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Autore: GreedFan    01/08/2013    0 recensioni
«Senti, ragazzino. Io ho quasi quarant'anni, nessuna qualifica particolare e una fedina penale che pullula di denunce per disturbo alla quiete pubblica e ubriachezza molesta. Il mio sussidio di disoccupazione ammonta all'incredibile cifra di quaranta crediti mensili, che è un po' quello che spende la gente normale per una spesa di media entità, quindi sono costretto ad arrotondare trascinando via cadaveri putrefatti dai canali di scolo. Questa è la mia unica occupazione fissa. A meno che tu non voglia propormi di contrabbandare flussoplacche − e non lo farò, tranquillo − ci sono innumerevoli persone più adatte e bendisposte di me per qualsiasi esigenza tu abbia».
Pindar è un uomo che ha perso ogni speranza.
Nybras è un Untore, e come tale ripone grandi speranze nella morte.
Liliane è un'ombra, un pallido dono degli spiriti.
Prima Classificata al contest "A Strange Fantasy" indetto da scrapheap_sama sul forum di EFP
Genere: Drammatico, Horror, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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II. Nybras



La zattera scivola sulle acque nere con una delicatezza impeccabile, senza tremare o inclinarsi sotto la spinta della corrente. Seduto al centro della piattaforma di legno incatramato, un'incerata a ripararlo dalla pioggerellina che continua a cadere ininterrottamente da ore, Pindar scruta pensosamente le vie del secondo anello alla ricerca di qualcuno che richieda i suoi servigi.

Non ha bisogno di remi o timone, perché la zattera risponde con sollecitudine ai suoi pensieri; non è nemmeno una vera e propria zattera, a dirla tutta: la parte inferiore non sfiora l'acqua, fluttua a pochi centimetri dalle onde e brilla di una luce dorata che chiunque, in città, sarebbe in grado di additare come "il Flusso".

Il Flusso è in ciascuno di noi, dicono gli anziani ai bambini che cominciano a fare domande sul mondo, il Flusso è il motore della città e la ragione per cui viviamo e respiriamo. Il Flusso è la sostanza prima e il fine ultimo, è il Sole caldo e la Luna che tinge d'argento le montagne.

Il Flusso, gli Elelu.

Pindar non crede a tutte le cazzate religiose che i vecchi mormorano nei loro circoli da rimbambiti, non ha mai visitato un Santuario in quasi quarant'anni di vita ed è globalmente disinteressato alle implicazioni etiche e morali dell'utilizzo del Flusso; per lui, come del resto per molti abitanti di Ecbàtana, non si tratta che dell'unica fonte di energia disponibile a poco prezzo in qualsiasi parte della città. Finché la zattera funziona, i dilemmi morali sullo sfruttamento ambientale lo ripugnano.

Schiva con facilità la carcassa di un mulo, ribaltato sulla schiena con il ventre gonfio come una botte, e per poco non impatta contro una cassapanca spezzata che beccheggia nella corrente. Le aperture buie delle case, mezzo sommerse dall'acqua, sembrano bocche spalancate di demoni − partorite dagli incubi, le mostruosità destinate a chi non ha crediti sufficienti per pagare l'affitto di un cubicolo ai piani superiori. Ogni tanto un volto bianco come il gesso compare tra i flutti, una mano smagrita urta contro i rifiuti trasportati dall'acqua e poi sparisce di nuovo, nascondendo le spoglie di un profugo che ha accettato di confinarsi in quelle caverne disumane e vi trascorrerà, probabilmente, l'eternità. Nessuno sa quanto a fondo si spingano, giù nel ventre della montagna − certo è che, ad ogni inondazione, qualche scheletro scarnificato dagli anni vede nuovamente la luce.

Un movimento repentino attira l’attenzione di Pindar. Si sporge leggermente dalla zattera, aguzzando la vista nel caos di rifiuti galleggianti, ed ecco che, a pochi metri di distanza, distingue chiaramente una figura umana aggrappata ai resti di un tavolo: è una donna, con la pelle scura della gente del Sud e una matassa di riccioli neri che le aderiscono al viso ogni volta che riemerge dall’acqua putrida e si afferra meglio alle assi. Ha gli occhi scuri, grandi di paura, e annaspa mentre gli ampi vestiti inzuppati la trascinano a fondo.

