Dodici mesi. Siamo bloccati qui da dodici mesi esatti.
Ho festeggiato il mio diciassettesimo compleanno un anno prima di essere nato, circondato da persone che conosco a malapena.
Niente Masashi. Niente Kazuo. Niente Yuichiro. E soprattutto niente Chigusa, la ragazza per cui avevo una mezza cotta e che, prima di questa disavventura, stavo seriamente pensando di invitare fuori per un caffè.
Alzo la testa verso il cielo senza rompere la posizione del loto con cui sono seduto in giardino. Anche se è metà mattina non sono andato a scuola, come non l’ha fatto Akane. In tutto questo tempo siamo rimasti fermi a livello educativo, impegnati come siamo a cercare una soluzione al nostro problemuccio.
Il sole è pallido e scalda poco, normale per il periodo. Ma non ho freddo, la temperatura è comunque gradevole.
“Ehi, bell’addormentato!”.
Non mi volto, ormai ho imparato a riconoscere quella voce.
“Akiko, cosa c’è? Stavo provando a meditare”. Chiudo gli occhi per dare più credibilità alla scenata.
Un ringhio di disapprovazione. Odia che venga usato il suo nome finto. Una delle mille precauzioni che sono state prese nel suo particolare caso, visto che è l’unica di noi transfughi che non può proprio prendersi il lusso di uscire e camminare in pace.
Succederebbe un macello se qualcuno la riconoscesse e cominciasse a urlare “Akane Tendo è tornata dall’aldilà più giovane! E con una cicatrice da gangster! Aiuto, invasione degli spiriti della vendetta!”. D’accordo che usano la BB cream per mascherarla un po’ ma, come mi sono permesso di far notare fin da subito, non aiuta granché.
“Potresti essere gentile ed evitarti di pronunciarlo se non è strettamente necessario, no?” dice sedendosi al mio fianco. Nonostante le evidentissime differenze è simile a sufficienza alla “mia” Akane da permettermi di poter capire cosa si cela davvero dietro le sue parole. E in questo caso, nonostante la scocciatura superficiale, la sento tutto sommato divertita.
Si dev’essere alzata bene. Al contrario di me.
Per qualche istante la ignoro. Poi gli istanti diventano molti.
“E potresti essere meno scortese con quella che consideri una tua zia” aggiunge soffocando male un risolino.
Mi fa piacere che tu sia di buonumore. Me ne venderesti mica un po’, per favore?
“Non sei lei. Trentaquattro anni di divario non sono bruscolini. Per non parlare del segnetto”.
“Pignolo. L’essenza di una persona rimane sempre la stessa, a prescindere dall’età”.
“Quindi mi stai dicendo che consideri quel Genma il tuo quasi suocero e la Kasumi di qui tua sorella?”.
Fa un verso strano, a metà fra lo sconcerto e la costernazione: “Non... non esattamente. Ma in spirito sì. Più o meno. A volte”.
“Potevi far che dire no, ti saresti risparmiata delle distinzioni inutili”.
“Ora non farmi il criticone a tutti i costi. Guarda che lo so che di base la pensiamo uguale. E poi come saresti riuscito a capirmi e a legare così bene con me altrimenti? È perché ti sei rifatto alle tue esperienze passate con lei e hai saputo sin da subito come prendermi”.
“Tu dici? Io pensavo fosse stata più fortuna sfacciata”.
“Ti sottovaluti, Akira”.
“Non mi va di parlarne, ok?”.
“Ok” annuisce, la voce un pochino affranta.
Torna il silenzio. Per come sto adesso la cosa non mi crea problemi. Anzi.
Contro ogni mia intenzione cosciente sono io a romperlo: “Akane...”.
“Sì?”.
“Credi... credi che torneremo mai a casa?”.
Ok ok ok, aspetta prima di aggredirmi. Ricordo benissimo il diktat secondo il quale l’argomento è off-limits. Solo che... solo che è già passato un anno.
Comincio a preoccuparmi sul serio.
