»
«Ma come, così all’improvviso?» Kusuri sembrò un po’ deluso. «Di solito se non organizzi le cose da giorni prima...»
«Questa è un’eccezione» tagliò corto la ragazza. Si strinse nelle spalle e si girò verso il suo compagno di classe. «Scusami tanto.»
«Oh beh... Non importa.»
«Allora ci vediamo domani!»
«Ehi, e la lezione di pianoforte?»
«Oh sì! Ci vediamo lì!»
Detto ciò Miho ebbe ancora più fretta di trovare un posto sicuro dove usare i suoi poteri. Era vero, alle sette avrebbe dovuto essere dalla professoressa di musica a ripassare il brano per il saggio finale.
Iniziò a correre e ben presto si ritrovò nella piazza della fontana. Le scale scendevano circolarmente fino al piazzale, la cui pavimentazione era decorata con tenui motivi floreali. I giochi d’acqua della fontana erano sempre bellissimi, ragione per cui attiravano sempre molte persone, soprattutto ragazzi. Ma non ad ora di pranzo, e non nei quattro vicoletti secondari che si frapponevano fra le due strade principali, incidenti giusto nella fontana.
La giovane si affrettò a raggiungere il vialetto a nord-ovest della piazza – le strade principali imitavano gli antichi cardi e decumani – e si appoggiò con le spalle al muro.
Seppe guardando la splendida luce emanata dalla Soul Gem che per utilizzare il suo potere le bastava desiderarlo, quindi chiuse gli occhi e...
Puff.
Quando riaprì gli occhi si trovava vicino ad un portone di un palazzo che non aveva mai visto. Si guardò intorno. Nulla era riconoscibile, se non per la vaga descrizione che Ryu gli aveva fatto della via in cui viveva. Ce l’aveva fatta, ma ammise a sé stessa di essere stata fortunata. Sarebbe potuta apparire davanti a qualcuno, il che sarebbe stato particolarmente controproducente. Sospirò, quindi si avvicinò al citofono, premette il pulsante con su il cognome di Ryu e aspettò. Sentire la sua voce le sciolse il cuore.
«Pronto?»
«Scendi, sono Miho.»
Ryu rimase impietrito dalla sorpresa. Si riscosse solo alla voce della madre.
«Chi è, Ryu?»
«Ehm...» Si inventò una scusa più o meno plausibile mentre chiudeva il citofono. «Amici. Pranzo fuori.» Detto ciò, afferrò il cellulare, il portafogli e le chiavi e si richiuse in fretta la porta dietro prima che la mamma potesse fare domande.
Suo padre distolse l’attenzione dalla televisione e i due fratellini, che stavano giocando nel salotto, si affacciarono a vedere senza trovre niente più che la porta chiusa. Dopo un po’ di perplessità generale, ognuno tornò a fare quello che stava facendo senza farsi troppe domande.
Miho era su di giri. Dondolava girando su sé stessa in attesa di vederlo scendere dalle scale. La pietra luminescente era tornata nella forma di anello, ma ancora brillava al suo dito, come i suoi occhi. E quelli lo furono ancora di più quando incontrarono una figura più che conosciuta fare di corsa la discesa e aprire il portone. Non gli diede tempo di dire niente. Si alzò sulle punte, gli allacciò le braccia al collo e se lo tirò giù, a dargli un bacio a stampo.
Si staccarono dopo qualche secondo. Lei continuava a sorridere mentre lei la osservava, accigliato.
«Ma qualcuno qui non aveva detto di non aver mai viaggiato sola?»
«Ho trovato il modo di arrivare qui senza troppi problemi. L’unica cosa a cui devo stare attenta è il tempo. Non preoccuparti del resto, ok? Fidati di me.» Fece un giro su sé stessa.
Ryu non era esattamente convinto del “senza problemi” della ragazza, ma averla vicino era stata una tale sorpresa e gioia che preferì non badarci al momento. Anche lui avrebbe corso qualche pericolo per una scappatella. Scese dallo scalino che lo separava dalla sua ragazza e si avvicinò a darle un altro bacio.
«Hai già mangiato?»
«No.» Si girò mostrando la cartella. «Vengo or ora da scuola.»
Ancora più strano,considerò lui. «Beh...» indugiò ricordandosi che quel giorno sarebbe dovuta uscire proprio a quell’ora, «allora lascia che ti porti da qualche parte.»
«Grazie!» fece lei, e lo prese per mano. «Ti seguo.»
