CAPITOLO
7
Si
era aggiornato.
Internet, tv e stampa.
Entrambi i
tre grandi canali dell’informazione mediatica riportavano quasi all’unanimità il
seguente titolo: ‘Farewell Tokio Hotel, Welcome to the next boy band’,
per citare direttamente il ‘Daily Mirror’.
Eh
sì.
Era successo.
Nessuna smentita e nessuna
conferma.
Nessuna conferenza stampa.
Nessuna parola
al riguardo.
No comment.
Strettissimo riserbo da
parte di tutti i componenti della band e del loro staff.
Ma non ci
voleva una laurea in scienze della comunicazione per comprendere cosa stava
accadendo.
Cancellate le interviste
programmate.
Cancellate le apparizioni
televisive.
Cancellati i servizi.
Avvisaglie di
cancellazione delle prime date del tour, ormai imminente.
Per
essere sinceri, data la bassa prevendita di biglietti, una data italiana aveva
subito un cambio di location e ben due date in Europa dell’est erano state messe
in forse. Se si voleva essere davvero del tutto onesti, per la prima volta
pochissimi concerti aveva fatto sold out. Neppure una delle date
tedesche.
Era davvero passata la Tokio Hotel
mania.
Passata come il monsone, ad essere
ironici.
Erano arrivati, avevano portato un po’ di scompiglio, ma
già al sesto album erano stati riposti nello sgabuzzino dei ricordi.
Le ragazzine che impazzivano per loro erano cresciute, avevano
staccato tutti i poster, avevano cambiato modo di vestire, si erano iscritte
all’università e non facevano più caso a loro. Magari addirittura si
vergognavano di essere state loro fan.
Faceva un male cane
realizzare tutto questo.
Straziava l’anima
dentro.
Sapere che tutto quello per cui viveva era svanito lo
faceva sentire vuoto, senza altri scopi nella vita.
Era nato con i
Tokio Hotel, cresciuto con essi e, adesso che erano finiti a gambe all’aria…
fino a due mesi prima non sarebbe stato in grado di pensare ad una cosa del
genere.
Adesso la stava vivendo.
Sentì il cellulare
vibrare sul comodino.
La sua mente, intorpidita ma perfettamente
in grado di pensare, costrinse la sua mano ad uscire dal groviglio di coperte
per prenderlo e rispondere. Non riuscì a leggere il nome che compariva sullo
schermo, ma intuì perfettamente quale fosse e rifiutò la chiamata, restituendo
al cellulare la sua posizione naturale.
Tornò ai suoi pensieri,
alla sua depressione, alle sue coperte. Allungando l’orecchio, poteva sentire
che la donna delle pulizie stava dando l’aspirapolvere in giro per il salotto.
Aveva chiuso la porta della sua camera a chiave, da dentro, non sarebbe entrata
a disturbarlo.
Di nuovo il cellulare prese a
vibrare.
Aveva perso il numero delle volte che David lo aveva
chiamato. Cinquanta? Settanta? Novantanove?
Rifiutò di nuovo ma,
appena il cellulare ebbe toccato di nuovo il legno del comodino, tornò a
vibrare.
Era l’ora di farla finita.
“Che cazzo vuoi
David!”, gridò, rispondendo.
“Georg… sono io, Helen…”,
disse la voce femminile di lei.
Di tutte le persone che popolavano
il globo terrestre, lei era quella a cui non aveva mai pensato dal momento in
cui avevano rotto.
“Ah… ciao Helen…”, le disse, quasi annoiato, ma
allo stesso tempo molto sorpreso.
“Volevo… volevo sapere… ma se
disturbo…”, fece lei, titubante.
“Oh no… tranquilla, è che
non…”, disse Georg, ma gli si impastò la bocca.
“Stavi
dormendo, vero?"
“Beh… a dire il vero sì, ma non ti
preoccupare, è l’ora di alzarsi.”, disse Georg e, con riluttanza, scansò le
coperte e si mise a sedere sul bordo del letto, stropicciandosi la
faccia.
“Ho sentito, insomma, del gruppo e… volevo sapere come
stavi.”, disse lei, con una voce così flebile che quasi non la
sentì.
“Sto bene, sì… sto bene.”, disse Georg, poco
convinto.
“Sei sicuro?”
“Sì, abbastanza.”,
ripetè, con più sicurezza.