La vita qui non è una tragedia, capiamoci. Gli Ono si sono svenati e si stanno svenando, monetariamente e affettivamente, per cercare di renderci la permanenza meno traumatica possibile. E fra noi tre si è instaurato un rapporto solidale, da anime afflitte dallo stesso morbo che cercano consolazione in chi è come loro. Come dimenticare, ad esempio, i gavettoni che mi hanno tirato addosso solo sei giorni fa mentre cercavo di spegnere le candeline della torta? Va bene, forse dei gavettoni non sono tutta ‘sta gran manifestazione di attaccamento ma... per dire, anche solo qualche mese fa non sarebbe andata così: ci saremmo trovati attorno a un tavolo e mi avrebbero cantato Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri ad Akira, tanti auguri a te in tono loffio, quasi fosse un obbligo. O magari si sarebbero evitati persino quello. Invece lì vibrava l’atmosfera lieta, tipica del compleanno di un amico o di un parente stretto.
Piccole cose del genere, niente di eclatante. Ma abbastanza da farmi sentire benvoluto e accettato, anche in uno strano capannello di persone come il nostro.
E come non sottolineare una volta in più l’estrema ospitalità che questa famiglia ci ha fornito e continua a fornirci, incurante del fatto che siamo piombati all’improvviso nelle loro vite mettendogliele sottosopra? Non ho nessuna remora nel definire Tofu e Kasumi come due genitori adottivi, dei migliori fra l’altro. Sempre disponibili, comprensivi, attenti, rispettosi. E in un certo senso è come se ci avessero davvero adottato, a me e ad Akane, visto che abitiamo qui, mangiamo a spese loro, ci vestiamo a spese loro, ci svaghiamo a spese loro.
Nel caso di lei la cosa è più facile da comprendere, è pur sempre il simulacro di una sorella perduta brutalmente in una sorta di gioco al massacro in cui la tua unica scelta era se volevi crepare da solo o portandoti dietro il mondo intero.
Ma io, a fare i cinici, non sono nulla per loro. Non esisto, non sono mai esistito e non esisterò mai. Sono il figlio di due vaghi conoscenti morti da vent’anni. Eppure non hanno esitato a considerarmi parte della famiglia, come se non ci fosse la minima barriera fra di noi.
Da un anno Tofu Ono e Kasumi Tendo in Ono hanno quattro figli e non due. Per modo di dire, chiaramente, e soprattutto non per il resto della città. La versione ufficiale sostiene che io e Akiko siamo dei cugini di altissimo grado, qualcosa attorno al quinto o sesto, da parte di Kasumi e che siamo venuti a vivere con loro dopo che i nostri genitori sono morti in un incidente. Genma è Genma, non c’è stato bisogno di nessuna copertura e semplicemente ha deciso di tornare a Nerima dopo aver girato tutti i continenti in lungo e in largo.
Oh giusto, dimenticavo: la balla vale anche per Rei. Non hanno avuto il fegato di riempirle la testa con tutte quelle informazioni che la sua mente di dodicenne ingenua non avrebbe mai potuto comprendere. E, onestamente, come biasimarli? Per lei la cicatrice di Akane è dovuta a quello schianto con la macchina.
Tutto ciò è molto bello. Commovente quasi. E non sono sarcastico, lo intendo sul serio.
Però questo è un mondo estraneo. Nonostante tutto a me casa mia manca. Mi mancano i miei genitori, i miei compagni di classe, arrivo persino a farmi mancare i professori. Per dire come sto messo.
“Perché me lo chiedi, Akira?”. La sua voce non tradisce il minimo cenno di tensione. Sembra tranquilla. Ma non credo neanche per un istante che, durante tutto questo periodo, non abbia mai pensato una sola volta alla peggiore delle eventualità.
Comincio a schiacciarmi e a muovere le dita in maniera convulsa. Mi capita sempre quando sono nervoso, e tutta questa calma da parte sua mi rende tale.
Voglio conoscere il tuo cacchio di segreto.
“Sai com’è, un anno di buchi nell’acqua non è un bell’auspicio”. Detto con il tono più neutro che mi esce, visto che è a tutti gli effetti un dato di fatto.
“Non hai torto, già. Però sono serena. Prima o poi qualcosa troveremo, abbi fiducia”.
“In chi? In cosa? In un intervento divino? In qualche kami che decide di guardare giù e fa «massì, rimandiamoli da dove vengono che hanno sofferto abbastanza»? Spiegami come puoi non sentire il desiderio di tornare al luogo cui appartieni”.
