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Autore: controcorrente    01/08/2013    1 recensioni
Soledad ed Ester. Due sorelle divise. Due vite separate da dieci anni di distanza, improvvisamente riunite per il capriccio della prima. Due donne profondamente diverse. Una provata da 3 grossi sacrifici, l'altra cresciuta con l'ansia del futuro. La loro riunione porterà a delle conseguenze impreviste che mai avrebbero pensato potessero accadere: L'ambientazione è storica ma spero che vi piaccia, indicativamente tra 700 ed 800.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Periodo regency/Inghilterra, L'Ottocento
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Benvenuti a questo nuovo capitolo. Il mio nome è controcorrente e sono la pazza che ha scritto questa storia. Ovviamente, non è ancora finita...a differenza delle mie vacanze. Con la crisi in corso, ho delle vacanze flessibili...questione di tempi.
 
La lezione di matematica proseguiva come sempre, monotona e fastidiosa. Cedric la ascoltava, con fastidio sempre crescente, mentre con la coda dell'occhio scrutava accigliato la classe. Era passato qualche giorno, da quando la notizia del suo ritorno si era diffusa e l'attenzione, almeno per il momento, era tutta per lui. Molti borbottavano incredulità.
Lui, l'americano, aveva ricevuto le simpatie di una stimatissima vedova e del suo potente cognato...con tutte le elucubrazioni che ne derivavano.
Aprì e chiuse le mani varie volte, tentando di sgranchire le dita...ma la tensione che aveva dentro, continuava a pungolarlo non poco.
Dalla sua disavventura, aveva smesso di partecipare agli incontri clandestini. I gestori delle scommesse si erano lamentati in proposito...ma lui aveva alzato le spalle, con indifferenza. Un po' gli dispiaceva per aver perso quel guadagno ma ora che c'era quel fidanzamento nell'aria, non aveva nemmeno senso mettere da parte i soldi per tentare una via di fuga a quella condizione che odiava cordialmente. -Cedric-gli bisbigliò James, seduto accanto a lui- cosa è successo in questi giorni?-
L'americano irrigidì le labbra, in una piega decisamente biliosa.
L'altro inarcò la fronte, vedendolo così nervoso. -E'arrabbiato perché sono riusciti a imporgli una fidanzata-disse allora una voce. Si girò e vide la sagoma imponente di Bill che lanciava un'occhiata sardonica all'indirizzo del giovane Gillford.
-Cosa?-esclamò l'altro, guardando l'americano- Alla fine, sono riusciti a metterti il guinzaglio! Chi l'avrebbe mai detto!-
-Dicono che sia una giovane di origine franco spagnola ma con ottime conoscenze.-continuò il gigante, studiando l'espressione dell'interessato, sempre più nervoso.
-Caspita! Come avete fatto a scoprire una cosa del genere?-domandò James, fissando il rappresentante del dormitorio con aria interrogativa.
Cedric lanciò un'occhiataccia a Bill. -Non mi va di parlarne-rispose lui piccato...ma il suo amico parve di tutt'altro parere.
-Non se ne parla nemmeno...e, comunque non vedo quale sia il problema. La mia matrigna aveva il viso butterato dal vaiolo, eppure mio padre l'ha sposata senza che questo gli avesse impedito di frequentare mia madre.-continuò questi- Per noi, non è un problema irrisolvibile, a meno che tu non abbia la pazza idea di vederci qualcosa di sentimentale.-
L'americano si irrigidì un momento, pensando alla signorina Escobar...ma, per quanti sforzi facesse, non riusciva proprio a convincersi a vedere quella persona nel senso indicatogli dall'amico.
Era troppo infantile e indisponente, per i suoi gusti.
-Non è un problema. Quello che mi fa arrabbiare è che devo sposarmi quella mocciosa perché sono in debito con Lady Mc Stone.-borbottò, sputando le parole una ad una.
A quella frase, calò il silenzio.
Gli studenti camminavano, alcuni correndo, lungo i corridoi. Le risate sommesse di qualcuno dei presenti era un suono assai fastidioso, dato il contrasto con l'umore di questi. Cedric si pentì quasi subito di aver esternato quello stato d'animo. Non gli piaceva mostrarsi debole, soprattutto in un luogo come l'Eton College.
I due che lo accompagnavano non dissero una sola parola in proposito, come se avessero deciso unanimamente di non esternargli i loro pensieri. Non sapevano cosa fare per dargli una qualche consolazione e ritennero il silenzio la soluzione migliore, malgrado tutto.
-Gillford- fece tuttavia Bill- sapevate bene che, prima o poi, sarebbe giunto il momento di prendere moglie. Le cose, per voi, sono state anticipate un po'...ma dovevate aspettarvelo._
L'americano si irrigidì...prima di riprendere a camminare, a passo leggermente più veloce. Non era questo ciò che si aspettava...e si ritrovò con l'essere ancora più irritato di quanto già non fosse.
 
