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Autore: DaubleGrock    01/08/2013    2 recensioni
"Al posto mio avresti fatto lo stesso"
Queste parole disse Murtagh ad Eragon durante la battaglia delle pianure ardenti. Io ho cercato di immaginarmi cosa fosse successo se Selena avesse salvato Murtagh e non Eragon. La storia inizia con un prologo, i capitoli successivi invece saranno contemporanei alla trama della storia originale.
Trama:
Eragon era un ragazzo di soli dodici anni quando riceve, nella casa che condivide con sua madre, una visita inaspettata. Da quel momento la sua vita, insieme alla sua compagna di mente e di cuore sarà legata ad un oscuro tiranno che lo costringerà a compiere atti spregevoli contro il suo volere. Ma, l'incontro con un'elfa lo salverà da quel suo orribile destino a cui si era quasi arreso.
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Eragon/Arya, Roran/Katrina
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La mattina dopo

Eragon fu svegliato dallo forte bussare alla porta di casa, aprì lentamente gli occhi, rimase confuso quando capì che non si trovava in camera sua, era nella camera della madre, che ci faceva lì?
Dopo alcuni momenti i ricordi del giorno precedente assalirono la sua mente come una valanga, quel giorno sarebbe dovuto andare al castello di Galbatorix. Sentì la porta aprirsi e i passi di due uomini nell’ingresso, si alzò dal letto e si diresse verso la fonte del rumore. Le due guardie del giorno precedente stavano parlando con sua madre, il loro tono era burbero.
“…tra pochi minuti una carrozza sarà davanti la casa, vi condurrà al castello, tu e il moccioso dovrete salire senza fare storie”
La madre annuii “Saremo pronti”
Eragon corse in camera sua a vestirsi, era meglio affrettarsi, non voleva avere problemi con quei due, loro non scherzavano. Quando fu pronto andò in cucina solo per trovare la madre con la ciotola dei biscotti in mano.
“Vuoi fare colazione?” chiese con un sorriso forzato
“No” disse Eragon, non aveva fame, si sentiva come un nodo allo stomaco. La madre annuii e posò la ciotola sul tavolo. Aspettarono per diversi minuti prima di sentire il rumore degli zoccoli dei cavalli sulla strada di ciottoli fuori la casa. Eragon e Selena si guardarono prima di uscire di casa. Fuori, le due guardie si erano poste ognuno a un lato della porta come a voler formare un corridoio di cuoio e acciaio. Due roani erano legati vicino a un’elegante carrozza che attendeva poco lontano. Era di legno ciliegio con i bordi color oro, le finestrelle erano chiuse con delle tendine bianche, la porta era aperta lasciando intravedere i sediolini di velluto. Un cocchiere cercava dii tenere a bada i due grossi cavalli bianchi sul davanti della carrozza, spaventati dal fracasso della città. Le due guardie li spinsero verso la carrozza, rapidamente salirono e la porta fu chiusa subito dopo. Eragon sentì la carrozza traballare quando si mise in movimento, dalla finestrella di dietro poté vedere le due guardie seguirli sui roani. Dopo qualche minuto prese il coraggio per guardare fuori spostando una delle tendine. Stavano attraversando una parte della città che lui non aveva mai visto, sapeva che li vivevano i nobili e i ricchi commercianti. Tutte le persone, nessuna esclusa, indossavano eleganti ed elaborati vestiti insieme a preziosi gioielli. Quasi tutti avevano uno schiavo al loro seguito, esili e denutriti. Eragon provò un moto di rabbia verso quei nobili. Non era contrario alla schiavizzazione, sapeva che molte persone avevano bisogno di lavoro per vivere, ma quegli uomini venivano trattati come bestie per portare gli acquisti dei propri padroni. Decise che in futuro, se avesse potuto, avrebbe aiutato quelle persone.