Al che mi guarda e assume quella che trovo un’espressione da pesce lesso, troppo cotto e pure un po’ bruciacchiato sulla griglia: “Akira, cosa ti fa credere che non mi sia mai successo? Esattamente come avevo predetto, non immaginando che sarebbe stato necessario averne una conferma pratica, qua non si sta affatto male. Ma hai ragione quando dici che la sete di casa si fa sentire. In questo preciso istante sono solo fortunata che l’essermi alzata col piede giusto dal letto mi sta aiutando a non pensarci, o almeno lo stava facendo finché tu non hai portato a galla l’argomento. In realtà è più semplice di quanto sembri: io, te e Genma siamo abbastanza impotenti rispetto alla situazione, nel senso che possiamo solo aiutare a spulciare il mare di scartoffie di Shan-Pu ma non è che possiamo prendere, dire «Ok, ora vado a casa» e farlo. E quindi, come mi piace dire atteggiandomi da Akane la Saggia, in una situazione di questo genere è meglio cercare di mantenere una prospettiva il più possibile ottimista, ché il disfattismo porta solo danni e crisi isteriche. Soddisfatto, nipote?”.
Quel sorriso sbruffone, da chi ha ragione e sa di averla e non fa niente di niente per non trasmetterti quella sensazione, mi dà una e una sola cosa: la voglia di tirarle uno schiaffo.
Non me ne faccio uno stracazzo di nulla di una che fa la parte del grande maestro buddhista di ‘staceppa. E sono pure troppo di cattivo umore per accettarlo passivamente.
“Sì Akiko, soddisfattissimo. Ma solo una curiosità: il tuo soprannome non dovrebbe essere La Donna che Sveniva la Gente? Parole tue, eh”. Se tu giochi sporco lo posso fare anch’io.
Un altro ringhio, un po’ più gutturale del precedente. Allora vediamo... così non è ancora fuori di sé, palese dal fatto che non mi abbia scagliato su Marte, ma comincia ad accusare il colpo. Poi però scoppia a ridere, spiazzandomi.
Che cos’è questa stregoneria? L’Akane che ricordo, quella del mio mondo intendo, non sapeva cercare di mettere le briglie a una sfuriata montante. Memorabile l’occasione in cui suo marito, in un crescendo di ottusità e totale carenza di garbo, è riuscito a portarla al punto di ebollizione in meno di due secondi e otto decimi e ci ha guadagnato fratture multiple e quattro giorni di trattamento del silenzio. Il tutto partendo da un commento apparentemente leggero sul colore delle scarpe di lei. Papà aveva ragione a definirlo maledetto genio del male mancato.
“Questo tuo autocontrollo è nocivo al divertimento, lo sai?” mi lascio sfuggire ad alta voce, dando corpo ai pensieri.
“Rido per non piangere. E per non riempirti di botte come meriteresti. D’altronde non vogliamo che i tuoi ti vedano senza metà dentatura ed entrambi gli occhi neri, no?”. Uuuuuh, questo tono ilare. Smettila, sennò ti mando a Fanculolandia per direttissima.
“Però vedi che così facendo dai ragione a me? Se tu fossi stata lei io non sarei più qui, nel giardino di casa Ono, bensì sarei a cavalcioni di un orso bianco nel bel mezzo dell’Artide”.
“Uhm. Tre decenni e rotti di differenza... no, saresti in mezzo a qualche foresta africana, probabilmente”.
“Addirittura? Al contrario del vino buono, più invecchi e più peggiori”.
“Dipende dai punti di vista, giovanotto”.
“Ehi! Hai due anni più di me, non cinquanta!”.
“Scusa. Mi sono calata troppo nella parte”.
“Insomma, non chiedo tanto. Vorrei solo rivedere le persone a cui voglio bene. E non che a voi non ne voglia, ma ecco... non è proprio la stessa cosa. Senza offesa”.
“Ovvio che non sia la stessa cosa, e stai tranquillo che non mi offendo. Mi sono affezionata a te, a Shinichi, a Genma, alla Kasumi che ogni tanto faccio ancora fatica a riconoscere... ma non siete voi i miei veri affetti. Come prima hai ragione, innegabilmente. Ogni giorno che passo qui è un giorno che non passo con Ranma, con Ukyo, con Ryoga e persino con Shan-Pu. E quegli splendidi idioti mi mancano da matti. Piuttosto, non ti stufi mai di essere sensato?” conclude alzandosi e sorridendomi ancora.
