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Autore: BlueSkied    02/08/2013    1 recensioni
La notte dell'Epifania del 1537 Alessandro de'Medici, detestato duca di Firenze viene assassinato dall'amico e congiunto Lorenzaccio de'Medici.
Tocca allora a Cosimo de'Medici, figlio del capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere ed erede del ramo popolare della famiglia, prendere il potere.
Tra raffinato mecenatismo artistico, nuove politiche e disgrazie familiari, condurrà la Toscana verso il Granducato, con la cauta inesorabilità del suo motto.
Note: mi sto documentando il più possibile, per rendere la storia verosimile, ma qualcosa potrebbe sfuggirmi, anche perché spesso le fonti si contraddicono.
Per finalità di trama, alcuni passaggi potrebbero essere violenti.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
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12.


1550



Isabella soffocò uno sbadiglio e gettò un'occhiata apprensiva verso il fondo della panca. Sua madre guardava dritto davanti a sé, il rosario stretto nella mano sinistra, la mano destra posata sulla spalla di Maria. Non s'era accorta di nulla, per fortuna.
La principessa si agitò appena, cercando una posizione più comoda, ma era stretta fra Giovanni e Lucrezia, che non stavano fermi un attimo e si prendevano di continuo i rimbrotti secchi delle levatrici. Era un vero strazio venire in chiesa, pensò Isabella, forse per la decima volta.
Si guardò intorno, seriamente annoiata, poi decise che avrebbe ascoltato il coro. Non capiva nulla di quel che dicevano, era Maria quella più brava in latino, ma la musica era bella. Se non altro, copriva le voci delle levatrici e i piagnistei dei bimbi più piccoli, che era già costretta ad ascoltare tutto il giorno.
La duchessa pretendeva che loro fossero sempre presenti: prima di montare a cavallo o salire in carrozza, li disponeva in fila e li passava in rassegna, sistemava una cuffia, lisciava un farsetto, e guai se si fossero mostrati in disordine: " Siete i figli del duca, non un branco di marmocchi di strada " ripeteva loro, rigorosamente in spagnolo. Sua madre era sempre stata severa, poche carezze, niente abbracci da una certa età in poi, piccoli regali frequenti e abbondanti punizioni. Isabella si guardò le mani, per vedere se si notava il segno delle bacchettate: se l'era prese per aver tirato i capelli a Giulia, ma lei era così antipatica!
Dal basso dei suoi otto anni, Isabella si sentiva molto più obbediente della cugina quindicenne, che non faceva altro che discutere con la duchessa e la sfidava, alzando il mento e guardandola dritto negli occhi.
La balia aveva spiegato a Isabella che Giulia si comportava così perché anche lei era figlia di un duca, quello morto, che c'era stato prima del babbo.
" Ma non è più suo padre il duca, è il mio! " aveva ribattuto la fanciulla, orgogliosamente, senza davvero capire perché la cugina si comportasse così male. La duchessa le bacchettate le aveva date anche a lei, quando faceva qualcosa di sbagliato, ma Giulia non aveva smesso di essere altezzosa e arrogante. Una sera, a letto, Maria aveva detto a Isabella che Giulia era triste perché non aveva i genitori, e già faceva finta d'essere una donna fatta per non mostrarlo. Questo la bambina l'aveva compreso: anche a lei, forse, non sarebbe piaciuto farsi governare da qualcuno che pretendeva d'essere tua madre, e poi non lo era.
Invece, col duca era sempre stata irreprensibile: lo chiamava " padre " e non gli disubbidiva mai, ma Isabella sapeva che al babbo era più facile voler bene. Quando era più piccola, per gioco, a volte la prendeva e la sollevava, e lei si sentiva così in alto che credeva di poter toccare il soffitto. Lui non alzava mai la voce con i bambini, e quando la madre li rimproverava, provava a consolarli.
Isabella era corsa dal padre anche dopo l'ultima volta che era stata punita: lui l'aveva ascoltata e poi aveva detto:
" Hai fatto male, Isabellina, tua madre ti ha castigato a ragione, anche se è sempre tanto rigida. Non arrabbiarti con lei, ma prega Nostro Signore di farti diventare una buona bambina. Vedrai che tua madre non ti castigherà più ". E Isabella, anche se ci aveva messo un po', aveva capito cosa intendesse. Cominciò a pregare Gesù Bambino di farla essere più simile a Maria, che non si prendeva mai né una sgridata né una bacchettata.
Tutti amavano Maria perché era graziosa, brava nello studio e sempre composta. Non giocava quasi mai con i fratelli, non correva e non si agitava. Era molto simile a Francesco, entrambi guardavano i genitori e ne imitavano i modi, consapevoli che si aspettassero tanto da loro. Sicuramente, Maria attendeva con trepidazione l'arrivo di Giulia, per imparare come comportarsi quando anche a lei sarebbe toccato di sposarsi e Francesco non aspettava altro che vedere il padre in una simile circostanza: quando fosse stato duca a sua volta, anche lui avrebbe accompagnato una delle sue figlie all'altare. Isabella, con lo stomaco che brontolava, voleva solo tornare a palazzo.
Finalmente, la sposa e il suo padre adottivo comparvero in fondo alla navata di San Lorenzo. La duchessa scattò in piedi, imitata dai figli e dall'ampio corteggio presente.
Giulia de' Medici aveva ricevuto un'ampia dote e un bellissimo abito, fatto fare su modello di quello indossato per le proprie nozze dalla duchessa Eleonora. Fu a lei che la ragazza rivolse lo sguardo, quasi con espressione d'affronto, mentre passava. Pareva volerle sciorinare davanti tutta la sua giovinezza, quasi a voler dimostrare che erano passati i tempi in cui Eleonora poteva entrare in un vestito del genere. L'ultima, vana ripicca contro la donna che credeva usurpasse la sua autorità. Ma intanto, la sua ventottenne madre adottiva, seppur con i fianchi allargati dalle nove gravidanze, restava la moglie del duca di Firenze, mentre Giulia andava a sposarsi con l'oscuro conte di Pepoli.

