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Autore: GreedFan    01/08/2013    0 recensioni
«Senti, ragazzino. Io ho quasi quarant'anni, nessuna qualifica particolare e una fedina penale che pullula di denunce per disturbo alla quiete pubblica e ubriachezza molesta. Il mio sussidio di disoccupazione ammonta all'incredibile cifra di quaranta crediti mensili, che è un po' quello che spende la gente normale per una spesa di media entità, quindi sono costretto ad arrotondare trascinando via cadaveri putrefatti dai canali di scolo. Questa è la mia unica occupazione fissa. A meno che tu non voglia propormi di contrabbandare flussoplacche − e non lo farò, tranquillo − ci sono innumerevoli persone più adatte e bendisposte di me per qualsiasi esigenza tu abbia».
Pindar è un uomo che ha perso ogni speranza.
Nybras è un Untore, e come tale ripone grandi speranze nella morte.
Liliane è un'ombra, un pallido dono degli spiriti.
Prima Classificata al contest "A Strange Fantasy" indetto da scrapheap_sama sul forum di EFP
Genere: Drammatico, Horror, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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The Weak Link


Feelin' like a freak on a leash (You wanna see the light)

Feelin' like I have no release (So do I)

How many times have I felt disease? (You wanna see the light)

Nothing in my life is free... is free

Korn, "Freak on a Leash"


Father into your hands

I commend my spirit

Father into your hands

Why have you forsaken me?

System Of A Down, "Chop Suey!"



I. Voli Pindarici



Pindar abbandona la testa sul bancone ‒ le dita che tentano, senza successo, di artigliare l'ultimo boccale di birra della serata. Il vomito pizzica sul fondo della gola e ogni cosa nell'ampio salone dell'Horny Nipples − nome di squisita raffinatezza: nell'Antica Lingua Corrente significa qualcosa come "il dormitorio degli spiriti" − gira su se stessa come una turbina in procinto di esplodere, e di sicuro c'è qualcosa di profondamente sbagliato nel trascorrere così il proprio trentasettesimo compleanno.

O forse è il trentottesimo.

Non si lava i capelli da una settimana e mezza, e una massa oleosa e biondiccia copre parzialmente la visuale sulla scollatura generosa della barista di ritorno − nulla per cui angustiarsi, visto il seno prorompente di Keyli − e ciocche unte gli finiscono in bocca ogni volta che cerca di parlare. Prova ad articolare una richiesta di soccorso, perché il semplice gesto di avvicinare le dita alla testa e gettare all'indietro la zazzera incolta sembra al momento piuttosto complesso, ma tutto quello che esce dalle sue labbra è una sequela di versi inarticolati.

«Auuo...» biascica «... heili 'asso 'euamehi daha faha...»

Si chiede dove sia Liliane. Lei compare sempre in questi frangenti, si materializza accanto a lui e lo aiuta come può − del resto, per qualcosa che non è corporeo e nemmeno visibile al resto del mondo non deve essere facile dare manforte ad un quarantenne ubriaco. Solleva la testa, inarcando il collo quel poco che basta per parlare meglio senza vomitare tutto il contenuto del suo stomaco, e per un attimo cerca i capelli biondi di Liliane nella folla eterogenea che popola l'Horny Nipples.

A parte una ragazza alta e magra con il viso coperto da tatuaggi che cambiano continuamente colore, non c'è nessuno che le somigli anche solo lontanamente.

«Ehi... Keyli...»

Alza un po' il volume e finalmente, interrompendo l'asciugatura di un bicchiere sudicio, la barista posa i suoi enormi occhi verdi su di lui e arriccia il naso in un'espressione di puro disgusto.

«Oh, ma guarda tu che cazzo di roba. Pindar, 'rcaputtana, quanta roba ti sei scolato?!».

Apre per bene le dita della mano destra e le agita un po', giusto per rimarcare il concetto: cinque. Cinque birre corrette con una damigiana di alcool etilico puro, fedeli alla consuetudine ben poco elitaria dell'Horny Nipples.

«Finirai per ammazzarti, imbecille. Ma dove cazzo è Calypso?».

Pindar cerca di trarsi in salvo con un mugolio affranto − Calypso e le sue infinite tiritere moraliste sono l'ultima cosa di cui ha bisogno per raggiungere casa incolume ‒ prima che una mano insolitamente gentile si posi sulla sua spalla destra e un viso maschile, bello pur nella visuale sfocata dell'ubriacatura, gli si piazzi davanti.