 
 
Il paesaggio londinese, in quel periodo dell'anno, era quanto di più lugubre e noioso si potesse desiderare. Grigio, umido, cosparso di una pioggia leggera e insieme penetrante che poteva trasformarsi, in qualsiasi momento, in un violento acquazzone. Ester osservava con malinconia quel posto, con un'espressione assorta che dava al suo aspetto un che di ultraterreno.
Colpa forse dei capelli, biondo grano.
-Signorina Escobar-disse la cameriera- dovete prepararvi per la lezione con Mademoiselle Treville.-
La giovane annuì, in modo meccanico e, come una bambola, si incamminò per raggiungere lo studiolo dove avveniva il suo apprendimento. Quel giorno aveva indossato un abito Primrose, leggermente più chiaro dei capelli. -Ha dato qualche precisa indicazione, a proposito dell'argomento?-domandò la ragazza.
La cameriera scosse il capo.
Fece per andarsene, quando la voce della padroncina la richiamò.
-Cosa posso fare per voi, Miss?-chiese.
Ester attese qualche momento, come indecisa su cosa dire. La sua sagoma rimase ritta e immobile, simile ad una splendida statua marmorea. La vide giocherellare, per un momento, con i riccioli che fuoriuscivano dalla chioma, con le dita che attorcigliavano il tutto intorno alla pelle, con effetti insoliti. -Lady Mc Stone, dove si trova, al momento?-domandò.
Emma la guardò, con lieve titubanza, incerta su cosa dire.
-Allora?- chiese, con maggiore insistenza- La mia tutrice è così pregna d'impegni da non avere tempo d'interloquire con me?-
La cameriera non seppe cosa rispondere...prima di assumere un'espressione sollevata. Ester la seguì con gli occhi...e solo allora si avvide della presenza dell'indiana con cui la padrona dell'edificio era solita circondarsi. Come sempre, indossava abiti scuri e molto coprenti.
La signorina Escobar si morse il labbro. Ora che ci pensava, aveva visto poco o nulla del corpo di quell'indiana. Aveva visto alcune immagini nei libri che aveva scorto in biblioteca ed erano vesti leggere e molto aperte. Sarasa, invece, portava abiti inglesi e molto chiusi, quasi puritani. -Cosa volete?-domandò, tentando di dare un tono vagamente superiore, senza troppa convinzione.
Sarasa chinò la testa.  -Signorina Escobar-mormorò la donna- Lady Mc Stone mi ha detto d'informarla che verrà un'ospite molto importante e che desidera parlarvi, prima che questa persona arrivi.-
Ester non disse niente.
In cuor suo, aveva temuto da sempre un simile confronto. La rabbia per la notizia di quel fidanzamento, contrario alle promesse della sorella, pulsava ancora dentro di lei, vivo più che mai. Eppure, qualcosa si muoveva in direzione contraria, forse il ricordo delle carezze gentili che Soledad non mancava di darle e che ora le mancavano molto.
A quel pensiero, il cuore si gonfiò di amarezza. Non era così che sperava di riallacciare i rapporti. Per quanto odiasse ammetterlo, Soledad era l'unica cosa che si avvicinasse davvero, almeno per lei, al concetto di "famiglia".
 