Passò quasi un’ora prima che arrivassero a palazzo, Eragon era curioso di vederlo, aveva sentito che era immenso, dove viveva si vedeva poco o niente di esso. Ma in quel momento poté ammirare la potenza del palazzo di Uru’baen. Il castello si ergeva maestoso sul resto della città, era ornato di una serie di pinnacoli e parapetti, ma la cosa più impressionante era il cancello, formato da un arco colossale chiuso da due giganteschi battenti di ferro costellati la centinaia se non migliaia spuntoni acuminati, ciascuno grande quanto la testa di Eragon. Era uno spettacolo davvero impressionante ed il ragazzo non riusciva ad immaginarsi uno spettacolo meno ospitale di quello. Eragon e sua madre furono fatti scendere dalle due guardie, una di queste si diresse verso un portoncino stretto e buio, alla sinistra dell’immenso ingresso, quasi invisibile attraverso cui poteva passare a stento un uomo. Li dentro c’era una striscia di metallo più chiaro, larga forse tre dita e lunga forse il triplo. Quando la guardia si avvicinò, la striscia rientrò di mezzo pollice e scivolò di lato con uno stridio rugginoso.
“Chi va là?” domandò una voce boriosa dall’altra parte del portoncino “Dimmi cosa vuoi, altrimenti sparisci!”
“Calma Egan, lasciaci passare, il re li vuole vedere” disse la guardia
“Brutus? Dove sei stato tutta la notte, ti ho conservato un po’ di quell’ottimo idromele, per poco i ragazzi non se lo scolavano tutto.” Disse Egan mentre apriva il portoncino. Così quell’uomo si chiamava Brutus, un nome azzeccato pensò Eragon.
Dopo il portoncino si apriva un grande atrio, e dopo questo un vestibolo che proseguiva per circa un quarto di miglio e portava alle spalle di Uru’baen. In fondo c’era un altro portale massiccio come il primo, però coperto di pannelli d’oro che risplendevano alla luce di delle strane lanterne che si estendevano a intervalli regolari lungo le pareti, erano fatte di un singolo pezzo di vetro a forma di goccia, grande due volte un limone, ognuna di loro era di una tonalità di colore diverso, la luce non ondeggiava ne tremolava. Il vetro era racchiuso fra quattro sottili tralci di metallo, saldati in cima a creare un gancio e in basso a formare tre graziosi riccioli. Nell’insieme un oggetto molto raffinato. Da un lato e dall’altro si diramavano corridoi secondari più piccoli di quello principale. Ai muri ogni cento piedi erano appesi gli stendardi rossi con il ricamo della fiamma d’oro guizzante, l’emblema di Galbatorix. Per il resto il vestibolo era spoglio. La sala del trono molto probabilmente era dietro la porta dorata nel fondo del corridoio.
Eragon, Selena e le due guardie iniziarono a incamminarsi verso il portale, arrivati li Eragon poté studiarlo con più attenzione. Eragon studiò le decorazioni d’oro. Incisa a sbalzo sui battenti c’era una quercia a grandezza naturale, le cui foglie formavano una chioma arcuata che ricadeva fin sulle radici, tracciando intorno al fusto un grosso cerchio. Dal tronco, più o meno a metà, spuntavano due grossi rami, uno da una parte e uno dall’altra, che dividevano lo spazio circolare in quattro sezioni. Nel riquadro in alto a sinistra era raffigurato un esercito di elfi armati di lance che marciava in una fitta foresta. In alto a destra, umani che costruivano castelli e forgiavano spade. In basso a sinistra, delle creature che Eragon, dai racconti di sua madre, dedusse che fosse Urgali o Kull bruciavano un villaggio e uccidevano gli abitanti. In basso a destra, nani che scavavano gallerie ricche di gemme e metalli preziosi. Tra le radici e i rami della quercia Eragon scorse dei grossi gatti e dette strane creature con la schiena curva e forma vagamente umana. E, raggomitolato al centro del tronco, un drago con la punta della coda in bocca, come se si stesse mordendo da solo. Il portale era magnifico. In circostanze diverse sarebbe rimasto a guardarlo per ore.
I due uomini riuscirono ad aprire uno dei battenti. Dall’altra parte dell’arco cavernoso si apriva un’enorme sala in penombra.