“Vuoi parlarne?”, gli chiese
Helen.
“Non mi farebbe male.”, disse,
sospirando.
“Davanti ad una tazza di caffè? Così magari ti
svegli…”, disse lei, ridendo sommessamente.
“Sì, non è una
cattiva idea.”, fece Georg.
Le disse che poteva passare nel tardo
pomeriggio, o comunque quando fosse stata libera, e lei
acconsentì.
Anche se avevano rotto in malo modo, quella chiamata
gli fece un po’ piacere.
Parte di lui voleva
parlare.
L’altra parte di lui…
Posò il telefono, si
alzò dal letto ed andò a farsi una doccia.
Tutto era tornato al suo posto. Non c’erano più la barba
incolta, i capelli spettinati, la camera in disordine ed il vago odore di scarpe
che aleggiava nella casa. Tutto era stato lustrato a fondo, pulito e profumato.
Dopo aver mangiato qualcosa, se ne stette per diverse
ore davanti allo schermo del suo portatile, in cerca di qualche notizia in più
che lo riguardasse. Solo voci, rumori, gossip, nessuna voce ufficiale. In ogni
forum, in ogni rivista on-line o sito qualsiasi che parlasse di loro, ognuno
aveva da dire la propria sul perchè i Tokio Hotel si erano sciolti.
Ma si erano davvero sciolti? Si chiese Georg.
Non
poteva sapere le intenzioni degli altri, ma sicuramente vertevano su una
risposta affermativa per quella domanda.
Più che ci rifletteva,
più che si diceva che basta stop, la
favola dei quattro di Magdeburg era giunta al termine.
Il
campanello suonò alla porta, era arrivata Helen, interrompendo la sua
divagazione mentale sull’argomento.
Si presentò sorridente e lui
la abbracciò volentieri. Era stato carino da parte sua porgergli una spalla su
cui aggrapparsi quando il resto del mondo sembrava sparito. Si era visto un paio
di volte con Fabian, ma solo per qualche ora, perchè purtroppo il suo lavoro lo
stava massacrando e, con grande rammarico, non aveva molto tempo da dedicargli…
almeno lui aveva qualcosa da fare, pensò Georg, invece di starsene tutto il
giorno a farsi seghe mentali, sdraiato sul letto... e non solo
mentali...
“Grandi brutte occhiaie.”, gli disse lei,
ridendo.
“Sì, purtroppo non dormo molto bene ultimamente.”, si
giustificò Georg, mentendo spudoratamente perchè il dormire occupava il novanta
percento della sua giornata, “Accomodati pure, vado a fare un po’ di
caffè.”
Sparì per qualche minuto nella cucina, per tornare poi con
un vassoio, su stavano cui due belle tazze di caffè fumante, zollette di
zucchero e cucchiaini.
“Oh, grazie mille.”, disse Helen, prendendo
la sua tazza.
“Non c’è di che… come va col lavoro?”, le chiese,
prima di bere il suo caffè.
“Abbiamo appena finito i servizi
speciali sulle settimane della moda di Londra e di Berlino… sono praticamente
esausta!”, disse lei, col suo classico tono gioviali di cui lui non si era
dimenticato.
“Come sarà la moda dei prossimi mesi? Dammi un
anticipo!”, le fece.
“Il colore prevalente sarà il turchese,
torneranno di moda i calzettoni al ginocchio e le scarpe basse… uno schifo, se
vuoi la mia opinione!”, esclamò lei, facendolo ridere.
“Beh, non
ho mai avuto un debole per il turchese…” disse Georg, “Penso che non comprerò
nuovi vestiti!”
“Fai bene… piuttosto… Vuoi parlarne?”, gli chiese,
con calma e serenità.
“Non c’è molto da dire.”, le fece,
sorseggiando del caffè.
“A quanto leggo in giro sembra proprio di
sì… ma perché non fate una conferenza stampa per smentire tutto?”, disse
Helen.
“Perché…”, iniziò Georg, ma poi si
bloccò.
“Stanno speculando in una maniera impensabile!”, riprese
Helen, animandosi, “Ormai la vostra siete diventati come una
telenovelas…”
A Georg scappò una risata a bassa
voce.