 
Le ore trascorsero velocemente. Si erano fatte le cinque ormai, e i due erano ad un parco, su una panchina, a mangiare un gelato insieme. Avevano parlato del più e del meno, si erano baciati, erano stati davvero insieme. Come una coppia normale. Con la differenza che quell’evento era stato tutt’altro che normale, e che nessuno dei due voleva davvero che lo diventasse. La specialità dei loro momenti era la cosa che rendeva quell’amore uno dei più belli di tutti.
Tuttavia un flash attraversò la mente di Miho all’improvviso.
“Allora vengo a prenderti oggi verso le quattro. Vedi di non farti lasciare da sola, sta’ sempre in compagnia e se vai in giro fa’ attenzione.”
Oh no! Hoshi!
Si diede una mossa col gelato fino a finirlo, prima di lui.
«Mh... Miho?»
«Scusami Ryu» iniziò in fretta e furia mentre si sistemava e si rimetteva in spalla lo zaino, «ma ora devo proprio andare, ho perso di vista l’orario, credo di essere nei guai.»
«Oh... allora non ti trattengo oltre» replicò lui abbassando il tono di voce, comprensivo ma un po’ riluttante. Si strinsero forte.
«Tornerò presto, anche se non so dirti quando.»
«Ma Miho, come...»
«Te l’ho detto prima. Fidati di me.»
Si guardarono per dei lunghi istanti, poi lui sospirò, accondiscendente. Lei gli sorrise con gratitudine.
«Ci sentiamo stasera per cellulare!»
«Come sempre.»
Allora Miho ricominciò a camminare a passo veloce per il parco, cercando un luogo appartato. Appena lo trovò, si teletrasportò subito in una stradina vicina a casa di Kusuri; afferrò il cellulare e lo chiamò.
«Pronto?» rispose dopo due o tre squilli l’amico.
«Ho bisogno di te» fece l’altra. Lo convinse nonostante le sue proteste, e dopo qualche minuto si ritrovarono a correre verso la scuola un’ora e tre quarti prima del dovuto.
«Se Hoshi chiede qualcosa,» spiegò in breve la ragazza, «tu reggimi il gioco. Ho avuto da fare con te e mi sono totalmente dimenticata che doveva riportarmi a casa più o meno un’ora fa.»
«Sarà nervosetto, eh» commentò Kusuri.
«Sicuramente. Ma lui ti adora, quindi chiuderà un occhio e mi aiuterà con i miei.»
«Ma cos’hai fatto in verità per fare così tardi?»
«Ehm... poi ti racconto un’altra volta.»
Quando arrivarono davanti a scuola, Hoshi era appoggiato alla portiera della macchina parcheggiata e batteva nervosamente il piede a terra.
«Hoshi!» lo chiamò il ragazzo, superando Miho e raggiungendo per primo il più grande dei tre. Quest’ultimo, ignorando il primo, diede un’occhiataccia alla sorella nello stesso momento in cui lei si fermò lì vicino.
«Uh...»
«Sei in ritardo signorina.» Miho non riuscì a sostenere lo sguardo del fratello, ma Kusuri accorse in suo aiuto.
«E’ colpa mia» disse subito, facendosi avanti di un passo. «Miho è stata così gentile a stare con me fino all’ultimo... Una professoressa ci ha assegnato un compito di gruppo che toccava a me iniziare, e Miho ha deciso di fare subito la sua parte aiutando me visto che ero in difficoltà. Mi è stata di grande aiuto.»
«Hmm...» commentò pensoso Hoshi, rabbonendosi un pochino.
«...mi spiace di non aver nemmeno avvisato, ma presi com’eravamo...» convenne Miho. Allora l’altro si spostò dalla macchina con un sospiro e aprì la portiera.
«Evitiamo di farlo ricapitare però, o dovrò parlarne con mamma e papà.»
Un gran peso scivolò via dalla coscienza della ragazza, che con un rinnovato sorriso salì in auto e ringraziò  con un cenno Kusuri dell’aiuto.
«Ti prometto che come minimo la prossima volta ti farò almeno una telefonata, fratellone.»
«Brava.»
La portiera si chiuse con un “pum”, e il ragazzo fece il giro dell’auto passando da davanti. Salutò l’amico più piccolo con la mano e quello fece altrettanto, e mentre mise in moto l’auto e partì l’altro si era già girato e incamminato nuovamente verso casa, a passo più lento.
In verità, Hoshi non credeva molto alla scusa del lavoro di gruppo. Fece vedere di aver creduto solo perché era stato ragazzo anche lui. Aveva fatto le sue stupidate a suo tempo e anche più pesanti di quelle della sorella – ne era sicuro – e sapeva che si doveva lasciare un minimo di spazio agli adolescenti per renderli felici in un’età tanto difficile.
