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Autore: Clematis    02/08/2013    6 recensioni
Louis ha permesso alla paura di pregiudizi di avvilupparlo ed ora é sul fondo cercando di trovare una via per riemergere dalle tenebre.
Harry nasconde i suoi scheletri dietro un sorriso mentre la maschera inizia a confondersi con il suo reale volto.
Nessuno direbbe mai che i due ragazzi fingono, nessuno riuscirebbe ad elencare motivi per cui dovrebbero farlo, nessuno sa.
Trovano l'uno nell'altro una sicurezza che mai prima avevano provato e un'amicizia sboccia nelle condizioni più avverse, un'intrepida stella alpina durante il più freddo dei mattini.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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LET ME INTRODUCE YOU TO MY SKELETONS.

[…]

Occhi verdi smeraldo

come un puro brillante

dai riflessi di giada orïentale

e che risplende caldo

del fascino tremante

di un baglior d'aurora boreale.

Disegno inusuale

che solo fa intuire,

di iridi incantate

limpide e screzïate,

quel che di loro mai potrebber dire

la tela d'un pittore

o il miglior estro del miglior scrittore.

[…]

Lord Gas


Quella fu la prima sera che gli occhi di Louis cercarono un altro paio di occhi e non uno stupido tintinnio di bicchieri. Si guardava attorno con bramosia, sollevava il capo scrutando con attenzione tra tutti quei corpi, si alzava sulle punte dei piedi e, nonostante le dita dolessero, continuava imperterrito.

Eugenia continuava a parlargli spostando con minuziosa attenzione le ciocche bionde dietro le orecchie, segno che era preoccupata, ma per la prima volta Louis non le prestò molta attenzione e preferì rimanere immerso nei suoi pensieri, troppo vorticosi perché li potesse condividere con la sua ragazza.

Erano mesi che ormai si limitava ad agire come credeva che gli altri si aspettassero nonostante la sua vita avesse preso una svolta non singolare. Voleva un bene immenso ad Eugenia, ogni volta che i loro sguardi s’incrociavano e notava un barlume di tristezza nei suoi occhi, sentiva il suo cuore stringersi ancora un po’. Qualunque cosa ci fosse stata tra lui ed Eugenia, ora sembrava essere scemata, scivolata come una goccia d’acqua sul finestrino di un’auto, destinata a mischiarsi ad altre mille e a perdere del tutto la sua unicità.

«Lou, c’è qualcosa che non va?» la voce di Eugenia risuonò incredibilmente chiara e argentina nonostante il chiasso fosse assordante. Ancora una volta, Louis si chiese come facesse quella ragazza a conoscerlo così bene.

«Cercavo… una persona» decise di non mentirle, non aveva senso. Non appena ebbe pronunciato quella frase, il volto di Harry si fece spazio nella sua mente, la sua voce leggermente roca, i suoi occhi di giada, il suo sorriso, tutto era chiaro come se fosse appena andato via. Avvolse il suo braccio attorno al fianco della ragazza e la strinse a sé, lasciandole un bacio umido sulla tempia perché sentiva di doverlo fare. Non osò guardarla negli occhi, sapeva bene che vi avrebbe trovato una cupa tonalità di grigio, era quella stessa tonalità che il cielo assumeva prima della pioggia, la stessa che gli occhi di Eugenia avevano spesso nell’ultimo periodo e Louis sapeva di esserne almeno in parte la causa.

«Dovresti chiedere a Liam, il proprietario della barca, lui probabilmente conosce chi stai cercando» rispose allora la ragazza indicando un ragazzo seduto da solo poco lontano, la voce leggermente incrinata ma un bel sorriso sul volto. Il ragazzo s’illuminò. Si chiese come facessero a sottovalutare quella ragazza, a credere all’apparenza di frivolezza che con cura aveva costruito attorno a sé durante quegli anni di liceo e la convinzione che l’apparenza fosse ciò che più importava per sopravvivere si fece spazio con prepotenza nella mente del ragazzo.

Le lasciò un lungo bacio casto e poi si allontanò, diretto verso Liam.

Di spalle, sembrava avere sui diciannove anni, proprio come lui, e se ne stava seduto da solo, lo sguardo rivolto verso l’acqua, il capo chino e la schiena incurvata.