“E adesso dove vai?”.
“A sfondare qualche mattone. Devo scaricare un po’ di rabbia, tuo gentile regalo”.
Mentre osservo la sua schiena che si allontana...
“Scusa Akane, davvero scusa. Non intendevo irritarti”.
Si ferma e, senza voltarsi nella mia direzione, risponde: “Lo so, Akira. Ho imparato a riconoscere i tuoi giorni no, quindi capisco che buona parte di quanto hai detto è causato solo dal malumore. Passerà. Non lasciarti andare, l’assenza di fiducia uccide. Noi torneremo a casa”.
“Vorrei poterti credere, ma oggi non mi è proprio possibile”.
“Sarà per un’altra occasione, allora”. E, per la prima volta dall’inizio di questa conversazione, il suo tono conciliante non mi infastidisce.
La vedo sparire senza un ulteriore rumore.
Fatico a credere a quanto ho visto e sentito. Sono sempre più convinto che si sbagli, in merito all’essenza delle persone. Perché in lei non c’è l’essenza dell’Akane che conosco, o se c’è è molto indebolita. Manca l’impulsività, l’invidiabile capacità di equivocare apposta, la voglia di far volare le mani al primo sgarro.
Passano dieci minuti e comincio a sentire, in lontananza, grida che mi sono parecchio conosciute.
“Bruttostronzocretinoinsensibilezoticobastardo!”.
Forse la mia teoria non è del tutto giusta. O forse, incredibilmente, quest’Akane diciannovenne ha più autocontrollo dell’Akane ultracinquantenne del mio mondo. Come se poi fosse difficile.
Torno a guardare un punto a casaccio di fronte a me.
All’improvviso dalla mia tasca risuona La Cavalcata delle Valchirie. Beh, uno non può avere una suoneria del cellulare non tamarra per caso? Inoltre ho sempre amato Riccardo Van.
Lo tiro fuori. Tsk, non sono abituato a un preistorico smartphone. Rivoglio lo schermo 3D del mio geniusphone. Ma a cellulare donato dai tuoi benefattori non si guarda nel display.
È Genma.
“Pronto?”.
“Ciao Akira”.
“Ciao vecchio”.
“Oh. Cattivo umore?”.
“Un po’, sì. Che c’è?”.
“Lo sai cosa c’è. È l’ora del nostro rituale quotidiano. Raccatta Akane e troviamoci al solito posto”.
“Ok”.
“A tra poco”.
“A tra poco”.
Cheppalle. Sono talmente sfasato che oggi non ho nemmeno voglia di fare quella cosa. Che, per inciso, è praticamente l’unica possibilità di rimediare alla mia... alla nostra situazione attuale. E quindi di farmi passare lo scazzo. Divertenti i circoli viziosi, proprio divertenti.
Vado a recuperare Cita l’Urlatrice Folle.
“Akane” esclamo entrando nel dojo, mentre lei sta posando altre mattonelle da frantumare “ha chiamato Genma. Ci aspetta al Nekohanten”. Ne hanno fatto scorta dopo l’occasione in cui, essendone sprovvista, non ha trovato niente di meglio da fare che dare un pugno al muro incrinandolo.
Uhm. Che abbia ragione lei?
“Yaaaaaaaah”.
CRONCK.
“Va bene. Dammi due minuti che mi sistemo, indosso l’armamentario e ci avviamo”.
“Ricevuto”.
La osservo con fare annoiato mentre ripone quel poco che ha spostato e si dirige verso quella che è diventata camera sua. Ovviamente, per comodità di tutti, le hanno assegnato la stanza che la sua controparte di qui occupava ai tempi e sulla porta c’è ancora la paperella con il suo nome. Io invece sono finito nell’ex-camera da letto di Nabiki e il vecchio, per cercare di non pesare troppo sui poveri Ono, ha ben pensato di affittare un appartamento lungo la via e di trovarsi un lavoretto. Non so bene, a dire il vero, ma credo che faccia l’operaio perché, nonostante l’età non proprio più verdissima e quel suo maledetto viziaccio del fumo, è ancora molto tonico e capace di sostenere impegni di una certa fatica. Il “mio” Genma non l’avrebbe mai e poi mai fatto, per quel poco che conosco di lui tramite i racconti di zio Ranma.
