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Autore: kirlia    01/08/2013    5 recensioni
Nessuno si è mai chiesto come Franziska affrontò la morte di Manfred von Karma? 
E se avesse bisogno dell'aiuto di qualcuno per riprendersi dal dolore della perdita di un padre, anche se non è mai stato presente per lei? E se quel qualcuno fosse proprio herr Miles Edgeworth?
Dal capitolo 18: 
Sapevo che la presenza della nipotina avrebbe cambiato molte cose nella mia vita. Anzi, in effetti, stava già succedendo: mi sentivo meglio, quando ero con lei, non avvertivo il peso opprimente delle mie responsabilità e del mio cognome. Mi sentivo semplicemente me stessa. 
Spesso succedeva anche quando ero in presenza di lui, ma non volevo ammettere che mi tranquillizzasse. Lui mi destabilizzava.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Franziska von Karma, Miles Edgeworth
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Perfect for Me'
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Capitolo 16 – Memories

All of my memories keep you near.
In silent moments,
Imagine you being here.
All of my memories keep you near,
In silent whispers,
Silent tears

Made me promise I'd try,
To find my way back in this life.
Hope there is a way,
To give me a sign you're okay.
Reminds me again it's worth it all,
So I can go home.

 Memories.


 

Il sole mi abbagliò per un attimo, quando uscii di casa in quella mattina di primavera.
Mi resi subito conto che era una bella giornata: gli uccellini cantavano e i fiori gialli e rossi adornavano ogni angolo del viale che portava dalla casa alla strada principale. Sembrava che la natura si fosse risvegliata all’improvviso, inondando di colori persino il centro della città. Respirai a pieni polmoni e anche l’aria mi parve pulita e profumata da mille odori diversi, che mi rilassarono e mi resero stranamente serena.
Sorrisi leggermente. Era proprio una mattina perfetta.
Mentre scendevo i gradini dell’ingresso e lasciavo che i raggi luminosi del sole inondassero i miei capelli color cielo di riflessi argentei, sentii delle voci e degli abbai dietro di me. Non ebbi tempo di voltarmi per vedere cosa stesse succedendo e rimproverare i proprietari delle voci, quando un grosso cane beige, inseguito da uno più piccolo e scuro, inseguito a sua volta da una bambina dagli occhi color mare, mi urtò un fianco facendomi quasi perdere l’equilibrio e cadere giù dalle scale. Il cestino che portavo cadde però a terra nell’impatto, aprendosi e rivelando il contenuto. I sandwich e le altre cose che avevo preparato per il pranzo si riversarono sull’erba, insieme ad alcune bottiglie d’acqua e un thermos pieno di tè al gelsomino.
«Annika!Welpen! Nicht ausgeführt! [Cuccioli! Non correte!]» li richiamai ad alta voce, tentando di farmi ascoltare. Né i cani, né la bambina mi ascoltarono però, forse perché il mio rimprovero non riuscì ad essere convincente, e continuarono a correre in cerchio nel giardino davanti alla casa.
Il mio sguardo cadde per un attimo sulla mia nipotina: indossava un abitino rosa confetto che si gonfiava grazie alla brezza leggera che spirava, e un cappellino con fiocco dello stesso colore. Sorrisi senza nemmeno accorgermene. Le piacevano molto i fiocchi, un po’ come me.
Distraendomi da lei, tornai al mio lavoro e, con un sospiro rassegnato, guardai il disastro che avevano combinato e mi inchinai per raccogliere almeno le bevande, che erano rimaste intatte. Per i panini non c’era niente da fare… ormai erano sprecati.
Mentre cercavo di salvare ciò che era rimasto del picnic che avevo faticosamente preparato quel giorno, un’ombra scura e fresca calò su di me, con la figura di un uomo che conoscevo molto bene. Una certa irritazione mi colpì immediatamente, rendendomi conto di aver rovinato la nostra uscita e che ora di certo lui me l’avrebbe fatto notare.
Senza voltarmi dissi semplicemente:«Herr Miles Edgeworth, invece di stare lì a fissarmi con quell’espressione da sciocco – perché anche senza vederti sono sicura che stai sorridendo come uno sciocco – vieni ad aiutarmi».