“Se devo dirtela tutta, non sento nessuno di loro da diversi
giorni. L’ultima volta che ci siamo visti è stato circa cinque o sei giorni dopo
la live performance… e poi più niente.”, le rivelò Georg.
“Allora
vi siete sciolti.”, ne dedusse Helen.
“Non lo so.”, rispose Georg,
facendo spallucce, “Te l’ho detto, non sento nessuno di loro. E comunque rifiuto
le loro chiamate.”
“Ah sì?”
“Sì… ho dei buoni motivi
per farlo.”, disse semplicemente Georg.
“Mi dispiace…”, fece
Helen, “Ma forse parlando con loro risolverete i vostri
problemi.”
“Non credo.”, disse Georg, “Se avessimo voluto
veramente risolvere in nostri problemi, lo avremmo già fatto… ma dato che siamo
a questi livelli, penso proprio che non sia il caso di tornare
indietro.”
“Ci avete almeno provato?”
“Io ho
tentato… ma non è facile scontrarsi con delle mura di gomma, rischi solo di
rimbalzarci e farti del male.”, disse Georg.
“Ma qual è il vero
motivo di tutto questo casino!", sbuffò
Helen, "Non vorrai mica dirmi che quattro
fischietti sono bastati per farvi mandate tutto a quel
paese!”
“No, tranquilla, ci sono anche tante altre cose in
sottofondo…”, disse Georg, grattandosi la fronte.
“E
quali?”
Le lanciò un’occhiata di traverso.
“Sto
iniziando a sospettare che tu voglia sapere queste cose per pubblicare poi un
articolo sul giornale per cui lavori.”, le disse, cercando però di non far
passare quella sua ipotesi come un’accusa.
“No, tranquillo!”,
esclamò Helen, ridendo, “Non ho né microfoni né microspie
addosso!”
“Lo sai che qualsiasi cosa detta da me non deve uscire
di nuovo dalla tua bocca.”, le ripetè, sempre con il solito tono scherzoso ma
comunque fermo e deciso.
“Sì, non me lo dimentico, puoi starne
certo.”
L’importante era mettere le mani avanti prima di sbattere
la testa, pensò Georg. Non che non si fidasse di Helen ma… Dato che certe
notizie facevano gola a tutti, doveva tacere, e già aveva detto troppo. Certo,
gli stava facendo bene sfogarsi con qualcuno. Ma data l’occupazione di Helen,
era meglio drizzare le antenne e stare alla larga dal rivelare determinati
dettagli.
“Mi dispiace per l’altra volta.”, disse poi lei,
abbassando lo sguardo sulle sue mani, che giocherellavano con uno dei suoi
anelli.
“Lascia stare, è stata colpa mia, non dovevo rivolgermi a
te in quel modo.”, si scusò Georg.
“E io avrei dovuto richiamarti…
ma ero troppo impegnata col lavoro e… poi ero ancora arrabbiata con te.”,
proseguì Helen, con un lieve sorriso imbarazzato sulle labbra.
“Io
ho fatto lo stesso.”, disse Georg, poi le porse la mano.
“Sì,
meglio così.”, disse Helen, comprendendo che quel gesto era una sorta di
riconciliazione da amici.
Quando entrambe le mani si lasciarono,
ci fu qualche secondo di silenzio, quasi imbarazzato, in cui nessuno dei due
trovava qualcosa di intelligente da dire.
Georg finì la sua tazza
di caffè e la posò sul vassoio.
“Quindi… va tutto bene con il
lavoro…”, disse, dato che la sua mente si era completamente svuotata in pochi
secondi.
A dire il vero c’era una cosa ben precisa che incombeva
nella sua mente, ma…
“Sì.”, rispose lei, con un sorriso
stretto.
I suoi capelli biondi stavano legati in una coda di
cavallo alta sulla nuca. Aveva un maglioncino a collo alto nero,
tinta unita, ed una giacca grigia con dei grossi bottoni neri ed una fascetta
per tenerla ferma in vita.
Il nasino a punta, le piccola bocca,
gli occhi verdi…
Le avvicinò una mano delicatamente al viso e la
baciò, senza riflettere. Lei si liberò subito, discostandosi e guardandolo con
occhi stupiti e quasi arrabbiati.
“Georg…”, disse poi,
risentita.
“Scusami… non volevo, perdonami.”, disse lui
immediatamente, pentitosi di quel piccolo gesto.