No, ho ragione io.
La vestizione è rapida, come al solito. Ed eccovi Akiko Honda, siore e siori: trucco pesante ma non perché le piaccia, parrucca di lunghi e setosi capelli biondi, lenti a contatto rosse, felpa di pail anonima, gonna lunga tutto il polpaccio e oltre.
“Continua a meravigliarmi come tu non dia in escandescenze ogni volta per doverti conciare in questa maniera” le dico poggiandole una mano sulla spalla con tono sinceramente rammaricato. Non la sto sfottendo, serio. Se tanto mi dà tanto, cioè se lei ha gli stessi gusti di chi so io, vestirsi in questo modo le fa a dir poco ribrezzo. E io non le voglio così male.
“Ancora che non devo frequentare scuola ridotta così. Con la sfiga che mi gira attorno il travestimento sarebbe andato a pallino in meno di una giornata, e poi vai a raccontare perché sono qui invece di essermene restata buona buonina nel mio loculo”.
“Oh su, Akiko. Tu e il tuo fratellino siete giustamente rimasti traumatizzati dal botto che si è portato via i vostri genitori ed è più che normale che vi siate presi un anno sabbatico”.
“... mi fa ridere che stia parlando del fantomatico Akira Honda come se fosse un’altra persona”.
“Perché, non lo è?”.
“Ora sei ridicolo, non solo buffo”.
“Puoi burlarti di me mentre ci avviamo. Poi sai come diventano se facciamo tardi”.
Sorride per l’ennesima volta mentre mi spinge via e mi incita ad incamminarci. Se davvero mi sto sbagliando ne sono proprio contento, umore odierno a prescindere.
La passeggiata è abbastanza piacevole, tutto considerato. E anche abbastanza veloce.
Varchiamo la soglia del Nekohanten.
E... sì, ci siamo proprio tutti, tranne Shinichi che è bloccato in quel posto di perdizione e tortura chiamato scuola.
Siamo fin troppi, anzi.
Perché c’è pure Nabiki.
13 dicembre 2007.
“Akira, per favore! Calmati! È Nabiki, non un
branco di leoni!” mi
implora Kasumi, inquieta.
“Avrei preferito il branco di leoni!”.
Per fortuna siamo solo noi tre. Non so dove siano gli altri, ma li
ringrazio di non essere presenti. Evito volentieri la figuraccia
astronomica
che probabilmente sto rimediando agli occhi della maggiore delle Tendo.
“Insomma, si può sapere cosa ti prende?”
mi chiede la signora Ono
poggiandomi le mani sulle spalle. Sopprimo l’impulso di
scostarla, non è con
lei che ce l’ho. Bensì con la strega travestita da
essere umano che ha appena
varcato la soglia di casa e ci sta osservando con un sorrisino che le
toglierei
volentieri a sberle.
“Cosa mi prende? Mi chiedi cosa mi prende?”.
“Esatto, ti chiedo cosa ti prende. Non capisco il tuo
comportamento”.
“Rispondile, Akira” mi provoca. E non sa
quant’è vicina a farsi
gonfiare la faccia.
“Io non mi fido di lei” sentenzio. Inutile star qui
a girare attorno al
problema, meglio cavarsi subito il dente.
“In merito a cosa?”.
“In merito alla situazione mia, di Akane e di Genma. Kasumi,
non voglio
credere di dover essere io a spiegarti con chi abbiamo a che
fare”.
“Non devi, infatti. Credo di conoscere mia sorella un
po’ meglio di te”.
Uh, la nota d’astio. Devo aver detto una parola o due di
troppo.
“Non ne dubito” cerco di salvare il salvabile
“Ma resta che di Nabiki
Tendo la Cannibale non mi fido”.
La diretta interessata, a quanto pare stufatasi di rimanere in
disparte, interviene: “E sentiamo, cosa hai paura che possa
fare?”.
“Oh, non lo so. Non sono mefistofelico come te. Non fatico a
credere
che qualcosa di spregevole ti verrà in mente”.