Pindar è indeciso se aiutarla o meno. Solitamente offre un servizio di sgombero rifiuti a pagamento, non va in giro a ripescare ragazzine bisognose d’aiuto e soprattutto indigenti.

La donna sprofonda sotto il pelo dell’acqua emettendo un grido strozzato, poi tira fuori la testa e ‒ per un’infausta combinazione del destino ‒ si gira verso di lui. Lo vede. Comincia ad agitarsi freneticamente, scuotendo un braccio mentre con l’altro si aggrappa a tutto quello che le capita a tiro, e nel frattempo inghiotte acqua e strilla a perdifiato.

«Aiuto! Aiutami, ti prego!». La corrente, riflette Pindar, non è così forte da uccidere qualcuno che sappia anche solo tenersi a galla; evidentemente la donna viene dalle nazioni dell’estremo Sud, dove non ci sono fiumi e l’unica acqua potabile viene estratta dagli alberi. È stata piuttosto sciocca ad insediarsi in un antro senza prevederne le conseguenze.

Forse è più giusto lasciare che se la cavi da sola.

«Tu che ne pensi, Liliane?».

Stesa sulla zattera con i capelli biondi sparsi attorno al viso come una pozza d’oro colato, lei è ancora più bella del solito. Socchiude gli occhi scuri ed emette un sospiro graziosamente seccato, mentre Pindar si sente invadere da una felicità così perfetta e totalizzante da fargli dimenticare tutto il resto. Gli tiene spesso compagnia durante le inondazioni, seduta a pochi centimetri dall’acqua putrida come un giglio sbocciato in una palude, e Pindar ama osservare il suo viso delicato e le mani da bambola, intrecciate in grembo oppure occupate a giocare con qualche scheggia trasportata dalla corrente. Lei è completamente sua, una visione fragile e stupenda che non si è mai concessa a nessun altro ‒ soltanto i folli, gli ha detto una volta, soltanto loro possono ambire a posare lo sguardo sul suo bel volto.

«Lasciala dov’è, amore mio». Sussurra, la voce come tanti campanelli d’argento «Che te ne fai della gratitudine di una donna come quella? Sprecheresti soltanto il tuo tempo».

«E noi sappiamo che il tempo è prezioso, tesoro». Replica Pindar in un mormorio sommesso «Soprattutto quello che sembra passare troppo in fretta».

La zattera scivola in un vicolo buio, secondario, e la donna del Sud scompare sotto la superficie dell'acqua in un turbinio di schiuma biancastra.



Al tramonto, quando ormai gran parte dell'acqua è defluita e la fascia alta del secondo anello è nuovamente percorribile senza l'aiuto di imbarcazioni, Pindar ripone la zattera nel garage comune a tutto il suo blocco abitativo − una palafitta di cemento armato che sorge tra un pinnacolo roccioso e l'altro, tanto brutta quanto pratica − e prende la motocicletta.

Le moto sono un lusso per gli abitanti del secondo settore: un mezzo usato, purché funzioni, può costare più di un appartamento ben arredato sulla cima di un crinale, e le flussoplacche che servono per avviare il motore costituiscono il principale oggetto di un fiorente commercio di contrabbando. Una placca è una riserva di energia che può durare anche diversi mesi se non è mai stata sfruttata prima, ma nel secondo anello circolano quasi esclusivamente quelle ricaricate − che smettono di funzionare in tempi brevi e, spesso, senza nessun preavviso; Pindar conserva le sue in una cassetta nascosta sotto il letto, e il solo motivo per cui si presta al compito ingrato di sgomberare le strade invase dai detriti è che gli occorrono parecchi crediti per mantenere la scorta a livelli accettabili.