«Posso aiutarlo io, se non è un problema». Ha i capelli castani, riccioli grossolani che gli sfiorano appena i lobi delle orecchie, e occhi marroni screziati di verde; indossa una palandrana nera abbottonata fino al collo e guanti dello stesso colore ‒ per quello che Pindar riesce a vedere, eccetto viso e gola non ha lasciato un singolo centimetro di pelle scoperta. Si irrigidisce, allontanandosi un po' dal ragazzo con un'imprecazione biascicata. Non lo conosce, non sembra affidabile e soprattutto non ha un bel paio di tette su cui spalmarsi in attesa che passi la sbornia.

«E tu chi cazzo sei, scusa?». Keyli squadra il nuovo arrivato dall'alto in basso, le mani piantate sui fianchi generosi «Non mi pare di averti mai visto in sua compagnia, e io questo stronzo qui lo conosco molto bene».

«Nybras Berglund». Il ragazzo si inchina con aria compita «Volevo semplicemente dare una mano, ho davvero un'aria così losca?».

Keyli inarca un sopracciglio e attorciglia una ciocca di capelli neri sull'indice, pensierosa.

«Io sono Keylianna Moreau e sì, hai davvero un'aria così losca. Non ti ho mai visto da queste parti... non sarai mica del primo anello, eh?». Nella domanda di Keyli è palpabile la minaccia, ma Nybras non dà il minimo segno di cedimento: solleva entrambe le mani, sulla difensiva, e scuote la testa.

«Senza offesa per questa meraviglia di locale, ma non mi ritroverei in un posto del genere se avessi i crediti di uno che vive del primo anello».

«Ah, ma senti un po'. Be', per quanto mi riguarda puoi anche andartene affancul‒»

«Keyli, cara, non mi sembrano modi da rivolgere ad uno sconosciuto che ha detto la pura e semplice verità sul locale». Una voce alta, acuta in modo forzato, spezza il momento di tensione prima che una quarta persona si sieda con disinvoltura accanto a Pindar «E comunque ti avevo chiesto di andarci piano con le ordinazioni di 'sto qua, sai che esagera sempre».

Keyli sbuffa con aria contrariata, Nybras strabuzza gli occhi e Pindar emette un gemito disperato.

«Ha... lypso».

«Tesoro, se non riesci nemmeno a pronunciare il mio nome sei messo davvero male. Adesso ti riaccompagno a casa, non preoccuparti. Comunque, Berglund, checché ne dica il nostro comune amico, io sono Calypso».

L'individuo di nome Calypso si fa notare non solo per la statura ‒ supera di tutta la testa qualsiasi altro avventore del locale ‒ ma anche per il vestiario piuttosto peculiare di cui fa sfoggio: indossa un abitino striminzito di pailette che cangiano dal verde al viola a seconda della luce, un paio di stivali di vernice azzurra e una cascata di bigiotteria multicolore, di tutte le sfumature comprese tra il giallo e il blu. Calze a rete di un arancione così carico da sembrare fosforescente accarezzano gambe lunghe, atletiche e abbronzate; i capelli, una massa di boccoli rosa shocking molto curati, sono intrecciati a tutta una serie di pendagli e nastri dalle forme più inconsuete.

Nybras Berglund impiega qualche secondo a recuperare la propria compostezza quando si rende conto di trovarsi di fronte ad un uomo − i tratti marcati e spigolosi del viso di Calypso lasciano poco spazio a congetture, così come le sue mani grandi e nodose e la totale assenza di seno. Sotto il falsetto aggraziato che ammanta le sue parole può sentire senza nessuno sforzo il timbro basso e carezzevole di una voce maschile, per quanto sapientemente nascosta.

«Salve... io−»

«Non disturbarti, Berglund. Sarei deliziata di trascorrere del tempo con te, ma Pindar sembra sul punto di vomitare anche l'anima e casa sua è lontana. Scusami».

Calypso afferra Pindar come se fosse un sacco vuoto e se lo carica in spalla, attirando gli sguardi scioccati di parecchi avventori; prima di andarsene si avvicina a Nybras − socchiude gli occhi, di un verde cupo che scintilla nella penombra − e sussurra: «Non so cosa volessi dal mio amico, ma la prossima volta farai meglio ad avvicinarlo quando è sobrio o quando io non sono nei paraggi. Altrimenti ti spezzo le gambe».

Il ragazzo fa istintivamente un passo indietro, mentre sul viso di Calypso affiora un sorriso melenso.