 
 
 
Fin da quando era nata, Soledad aveva compreso, con assoluta chiarezza quanto il caso fosse importante che la Sorte fosse un elemento fondamentale, che andava a braccetto con le abilità della persona. Ugualmente, occorreva intelligenza, per affinare le doti innate…ma questi pensieri si eclissarono nel momento in cui si volse verso la piccola figura che era comparsa nella stanza.
-Buongiorno, Lady Mc Stone. Cosa posso fare per voi?-domandò la giovane, ignorando l’indiana che l’aveva introdotta pochi istanti prima e che aveva accolto le sue rimostranze con la massima indifferenza.
-Buongiorno a voi, Miss Escobar-rispose formale la dama- Vi ho chiamato per informarvi che tra poco giungerà in questa casa mia cognata. Lady Victoria è la sorella minore di mio marito e moglie di un notabile di Rotterdam. Mio marito ha sempre avuto un buon rapporto con lei e desidero che siate ben educata e cortese, come vi è stato insegnato. Lady Victoria ha una grande inclinazione ad una condotta impeccabile e giungerà con i suoi figli. Mi fido della vostra intelligenza.-
Ester annuì, con un lieve cenno della testa.
-Quanti anni ha vostra cognata, se è lecito chiederlo?-domandò, con sguardo basso.
Soledad non batté ciglio. -Ha 34 anni ed è madre di cinque figli viventi.-rispose, senza dar segno di alcuna emozione.
La signorina Escobar fremette, attendendo con impazienza il momento in cui avrebbe lasciato quella stanza…ma Lady Mc Stone sembrava avere altri progetti. –Prima di congedarvi, avrei delle cose che intendo chiarire qui. Non desidero avere noie di questo genere, quando mia cognata giungerà.-aggiunse, facendo voltare di scatto Ester.
-A cosa state alludendo?-sbottò lei, mettendo da parte ogni remora-Alla vostra indifferenza o alla mancanza di rispetto nei confronti dei giuramenti?-
Soledad sospirò. –Immagino che siate afflitta per questo fidanzamento repentino.-concesse, mordendosi il labbro pieno. L’altra la fulminò con lo sguardo, pronta a ribattere…ma la maggiore la fermò con un cenno della mano.
-Ugualmente, vi devo dare dei chiarimenti, al fine di capire che non vi è nessun tornaconto nelle mie azioni.-disse, aprendo un cassetto-Questa lettera è giunta una settimana fa, prima della partenza di Mr. Gillford. E’di Renée. Leggetela pure.-
Ester ebbe un sussulto, poi con lentezza prese il foglio. La scrittura era di sua madre che informava Lady Mc Stone di non essere disposta a venir meno al progetto matrimoniale che aveva in mente e che non avrebbe accettato intromissioni di alcuna sorta da parte della figliastra. La ragazzina storse la bocca. C’erano molti nomi nel foglio…tranne il suo. Non ha mai chiesto di me pensò la giovane, con un nodo alla gola.
-Come potrete vedere, sono stata minacciata da vostra madre per avervi sottratta al suo controllo e, dal momento che premeva per imporvi le nozze con quel vecchio tedesco che avete visto, ho deciso di fare questo fidanzamento. Mr. Gillford ha 19 anni e deve ancora terminare i suoi studi ma sta già aiutando lo zio, in quanto futuro erede. Dicono che sia molto abile negli affari…e bello, ma questo dovrete deciderlo voi.-fece Soledad, punzecchiandola con un sorriso tiepido.
Ester gonfiò le guance.
Non aveva nessuna intenzione di digerire quella decisione come se niente fosse…ma il confronto tra l’americano ed il prussiano era palesemente impari. Razionalmente, cercò di farsi piacere quell’idea ma il cuore la pensava diversamente e le lasciava addosso un sapore amaro e freddo.
Era così presa dai suoi pensieri che non si accorse che era osservata dalla sorella... ed arrossì di conseguenza, come chi viene colto in fallo. –Vi prometto che avrete una sorte ben diversa da quella che ho avuto io e che vi sposerete in modo onorevole. Io sono diventata la moglie di Lord Mc Stone per saldare i debiti che nostro padre aveva fatto nel corso degli anni…niente di più umiliante. Una dote può fare davvero la differenza in un matrimonio...non dimenticatelo mai.– fece, prima di congedare la sorellastra con un cenno sbrigativo della mano.
 