Fischiettando il motivetto allegro di una vecchia ballata da osteria, afferra il telo che copre la moto e lo ripiega con cura, prima di riporlo nell'angolo più asciutto della rimessa − c'è un tale caos di oggetti abbandonati, accatasti alla rinfusa dappertutto, che fatica persino a racimolare qualche centimetro di spazio. Le mani sui fianchi, Pindar osserva per qualche secondo quella che non esita a definire la sua bambina e poi comincia a lucidarla vigorosamente; le cromature delle marmitte luccicano come stelle fredde alla luce grigiastra del cielo rannuvolato, e la carena, pur se intaccata da innumerevoli graffi e abrasioni, è di un verde uniforme ed estremamente acceso, quasi fluorescente. Nel complesso la moto ha una sagoma affusolata, aerodinamica, con la sella sagomata e leggermente inclinata verso l'alto − non si tratta di un modello particolarmente comodo per viaggi lunghi, ma è agile e veloce quanto basta per spostarsi nell'intrico di tunnel e vicoli di Ecbàtana.

Sulla piastra superiore della forcella fa bella mostra di sé una fessura orizzontale lunga poco più di una decina di centimetri e alta una manciata di millimetri. Pindar fruga per qualche secondo nella tasca della felpa, tira fuori una tessera metallica che brilla di una tenue luce dorata e la inserisce delicatamente nell'apertura finché non sporge che di pochissimo, quanto basta per estrarla di nuovo all'occorrenza.

Il motore saluta l'energia della flussoplacca con un rombo cupo, e una nuvola di fumo acre riempie la rimessa.

«Ah, non vedevo l'ora che sparisse quell'acqua del cazzo». Borbotta Pindar, accomodandosi sulla sella sdrucita. Lega i capelli in una coda arruffata per impedire che gli diano fastidio durante il viaggio, poi ingrana la prima e scivola rumorosamente sulla rampa d'ingresso della palafitta, puntando senza indugi all'Horny Nipples.

Adora guidare la motocicletta − è una delle poche cose che lo fa sentire libero, giovane, che lo distrae. Distrarsi è uno degli imperativi a cui si attiene con maggiore ortodossia, perché sa che conservare la piena consapevolezza della miseria in cui vive lo porterebbe in poco tempo all'infelicità; così come la presenza lieve di Liliane, le sue braccia sottili strette attorno ai fianchi per evitare di cadere dal veicolo in corsa, l'alcool e la velocità migliorano la sua vita pur senza introdurre nessun vero cambiamento.

L'aria fresca della seria gli sferza il viso mentre percorre le strade ancora bagnate, dove si percepisce già un lezzo denso e penetrante di putrefazione. Più volte è costretto a curve brusche e pericolose per aggirare carcasse abbandonate sul selciato, in un paio di occasioni si rendono necessari dei cambi di percorso a causa di intere vie ostruite da muraglie di immondizia; un viaggio per cui solitamente impiegherebbe una decina di minuti dura più di mezz'ora, e non si sente affatto sorpreso quando, entrato nel parcheggio antistante il locale, lo trova praticamente vuoto.

Non che ci sia nulla di cui lamentarsi − alla penuria di veicoli corrisponde una scarsità ancora peggiore di posteggi, e Pindar sarebbe quasi tentato di gridare al miracolo di fronte ad un intero piazzale tutto per lui. Spera solo che il locale non sia un mortorio, dopo una giornata tanto noiosa ha voglia di divertirsi.

La porta dell’Horny Nipples, sormontata da un’insegna lampeggiante che raffigura una donna procace sdraiata su un fianco, si spalanca con un cigolio sotto il suo tocco. L’interno è così sporco e privo di attrattive da costituire un’ode muta allo squallore, fatta di tavoli recuperati nei cassonetti dell’immondizia e sedie costruite con i materiali più disparati, di boccali spaiati che hanno visto tempi migliori e di una clientela che riflette appieno la sciatteria dell’arredamento. Quello che attira gli avventori è il prezzo abbordabile delle bevande, non il comfort: non esiste nemmeno un impianto di riscaldamento, e d’inverno l’Horny Nipples si trasforma in una cella frigorifera in cui solo i peggiori alcolizzati di Ecbàtana si arrischiano a mettere piede.