Per un solo, misero istante c’è silenzio. Poi
l’imputata, perché tale
la considero in questo momento, copre la distanza che ci separa e si
pone
esattamente di fronte a me. Chiede a Kasumi di scostarsi e quella
acconsente,
anche se è evidente che la situazione la preoccupa.
“Vuoi la verità, marmocchio? Tutta la
verità, nient’altro che la
verità?”.
“Ci puoi scommettere, megera”.
“In primis ringrazia che io non conosco le arti marziali e
non mi piace
alzare le mani come alla fu Akane, altrimenti adesso ci sarebbe un buco
in più
nel tetto di questa casa e tu avresti l’invidiabile
possibilità di salutare i
passeggeri del più vicino aereo. In secondo luogo: come ti
permetti? Come ti
permetti di sputare giudizi nei miei confronti?”.
“Mi permetto perché ti conosco”.
“Mi conosci? Tu mi conosceresti? Ragazzino, vedi di non farmi
perdere
la calma o potrei rimangiarmi il proposito sulla violenza”.
“Non lo faresti, Nabiki Tendo è tutto fumo e
niente arrosto da quel
punto di vista. Peccato che, da altri punti di vista, sia il peggior
squalo che
infesta il mar del Giappone”.
“Dimmelo, allora. Cosa temi da me? Perché tutta
questa circospezione?
Perché ti fasci la testa prima di essertela
rotta?”.
“Lo ripeto, visto che a quanto pare qualcuno qui non ci sente
da un
orecchio: ti conosco. So di cosa sei capace. Ti ho vista
all’opera. Sono
consapevole del fatto che per te non esistono limiti e non esiste
moralità. Se
vedi soldi in fondo alla via la percorri a testa bassa, incurante di
chi potresti
schiacciare sul percorso”.
“Fammi capire bene” dice incrociando le braccia al
petto “In quella tua
testolina è fiorito il sospetto che io possa, per esempio,
vendere voi tre a
qualcosa o qualcuno per profitto? È questo che
credi?”.
“Fermamente”.
“Lascia che ti dica questo allora: non succederà.
Io sono tornata a
Nerima per le vacanze natalizie e nulla di più. Ammetto che
venire a conoscenza
della vostra situazione è stata una stangata direttamente
fra capo e collo, ma
la mia cara qui presente sorella ha avuto la lungimiranza di introdurmi
al
discorso con gradualità, evitandomi spiacevoli colpi al
cuore. Perché, che tu
ci creda o no, io un cuore ancora ce l’ho. Logorato forse, e
di sicuro non
limpido come un laghetto di montagna. Ma ce l’ho. E ha
ripreso a battere per
alcune persone già da parecchio tempo, oramai. Da diciotto
anni”.
La pausa è solo per dare carica drammatica al pistolotto
strappalacrime.
“Oh, puoi toglierti quel sorrisetto da piccola faina. Ho
intuito a cosa
stai pensando e no, non sto cercando di fotterti. Anche
perché non me la faccio
con i minorenni. Ma seriamente, no. Da quando è morta Akane
ho fatto un solenne
giuramento con me stessa: non toccare mai più i parenti e
gli amici più
stretti. Questa minuscola cerchia include Kasumi e famiglia e Shan-Pu.
E da tre
giorni, mio malgrado, include anche voi. Cioè, tu
davvero pensi che io
potrei vendere una versione di mia sorella, qualcuno che manca dalla
mia vita
da quasi due decenni? Non ho idea da che mondo arrivi e cosa posso aver
combinato dalle tue parti -anche se mi dovrai fare un resoconto in
merito,
prima o poi- ma questo no, non lo farei. Mai. Per nessun motivo.
Neanche per
un triziliardo di yen. Non perderò Akane una
seconda volta per non
aver saputo controllare i miei istinti, anche se non è
davvero sangue del mio
sangue. Preferirei che un vampiro mi gettasse in testa uno
schiacciasassi
urlando «Wryyyyyyyyyyyyyyy!».
Considerati fortunato che la
sua immunità si estenda anche a voi, che al contrario non
avrei nessun problema
a rifilare al primo barbone trovato in strada per un tozzo di pane
duro”.
Grugnisco. Anche le citazioni da una brutta copia
di Hokuto No Ken si mette a fare. Tsk.