L’ombra dietro di me si spostò, rivelando la figura del mio “fratellino” che si chinò accanto a me per aiutarmi a raccogliere ciò che era ancora salvabile.
Lo osservai con la coda dell’occhio, solo per un attimo: oggi aveva un abbigliamento più sportivo del solito, con quella camicia casual di un rosso scuro e dei semplici jeans che lo facevano sembrare un ragazzo come tanti altri. Eppure, sapevo perfettamente che non era un ragazzo come tanti altri, e quello mi fece sorridere, ancora. Quel giorno ero particolarmente felice, mi dissi, malgrado l’inconveniente del pranzo.
Avevamo quasi finito di recuperare le vivande quando, cercando di prendere una confezione di merendine che Annika mi aveva convinto a portare con noi, sfiorai accidentalmente la mano di Miles. Per un attimo i nostri sguardi si incrociarono, cielo azzurro dei miei occhi che si specchiava nelle nubi d’argento dei suoi, e io sentii il sangue affluire alle mie gote, riscaldandole e arrossandole. Subito diedi le spalle a Miles, imbarazzata e confusa dall’importanza improvvisa che avevo dato a quel gesto. Perché mi comportavo in quel modo? In fondo, mi aveva solo toccato la mano… non era niente di straordinario. Anzi, si sarebbe meritato una bella frustata! Dov’era la mia frusta, quando serviva? Smarrita, mi guardai intorno, come a volerla cercare.
«Cosa c’è, non ti senti bene? Forse sarebbe meglio che ti alzassi, Frannie…» disse subito lui, prendendomi saldamente le braccia e aiutandomi ad alzarmi, come se non potessi farlo da sola.
Lo trovai un gesto estremamente strano, e lo guardai con un’occhiata ancora più confusa e preoccupata, come se non riuscissi a capire. Soprattutto, quello che mi incuriosiva era il tono che aveva usato: premuroso, preoccupato, come se fossi un oggetto così fragile che aveva paura di rompere all’improvviso. Cosa stava succedendo…?
E poi, lui era troppo vicino a me, e mi guardava e mi sfiorava in modo così dolce e intimo, con una confidenza che non avevamo mai avuto. Con una complicità che non gli avevo mai accordato.
Il mio sguardo diventò ostile e si fissò sul suo, che invece era sorridente e affettuoso come non l’avevo mai visto: i suoi morbidi occhi d’argento si posavano su di me come se fossi la cosa più importante del mondo.
«Sto perfettamente, herr Miles Edgewor…» cominciai nervosa, ma fui interrotta da un suo dito che si posò gentilmente sulle mie labbra, come se mi volesse zittire, ma in un modo molto sensuale.
Sospirai stupita, e i miei occhi si sbarravano mentre lui mi circondava la vita con un braccio, e con l’altra mano andava a sfiorare il mio ventre…
«Shhh. Non vorrai spaventare il piccolo. Non è vero, frau Franziska Edgeworth?» chiese scherzosamente, ma sottolineando le ultime parole con un sorriso amorevole.
Io rimasi congelata e con gli occhi sbarrati, come se non sapessi cosa fare, come se non riuscissi a capire il significato di quelle parole. Il mio sguardo si abbassò, posandosi sulla sua mano che carezzava lievemente il mio ventre evidentemente gonfio.
No… quello… non era possibile… cosa significava…?
Mentre la mia mente era così affollata dalle domande contrastanti che mi stavo ponendo, delle dita gentili mi presero per il mento e mi costrinsero ad incontrare di nuovo il morbido sguardo d’argento dell’uomo davanti a me. Lui non sembrava per niente turbato, anzi era più rilassato del solito, come se tutte le preoccupazioni e i misteri che sembravano sempre affliggerlo fossero scomparsi.
Aprii la bocca, per dire qualcosa, chiedere spiegazioni, cosa fosse successo. Ma nessun suono uscì dalle mie labbra, poiché la stessa mano che mi aveva sfiorato il mento, in quel momento si trovava fra i miei capelli intessuti d’argento e attirava il mio viso verso il suo.
Le labbra di Miles catturarono le mie in un bacio dolce, avvolgente, che sapeva di famiglia, di tè al gelsomino e di amore.