Pindar, cliente abituale, ha addirittura un posto riservato al bancone.

«Ehi, Keyli!». Saluta, nel tentativo di strappare un sorriso alla barista «Stasera sei più bella del solito».

«Non fare il coglione, Slumboy, ormai non ci credo più alle tue cazzate».

Non alza nemmeno lo sguardo, Keyli, e qualcuno degli altri avventori ‒ una nebulosa indistinta di giacche di lana infeltrita, capelli arruffati e barbe di una settimana ‒ ridacchia sonoramente; Pindar cerca Calypso con lo sguardo e la trova quasi subito, intenta a conversare con un ragazzo che avrà suppergiù dieci anni in meno di lei e sembra l’articolo migliore di tutto il locale.

Peccato che a fine serata lei ti avrà fottuto il portafogli, amico”.

Il ragazzo, felicemente inconsapevole, le ha già poggiato una mano sul ginocchio e la fissa, adorante, come un cagnolino che scodinzola per il padrone. Pindar sorride, un ghigno mellifluo che sa di divertimento e vaga cospirazione, poi occupa la sua postazione abituale e batte una mano sul bancone. Si sente su di giri, come ogni volta che sta per cominciare un bel giro di bevute.

«Portami una birra corretta, Key. E che sia bella piena, fino all’orlo, e senza troppa schiuma».

«Parli come se ti fregassi. Roba che ti faccio pagare la metà di quello che dovresti…» la barista, borbottando, riempie un boccale di vetro con una birra densa e torbida che sembra quasi fango giallognolo.

«Troiate. L’ultima volta era mezza schiuma e mezza birra, una cosa indecente».

«Ma se eri così ubriaco che nemmeno ti ricordavi il tuo nome! E poi l’ultima volta era ieri sera, genio».

«E allora?». Il boccale atterra davanti a Pindar con un tonfo sordo, rovesciando qualche goccia del contenuto sul bancone unto «Proprio perché era ieri me lo ricordo bene».

Keyli sospira sonoramente e si appoggia ad uno scaffale ricolmo di bottiglie di liquore, incrociando le braccia.

«Povero Calypso,» sbuffa «è un santo a starti dietro così, senza prendersi in cambio nemmeno un credito».

«Forse mi sta dietro proprio perché sono una delle poche persone di questa città ad aver capito che non vuole che ci si rivolga a lei come ad un uomo, Key». Butta giù un sorso di birra fresca e si sente rinascere, quasi avesse inghiottito una bottiglia di Flusso liquido «A differenza tua, per dire».

«Sei uno stronzo».

«Forse». Pindar fa spallucce e torna a dedicarsi alla birra; si distrae, concentrato sulle gocce di condensa che imperlano i fianchi del boccale, e quasi sobbalza quando la voce conosciuta di Nybras Berglund lo riporta alla realtà.

«Salve. Tu devi essere Pindar, giusto?».

Si è seduto accanto a lui senza fare nessun rumore, nemmeno un lieve fruscio, nonostante i vestiti ingombranti che indossa. Gli rivolge un sorriso affabile e misurato, né freddo né completamente familiare, e Pindar reagisce all'intrusione allacciando le braccia attorno al busto e squadrandolo dall'alto in basso con un cipiglio diffidente.

«Tu sei quello di ieri sera». Mugugna «Okay, forza, dimmi quanto ti devo e risolviamo la questione in fretta».

Berglund, che senza il filtro alcoolico della notte precedente sembra decisamente un ragazzino imberbe, sbarra gli occhi e socchiude la bocca nel perfetto paradigma dell'espressione da pesce lesso. Che ci sia qualcosa che gli sfugge è evidente.

«Aspetta un attimo, non ti devo dei crediti?». Pindar, più confuso di lui, abbandona l'atteggiamento difensivo e appoggia un gomito al bancone. «Cioè,» ridacchia «a momenti mi cago sotto dalla paura e tu non sei nemmeno un creditore?».