Louis ebbe l’impressione che Liam fosse un altro di quei ragazzi intrappolati nella fitta ragnatela sociale, tra la paura di deludere le aspettative di tutti e le aspettative stesse, come lui.

Gli si avvicinò con passo felpato e si sedette accanto a lui rimanendo in silenzio per non interrompere il diverbio interiore che il ragazzo sembrava stesse affrontando.

«Non serve che ti presenti. Tomlinson, giusto?» disse allora Liam dopo aver sollevato il capo ed averlo osservato con gli occhi scuri leggermente socchiusi.

«Conosco tutti qui» si giustificò poi con semplicità, senza mai smettere di osservarlo con quegli occhi che sembravano scavare a fondo, fino a mettergli a nudo l’anima.

«Dimmi, di cos’è che hai bisogno?» continuò poi, spostando il suo sguardo verso un punto indefinito, tra le rocce della scogliera cupa e lasciando per un momento sollievo al ragazzo. Louis era piuttosto riluttante a parlare. Liam sembrava un ragazzo strano, introverso forse, e non riusciva ad immaginare come avrebbe potuto percepire la sua richiesta, quindi rimase in silenzio per qualche altro secondo.

«Cerco un ragazzo» disse infine vincendo il terrore «Harry, si chiama Harry. Capelli scuri, ricci, occhi verdi, credo sia un artista» Terminò la frase e una sensazione disagevole e molesta si fece spazio in Louis posizionandosi proprio alla bocca dello stomaco. Aveva paura. Paura che qualcuno potesse fraintendere quel suo interesse nei confronti di Harry, che potessero insinuare come stavano le cose tra lui ed Eugenia ed infastidirla in qualche modo, che lo prendessero di mira, di nuovo.

Liam ci pensò su, poi si voltò verso Louis e riprese a fissarlo mentre finalmente rispondeva «È andato via circa un paio d’ore fa, sembrava essere di fretta».

Il mondo crollò addosso al ragazzo. L’aveva fatto scappare lui? Probabilmente sì, era l’effetto che sortiva su tutti, era un danno, un uragano che si ostinava a creare scompiglio in una regione i cui abitanti ormai erano rassegnati al disastro.

Ringraziò Liam e con riluttanza lo lasciò, non voleva che rimanesse da solo un’altra volta ma non poté farne a meno, Eugenia era chissà dove e di certo era lei che lo spaventava maggiormente, era sempre stata piuttosto destra nel nascondere ciò che provava ed era terrorizzato alla sola idea che potesse commettere qualcosa di sciocco. La intravide che parlava con un’altra ragazza e la raggiunse cingendole poi le spalle con un braccio, perché era ciò che ci si aspettava un fidanzato facesse con la sua ragazza.

«È ora di andare» le sussurrò non appena l’altra ragazza si fu congedata. Lasciarono la festa in silenzio e camminarono mano nella mano lungo la banchina di cemento del porto, l’uno con lo sguardo perso sulla superficie cupa ed increspata dell’acqua, l’altra che scrutava il cielo sereno nella vana speranza di intravedere qualche stella rilucere nel cielo d’inchiostro di fine Maggio.

Come aveva fatto a cacciarsi in quella situazione? Louis se lo chiedeva spesso. Da bambino era sempre stato il bersaglio di tutti a causa del suo peso eccessivo e, arrivato al liceo, era riuscito a perdere chili e si era ripromesso di non permettere più che qualcuno lo facesse sentire inferiore di nuovo. Aveva assunto l’atteggiamento del duro e si era creato una reputazione ma non avrebbe mai potuto immaginare a cosa quella sua scelta avrebbe portato. Aveva buttato all’aria tutti i suoi valori, tutto ciò in cui credeva, era caduto sempre più in basso e aveva trascinato con sé Eugenia, sua madre e la sua famiglia, le persone a cui voleva più bene.

Camminarono in silenzio fino a casa di Eugenia, a due giardini di distanza da quella di Louis, e, non appena raggiunsero lo steccato di legno scuro, si voltarono l’uno verso l’altra, ciascuno in attesa che l’altro dicesse qualcosa.