Decido che stavolta, solo per stavolta, mi
toccherà fidarmi di questa serpe. Anche perché
temo sarei impotente se
decidesse di mettere in moto uno dei suoi piani di devastazione delle
vite
altrui, eccezion fatta per l’eventualità in cui le
pianto un’accetta in fronte
e passo i prossimi quarant’anni della mia vita in galera.
“Vedi di non farmi pentire della scelta” dico
sottovoce.
“Cosa ci fa
lei qui?” chiedo in tono inquisitorio.
“Che
c’è, Akira? Devo forse chiedere a te il permesso
per trascorrere il Natale con la mia famiglia?” risponde
accigliata.
Sì,
l’antipatia è decisamente reciproca.
Scelgo di ignorare,
non è il caso che scoppi un
litigio in grande stile. Inoltre, per non so quale miracolo, non ha
spifferato
del piccolo incidente occorso fra me e lei l’anno scorso e
non sarebbe saggio
darle motivo per tirarlo fuori.
“E poi non
è meglio avere un paio di occhi e di braccia
in più per passare in rassegna questo quintale di
roba?” indicando la
spropositata quantità di rotoli, pergamene e libroni
più alti di me che, come
ogni mattina, decorano i vari tavoli del Nekohanten.
“Sigh. Temo
tu abbia ragione, Nabiki”. Kasumi,
diavolo. Non darle corda.
“Forza
gente, che non siamo qui per fare salotto.
Diamoci da fare” è la perentoria esortazione di
Genma a cui tutti ubbidiscono.
E, tanto per cambiare,
buttiamo via un sacco di tempo.
Niente. Non riusciamo
a trovare niente di niente.
Allo stato attuale
quel che abbiamo in mano è la
stessa quantità di informazioni in nostro possesso il giorno
in cui è accaduto
tutto: un cazzo.
Non sappiamo come
siamo finiti qui. Non sappiamo chi o
cosa contattare per farcelo spiegare, presupponendo che
l’esserne a conoscenza
serva a qualcosa di realmente concreto e non sia solo per soddisfare la
curiosità. Non sappiamo come invertire il processo.
Sento come delle
neanche troppo virtuali catene che si stringono attorno alle mie
caviglie.
Giudicando dagli sguardi sconsolati dei miei due compagni, per loro non
dev’essere
troppo diverso. Ma al contrario di me nei loro occhi
c’è ancora la fiammella
della speranza, che so per certo del tutto assente in me, quantomeno
per oggi.
Le sfighe del cattivo umore.
“Signori”
fa ad un
certo punto Nabiki, dopo essersi lasciata cadere su una sedia disfatta
dalla
fatica “so che quanto sto per dire suona azzardato. Se
però quel che mi avete
detto è vero, cioè che in questi
trecentosessantacinque giorni avete esaminato
tutta questa roba senza giungere alla minima conclusione... beh, come
si suol
dire a mali
estremi, estremi rimedi”.
“Sarebbe?”
mi azzardo
a chiedere. Mi piace essere il primo ad afferrare il forcone per
respingere
quello che percepisco come un potenziale pericolo.
“Sarebbe che
la
gentile Shan-Pu non è l’unica persona in possesso
di materiale che può dar
risposta alle vostre domande. E anzi, da par suo ha pure un sacco di
esperienza
diretta...”.
Le facce dei presenti
si distorcono in smorfie per nulla rassicuranti. Davvero sono
l’unico a non
aver colto il riferimento?
“Non so di
cosa tu
stia parlando, Nabiki” dico ad alta voce, sinceramente
spiazzato.
“Non... non
puoi
volerlo coinvolgere...”.
“Tu sei
pazza, Tendo.
Pazza”.
“Penso sia
evitabile
tirare in ballo proprio lui...”.
Va bene, va bene. Ho
capito. Sta parlando di una specie di demone in forma umana,
d’accordo. Non
serve che facciate i buffoni per forza, ve l’ha mai detto
nessuno?
“Akira”
esclama lei sorpresa
“davvero non sai di chi sto parlando?”.
“Direi. Non
mi viene
in mente una sola persona che giustifichi questa reazione”.
“Nel tuo
mondo siete
fortunati. Chissà, magari una delle orde di studentesse che
derubava l’ha
finalmente preso e gliel’ha fatta pagare come si
meritava”.
Uh?
“Ti dice
niente il
nome Happosai?"