Soledad Blanca Escobar ricordava abbastanza bene il giorno in cui conobbe la famiglia Mc Stone. Rammentava profondamente il nervosismo che le divorava le viscere, mentre il marito le raccontava dei suoi genitori e della sorella.
Con non poca sorpresa, aveva scoperto che nessuno aveva partecipato alle nozze, come i Rossignol che, dal secondo matrimonio di Don Ignatio Escobar, avevano rotto ogni rapporto. Il giovane e scontroso scozzese che aveva fatto da testimone, infatti, altri non era che il fratello di latte del marito, benché non avesse nessun legame di sangue con lui. Sono certo che piacerete alla mia famiglia e soprattutto a mia madre aveva detto Alistair, durante il viaggio.
Soledad non ci aveva creduto molto. Abituata alle delusioni, era giunta pronta alle peggiori conseguenze...e nemmeno quella volta aveva sbagliato.
Hai sposato questa straniera senza un soldo e senza il nostro consenso…non hai nessun ritegno! aveva tuonato suo padre, prima di schiaffeggiarlo con forza.Quell’intrigante ti ha ingannato per prenderti i soldi. Non vi ho insegnato a guardarvi dai pessimi partiti?aveva poi aggiunto.
Suo marito non si era lasciato intimidire, presentandola comunque. Lei avanzò, con il suo solito passo zoppo e, con una riverenza fiera e dignitosa, aveva salutato i futuri suoceri, senza cedere di un passo.
Lasciò che la squadrassero, soppesandola con quello sguardo giudicante, che sembrava fatto di pietra. Hai sposato una miserabile e per giunta zoppa? Vi ha dato di volta il cervello? continuò il capofamiglia, gonfiando le vene del collo.
Soledad non rispose.
Nemmeno le evidenti allusioni alla sua condizione fisica, malgrado la colpissero come lame sulla carne, riuscirono a lasciar intravedere una qualche espressione dolente. L'amara abitudine aveva indurito tutto...e poi, infine accadde...nel momento in cui tutti parevano palesemente contro di lei.
Cosa sta succedendo, Edwin?disse infine una voce antica. Tutti si girarono. A parlare, era stata una vecchina, dall’aria esile e vagamente dura. Non è così che vi ho educato, figlio mio. Noi siamo nobili di antica schiatta, dai tempi di Elisabetta I. Siamo nobili per i nostri meriti e dobbiamo costantemente dimostrare quanto questo privilegio sia degno di noi. Non possiamo indulgere nella pigrizia solo perché il nostro titolo è scritto. lo ammonì, fissando lo sguardo sulla sconosciuta.
Soledad sostenne quegli occhi, imponendosi il controllo.
Siete la spagnola che il mio prediletto nipote ha sposato. Come vi chiamate?domandò.
Mi chiamo Soledad Blanca Escobar. Sono figlia di Donna Honor Blanca Rossignol Escobar e di Don Ignatio Escobar.si presentò, fremendo quando la voce cadde sul nome paterno.
La vecchia si passò una mano sotto il mento. Avete una famiglia, Miss Escobar? domandò.
Soledad irrigidì i tratti.
No risposeMi chiamo Soledad e, come dice il nome, ho solo me su cui contare
Lady Mc Stone ricordava bene quelle parole. Con quella risposta, si era guadagnata l’interesse della matriarca, che aveva assistito nella sua malattia, quando cadde preda di una polmonite particolarmente aggressiva.
Con un sospiro, osservò la scatola dove suo marito era solito tenere il tabacco. Ora era vuota ma l’aroma del precedente contenuto era rimasto. Lo sentiva benissimo. Un sorriso mesto si disegnò sul volto. -Quanto vorrei avere da voi un consiglio- mormorò, accarezzando la superficie metallica. Improvvisamente, sentì bussare. Subito si ricompose e dopo aver intimato un incerto Avanti! se ne rimase in attesa.
Sarasa era sulla porta, con quel suo abito scuro e coprente. –Lady Mc Stone-mormorò l’indiana- vi informo che la signora Victoria Mc Stone Sweirlain sta arrivando.-
A quelle parole, la dama si levò in piedi.
-Molto bene- fece- informate anche mia sorella. Voglio che sia presente, insieme a Suor Lucia.-
L’indiana sparì poco dopo.
Rimasta sola, Soledad fece dei profondi respiri, nel tentativo di placare l’ansia e la tensione che quella visita poteva provocarle. Poi, con un rapido segno della croce, come per farsi coraggio, si incamminò verso l’uscita.
 