Al che fu lei a
prendere il suo viso tra le mani e a baciarlo.
Mentre Helen si stava facendo una doccia in bagno, Georg
ne approfittò per accendersi una sigaretta e fumarsela in pace.
Ne aveva proprio avuto bisogno.
Non della
sigaretta.
Di quello che era venuto prima.
Non
perché lo aveva appena fatto con Helen, ma semplicemente perché lo aveva fatto e
basta.
Fatto davvero, nessun surrogato. Nessun menage a
uno.
Completamente rilassato, con la spalla lievemente
indolenzita per via di quei tre o quattro morsi che Helen gli aveva dato, se ne
rimase a fissare il soffitto, in contemplazione della ragnatela che la donna
delle pulizie non aveva tolto.
Nessun pensiero gli sfiorava la
testa, a parte la possibilità di concedersi un bis, dato che lo scrosciare
dell’acqua nel bagno lo stava stimolando di nuovo.
La sigaretta
finì e venne spenta presto nel posacenere, sul comodino. Helen riapparve in
camera con l’asciugamano legato sul petto e gli si distese accanto, appoggiando
la testa sulla sua spalla. Gli dette un piccolo bacio sulla guancia e si mise,
come lui, a fissare il soffitto.
“Hai una caramella?”, gli chiese,
“Una di quelle gommose…”
“Non so.”, disse Georg, per il quale il
dopo era sempre determinato da un lungo periodo di silenzio.
“Ah…
accendo un po’ di tv.”, disse Helen e, guardandosi intorno, “Dov’è il
telecomando?”
“Dentro al cassetto del comodino… dalla tua parte.”,
le spiegò.
Nel mentre lei lo stava cercando, Georg ne approfittò
per rivestirsi, stava iniziando a sentire un po’ di freddo.
“Cos’è
questo?”, sentì dire ad Helen.
“Cosa?”, le chiese e, dopo aver
indossato una t-shirt qualunque, si voltò verso di lei.
“Questo
qui.”, disse Helen, porgendogli con sguardo divertito un
libro.
Ancora quel libro.
“Lo sai cos’è.”, le
rispose, tornando a sdraiarsi con noncuranza sul letto.
Lo aveva
richiuso nel cassetto del comodino, come aveva fatto qualche tempo fa, per poi
di ritrovarselo inaspettatamente dentro il borsone, pochi minuti prima
dell’esibizione in unplugged. E lì lo aveva riposto ancora, dopo il piccolo
'screzio' con Mondenkind, capendo che quel coso, da quando lo aveva avuto in
mano, non aveva fatto altro che mettergli strane idee in
testa.
“Lo stavi leggendo?”, disse Helen, sedendosi a gambe
incrociate sul letto ed iniziando a sfogliarlo.
“Un po’… me lo
hanno regalato.”, le disse, mentendole in parte perché non aveva voglia di
tornare sull’argomento.
L’ultima volta che quel libro, ma soprattutto il
film che ne era stato tratto, era entrato tra di loro, avevano rotto. Non che in
quel momento fossero tornati insieme, assolutamente no. Ma tenersi Helen come
una buona amica di letto non era una
cattiva idea.
“Il film faceva schifo… figuriamoci il libro!”,
sbottò Helen.
Poi si accomodò, appoggiando la schiena alla testata
del letto, ammorbinendola con un cuscino, e prese a leggere qualche passo, in
silenzio. Georg accese la tv con il telecomando che Helen si era dimenticata di
prendere, attratta dal libro.
Si sistemò accanto a lei ma tra di
loro c’era comunque una piccola distanza, quella classica che si aveva tra due
persone, quasi estranee, ma che condividevano una sola cosa. Il sesso. Per il
resto nient’altro.
“Non riesco a credere che la mia maestra delle
elementari potesse credere nella demenzialità di queste parole.”, disse Helen,
chiudendo il libro.
Georg, in un primo momento, non rispose, non
era stato a sentirla.
“Diceva che il più grande insegnamento di
questo libro era credere nei sogni, nella fantasia e nei desideri.”, proseguì
Helen.
“Ne abbiamo parlato anche l’ultima volta che ci siamo visti
e la serata non è andata a finire bene.”, le ricordò Georg, mentre saltava
ininterrottamente da un canale all’altro.
“Sì, lo so… solo che
quella volta ti sei arrabbiato. E stavolta no.”