«A quanto pare no». Nybras sorride e si riavvia i capelli con un gesto nervoso − porta dei guanti di pelle spessa, leggermente consumati, coperti di disegni intricati sul dorso e sul palmo − poi si sporge leggermente verso Pindar e sussurra: «In realtà, io sono qui per proporti un lavoro».

C'è un piccolo momento di impasse, silenzio pieno di stupore e, perché no, un certo turbamento, prima che Pindar scuota la testa con aria scoraggiata e risponda: «No. Tu stai scherzando».

«Non hai ancora ascoltato la mia offerta».

«Senti, ragazzino. Io ho quasi quarant'anni, nessuna qualifica particolare e una fedina penale che pullula di denunce per disturbo alla quiete pubblica e ubriachezza molesta. Il mio sussidio di disoccupazione ammonta all'incredibile cifra di quaranta crediti mensili, che è un po' quello che spende la gente normale per una spesa di media entità, quindi sono costretto ad arrotondare trascinando via cadaveri putrefatti dai canali di scolo. Questa è la mia unica occupazione fissa. A meno che tu non voglia propormi di contrabbandare flussoplacche − e non lo farò, tranquillo − ci sono innumerevoli persone più adatte e bendisposte di me per qualsiasi esigenza tu abbia».

Berglund, niente affatto scoraggiato dal tono caustico della risposta, allarga le braccia in un gesto conciliante e replica: «Comprendo la situazione, ma ti prego almeno di ascoltarmi prima di rifiutare la mia offerta».

Pindar si agita sullo sgabello e sbuffa, chiaramente a disagio. Le possibilità che la vita ti offre, nella sua personale visione del mondo, sono solo il preludio all'ennesima presa per il culo.

«Sentiamo».

Nybras inspira profondamente e intreccia le dita sotto il mento. Ha degli occhi strani, caldi a livello cromatico ma dall'espressività fredda e affilata, pietre chiazzate di melma sul fondo di uno stagno gelato. Pindar percepisce una scarica lieve di adrenalina, il battito cardiaco che accelera senza nessuna ragione apparente, e le successive parole del ragazzo lo lasciano semplicemente senza fiato.

«Sappiamo chi sei, Pindar Van Hasen. E non sei stato molto gentile con te stesso, affermando che non possiedi "nessuna qualifica particolare"». Le labbra di Berglund si tendono in un sorriso che trasuda veleno, il ghigno ferino di una serpe. Sembra un'altra persona. «Secondo le mie fonti è da quasi cinque anni che vivi qui... strano che non ti abbiano ancora trovato, vero?».

"Non ci credo. È passato così tanto tempo..."

La sensazione di panico che gli stritola le viscere è così opprimente e improvvisa che Pindar si sente soffocare. Si guarda intorno freneticamente, cercando il viso di Liliane, il conforto dei suoi occhi scuri, ma lei − per qualche ragione che non riesce a spiegarsi − improvvisamente è sparita. Non è lì con lui nel momento del bisogno, e alla paura si aggiunge l'ombra venefica del tradimento.

"Maledetta puttana".

«Che fai, cerchi una via di fuga?».

«Smettila». Il corpo del quarantenne si tende come la corda di un arco, i pugni serrati e tremanti sulle ginocchia − d'un tratto l'espressione bonaria e perennemente vacua di Slumboy è sparita, sostituita da una maschera di rabbia feroce e appena trattenuta che lo fa assomigliare ad un cane rabbioso; coglie con la coda dell'occhio uno sguardo sorpreso di Keyli, e afferra Nybras Berglund per un braccio prima che ricominci a parlare «Non qui. Non so chi cazzo sei o chi ti ha mandato, ma questo non è il posto per−»

«Questa topaia di terz'ordine è semivuota, Van Hasen. Ci sono almeno una decina di posti in cui, se non ti metti a urlare, potremo parlare senza problemi». Nybras si alza in piedi, e il mantello per un momento si apre a rivelare un'uniforme militare di panno nero con uno strano simbolo ricamato sul petto «Vuoi seguirmi o preferisci continuare qui?».