«Signora… Mi scusi, signora?» sentii una voce chiamarmi come un’eco lontana. Chiamava me?
Avvertii una mano delicata poggiarsi sulla mia spalla e scuotermi gentilmente, come a voler attirare la mia attenzione.
Non le diedi peso e cercai di raggomitolarmi meglio su quella poltroncina che era stata il mio “letto” per tutti quei giorni. Volevo solo che mi lasciasse riposare, ero così stanca…
«Signora Edgeworth?» ripeté ancora la voce chiamandomi, stavolta con più insistenza e spezzando totalmente il mio sogno.
Per poco non caddi dalla sedia per la sorpresa, mentre i miei occhi si spalancavano allarmati sulla realtà, ma riflettevano ancora le immagini di quel sogno così strano che la mia mente aveva creato. No, la mia mente non poteva essere così sciocca da creare quegli incubi, non poteva… dovevano essere suggestioni, sì. Suggestioni create dagli sciocchi richiami di quella sciocca infermiera che mi stava scioccamente dando della signora! Sembravo forse così vecchia?
Ma soprattutto chi le aveva detto di chiamarmi in quel modo?!
«Edgeworth?! Non c’è nessuna signora Edgeworth!» sbottai reggendomi sbadatamente alla poltroncina come se fosse l’unico appiglio al mondo reale che mi fosse rimasto. Guardai l’infermiera, che sembrava essere a disagio, come se non sapesse come comportarsi, mentre si faceva piccola piccola cercando di sfuggire alla mia reazione eccessiva. Forse.
La osservai bene: una donnina dai capelli castani strettamente legati all’indietro, vestita di bianco e con degli occhi color nocciola. Si, si trattava proprio dell’infermiera che era stata assegnata a Miles e che si occupava di lui. In quei giorni l’avevo vista fare avanti indietro, mentre gli medicava le ferite e controllava i liquidi anestetici che venivano iniettati nel braccio di lui per evitare che sentisse troppo dolore. Sembrava una persona molto dedita al suo lavoro, ma non avevo scambiato con lei più di qualche parola sullo stato del mio “fratellino”.
«Mi scusi. Sa, lei è sempre qui insieme al paziente, il signor Edgeworth, quindi io ecco pensavo…» lasciò incompleta la frase, ma la sua allusione fu ovvia. Pensava che fossi sua moglie! La moglie di Miles… Come poteva solo aver immaginato una cosa del genere? Era davvero assurda, cioè io ero sua “sorella”. Beh, non di sangue, ma eravamo pur sempre cresciuti insieme e lei non avrebbe mai dovuto pensare una cosa del genere sul nostro legame.
Eppure quel sogno, in quel sogno ero stata più di una sorella per lui: eravamo marito e moglie, e aspettavamo un bambino, da ciò che avevo potuto dedurre dalla situazione, vivevamo insieme in una casa con un grande giardino pieno di fiori, con Annika e i due Hunde che gironzolavano divertiti, e… per un attimo avevo ammesso di essere felice in quel luogo, con loro. E dovevo ammettere che persino in quel momento in cui ripensavo a quel sogno da sveglia, la sensazione che provavo era una strana sorta di formicolio nello stomaco che mi faceva sorridere. Ero stata felice, solo per un attimo.
Mentre sorridevo guardando un punto imprecisato davanti a me, finalmente ricominciai a sentire il mondo intorno a me, e con esso le spiegazioni titubanti dell’infermiera, che tentava ancora di scusarsi per l’errore.
«… e poi, la bambina che viene ogni giorno a trovarvi, credevo fosse vostra figlia. Cioè, le assomiglia molto, e voi sembrate entrambi molto affezionati a lei…» continuava la signora, cercando in tutti i modi di dare una spiegazione coerente.
Dovevo effettivamente darle ragione per la mia somiglianza con Annie: era evidente che fossimo imparentate, per quanto io fossi ancora troppo giovane per avere una bambina di sette anni. Inoltre, dovevo accettare anche il fatto che sia io che Miles fossimo molto legati a lei, e che ci sentissimo responsabili di darle una vita serena. In particolare, mi stupiva la gentilezza con cui lui si rivolgeva alla piccola, e l’affetto che provava per quella che in realtà per lui era solo una sorta di nipotina acquisita.