Una volta a casa, Miho dovette chiudersi immediatamente nella sala del pianoforte a provare i suoi pezzi. Aveva degli esercizi da fare, e le dispiaceva andare impreparata a lezione, quindi col massimo impegno si diede da fare e riuscì ad arrivare pronta a scuola, per la terza volta in quella giornata. Di nuovo si ritrovò a parlare con Kusuri del pomeriggio, ma fu attenta a non far trapelare niente di quello che aveva realmente fatto aggirando ogni domanda che, come sempre, Kusuri poneva in modo discreto e a volte addirittura nascosto pur di ottenere una risposta. Quando arrivò il loro turno di esercitarsi fu un sollievo per Miho. Si dimenticarono (almeno apparentemente) entrambi della faccenda, e la musica addolcì entrambi. In particolare, la ragazza non si era mai sentita più leggera.
Non è necessariamente “barare”. Un po’ di felicità spetta anche a me.
Tuttavia nel profondo già sentiva che la situazione non era così semplice come sembrava. Ci doveva essere per forza un peso bilanciatore. E la sua conferma arrivò mentre i due stavano percorrendo la strada di casa, fianco a fianco.
«Insomma la professoressa ti ha assegnato un brano particolarmente difficile.»
«Eh già,» sospirò il ragazzo, «ma non mi spiace mettermi alla prova in questo modo.»
«Davvero, ma che pazienza hai tu? A me i brani classici mettono una gran noia addosso! Mi piace suonare i pezzi che imparo da sola e farmi aiutare dalla prof a perfezionarmi più che a farle ascoltare gli assegni.»
«Beh, anch’io lo preferirei, ma tu lo sai, suono da due anni più di te e ho intenzione di diplomarmi ad un conservatorio un giorno.»
«Ammiro la tua forza di volontà...»
Ci fu una piccola pausa. Miho abbassò gli occhi sul marciapiede, mantato di un blu abbastanza scuro e delineato dai primi neon che si accendevano al loro passaggio. L’estate aveva allungato le giornate, ragione per cui il cielo non era ancora completamente buio, ma avere la strada più illuminata rendeva più sicure le passeggiate in ogni caso. Incrociò le mani dietro la schiena e continuò a guardare i grandi quadrati che pavimentavano la strada, poi i loro passi, paralleli e contemporanei. Sorrise. Aveva letto da qualche parte che camminare in quel modo significava “buona affinità”, e lei teneva parecchio all’amicizia con Kusuri.
Ma poi una terza ombra si stagliò avanti a loro come a sbarrarle la strada.
Alzò il viso verso un lampione semi-oscurato, e Kyuubey era lì.
Quando Miho si fermò a guardare verso il suo lato ma più in alto, Kusuri non poté che incuriosirsi. Guardò lei, poi in alto dalla stessa parte. Quando il famiglio bianco si rese conto di essere osservato da un secondo sguardo spostò per un attimo gli occhi sul ragazzo, ma lo ignorò, e tornò alla neo-maga.
Lei sapeva che Kyuubey si lasciava vedere solo dalle persone che voleva, quindi non si curò tanto dell’occhiata che scambiò con il suo amico. Seguì i suoi movimenti finché il felino, sceso dal lampione, non sparì dietro una siepe di un giardino poco lontano.
A quel punto Kusuri si rigirò verso di lei, con aria interrogativa.
«Che c’è?»
«Uhm...» titubò la ragazza. «Credevo di aver visto un gatto.»
«Oh...»
Di nuovo silenzio. La ragazza si affrettò a spezzarlo.
«Beh, dai, andiamo. Ho già ritardato troppo una volta, oggi, ora meglio di no.»
«Hai ragione.»
I due ripresero a camminare. Si scambiarono poche altre parole, pensosi, e poi quando dovettero separarsi lui le lasciò inaspettatamente un bacio sulla fronte.
«Ci vediamo domani» aggiunse naturalmente, con un sorriso.
Miho, un tantino in imbarazzo, sorpresa dal gesto dell’altro, si limitò a sorridere appena e a salutarlo con la mano. Rimase a guardarlo finché non si allontanò di una buona decina di metri, quindi girò su sé stessa e seguì la strada che l’avrebbe riportata a casa, inconsapevolmente seguita dal felino bianco.
Anche Kusuri a un certo punto si voltò indietro. Serrò le labbra nel vederla allontanarsi, quindi accelerò il passo e svoltò in fretta l’angolo.

  
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