“Il ragazzo deve entrare da solo” disse Brutus
La madre lo abbracciò, poi una delle guardie lo spinse dentro e il battente si richiuse con un tonfo.
Eragon non riuscì a valutare quanto grande la sala fosse perché le pareti erano nascoste dal velluto dell’oscurità. L’ingresso era fiancheggiato da file di quelle strane lanterne montate su aste di ferro, che riuscivano a stento a illuminare il pavimento a scacchi, mentre un tenue bagliore proveniva dai cristalli incastonati nel soffitto altissimo. Le due file di lanterne terminavano cinquecento piedi più avanti, alla base di un’ampia pedana dove si ergeva un trono. E lì sedeva una sagoma ammantata di nero, l’unica presenza in tutta la sala.
Con passo lento ma deciso, Eragon, si incamminò verso la sagoma. Dopo alcuni passi, Eragon riuscì a distinguere due piedistalli di marmo nero, uno alla destra e uno alla sinistra del trono. Avvicinandosi ancora un po’, notò che sopra di essi, poggiati su dei cuscini di velluto c’erano due pietre di diverso colore. Eragon sapeva, da quello che la madre gli aveva insegnato, che quelle due pietre erano in realtà uova, uova delle creature più antiche di tutta Alagaësia, due delle tre ultime uova di drago. Quella di sinistra era di un verde brillante screziato di bianco. Ma fu quella di destra ad attirare l’attenzione di Eragon. La sua superficie perfetta era di un blu intenso, venata di una sottile ragnatela di striature bianche, era poco più grande di quella verde, lunga più o meno un piede e di forma ovale. La pietra lo affascinava.
Arrivato a pochi passi dal trono, Galbatorix, si alzò e si rivolse a lui.
“Benvenuto nel mio castello, ragazzo” disse. La sua voce melliflua e calma quasi lo rilassò, quasi. “Non ho ancora avuto il piacere di sapere il tuo nome, tua madre non me lo ha mai detto. Come ti chiami?”
Eragon pensò velocemente, non voleva far sapere il suo nome a Galbatorix, in quel momento fece la sua scelta: avrebbe rivelato il suo nome solo a coloro cui dava la sua fiducia e questo certamente non includeva il re. Non sapeva cosa si aspettava, sicuramente niente di buono.
“Valdor” disse
Galbatorix sorrise “Ti avevo detto che ti avrei presentato qualcuno, vieni” con un movimento della mano gli fece cenno di seguirlo. Galbatorix lo condusse davanti al piedistallo con sopra l’uovo smeraldo. Con delicatezza, il re, lo prese in mano e glielo porse. Non sapendo cosa fare, Eragon rimase immobile.
“Prendilo” disse il re. Eragon lentamente lo prese, la sua superficie era fredda e liscia al tatto come seta solidificata. Pesava qualche libbra, ma era più leggero di quanto si fosse aspettato. Galbatorix osservò, in silenzio, per alcuni minuti la pietra come se stesse cercando di leggerne i pensieri. Dopo un po’, scosse la testa, prese la pietra dalle mani di Eragon e la ridepose sul piedistallo. Ancora una volta fece segno di seguirlo e si spostarono al secondo piedistallo. Come col precedente, Galbatorix gli porse l’uovo rimanendo concentrato su di esso per un po’. Dopo qualche attimo, un sorriso vittorioso si dipinse sul volto del re.
“Come promesso se gli saresti piaciuto avresti potuto tenerlo” disse sorridendo. Era il sorriso più cupo che Eragon avesse mai visto, un sorriso che era capace di far tremare chiunque.
Galbatorix gli prese nuovamente l’uovo dalle mani. Poi Eragon sentì una parola, Slytha, e tutto si fece buio.
 

Angolo autrice


Ecco un altro capitolo, solo è un pò piccolo :ehehe: è la seconda parte del prologo :laugh: voglio ringraziare ilArya01 per aver recensito la mia storia e tutti coloro che la hanno letta, fatemi sapere cosa ne pensate wink
  
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