Pindar vorrebbe urlare e riempire Berglund di calci, ma si costringe ad obbedire. Il senso di umiliazione cocente che prova quando scende dallo sgabello e si avvia verso uno dei tavoli più appartati viene appena mitigato da un'occhiata di Calypso, che lo fissa dall'altra parte della sala. "Tutto a posto?" sembra chiedere, e Pindar risponde con un cenno rilassato della mano − controllare il tremito è particolarmente difficile − e un occhiolino. Spera solo che lei non si alzi e non decida di impicciarsi.

«Chi è quello... o quella?». Dice Nybras, una volta che si sono seduti. Accompagna la domanda con una smorfia divertita − è evidente che considera Calypso alla stregua di un fenomeno da baraccone, ed è un atteggiamento che Pindar trova parecchio irritante.

«È la persona che mi riaccompagna a casa quando sono troppo sbronzo per farlo da solo». Sospira, puntando lo sguardo sulle venature irregolari del tavolo di legno «Il che, al momento, costituisce l'interazione sociale più complessa di cui sono capace».

«Interazione sociale...» Berglund si appoggia allo schienale scheggiato di una vecchia sedia impagliata e affonda una mano tra i riccioli castani, un gesto che dev'essere una specie di tic nervoso «... parli così anche con i tuoi amici? Se la risposta è sì, mi chiedo come faccia la maggior parte di loro a capire quello che dici».

«Io non ho amici, ragazzino». Pindar si rende conto che un'affermazione del genere può suonare ridicola, pregna del nichilismo degno di un quindicenne, ma allo stesso tempo sa che si tratta di verità pura e incontrovertibile. D'altra parte non pretende che un individuo mellifluo e arrogante come quello che gli sta di fronte prenda certe cose sul serio.

«Credo che poche persone al mondo possano vantare di possedere un autentico amico fidato». Nybras snocciola con disinvoltura verità formulate da qualcun altro, ma Van Hasen non si azzarda nemmeno a chiedergli di andare dritto al punto. Semplicemente, nemmeno lui vuole sapere che cosa lo aspetta. «Tuttavia, se non in veste di amico, io sono qui come tuo sostenitore, Pindar. Io credo davvero che tu stia sprecando una grande opportunità, seppellendoti nel secondo anello come un reietto qualsiasi».

«I reietti sono quelli che vivono negli slum del terzo anello, credimi. Esperienza personale».

«So anche questo. Dopo la tua miracolosa fuga hai passato due anni negli slum e poi sei scappato di nuovo per trasferirti in una zona più sicura... abbiamo seguito le tue tracce molto a lungo prima di riuscire a stabilire un contatto, sai?».

"Stronzetto supponente". La saccenza di Nybras lo fa imbestialire quasi più del suo perenne sorrisetto arrogante.

«"Abbiamo"... di chi stai parlando?».

«Permettimi di presentarmi». China la testa in avanti con una certa grazia teatrale, poggia la mano inguantata sul cuore e mormora: «Nybras Dušan Berglund, cancelliere della Confraternita degli Untori».

Pindar aggrotta le sopracciglia e si accarezza il mento con una mano, pensoso, cercando di richiamare eventuali ricordi legati a questi "Untori". Non conosce nemmeno il significato del termine, ed è un dubbio che si affretta a manifestare.

«Scoprirai chi siamo e cosa facciamo se accetterai di collaborare con noi. È una spiegazione lunga e ci troviamo davanti ad una di quelle occasioni in cui la realtà supera di gran lunga la fantasia... se non ti mostrassi i fatti temo che non mi crederesti. Posso dirti questo: siamo un gruppo numeroso che lotta per il bene di questa città, e la nostra guerra contro i signori del primo anello potrebbe raggiungere un punto di svolta grazie a te».

«Guerra?». Pindar inarca un sopracciglio, mentre in lui si fa strada il dubbio di trovarsi davanti all'esponente di una qualche setta di esaltati «Non sarete uno di quei movimenti politici di poveri scemi che puntano al raggiungimento di uno status quo per tutti gli abitanti di Ecbàtana, vero?».