“Perché dovrei
farlo ancora?”, sbottò Georg.
“Perché parevi credere molto in
quello che stavi leggendo.”, fece Helen, maneggiando il libro tra le sue mani,
“Mi facesti capire che credere nei propri sogni era tutto nella
vita.”
Georg fece spallucce e tornò al suo
zapping.
“Ma i sogni spesso si infrangono… non è vero Georg?”,
continuò Helen, alludendo evidentemente a quello che gli stava succedendo,
“Quindi perché crederci? Prima o poi tutto finisce… e ne rimaniamo
delusi.”
Come poterle dare torto, pensò Georg.
“Se
non ricordo male”, fece Helen, “in questo libro il mondo della fantasia veniva
mangiato ogni giorno dal cosiddetto Nulla. Non è così,
Georg?”
“Sì…”, disse il ragazzo, abbandonando la tv ed il
telecomando.
“E il Nulla… che cosa pensi che sia? E’ la realtà,
Georg, che vince sulle stupidaggini. Cosa sogniamo a fare se poi tutto va sempre
per il verso sbagliato? Bisogna prendere di petto la situazione ed andare
avanti…”, disse Helen.
“Sei in vena di lezioni di vita, oggi…”, le
fece Georg, che aveva visto scomparire tutte le possibilità di fare sesso per
una seconda volta.
“La realtà ti ha raggiunto, ti ha
mangiato…” continuò a dire Helen.
All’improvviso, Georg non potè
fare a meno di pensare alle parole di uno specifico personaggio della storia.
Quel personaggio, comparso anche nel film, si chiamava Mork. Nella trasposizione
televisiva era un grosso lupo; sulla carta era comunque un lupo, però mannaro.
In entrambe le versioni, era stato messo alle calcagna di Atreiu per catturarlo,
per non farlo continuare oltre nella sua Grande Ricerca.
I due si
erano incontrati nella città dei Fantasmi, detta anche Paese della Malagenia, ed
ebbero una discussione fondamentale, forse la più importante di tutto il libro.
Mork, il lupo mannaro, disse di avere la possibilità di poter passare da
Fantàsia al mondo umano con semplicità, ma di non appartenere né alla Terra,
dove Atreiu avrebbe dovuto cercare il salvatore dell’Imperatrice, e dove lui
aveva le sembianze di un essere umano, né al mondo di Fantàsia, dove invece era
il mostro che Atreiu aveva davanti agli occhi. Disse di essere un servo del
Potere, di quella forza oscura e maligna
che sfruttava il Nulla per inghiottire Fantàsia, proiettandola sul mondo umano
sotto forma di menzogne, paure, manie e disperazioni per
assoggettare così il mondo degli uomini al suo completo
controllo.
Quel libro era
degno della trama di alcuni dei migliori film sul futuro catastrofico umano,
pensò Georg.
‘Nel mondo degli uomini c’è una grande quantità di
schiocchi (che naturalmente si considerano molto intelligenti e credono di
servire la verità), zelantissimi nel convincere i bambini a non credere
all’esistenza di Fantàsia. Chissà, forse sarai utile proprio a loro’, lesse
Georg nelle parole di Mork.
Atreiu comprese allora che nessuno
degli uomini voleva più venire a Fantàsia perchè tanto più la distruzione
dilagava, tanto più grande diventava il fiume di menzogne che si riversava sul
mondo degli umani. Ogni minuto che passava, quindi, allontanava sempre di più la
possibilità che il figlio di Adamo, di cui lui era alla ricerca, venisse a
salvarli, accecato dalle bugie e dalle manie.
Gli uomini avevano
causato il Nulla, smettendo di sognare e di sperare.
Ed il Nulla
stava arrivando per annientarli definivamente.
Avevano dimenticato
i sogni.
Rinunciato alle
speranze.
Perso la
fantasia.
Ed Helen, in quel momento, con il suo sermone, pareva
uno di quegli schiocchi zelantissimi nominati da Mork.
“Troverò un altro scopo nella vita, se è questo che ti
interessa.”, disse Georg, stanco delle sue parole.
“Ecco, questo è
un buon inizio.”, disse Helen, soddisfatta nell’aver sentito quello che voleva
che uscisse dalla bocca di Georg.
Che palle, si disse
Georg.