Cosimo conosceva il cattivo sangue che correva fra sua moglie e la figlia di Alessandro. Fu con sollievo che condusse la giovane verso lo sposo, la baciò sulla fronte, benedicendola, e tornò dalla sua famiglia. Di figlie sue ne aveva tre, ed era certo che il giorno delle loro nozze sarebbe stato ben più piacevole. Dispose l'animo a Dio, mentre si levavano le note del Credo, pensando che gestire uno Stato non era nulla in confronto a star dietro alle figlie adolescenti o quasi.
Non era solo la sterile disubbidienza della figliastra a turbare Eleonora, scoprì poco dopo.
A cerimonia finita, la duchessa portò, come faceva d'abitudine anche dopo la messa,  i bambini nella cripta, a presentare gli omaggi alla nonna e agli altri defunti di famiglia. Cosimo si unì a loro, prendendosi in braccio Lucrezia e tenendo per mano Isabella, mentre la madre indicava a Francesco i nomi dei suoi antenati, chiedendogli di ripetere le loro gesta. Era un esercizio abituale anche dei suoi maestri, per inculcargli orgoglio dinastico e consapevolezza. Il piccolo erede, con sicurezza, snocciolava fatti e date, senza sbagliare quasi mai.
A un certo punto, arrivando di fronte all'ossario dov'erano contenuti i resti dei suoi fratelli, Pedricco e Antonio, scomparsi nell'infanzia, si fermò e giunse le mani, imitato da Maria, che lo seguiva da breve distanza. Recitò una breve preghiera, poi alzò lo sguardo verso la madre:
- Prego ogni giorno perché Nostro Signore non si prenda nessun altro dei miei fratelli - confidò, nel tono serio che gli era già proprio. Eleonora sussultò impercettibilmente, e rivolse un'occhiata fugace al duca: aveva gli occhi lucidi, ma non permise che i suoi figli la vedessero piangere.
- è una buona speranza, Francesco mio, ma tu dovresti chiedere al Signore Iddio che ti dia la forza di affrontare la perdita. Non siamo che strumenti nelle Sue mani, e il nostro volere in confronto al Suo, non è nulla - replicò la duchessa, fermamente, ma con tenerezza insolita.
Il marito la studiò per tutto il ricevimento nuziale e il resto della giornata, ma lei, immersa nelle occupazioni d'intrattenere gli ospiti e organizzare il banchetto, non diede più mostra di tristezza, celandola sicuramente.
- Non sono così forte, mio signore - gli confessò quella sera, nella segretezza del letto nuziale - Solo una donna può sapere cosa significa amare la creatura che ti cresce in grembo, sopportarne il peso e la sofferenza che causa, e la gioia che dà nel nascere. Per quanto cerchi di non pensarci, non posso fare a meno di chiedermi quale dei nostri figli ci sarà tolto la prossima volta, e non so se potrei resistere, mio signore, perché morirei mille volte per ognuna delle loro vite -
Cosimo restò un po' in silenzio, poi sospirò:
- Temo che la vostra sia una giusta paura, mia signora, ma come avete detto a don Francesco, dobbiamo rassegnarci al supremo volere di Dio. Però dovreste pensare piuttosto a come sarete felice vedendo i ragazzi sposarsi, aver figli a loro volta. Siete giovane, e forse dovrete farlo anche per me - replicò.
- Non dite questo, mio signore - ribatté lei, con passione - Darei la mia vita un milione di volte, in cambio della vostra-
Fece una pausa, poi aggiunse:
- Devo fare qualcosa per loro, mio signore. Sarei una madre snaturata se non cercassi di agire - decise, all'improvviso.