«Dubito che un simile movimento avrebbe accesso agli archivi che ci hanno permesso di trovarti, Van Hasen. Non trattarci da sciocchi». L'avvertimento vibra come la coda di un serpente a sonagli nella voce di Nybras «Piuttosto, dovremmo parlare del Flusso».

«Credo che ogni bambino al di sopra dei cinque anni sappia cos'è il Flusso, ragazzino». Scherza Pindar, senza nessuna allegria.

«Non mi riferisco all'energia in sé, quanto alla sua fonte. Viste le tue origini, immagino tu sappia da dove si estrae il Flusso... o forse l'hai dimenticato, in tutti questi anni?».

Pindar scuote la testa, poi sussurra: «Gli Elelu. Sono i guardiani del Flusso, ed è da loro che gli Affini estraggono l'energia. Dieci anni fa conoscevo persino qualche Affine... mi sono sempre chiesto come facciano a dominare il Flusso, e perché soltanto loro ci riescano».

«È uno dei misteri irrisolti che circondano questa città. Gli Affini sono capaci di dominare l'energia come io e te sappiamo parlare o camminare, sin dalla più tenera età. Sai quali sono le sorgenti energetiche vere e proprie? Scommetto che non hai mai visto niente del genere». Nybras infila una mano sotto il mantello, e quando la tira fuori stringe qualcosa tra le dita; le dischiude di poco, appena qualche millimetro, e Pindar scorge una pietruzza tonda di un giallo caldo e vivace che brilla come se fosse incandescente, come una fiamma viva. Emette la stessa luce dorata e rassicurante delle flussoplacche, solo più intensa.

«Che diavolo...»

«Questo è un uovo. Un uovo di Elelu». Gli occhi di Pindar si spalancano dallo stupore «Gli Affini possono estrarre l'enorme energia latente che si trova qui dentro e trasferirla ai generatori, alle flussoplacche e a tutti i macchinari che servono perché Ecbàtana continui ad esistere». Berglund, circospetto, nasconde nuovamente l'uovo «Sai come fanno, quelli della città alta, a procurarsi la quantità enorme di uova di cui hanno bisogno?».

Pindar scuote la testa, la gola un po' secca. Gli sembra assurdo non aver mai sentito parlare di una cosa del genere.

«Le raccolgono nelle profondità dei laghi sotterranei in cui vivono gli Elelu. Prima che i primi uomini costruissero le loro abitazioni in superficie, nelle viscere della montagna prosperavano a milioni, nascosti nelle grotte... ma dopo, quando abbiamo imparato a sfruttarli a nostro piacimento e ne abbiamo scoperto il valore, il loro numero ha cominciato lentamente a diminuire. Ci sono stati persino dei tentativi di allevamento, ma gli Elelu si rifiutano di vivere in un ambiente intaccato dalla mano umana».

Van Hasen, poco convinto, fa spallucce: «E allora? Dovrei preoccuparmi dell'estinzione di quegli spiritelli? Scusami, ma a stento riesco ad essere empatico nei confronti delle altre persone... figurati quanto mi importa delle creature non umane».

A parte Liliane. Lei è l'unica eccezione.

«La scomparsa degli Elelu si ripercuote anche su di noi». Sibila, Berglund, sbattendo il pugno sul tavolo in un moto di rabbia «Prova a pensarci, vecchio. Quante alluvioni si verificavano dieci anni fa, eh? Una, due all'anno al massimo. Adesso siamo fortunati se le fogne non straripano ogni mese».

«Mi stai dicendo che gli spiriti della montagna non hanno niente di meglio da fare che sabotare la rete fognaria?». Pindar non si aspetta che Berglund rida alla sua battuta, ma l'occhiata omicida che gli regala è del tutto inattesa.