Fu quando Eugenia l’abbracciò che capì di non meritarla affatto. Avrebbe potuto salvare il mondo, scoprire la cura per il cancro e riportare alla luce il Titanic da solo e probabilmente ancora non l’avrebbe meritata.

Aveva imparato a conoscerla e sapeva quant’era dolce e sensibile, lei gli aveva raccontato di come desiderasse poter uscire con i capelli legati in una crocchia disordinata ed una felpa troppo larga per lei o del fatto che adorasse leggere, sapeva però di non poter fare nessuna di queste cose davanti a tutti, il suo era un castello di carte e lei si trovava proprio sotto di esso, se una carta fosse caduta avrebbe fatto precipitare l’intera costruzione e Louis, stando con lei, non aveva fatto altro che aggiungere altre carte che avrebbero soltanto reso il crollo più disastroso.

Si salutarono e Louis tornò a casa sua facendo attenzione a non emettere alcun suono o rumore che avrebbe potuto svegliare sua madre o le sue sorelle.

Si trascinò verso la sua stanza e, senza nemmeno svestirsi, si lasciò cadere sul letto piombando in un sonno passivo e senza sogni.


«Louis William Tomlinson, questa è l’ultima volta che ti chiamo, se non ti alzi ora sarò costretta a sollevarti di peso e trascinarti sotto l’irrigatore del giardino» la voce di Johanna, sua madre, si fece strada nel buio che avvolgeva la sua mente con forza e lo riportò nel mondo reale, dove doveva alzarsi presto al mattino e cercare di sopravvivere in qualche modo alla giornata che l’attendeva.

Sentiva sua madre spostarsi da un lato all’altro della stanza, del tutto indaffarata e presa dal disordine che Louis aveva lasciato prima di uscire la sera scorsa.

«Non ce la faresti» mugugnò Louis stiracchiandosi e alzandosi.

«Finalmente, bell’addormentato! Credevo di dovermela sbrigare da sola oggi alla mostra» gli disse sua madre che sembrava un po’ in ansia.

La mostra. Louis l’aveva completamente dimenticato. Aveva promesso a sua madre che le avrebbe dato una mano con le sue sorelle mentre la madre si occupava della sua mostra fotografica. Era la sua prima occasione di far vedere al mondo che, nonostante le gravidanze e i rifiuti che queste ultime avevano comportato da parte di possibili datori di lavoro, lei ce l’aveva fatta, non poteva assolutamente rimanere a casa, non quel sabato mattina.

Riuscì a cacciare sua madre dalla stanza stampandole un bacio sulla guancia e sorridendole bonariamente, dopo di che fece una doccia e indossò un paio di jeans chiari e piuttosto consunti che gli piacevano particolarmente e quella t-shirt bianca dei The Script che sua madre aveva cercato per oltre tre mesi in giro per l’intera contea per regalargliela al suo compleanno. Raggiunse la scarpiera e saltellando infilò un paio di toms color fango e uscì dalla sua stanza solo per scoprire che rimanerci sarebbe stato molto più saggio.

Le cinque donne della sua vita avevano invaso la cucina e sembravano già sveglie e attive nonostante fossero –ora Louis poteva dirlo con certezza- soltanto le otto del mattino. Johanna si muoveva freneticamente dal salotto al vialetto del giardino dove era parcheggiata la sua auto e viceversa per caricare le ultime cose necessarie alla mostra aiutata da una Lottie piuttosto scocciata.Sua sorella Fizzy era seduta in cucina e sgranocchiava rumorosamente dei cereali, era pronta ma nonostante ciò sembrava sul punto di crollare con il viso nella ciotola piena di latte.

Daisy e Phoebe avevano già finito di mangiare ed erano sedute sul divano di casa piuttosto prese da due giraffe pelouche color zafferano con le macchie d’un rosso sgargiante esattamente identiche.

Dopo che furono tutti pronti, salirono in auto e si diressero verso la galleria d’arte nel centro della città dove si sarebbe tenuta la mostra. Il viaggio fu silenzioso, fatta eccezione del lieve rumore che la penna di Louis produceva a contatto con le pagine del suo quaderno.