Pensava di essere lui il maestro della sua
vita.
Di nuovo gli venne da fare un’altra analogia tra la sua vita
e quel libro.
Avevano perso la fantasia: il nuovo album era esattamente
uguale a tutti quelli precedenti. Non si erano rinnovati, non avevano dato
spazio alle influenze da altri generi e si erano semplicemente lasciati
trasportare dalla corrente, scrivendo pezzi che non avevano niente di diverso,
stilisticamente parlando, da quelli pubblicati negli anni
passati.
Avevano dimenticato i sogni: fare musica insieme, per sempre. Se lo
erano promesso, a quindici anni.
Perso la speranza: non stavano facendo niente per
rattoppare le loro vite, tornare a fare il sold out ai concerti ed avere
riconoscimenti in tutto il mondo.
Il Nulla che loro stessi avevano
generato, con i loro comportamenti sbagliati, adesso se li stava mangiando tra
due belle fette di pane, magari anche con qualche condimento extra.
Era il momento di portare le scuse a qualcuno di sua
conoscenza.
***
Quando vide Mondenkind rimase quasi spiazzato. Era
talmente pallida che poteva benissimo essere trasparente. Era in piedi, stava
catalogando dei libri mentre suo nonno fumava la sua pipa seduto sulla sua
poltrona, assorto in una lettura.
Sembrarono non sentire il suono
dei campanellini attaccati alla porta, quando lui entrò. Si voltarono verso di
lui solo quando attirò la loro attenzione con un buongiorno, sventolando
lievemente la mano destra, che teneva stretta il libro.
“Georg…”,
disse Mondenkind, con una voce quasi inesistente.
“Ah… è arrivato
il giovanotto!”, sbuffò subito suo nonno, mentre dalla sua pipa uscivano fuori
anelli di fumo che si rincorrevano nell’aria, sopra la sua
testa.
“Sì… sono proprio io…”, disse Georg, sorridendo a denti
stretti.
“Allora me ne vado nel mio studio… così vi lascio soli.”,
disse il simpatico vecchietto, alzandosi dalla sua amata poltrona e chiudendosi
nello studiolo, insieme alla sua pipa e al libro.
I due ragazzi
attesero che la porta si chiudesse per scambiarsi qualche
parola.
“Sono venuto per… scusarmi. Per l’altro giorno,
ovviamente.”, disse Georg, grattandosi la testa.
“Ti capisco
benissimo Georg… ti ho innervosito con il mio atteggiamento un po’, come dire,
da sapientona. Non volevo assolutamente passare per quella che dispensa lezioni
di vita a destra e a manca. Ognuno deve fare ciò che vuole.”, disse
Mondenkind, chiudendosi nella sua felpina rosa, come se avesse avuto
freddo.
Almeno lei aveva la maturità necessaria per capirlo, pensò
immediatamente Georg, dopo essere tornato con la mente al giorno precedente,
alla chiacchierata che aveva avuto con Helen.
“E comunque hai
ragione… cosa ci potrai mai trovare in un libro come quello?”, proseguì
Mondenkind, con una certa aria sconfitta.
“E’ proprio lì che
volevo scusarmi.”, disse Georg, “Magari tu a questo libro ci tieni veramente, ci
sei affezionata… tuo padre ti ha chiamato esattamente come l’Imperatrice! E io
l’ho trattato come se fosse carta straccia!”
“Allora visto che ci
tieni tanto… scuse accettate!”, disse Mondenkind,
sorridendo.
Georg le porse la mano e lei, titubante, gliela
strinse. Ma la tenuta di Mondenkind non aveva la benché minima forza, era
debole. La sua mano era del tutto fredda, sterile e senz’anima.
Si stupì del cambiamento strabiliante che aveva visto
nell’aspetto di quella ragazza. Dapprima era gioviale, la sua risata era
contagiosa, la sua faccia era luminosa.
Adesso era l’ombra di se
stessa.
Magari aveva solo bisogno di uscire un po’ di più all’aria
aperta, di svagarsi, di conoscere nuova gente… di cambiare vestiti… di togliersi
quegli occhialetti buffi… Di sicuro non le faceva bene passare tutto il suo
tempo dentro a quella libreria, nella penombra, a trafficare libri antichi e
vecchie edizioni. Se lei avesse accettato, le avrebbe fatto conoscere
un po’ dei suoi amici, così… tanto per toglierla di
lì.