«Oh, naturalmente questo è il minimo. Sono stati generati dall'acqua all'alba dei tempi, Van Hasen, e possono farne quello che vogliono». Ha lo sguardo acceso, la voce accalorata «Possono avvelenarla, ed è esattamente quello che stanno facendo. Conosci qualcuno che lavora all'ospedale distrettuale del secondo anello?». Pindar scuote la testa «Lo immaginavo. Altrimenti sapresti che da un po' di tempo è sempre più raro che i bambini nascano sani. Ho visto le malformazioni più mostruose, laggiù, così orrende che è difficile pensare che si siano generate spontaneamente...»

«Al punto che pensi siano la vendetta maligna di qualche spirito?». Pindar scuote la testa «Ho già sentito questi discorsi, anche se mi mancava la storia delle uova. E sono solo cazzate, ragazzino. I bambini nascono deformi perché nel secondo anello più della metà della popolazione è costantemente strafatta con roba che la avvelena da dentro. Creazioni umane, puoi starne certo».

«Stai mentendo a te stesso, e lo sai. L'hai provato sulla tua pelle, no?». La voce di Nybras è affilata come un rasoio. Pindar impallidisce bruscamente e contrae le labbra in una linea dritta e sottile come un tratto di matita «Sto parlando di tua moglie, di Lil−»

«Non pronunciare il suo nome, bastardo succhiacazzi». Van Hasen abbassa il tono di parecchie ottave, e quello che esce dalle sue labbra è più un ringhio bellicoso che una risposta vera e propria «Tu non sai niente di Liliane, lei non era malata...»

«Lo era, Van Hasen. Lo era, e sono stati gli Elelu».

«E allora che cosa vuoi da me?!» Si alza in piedi bruscamente, gridando, la sedia si rovescia con un tonfo «Vuoi che ti aiuti a salvare quelli che l'hanno maledetta?».

«Gli spiriti non agiscono per il bene o per il male, non seguono le logiche umane». Anche con la mente offuscata dalla rabbia, il quarantenne non può fare a meno di notare che Berglund sembra allarmato, la sua voce divenuta più incerta. Ghigna. «Gli Elelu stanno cercando di difendere la loro razza come farebbe chiunque altro nella stessa situazione, perciò non puoi addossare a loro la colpa».

«Quindi? Che soluzione proponi?». Beffardo, Pindar raccoglie la sedia e si accomoda di nuovo «Per che cosa esattamente ti serve il mio aiuto?».

«Nel primo anello si trovano tutti gli impianti di estrazione delle uova e le abitazioni degli Affini. Allevano anche loro, come se fossero bestie». Una smorfia di ribrezzo attraversa il viso di Nybras «Tu puoi aiutarci a superare le barriere».

«Come fai a sapere che posso? Sono passati otto anni».

«Suppongo di non dover ribadire che abbiamo condotto delle ricerche su di te, Van Hasen. Sappiamo quello che puoi fare e quello che non puoi fare». Pindar ridacchia, un suono secco e sgraziato che assomiglia al verso delle cornacchie «Sarà sufficiente che ci aiuti a superare i cancelli e le guardie che li proteggono, noi ci occuperemo del resto».

«Mi stai chiedendo un favore che non ti concederò mai, ragazzino».

«Non mi aspetto che tu dica subito di sì». Poggia una sorta di strana collana sul tavolo, una cordicella ruvida con un pendaglio che raffigura la testa di un volatile dal lungo becco appuntito «Pensaci, Pindar. Pensa al bene che potresti fare e alla memoria di tua moglie. Quando deciderai di prendere parte alla nostra causa, indossa questa: se le tue intenzioni saranno buone, ti porterà da noi». Nybras si alza con una grazia fluida ed elastica a cui Pindar si è disabituato, dopo tanti anni nel secondo anello; con ogni probabilità ha ricevuto una qualche specie di addestramento militare, e deve avere molti più anni di quanti non suggerisca il suo aspetto giovanile.

«E se non accetto?».

«Perderai per sempre la possibilità di punire i veri colpevoli di quello che è successo a tua moglie». Berglund sorride, avviandosi verso l'uscita «E una soffiata indesiderata potrebbe arrivare all'Alto Ufficio Amministrativo. Non tutti si sono dimenticati di te, Custode Emerito del Primo Cancello».


   
 
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