 
 
 
La carrozza si fermò poco dopo, davanti all’ingresso. Un valletto parsi si affretto ad aprire la porticina, permettendo ai viaggiatori di scendere. I primi a poggiare i piedi a terra furono un ragazzino di 14 anni, magro e secco. Poi fu la volta di una ragazzina di 18 anni, dal fisico tondo e gli occhi piccoli. Infine scesero due gemelli, entrambi con i capelli rossi, così simili che era quasi impossibile distinguere il sesso, malgrado avessero entrambi meno di 10 anni.
Poi fu la volta dei genitori.
Ester li guardò, con una punta di curiosità.
Lui era basso e dall’aspetto rubicondo, con due occhi piccoli e brillanti. Indossava gli ultimi abiti del momento, con un effetto grottesco dovuto al contrasto tra la grazia della stoffa ed il fisico tarchiato. –Lady Mc Stone- esordì questi, avvicinandosi alla padrona di casa- sono lieto che abbiate accolto la nostra lettera e mi rincresce non essere riuscito a giungere prima. Mia moglie doveva riprendersi dalle ultime fatiche del parto e non volevo compromettere la sua salute.-
La dama scosse il capo. -Non avete nessuna ragione per scusarvi. Una gravidanza è un fatto di per sé molto gravoso per una donna.-rispose, volgendo la testa alla consorte dell’uomo.
-Naturalmente... ma questo è solo il giusto modo per onorare il Signore, facendo quello per cui noi donne siamo state create-rispose la signora Sweirlain, avanzando con passo deciso.
Ester la guardò con curiosità. Indossava abiti molto castigati e severi che esaltavano la chioma chiara e gli occhi castani. I lineamenti erano duri e spigolosi, quasi virili, se non avesse visto il corpo tondo e ancora sformato dall’ultima gravidanza.
Un’altra donna, dal viso butterato da un precedente attacco di vaiolo, teneva in braccio un fagottino, avvolto nella stoffa azzurra.
-Avete pienamente ragione-convenne Lady Mc Stone, con un sorriso fatto di labbra- spero che il viaggio non sia stato faticoso anche per Theo, il vostro ultimo figlio.
Otto Sweirlain ridacchiò. –Il mio ometto ha una salute di ferro, non temete. Abbiamo preso tutte le indicazioni del caso e faremo attenzione.-rispose, con un sorriso ampio.
Soledad annuì. –Vogliate perdonare la mia maleducazione-fece, avvicinandosi alla giovane che, fino a quel momento, non aveva proferito parola- vorrei presentarvi la signorina Escobar, mia sorella.-
La ragazzina, chiamata in causa, esibì il migliore degli inchini che riuscisse a fare, sperando così di allentare tutta l’attenzione che la maggiore aveva disposto su di lei con quelle ultime parole. –E’molto graziosa-convenne la signora Sweirlain-anche se i suoi colori sono molto diversi dai vostri.-
Ester sussultò.
-Non vedo dove sia il problema. Non è cosa strana che vi siano figli diversi, a patto che il seme da cui provengano sia lo stesso.-rispose Soledad, scatenando la grassa risata dell’uomo. –Vostra cognata è molto divertente.-commentò lui, una volta calmatosi.
Victoria rispose con un piccolo sorriso di circostanza. –Sono le sue origini spagnole a conferirle questa particolarità.- fece, fissando la padrona di casa senza alcun calore.
Lady Mc Stone ricambiò e, dopo essersi scambiata qualche altra parola con tutti loro, si incamminarono verso il palazzo. Ester non fece parola…ma non le sfuggì la strana freddezza con cui si era rivolta agli ospiti, mascherata da maniere impeccabili.
 
 
 