Con un sospiro e un mezzo sorriso alzai la mano, come a chiedere all’infermiera di fermare il suo monologo di scuse e parlai a mia volta.
«Non si preoccupi, frau infermiera. Ero solo turbata per il mio risveglio improvviso» scossi la testa, per poi indicare la poltrona su cui ero seduta, come a voler dire che non era esattamente il giaciglio perfetto su cui riposarsi.
Lei sembrò subito tranquillizzarsi, e dopo essersi rassettata la gonna bianca e aver guardato in giro un po’ confusa, si stava dirigendo verso l’uscita in silenzio. Ma… perché mi aveva svegliato se poi non aveva niente da dirmi?
Stavo per chiamarla ad alta voce, quando il mio sguardo fu catturato da Miles, che dormiva. Non potevo disturbarlo, ora che stava riposando, quindi, con grande sforzo e con le gambe che sembravano cedere per la stanchezza e la posizione scomoda, mi alzai dalla poltrona e mi diressi verso la porta, cercando di richiamarla.
Riuscii ad attirare la sua attenzione solo fuori, in corridoio, davanti alla porta numero 7, quella della camera dove avevo vissuto per giorni. Ormai avevo perso il conto di quanto tempo avevo passato accanto a quel letto, stando ben attenta a rendere il più confortevole possibile il posto dove il mio “fratellino” doveva stare. Mi rendevo conto che quell’atteggiamento, da parte mia, doveva risultare estremamente strano agli occhi di Miles, ma… avevo ovviamente i miei motivi per comportarmi in quel modo. Non ero ancora riuscita a ringraziarlo, dopo ciò che aveva fatto per me, o almeno ci avevo provato, ma non ero mai riuscita a farlo in modo adeguato: la prima volta, invece di “grazie” gli avevo dato dello sciocco – che era quello che era, ma non era il caso di ricordarglielo con una pallottola conficcata nella spalla – e la seconda ero stata interrotta e mi ero chiusa di nuovo nel mio guscio perfetto.
Non ero più riuscita a trovare l’occasione, né il coraggio, di dirgli “Danke, Miles” . Era molto difficile per me, come lo era scusarmi. Eppure l’avevo appena fatto con quell’infermiera, quasi come se il fatto che mi avesse chiamato “signora Edgeworth” non fosse così grave. Non sapevo perché mi ero comportata così.
Le poggiai una mano sulla spalla, nello stesso modo in cui l’aveva fatto lei solo poco tempo fa, e lei si voltò, con un’occhiata un po’ indecisa.
«Doveva dirmi qualcosa? Qualcosa su Mil… sul signor Edgeworth?» le chiesi, cercando di non sembrare troppo diretta, né troppo brusca. Mi sembrava che quella donna si innervosisse facilmente, o forse ero io a fare paura anche quando non volevo?
«Oh, si! Me ne stavo quasi per dimenticare…» commentò lei, passandosi una mano tra i capelli in un gesto nervoso. Già, probabilmente la mia presenza doveva metterla a disagio per qualche motivo. Infatti non se ne era “quasi dimenticata”, bensì “del tutto scordata”.
Non volli accennare a questo dettaglio e la invitai a continuare con un accenno di sorriso.
«Il paziente può tornare a casa. Le analisi sono andate bene, e se lei sarà in grado di medicargli la ferita tutti i giorni potrà…» la interruppi subito, mentre uno strano senso di calore e di liberazione si impossessava di me e mi ritrovavo a sorridere finalmente soddisfatta.
«Questa è una notizia perfetta! Vado subito a dirgli di prepararsi…» cominciai, mentre mi dirigevo velocemente dentro la stanza. Per un attimo mi ero dimenticata della donna che era rimasta immobile lì, quasi stupita dal mio improvviso atteggiamento felice, e mi voltai di nuovo a guardarla.
«La ringrazio per essersi occupata di mio fratello» dissi, calcando in particolar modo la voce su legame di parentela che legava me e il suo paziente, per farle capire ancora che aveva sbagliato a giudicare. Per essere ben certa che non mi chiamasse ancora in quel modo, aggiunsi:«Comunque, io sono la signorina von Karma
Poi, senza aspettare che mi rispondesse e ignorando del tutto la sua reazione alle mie parole, tornai nella camera numero 7, pronta ad annunciare la novità a Miles.