“Dovrei anche parlarti di un’altra cosa..”, disse Georg,
sorridendole.
Lei ricambiò il suo sorriso con un espressione
simile, ma molto stanca.
“C’è qualcosa che non va, Mondenkind?”,
le chiese.
Non si sentì strano nel preoccuparsi per lei, dato che
fino a quel momento il contatto più reale che aveva avuto con un essere umano,
che non fosse stato se stesso, era avvenuto proprio con
Mondenkind.
Una totale sconosciuta, l’unica cosa che aveva in
comune con lei era quel libro, eppure quando si parlavano lei dimostrava sempre
di capirlo, di accettare i suoi punti di vista. Silenziosamente, Mondenkind lo
ascoltava, gli porgeva domande, lo faceva riflettere senza pretendere niente in
cambio.
“Te l’ho detto, ultimamente non mi sento per niente
bene.”, gli ripetè la ragazza, come aveva già fatto altre
volte.
“Ma ci sarà un motivo per questo!”, esclamò
Georg.
Poi un pensiero gli passò per la testa. E se avesse avuto
una malattia di cui non voleva parlare?
“Non lo so che cos’è che
ho… i dottori dicono che sto bene, che tutto sembra essere a posto. Ma non è
così.”, disse Mondenkind, con aria rassegnata.
“Ti sei fatta fare
degli esami? Degli accertamenti?”
“Sì… ho fatto tutto. Ma niente,
non sono serviti a niente.”, disse Mondenkind.
“Per favore,
siediti.”, le fece Georg, avvicinandoli e sostenendola finchè lei non si fu
accomodata sulla vecchia poltrona.
“Forse uscire fuori da qui ti
farà stare meglio.”, le propose, del tutto insicuro.
“No, non
credo.”, disse Mondenkind, appoggiando la fronte sulla mano, “Qual è l’altra
cosa di cui volevi parlarmi?”
Georg sospirò, cercando di
organizzare la valanga di pensieri che era franata dentro la sua
mente.
“Di un mucchio di cose… e forse di nessuna di queste.”,
disse, sorridendo con amarezza.
“Cosa intendi?”, disse Mondenkind,
con aria perplessa. Poi, con un cenno della testa, gli indicò un punto non
precisato alle sue spalle, che si rivelò essere uno sgabello, abbandonato contro
uno scaffale. Georg lo prese e si sedette davanti a lei.
“Beh… ho
avuto una chiacchierata, ieri sera, con una mia amica…”, iniziò a dire
Georg.
“Amica?”, lo interruppe Mondenkind, con sorriso lievemente
malizioso.
“Sì, insomma…”, disse il ragazzo, abbassando lo sguardo
con un certo imbarazzo, “Ed ho capito un paio di
cose.”
“Quali?”
“Forse tutti i torti non ce li hai,
Mondenkind.”, disse Georg, sorridendole.
La ragazza annuì
concentrata con la testa, come per dirgli che poteva andare
avanti.
“Vedi… forse ho ancora una qualche possibilità di tirarmi
fuori dal Nulla in cui sono caduto. O meglio, siamo caduti.”, cercò di spiegarsi
meglio Georg.
“Non ti seguo.”, disse Mondenkind, ma dall’angolino
destro della sua bocca, voltato lievemente all’insù, Georg comprese che lo stava
seguendo perfettamente.
“Mi dicesti che avrei potuto trovare una
soluzione ai miei problemi tra queste pagine… Questo libro non è esattamente il
manuale della felicità, ma sicuramente mi sta insegnando che, anche se la vita
fa schifo, c’è sempre qualcosa che deve farci andare avanti.”
“E
quale sarebbe questa cosa?”, chiese Mondenkind, sul cui viso non si celava più
alcun segno di soddisfazione.
“I miei sogni.”, disse Georg, “Le
mie fantasie. Finchè ho creduto nel mio sogno, cioè diventare un musicista per
tutta la vita, niente è andato storto… ma quando ho smesso di crederci, o
meglio, abbiamo smesso di crederci… tutto è finito in mille pezzi. Sembra una
stupida frase fatta, una sciocchezza per qualunquisti, una dichiarazione
moralistica. Ma è la verità.”
Mondenkind non proseguì con una
domanda, o una semplice affermazione. Voleva che lui continuasse a
parlare.