«Ci si vede, pasticcino».



Il profumo di caffè appena fatto è la miglior accoglienza possibile per chi si prepara ad affrontare un dopo sbronza. Pindar lo sa bene e si avvoltola pigramente nelle lenzuola fresche di bucato mentre, al di là delle palpebre serrate e di un paio di porte mezze rotte, Calypso si affaccenda in cucina tra il tintinnio delle tazzine e la vibrazione cupa di un frigorifero ormai da buttare.

Qualche ricordo si riaffaccia nella mente in subbuglio, le dita fresche di Calypso sulla fronte, a scostare i capelli, il bruciore del vomito in gola e il contatto piacevole con la pietra gelata del bagno. Non è la prima volta che lo riaccompagna a casa in condizioni pietose, e Pindar si chiede davvero perché lo faccia − non si considera un tipo simpatico, affabile, o comunque qualcuno con cui valga la pena trascorrere del tempo. Se potesse, lui stesso eviterebbe la propria compagnia.

«Le fogne hanno tracimato di nuovo». All'annuncio di Calypso seguono un paio di imprecazioni e un lungo lamento «Andiamo, non dirmi che ti dispiace avere una scusa per rimanere chiuso in casa come fai tutti i giorni».

Pindar si tira a sedere con uno sbuffo e appoggia la schiena alla testiera del letto − un bancale rivestito con gli stracci che ha raccattato in giro per il quartiere − prendendosi qualche secondo per osservare il caos in cui è immersa la sua stanza. Il pavimento − una distesa di anonime piastrelle grigiognole sbeccate e coperte di crepe − è nascosto da una coltre di panni sporchi irrigiditi dal tempo e confezioni di cibo take-away buttate un po' ovunque; agli angoli del soffitto prosperano colonie di ragni che Pindar non ha né la voglia né la crudeltà di eliminare, e sulle pareti spoglie fanno bella mostra di sé chiazze fangose di origine non ben precisata. Non c'è niente che indichi la presenza di una persona, eccetto la sporcizia.

Calypso entra nella stanza brandendo un vassoio di peltro su cui ha ammonticchiato vari biscotti e una tazza di caffè fumante, si siede sulla sponda del letto e sorride a Pindar in un modo che promette allo stesso modo cure e tenerezze e tremende rappresaglie. La tuta giallo limone che indossa crea un contrasto stranamente allegro con l'arredamento squallido, e Pindar si scopre a pensare che è per merito di Calypso se in casa sua, ogni tanto, c'è un po' di colore.

«Allora, come ti senti?».

«Mah, non ho nemmeno troppo mal di testa. Non è stata la serata peggiore della mia vita».

«Oh, no. Stavolta sei riuscito a non molestare nessuno e a non procurarti qualche livido prima di tornare a casa». Ha sempre odiato il sarcasmo corrosivo di quella che, in fin dei conti, è la sua unica amica «A proposito. Hai una vaga idea di chi fosse il tipo che rompeva i coglioni? Quello vestito di nero dalla testa ai piedi».

Pindar butta giù un sorso di caffè rigenerante e scuote la testa, pesca un paio di biscotti punteggiati di cioccolato e li sgranocchia, affamato.

«Probabilmente un creditore, ma non mi ricordo bene la sua faccia. Come ha detto di chiamarsi?».

«Nybras Berglund. Nessuna delle mie conoscenze ha mai sentito parlare di lui, e questo è piuttosto bizzarro». Calypso intrattiene rapporti mercantili e/o amichevoli con mezza città, sempre pronta ad invischiarsi in ogni genere di affari loschi, e può vantare una tale quantità di fonti di informazioni che la mancata identificazione di Berglund suona, effettivamente, sospetta.

«Se davvero, come penso, gli devo dei crediti... be', in quel caso sarà lui a presentarsi di nuovo. Chi ti presta la grana non dimentica mai di riprendersela».

«Siamo tutti abituati ai pazzi furiosi con cui ti indebiti, Slumboy». Calypso sa che detesta quel soprannome, e proprio in virtù di questo lo usa tutte le volte che può «Ma questo aveva qualcosa di strano. Non sembrava più pericoloso di quel vecchio tossico che il mese scorso per poco non ti ha accoltellato, ma i suoi vestiti erano...» arriccia il naso «... puliti. E con "puliti" intendo dire che non puzzavano di fogna come quelli di chi vive qui da sempre».

Pindar smette di sorseggiare il caffè e inarca un sopracciglio, cercando di raccogliere un po' di concentrazione nella palude dolorante che è il suo cervello.