{Miles Edgeworth}

Le giornate in quell’ospedale erano passate molto lentamente, scandite sempre dagli stessi ritmi: sonno, veglia, medicine, sonno, veglia, medicare le ferite. Tutto piuttosto noioso in realtà, e avrei voluto scappare subito da quel posto per tornare a casa e tornare alla mia vita normale.
E l’avrei anche fatto, se una certa ragazza dagli occhi color cielo e dall’atteggiamento piuttosto severo non mi avesse praticamente costretto con il solo sguardo a restare su quel letto e a guardare il soffitto senza poter fare nulla in contrario. Era così insistente a volte, considerato che lei stessa era tornata a casa il giorno stesso dell’operazione, quando un anno fa aveva subito esattamente la mia stessa situazione… Avevo cercato di farle notare questo particolare, ma sembrava non essere in grado di ascoltarmi.
Eppure, per quanto fosse ostinata e, alcune volte, fastidiosa, avevo gradito la sua presenza in quei giorni, e la pazienza con cui si era occupata di me ed era rimasta a farmi compagnia giorno e notte. Aveva persino lasciato Annika nelle mani di Wright, confidando che si sarebbe occupato di lei come faceva con la piccola Pearl, per non lasciarmi da solo! Questo era davvero un grande passo per lei, che non si sarebbe mai fidata di qualcuno che non fosse lei – o me, forse – soprattutto per quello che riguardava la sua nipotina.
Sapevo però che doveva essere stanca: non riposava bene da giorni, su quella poltroncina scomoda che non si addiceva a lei, perfetta von Karma, e non l’avevo vista mangiare molto. Mi rendevo conto che questo poteva essere dovuto a… beh, alla confessione di suo padre di volerla uccidere, e avevo paura che questo la stesse distruggendo dentro, senza che lei lo dimostrasse al mondo esterno. Avevo più volte provato a parlarle, chiedendole come si sentisse, ma lei spesso mi ignorava o sfuggiva in tutti i modi alle mie domande, senza mai incrociare il mio sguardo.
Avevo deciso di lasciarla riflettere su quello che era successo, prima di riprovare di nuovo a introdurre questo discorso, ma non ero certo, in realtà, che fosse la decisione giusta: l’avevo sentita, durante la notte, agitarsi nel sonno, pronunciando parole in tedesco. E non si trattava di parole sconnesse, ma di parole con un senso compiuto, che parlavano di dolore, di paura e di suo padre. Speravo solo che riuscisse a superare anche questo…
Quella mattina, l’anestetico che l’infermiera continuava ad iniettarmi mi rendeva debole, e non riuscivo ad aprire gli occhi che per pochi minuti. Franziska sembrava stranamente serena, accoccolata su quella poltrona, quando mi voltai a guardarla con occhi assonnati. Mi soffermai ad osservarla inconsciamente, notando particolari di lei che non avevo mai considerato prima: i capelli chiari erano imperfettamente scomposti, dandole quasi un aspetto infantile, tenero, e una ciocca ricadeva dolcemente sul suo viso, che sembrava essere fatto di delicata porcellana. I suoi occhi color cielo erano chiusi e incorniciati da lunghe ciglia chiare, le sue labbra…
No, un attimo! Perché la stavo guardando così? Distolsi lo sguardo e costrinsi il mio volto in un’altra direzione. Poi chiusi gli occhi per un attimo, cercando di concentrarmi e di trovare il perché a quell’interesse improvviso per mia “sorella”.
Appunto, lei era mia sorella ! Non mi era permesso osservarla così, come se… No! Non dovevo nemmeno pensarci. Era già la seconda volta che lo facevo, considerato quella, pochi giorni fa, in cui l’avevo trovata casualmente in camera mia con quell’unico piccolo asciugamano a coprirla.
Anzi, pensai arrossendo leggermente, quella era la terza occasione in cui succedeva qualcosa del genere.