Il duca non aveva idea di cosa lei intendesse, fino a poche settimane dopo.
Ancora assorbito da un lungo consiglio, durante il quale i suoi ministri si erano accapigliati riguardo le fortificazioni e la posizione vacillante della repubblica di Siena, sedette a tavola per la cena con la moglie e i figli, ignorando quasi completamente i soliti capricci dei piccoli. Era troppo concentrato per accorgersi che Eleonora non li stava rimproverando. Fu la quantità di rumore che non accennava a diminuire, che lo distrasse, finalmente: alzò lo sguardo sulla duchessa, all'altro capo del tavolo, per chiedere spiegazioni, e scoprì che lei lo scrutava, insolitamente ansiosa.
La invitò a parlare e lei gettò alle ortiche ogni indugio:
- Mio signore, c'è qualcosa che vorrei comprare - esordì. Cosimo si stupì non poco di quella titubanza: Eleonora sapeva che ogni sua richiesta era puntualmente accontentata.
- Ditemi - la incalzò, incuriosito.
- Ho visto un palazzo, oltre l'Arno, e vorrei davvero averlo, mio signore - dichiarò la duchessa, con negli occhi la stessa ostinazione di quando si metteva in capo di volere qualcosa.
- Abbiamo già tante di quelle ville e palazzi, mia signora - replicò il duca, perplesso, ma lei scosse la testa con impazienza:
- Sì, ma i palazzi sono piccoli, e anche la villa più vicina è fuori dalle mura. Non credete, per il rango che ormai occupate, sia il caso di possedere un palazzo degno del vostro nome, con un giardino regale, e in più, vicinissimo a questa dimora? - insisté, pericolosamente invitante. Sapeva bene su quali leve forzare la mano, per convincerlo.
Lui si arrese, suo malgrado tentato:
- Parlatemene - l'invitò.
Era un antico palazzo posseduto dalla famiglia Pitti, appena oltre il fiume, in una zona meno popolata e più salubre, con la disponibilità di grandi appezzamenti di terra inutilizzati. In effetti, Cosimo non lo poté negare, era l'ideale. Eleonora non aveva mai particolarmente amato l'aria da fortezza del Palazzo dei Priori.
- E sia - concesse, rassegnato. Non sapeva ancora che sua moglie gli stava per regalare la più magnifica delle residenze.



Note:
Giulia de' Medici (1535-1588) era figlia naturale di Alessandro de' Medici, cresciuta insieme ai figli di Cosimo, e pare che nutrisse una certa invidia nei confronti di Eleonora. Sposò nel 1550 il conte di Pepoli, e poco dopo, rimasta vedova, un suo lontano cugino, Bernardetto de' Medici, dando poi origine al ramo dei Principi d'Ottaiano, ancora esistente.

Non vi stupite per il "babbo" (cioè papà, per chi non lo sapesse): benché fosse un'espressione familiare, era usata anche fra i potenti, a Firenze.

Palazzo Pitti fu effettivamente acquistato da Eleonora di Toledo nel 1550 e allargato e migliorato negli anni successivi. Fu per suo volere che furono realizzati i fastosi giardini, detti poi di Boboli.

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