«Stai dicendo che potrebbe essere del primo anello?». È un opzione assurda persino per lui, che si imbarca spesso in speculazioni del tutto prive di senso, ma lo fa rabbrividire comunque dal disgusto «Cazzo, mi ha pure toccato. Che dici, per te mi ha passato qualcosa?».

Calypso fa spallucce.

«Quelle sulle epidemie che sono scoppiate lassù potrebbero essere soltanto voci. Anche perché nel primo settore riescono a curare tutte le malattie senza sforzo... dicono che sia perché usano gli Elelu, no?».

Negli occhi azzurri di Pindar passa un'ombra, le dita si stringono impercettibilmente attorno alla tazza bollente.

«Così dicono. Com'è la situazione, là fuori?».

«Puoi affacciarti e rendertene conto da solo».

Ci vuole qualche secondo perché l'uomo, appesantito da un intorpidimento diffuso e sgradevole, riesca a liberarsi dal viluppo di lenzuola e scenda dal letto, barcollando. L'unica finestra della stanza è un quadrato di cinquanta centimetri di lato tappato alla meno peggio con pezzi di vetro rimediati chissà dove e rimasugli di cartone pesante, infradiciato dalla pioggia, ma offre una visuale notevole del corso principale del secondo anello. Spazza via la condensa con una mano rattrappita, Pindar, e appoggia la fronte al muro scrostato.

«Cazzo, è un bel bordello».

Molnavje, la strada più grande e frequentata del secondo anello della città di Ecbàtana, è un caos di fango e carcasse di piccoli animali che scivolano sul selciato e si ammucchiano nei canali di scolo otturati, di motociclette abbandonate su un fianco e autobus sventrati e deformati dall'impatto con le pareti rocciose della montagna. Succede ogni volta che piove: le fogne, da troppi anni abbandonate a sé stesse, si colmano di acqua e rifiuti e smettono di funzionare; i tombini saltano, geyser di fango e detriti marcescenti invadono le corsie pedonali, i negozi sbarrano le entrate e le case al pian terreno vengono travolte da un'inondazione di liquami. Il fetore è così forte che chi abita in una delle tane affacciate sulla strada mura le finestre o le copre con qualsiasi cosa abbia a disposizione, perché quel lezzo, che si incolla alle pareti e impregna i capelli e i tessuti, nemmeno dopo la morte andrà più via.

La fiumana scende verso il basso senza apparente interruzione, diretta verso gli slum del terzo anello − dove, probabilmente, ristagnerà per settimane prima che l'amministrazione riesca a pomparla via. Accarezza pigramente le basi dei pinnacoli rocciosi in cui la gente di Ecbàtana ha scavato le proprie case, si infiltra nelle cantine e sommerge qualcuno dei ponticelli tesi tra una guglia e l'altra, strappando via le funi marce che li assicurano a robusti chiodi conficcati nella pietra. Più vicine alla cima della montagna, una rete di grigio che ne avvolge i fianchi e i crinali come un sudario funebre, le strade del primo anello non sembrano in condizioni migliori − non fosse per le enormi muraglie di calcestruzzo che separano i tre settori, i rifiuti si accumulerebbero soltanto in basso, sulle pendici del monte, e invece ristagnano equamente in ogni angolo della città. Il lato positivo è che anche i ricchi sono costretti a godersi l'olezzo delle proprie miserie.

«Mi chiedo perché l'amministrazione cittadina non spenda un po' di soldi per sistemare le fogne. Guarda che schifo... e io che mi consideravo un privilegiato quando mi hanno rifilato questo buco con vista su Molnavje».

«Puoi effettivamente considerarti un privilegiato,» celia Calypso, frugando pensosamente tra i biscotti «hai sia un magnifico panorama sul cuore pulsante del secondo anello che una fantastica vista fiume». Ridacchia «E la puzza qui non è molto peggiore che da me, credimi».

«La tua simpatia mi uccide».

«Non più di quanto faccia l'alcool, Slumboy».

Pindar sbuffa e lancia la tazza su un mucchio di vestiti, poi si sfila la maglietta e i pantaloni come se Calypso non fosse nemmeno lì. Uno dei lati positivi dell'essere mentalmente disturbati, secondo Pindar, è il fatto che le persone non si offendono se le ignori o se ti comporti in maniera strana davanti a loro: fanno finta di non vedere o, come nel caso di Calypso, partecipano lietamente della tua stessa follia.