La magione von Karma era un luogo freddo e piuttosto buio, per quanto sfarzoso e ricco di ornamenti, che lo rendevano, per certi versi, simile ad un castello medioevale. E, proprio come un castello, era soprattutto un luogo molto grande: era davvero facile perdersi, persino quando si conosceva benissimo quella casa, persino quando ci si abitava da molti anni.
Ed era proprio quello che era successo quella gelida sera di febbraio quando, dopo aver studiato per tutto il giorno, fuori dalla mia finestra si era scatenato un temporale. Avevo deciso di chiudere i libri e di andare in cerca di Franziska, per condividere con lei dei dettagli molto interessanti sul diritto penale, e per essere da lei sfidato, come facevamo solitamente, a chi aveva imparato di più durante quella giornata di studio.
Mi divertiva vedere la sua fronte corrucciata e i suoi occhi color cielo stringersi in due fessure e guardarmi come se fossi il suo più grande nemico, a volte. La sua ostinazione mi faceva tenerezza.
Quindi mi ero diretto in quell’ala della casa dove si trovavano le sue stanze, e dove di solito lei si trovava a studiare. Un fulmine mi accecò per un istante, quando la luce raggiunse il corridoio dove stavo camminando, e mi fece sbagliare l’angolo a cui svoltare. Ciò mi fece inevitabilmente perdere.
Ciononostante, continuai a girovagare per quella zona della casa, sapendo di certo che mi trovavo nell’area della sua camera, e che sicuramente prima o poi avrei sentito la sua voce, o forse lo schiocco della sua frusta.
Per un attimo, mentre i tuoni continuavano a rimbombare sulle pareti e i lampi a confondermi le idee, quando finalmente, con un sospiro di sollievo, vidi una luce provenire da una stanza socchiusa e mi diressi in quella direzione. Non ero sicuro di quale stanza fosse, anzi credevo di non averla mai vista… ma non importava. Di sicuro Franziska doveva essere lì, o almeno ci sarebbe stato uno dei suoi domestici, che mi avrebbe indicato la giusta via da seguire per tornare in un luogo familiare.
Entrai a passo spedito nella stanza, e mi resi subito conto dell’errore che avevo fatto: la stanza era piena di vapore, che creava una sorta di nebbiolina. La luce era soffusa e proveniva da una moltitudine di candele rosa che si trovavano in tutti gli angoli, le fiammelle ondeggiavano vagamente come mosse da una brezza inesistente. Non ero mai stato prima in quel posto, e non credevo nemmeno che esistesse. Se fossi stato furbo, mi sarei voltato e sarei subito andato via, invece, come uno sciocco, feci un passo all’interno di quello che evidentemente era una sala da bagno. Attraverso le nuvole di vapore e alcune bolle di sapone che volteggiavano nell’aria, riuscii infine ad identificare una grande vasca da bagno, sorretta da zampe di leone dorate, all’interno della quale si trovava una figura, immersa nell’acqua calda. I suoi capelli bagnati riflettevano d’argento e di cielo persino in quella luce color confetto non molto forte, una delle sue gambe era fuori dall’acqua, rivoli lucenti scivolavano sulla sua pelle chiara…
Il mio sguardo seguì lentamente una goccia, che rigava la sua caviglia, poi la sua gamba, poi… No! Sentii il mio viso riscaldarsi come se mi trovassi circondato dalle fiamme, e chiusi gli occhi di scatto. Non avrei dovuto guardare! Non avrei dovuto vedere Franziska nuda! Lei era la mia sorellina, ed era solo una ragazzina di appena dodici anni!
Se si fosse accorta di me? Cosa avrebbe fatto? E se l’avesse detto a suo padre? Il signor von Karma mi avrebbe come minimo cacciato di casa per un oltraggio del genere!
Feci un passo all’indietro, decidendo di tornare lentamente sui miei passi e costringermi a dimenticare dell’accaduto, ma inavvertitamente urtai un candeliere d’argento, che cadde a terra, con un rumore che mi parve estremamente assordante in quel silenzio di tomba che si era creato.
Subito sentii un suono scrosciante di acqua che si spostava, e di riflesso mi voltai verso la fonte. Non avrei mai dovuto farlo: Frannie si era alzata in piedi nella vasca, e ora, pur attraverso la nebbia, riuscivo a intravedere le sue forme ancora solo accennate, acerbe, da bambina, eppure ciò mi fece arrossire se possibile ancor più di prima.
«Chi c’è?» chiese lei, ad occhi sbarrati, ma evidentemente non riuscendo a scrutare oltre il vapore come avevo fatto io. Rimasi per un attimo fermo, indeciso, quasi non sapendo se dirle “Ehi Franziska, scusami ho sbagliato stanza” o scappare via.
Decisi ovviamente per la seconda e mi dileguai dalla stanza in fretta, con una marcia che rasentava molto la corsa, lasciandomi dietro la mia “sorellina”.
Il mio ultimo ricordo di quell’episodio era la sua voce cristallina, che echeggiava nel corridoio che attraversavo per allontanarmi di lì.
«Herr Miles Edgeworth, sei tu?»
Non seppi mai se si era davvero accorta che si trattasse di me.