Oceane passeggiava sul ponte.
Aveva ricevuto una giornata libera dalla sua datrice di lavoro e decise così di approfittarne per fare qualche passo all’aperto. Nel farlo, prese una minuscola guida dalla copertina scolorita, ben decisa a sfruttare le informazioni per esplorare meglio quella grande città.
Londra era un luogo molto interessante, doveva riconoscerlo. Le sue vie caotiche racchiudevano in sé tutto il mondo conosciuto ed era curiosa di vedere se c’era qualche mostra in giro. Avrebbe voluto vedere le ultime novità parigine, soprattutto se erano usciti nuovi romanzi d’appendice.
Istintivamente guardò la propria borsetta, chiedendosi se avesse tutti i soldi necessari ma si accorse di aver lasciato parte dello stipendio nell’alloggio presso Lady Mc Stone e subito scosse il capo, chiedendosi se fosse opportuno andare là.
La padrona di casa le aveva detto, in modo molto evasivo, che la sua ospite era un personaggio ostico e bigotto, ostile con chiunque non le fosse andato a genio. Fu proprio mentre stava riflettendo sul da farsi che notò un cancello scuro e tetro. L’istitutrice si fermò, con un’espressione triste in viso.
Poco più in là, nell’edificio gotico che stava oltre quella barriera, piccole sagome si muovevano in fila, seguendo un ordine ben preciso. Oceane controllò la cartina della piccola guida che aveva preso.
Quello era uno degli orfanotrofi londinesi più grandi e si trovava poco distante dalla St. Paul. Un luogo dove i figli di nessuno venivano accolti e cresciuti nella vergogna di non avere una famiglia di pregio. Persone senza radici, trattate come esseri pregni di peccato, spesso più deboli verso le numerose epidemie che colpivano la città.
L’istitutrice stirò le labbra, preda della compassione. Non invidiava affatto quei bambini e nemmeno la spocchia con cui le classi più ricche rimarcavano la loro fortuna con quel piglio fatalista con cui giustificavano le loro azioni ed annegavano tutti i loro possibili rimorsi di coscienza.
Istintivamente si strinse nelle spalle.
Non era il momento di fare quel genere di riflessioni.
Fu proprio mentre si avviava verso la piazza principale che notò la figura secca e flessuosa del signor Borowsky. Lo vide entrare nel cortile e discorrere con alcune delle autorità dell’orfanotrofio.
Rimase a lungo a fissarlo, chiedendosi cosa ci facesse là…ma non tardò ad avere una risposta. La stretta di mano che il russo ricevette dal direttore della struttura gli fece dedurre che l’uomo fosse un filantropo.
A quella vista, strinse con forza il libro di poesie che teneva in braccio.
-Miss Treville!-esclamò l’uomo, accorgendosi di lei.
Il direttore si era congedato ed il diplomatico, rimasto solo, aveva scorto l’istitutrice. A passi decisi si avvicinò al cancello. –Non avrei immaginato di vedervi per questa via-esordì, con un sorriso cordiale.
Oceane si strinse le spalle. –Pare che sia destino- mormorò, con meno entusiasmo del solito.
Igor inarcò la fronte. –Avevo una commissione da svolgere. Un mio conoscente è solito fare donazioni a questo istituto per gli orfani ma non poteva venire oggi. Una seria indisposizione gli impediva di farlo.-spiegò, scuotendo il capo- Ho avuto un invito informale ad un piccolo ma interessante balletto. Volete venir con me?-
Oceane stette un momento zitta.
-Vorrei-rispose- ma credo che non lo farò. Oggi ho delle commissioni da svolgere. Sapreste indicarmi l’ufficio di posta più vicino?-
Il russo aggrottò la fronte…poi rispose, dicendole quello che voleva. Nel farlo, tuttavia, ebbe come la sensazione di aver ferito in qualche maniera quell’istitutrice. Quale fosse la ragione, tuttavia, era per lui un mistero.
Tutto quello che riuscì a fare, troppo sbigottito per quel rifiuto, fu darle quella risposta, non senza chiedersi se avesse commesso qualche errore. Oceane lo ringraziò con cortese freddezza, prima di lasciarlo lì, su quel cortile ormai spoglio.
 
 
Capitolo transitorio. Finalmente vediamo l’arrivo di Lady Victoria e le cose si stanno complicando. La visita alla dama arriverà a momenti, con tutti i guai che si portano dietro. Le due sorelle non hanno ancora fatto pace e si sono chiarite, solo un po'…ma ci sarà il momento giusto, non temete.
Qualcuno le darà delle spiegazioni poco ortodosse sul matrimonio…e sarà una bella sorpresa credo. Oceane intanto è risentita da Igor…e qui merita una spiegazione che anche lei darà. Lei odia i comportamenti bigotti e ipocriti…e la filantropia era solo un modo per sembrare una brava persona. Ecco perché se la prende. C’è poi altro, comunque.

   
 
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