Il bagno, un bugigattolo di un paio di metri quadri scavati nel granito rossastro della montagna, comprende una grata che sostituisce il pavimento e un tubo di ferro arrugginito che sbuca dalla parete e vomita costantemente una cascatella di acqua mista a terra. Una nicchia nella parete ospita grossi pezzi di sapone fatto a mano, simile a burro grigiastro e puzzolente di cenere, e Pindar se ne strofina uno sulla testa, a lungo, nel tentativo di rendersi presentabile. Sente la cute bruciare, irritata, ma non se ne cura: dopo tanti anni nel secondo anello si è abituato ad una vita spartana, probabilmente le essenze fruttate dei detergenti del primo settore finirebbero per disgustarlo.

«Devi buttare giù un po' di pancia». Calypso, nel frattempo, sta facendo piazza pulita dei biscotti «Keyli non ti verrà mai dietro, se continui così».

«Keyli ha ventidue anni e io sono brutto, Cal». Non c'è amarezza nelle parole di Pindar, solo una vuota constatazione «Chi vuoi che mi guardi?».

Percepisce un sospiro, ma il rumore dell'acqua che gocciola nelle orecchie è troppo forte perché ne sia certo.

«Liliane ti ha più parlato?». La voce di Calypso è modulata, incerta, e chi la conosce sa quanto una circostanza del genere sia rara. Pindar si volta verso di lei e sorride, senza smettere di strofinare la schiuma grigia sui capelli, poi inclina la testa da una parte e si appoggia al muro come se improvvisamente gli mancassero le forze. Sospira.

«Lei mi parla sempre, Cal. Lei è sempre con me, tutto il tempo». Negli occhi di Pindar risplende una felicità così intensa che Calypso non se la sente di contraddirlo, ma non può impedirsi di indietreggiare leggermente «A volte, quando la puzza di putrefazione è meno forte, riesco addirittura a sentire il suo profumo».

Calypso non può esserne sicura, non con la testa di Pindar sotto il getto dell'acqua, ma le sembra che i suoi occhi si siano fatti rossi e lucidi, prossimi al pianto. «Sei proprio un vecchio pazzo,» mormora «matto da rinchiudere».

Nonostante tutto c'è qualcosa in lui che la affascina, forse il totale abbandono del suo sguardo o la lentezza studiata e metodica dei gesti, o la voce roca che a tratti sembra ruvida come il granito e poi, d'improvviso, diventa carezzevole come l'eco montana. Il viso di Pindar, che molti non esiterebbero a definire "brutto", è in realtà un collage di tratti spigolosi e curve morbide, di ombre decise e porzioni quasi amorfe, nell'insieme poco armoniose ma decisamente affascinanti.

È una bellezza che necessita di numerosi presupposti per essere compresa, e lo stesso Pindar fatica a capire le lodi che la sua amica spesso gli rivolge.

«Sono felicemente pazzo». Ridacchia; quando esce dal bagno, nudo e gocciolante, Calypso pesca a caso dei vestiti e glieli lancia «È uno status solo mio, no? A te queste cose di solito piacciono».

«A me importa solo che non ti succeda niente, Slumboy. Per il resto puoi vedere quello che vuoi».

Con la testa infilata in una felpa marrone e un braccio incastrato nel tentativo di raggiungere la manica, la risposta di Pindar viene quasi soffocata dalla stoffa.

«Se smettessi di vederla, Cal, mi ammazzerei. Per ora è l'unica cosa che mi tiene in vita».
















_________________________ _ _ _

So che gli habitué della sezione Fantasy dovranno trattenersi dal lanciarmi appresso tutto quello che si trovano a portata di mano, ma questa storia partecipa al contest "A Strange Fantasy" ed è, perciò, particolare sotto molti punti di vista. L'ho ambientata in un mondo fantastico che ricalca approssimativamente le caratteristiche della nostra epoca moderna, più qualche aggiunta per rendere il tutto più frizzante; Ecbàtana, la città in cui la storia è ambientata, prende il nome da quella roccaforte persiana circondata da sette cerchie di mura che fu conquistata da Alessandro Il Grande (yeah, scarsa fantasia per i nomi).

Pindar è un protagonista piuttosto atipico per un fantasy, lo so, ma sentivo il bisogno di creare un personaggio del genere. Mi auguro che il primo capitolo vi sia piaciuto e che i successivi (ne mancano altri quattro, già scritti, più un breve epilogo) continuino a divertirvi.

See you soon,

GreedFan


   
 
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