«Miles, svegliati… Miles?» sentii ancora quella voce chiamarmi, dolcemente, e le mie palpebre si aprirono faticosamente. Il mio sguardo ne incontrò uno color del cielo, appartenente alla ragazza che avevo appena sognato, che ora era quasi una donna, e che mi osservava chinata su di me.
Dovevo essermi addormentato, mentre ripensavo a quel ricordo così strano che non avevo più considerato per tanto tempo e che ora tornava tra i miei pensieri. Doveva essere di certo così, visto che ora la luce tenue che filtrava dalla finestra era cambiata, e il sole era già alto.
Mi misi seduto sul letto molto facilmente, e mi resi subito conto di stare molto meglio, rispetto agli altri giorni. Finalmente ero abbastanza in forze, anche se il braccio destro era ancora difficile da muovere, e questo mi rese felice. Sorrisi, forse sarei andato via di lì molto presto…
Anche Franziska sorrise, ed era raro che lo facesse in modo così spontaneo e genuino. Doveva essere davvero contenta per qualcosa, e la guardai con sguardo interrogativo, sperando che rispondesse al mio quesito inespresso.
«Fai bene a sorridere, kleinen Bruder [fratellino]. L’infermiera è appena passata e a quanto pare puoi tornare a casa.» disse lei, cercando di apparire calma e perfetta come al solito, ma con una nota di entusiasmo in più che era facile notare. Probabilmente doveva essere sollevata di poter lasciare finalmente l’ospedale e quella poltrona. Io di certo lo ero.
«Finalmente» commentai, con un sospiro stanco, e passandomi una mano sugli occhi in modo da svegliarmi bene. Riuscivo ancora a vedere le immagini della piccola Frannie nuda nella vasca da bagno, e volevo cancellare quel ricordo dalla mia mente, almeno finché la diretta interessata fosse stata lì insieme a me. Sarebbe stato piuttosto imbarazzante.
Quell’ultimo pensiero mi fece alzare di nuovo lo sguardo su di lei, che nel frattempo si era allontanata e ora cercava qualcosa nella grande borsa che aveva tenuto lì con sé durante quei giorni. Non avevo ancora capito cosa ci tenesse, visto che di solito lei preferiva borsette grandi abbastanza solo per la sua frusta, o ventiquattrore nel caso in cui dovesse portare dei documenti al lavoro. Fu tutto chiaro, quando tirò fuori un completo di giacca e pantaloni color magenta, una camicia e un gilet scuro.