Louis adorava scrivere. Passava interi pomeriggi chino sulla sua scrivania mentre la vita nel mondo circostante proseguiva imperterrita, scriveva qualsiasi cosa la sua mente producesse anche se amava in modo particolare comporre canzoni e, forse, gli piaceva anche di più cantarle quando nessuno poteva sentirlo. Spesso, quando le sue sorelle erano ai corsi pomeridiani e sua madre era fuori, sedeva nel salotto di fronte al pianoforte e suonava alcune delle sue canzoni aggiustando e ritoccando in continuazione i testi e la melodia, dei quali non era mai pienamente soddisfatto.

Arrivarono alla galleria e scaricarono l’auto celermente portando tutto l’occorrente all’interno di una enorme sala d’esposizione in cui solo parte delle fotografie scattate da sua madre negli ultimi dieci anni campeggiavano con sublime grazia.

Louis conosceva bene quelle fotografie e sapeva che, almeno durante i primi momenti, sua madre avrebbe preferito rimanere da sola dunque, affidando Fizzy e Lottie alle accoglienti braccia di un angolo lettura, s’inoltrò tra i corridoi della galleria trascinando due gemelle alquanto riluttanti ma per sua fortuna ancora assonnate con sé.

Erano ormai le nove passate e le sale della galleria erano silenziose poiché probabilmente era ancora troppo presto per i visitatori, Louis decise di godersi il silenzio per osservare con attenzione tutti i dipinti e le sculture che erano esposti e rimase senza fiato, la galleria era più grande di quanto si fosse aspettato. Corridoi pallidamente illuminati si snodavano ed altri affiancati da enormi vetrate si collegavano ad essi creando un intricato labirinto da cui Louis non sarebbe voluto uscire.

Tutto sembrava calmo e silenzioso finché le gemelle non decisero di giocare ad acchiapparello tra le panche disposte ordinatamente per permettere ai visitatori di osservare ogni opera con comodità.

Iniziarono a correre e ben presto svoltarono a destra e Louis le perse di vista. Corse verso l’angolo in cui le aveva visto la chioma bionda di Phoebe scomparire sentendo il cuore battere più forte che mai contro le costole e chi vide davanti a sé non erano di certo le sue sorelline.

Quegli occhi verdi lo scrutavano ancora e, la luce solare proveniente dalla vetrata alla sua destra li rendeva ancora più luminosi e magnetici. Non appena fece irruzione nel corridoio il ragazzo si voltò e, con quel movimento, qualche ciocca di scuri capelli ricci gli ricadde sul volto e lui la spostò con un gesto secco della mano.

Harry era lì, davanti a lui. Louis si chiese quale meschino scherzo del destino avesse fatto in modo che non si incontrassero in diciannove anni in quella cittadina e poi si vedessero due giorni consecutivi in due posti diversi ed ebbe motivo di credere che non fosse un caso, qualcuno voleva che lui e quel ragazzo si parlassero e la sera precedente non ne avevano avuto modo.

«Louis» disse Harry umettandosi le labbra e spostando per qualche secondo lo sguardo verso la parete alla sua sinistra per poi ritornare sul ragazzo.

Louis sorrise, ricordava il suo nome.


Angolo dell’autrice:

Grazie.

Davvero, non sapete quanto mi faccia felice leggere le vostre recensioni e sapere che avete messo la mia storia tra le ricordate o addirittura tra le preferite. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e, se non vi dispiace perdere qualche minuto, vorrei sapere che impressione vi ha dato Eugenia. Nel primo capitolo la sua figura rimane un po’ nell’ombra e potrebbe essere addirittura stata fraintesa mentre invece il tutto si chiarisce qui.

La canzone da cui ho preso il titolo stavolta è ‘Green Eyes’ dei Coldplay, una delle mie preferite, vi consiglio di ascoltarla se non la conoscete.

Se volete farmi leggere una delle vostre, qualunque sia l’argomento potete lasciarmi il link tra le recensioni, quasi sicuramente passerò e recensirò a mia volta.

Infine se volete potete seguirmi su twitter (sono @theedsideofme) e se chiedete il follow back vi seguo a mia volta.

Alla prossima,

C. x

  
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