“Ma se ci metteremo insieme con l’idea di poter tornare a
credere in quel sogno… E’ questa la soluzione che dicevi tu? Non è
vero?”
Fu allora che Mondenkind reagì. Discostò la sua schiena
dalla poltrona, si avvicinò sorridendo a Georg e gli posò delicatamente una mano
sopra le sua, unite tra loro. Il contatto, inizialmente freddo e senza
consistenza, si rivelò caldo e corposo. Georg sentì il calore dilatarsi a
macchia d’olio dalle sue mani, diffondersi per tutto il suo braccio e
disperdersi ovunque sul suo corpo, come se fosse stata una marea di acqua, che
saliva vorticosamente seguendo l’influsso lunare.
“Forse lo è.”,
disse Mondenkind, con voce pacata e serena, “Devi fare ciò che vuoi. E’ anche
questo quello che il libro ti insegna.”
Georg rimase
interdetto.
Pensava di aver dato la risposta
giusta.
“Non lo hai letto fino alla fine, vero?”, disse
Mondenkind.
“No…”, disse Georg,
imbarazzato.
“Tranquillo, non ti metterò sul patibolo per questo…
Adesso ti spiego: quando l’Imperatrice Bambina porta Bastian a Fantàsia per far
rinascere tutto a nuovo splendore, grazie ai suoi desideri, gli consegna Auryn.
E dietro di esso Bastian trova scritto: Fa’ ciò che
vuoi.”
“Non sono ancora arrivato a quel punto…”, ammise Georg,
“E comunque pensavo che il grande insegnamento di quel libro fosse stato credere
nei propri sogni e nelle proprie speranze.”
“Si, lo è.”, ripetè
Mondenkind, “Ma non bastano solo i desideri. Serve anche
questo.”
Con la punta del suo dito indice, Mondenkind toccò la
fronte di Georg.
“Fa’ ciò che vuoi non significa fare
letteralmente sempre quello che si vuole.”, riprese a spiegarsi Mondenkind,
“Vuol dire che devi compiere la tua volontà. Seguire ciò che ti viene da dentro.
Se vuoi che il tuo gruppo torni ad esistere, allora esisterà. Ma se non lo vuoi
veramente…", disse lei, lasciando che la sospensione della sua voce fungesse da
risposta, "E la risposta sta dentro di te.”
Georg riflettè su ciò
che aveva appena sentito.
“Non lo so quale sia la mia volontà.”,
rispose Georg, con amarezza, “E’ che… da una parte non voglio che tutto il
lavoro che abbiamo fatto in questi anni venga sprecato così… ma dall’altra non
posso dimenticare determinate cose. Determinate parole.”
“Ed
infatti io non ti ho mai chiesto di darmi una risposta.”, disse Mondenkind,
tornando ad appoggiare la schiena contro la poltrona.
“Già… anche
questo è vero.”
“Dovresti pensarci molto bene,
Georg.”
“Sicuramente lo farò.”
“Non c’è solamente la
tua volontà in gioco.”
Era vero.
I Tokio Hotel non
erano composti solo da Georg Listing.
C’erano bensì altre tre
persone.
E non sarebbe stato facile.
Ma visto che
ormai siamo in ballo, e che ballo, devo fare una buona esibizione, non vi
pare?
Ieri sera, nella rilettura, ho cercato di spiegare al meglio ogni cosa,
soprattutto la parte in cui viene citato, in corsivo, parte del discorso tra
Mork ed Atreiu...0 Spero che tutte voi abbiate capito il nesso che c'è stato
nella mente di Georg tra il libro e il personaggio di Helen, altrimenti sono ben
felice si spiegarlo in un modo nuovo e migliore.
Attenzione ai particolari,
ragazze mie belle
Questa frase avrei dovuto dirvela moooolto tempo
fa, diciamo già dal primo capitolo... Attenzione alle parole, alle frasi, ai discorsi...
In questo capitolo sembra
che non sia successo molto... ma invece...
Per questo capitolo salto i ringraziamenti ad hoc, stamattina ho un sonno che non me lo levo di dosso. Ma sappiate comunque che ogni vostra recensione mi fa molto piacere. Un grazie anche a tutte quelle che non hanno recensito ma che hanno semplicemente letto!
Alla prossima!