Oh! Mi aveva portato degli abiti puliti… non avrei mai pensato che fosse stata attenta a tutti questi dettagli. Era stata talmente premurosa e accorta nei miei confronti da non sembrarmi neanche lei in alcuni momenti, ma poi mi rendevo conto che forse questa era semplicemente la vera Franziska, quella che era sempre nascosta dentro di lei e che difficilmente lasciava uscire.
O forse stava attenta a tutto perché lei era una perfetta von Karma, come si ostinava a sottolineare ad ogni occasione? Non ne ero certo. A volte riusciva a confondere persino me, che la conoscevo bene, con quel suo atteggiamento ambiguo e difficilmente decifrabile.
Però dovevo ammettere che una sera, mentre rassettava delle lenzuola e pensava che io stessi dormendo, l’avevo sentita perfino canticchiare una melodia molto interessante. Con una voce davvero incantevole… Quella non poteva essere perfezione. Quella era semplicemente Frannie.
Mentre riflettevo su queste cose non notai lo sguardo infastidito che mi lanciò la mia “sorellina”, mentre poggiava i miei abiti sul tavolino accanto al letto.
«Herr Miles Edgeworth, ti sei incantato sciocco?» chiese portandosi le mani ai fianchi, in un gesto spazientito, poi, notando che sembravo ancora perso nei miei pensieri, scosse la testa e aggiunse «Vestiti, ti aspetto fuori.»
Mi diede le spalle e lasciò la stanza, a passo svelto e facendo ticchettare i tacchi sul pavimento liscio e freddo. Le fissai la schiena solo per un attimo, arrossendo leggermente per quei pensieri strani che avevo avuto su di lei quella mattina, poi distolsi lo sguardo.
Dovevo assolutamente darmi una calmata, e smetterla di guardarla così.


Angolo dell'autrice:
Capitolo soprattutto introspettivo, come avete potuto notare... vabbè, lo ammetto, non succede proprio niente xD 
Però mi sembrava d'obbligo, specialmente dopo tutti i dialoghi dovuti al processo, no? Vi ha annoiato? Vi è piaciuto? Oppure è troppo dolce/romantico/fluff? 
Ditemi voi! Non vedo l'ora di leggere le vostre recensioni sui pensieri di Frannie e Miles, che nel frattempo, loro malgrado (o forse no?), si stanno avvicinando sempre di più. 
Vi lascio una bella immagine di Miles e Frannie, per oggi niente vignette XD Ma sono carini  <3

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Okay, non ho più niente da dire... anzi una cosa! Spoiler: nel prossimo capitolo ci sarà il primo POV di Annika! *-*
Adesso ho davvero finito, aspetto i vostri commenti! 

Un bacio,
Kirlia <3

   
 
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