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Autore: silvia_arena    03/08/2013    0 recensioni
[Remus Lupin si sentiva strano, quella sera. Si accertò più volte di non aver avuto un piccolo vuoto di memoria e non aver preso la pozione, invece no, la boccetta che Piton gli portava ogni sera era lì sul tavolo, vuota – e lui si ricordava bene di averla bevuta qualche ora prima.
Allora cos’era quel senso di tristezza, di oppressione?]
Storia di cinque capitoli che narra gli eventi di una notte. Una chiacchierata tra il professor R.J. Lupin e una studentessa Corvonero.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Lupin rise, e la guardò sedersi sul tavolo con la testa china. Aveva bisogno di sfogarsi per qualcosa. Il professore non aveva di meglio da fare, così si sedette accanto a lei.

«Sono... tante cose, professore. Sono spesso distratta, la mia media scolastica sta calando e io non ne capisco il motivo. Mi tornano spesso in mente mia madre, ciò che ci siamo dette poche ore prima che fu uccisa, e mio padre, quando fu...» La ragazza esitò. «In più i dissennatori sono sempre intorno al castello, e io sono una che ha paura di tutto, quindi immagini come mi sento: ho i nervi a fior di pelle.»

Remus capiva, sembrava di parlare con Harry. Sapeva della morte della madre della ragazza e sapeva che il padre era stato portato ad Azkaban, ma la ragazza non voleva ovviamente che la gente a scuola lo venisse a sapere così finse di esserne all’oscuro.

«Sai che sono proprio i dissennatori la causa di tutto questo, vero?» Cece levò lo sguardo verso gli occhi del docente. «Loro rievocano i tuoi peggiori ricordi, sono esseri meschini, Silente non avrebbe mai approvato la loro presenza qui se non si trattasse di un’emergenza.»

La giovane era stanca di sentirsi ripetere che si trattava di un’emergenza, così rispose al professore: «È Harry Potter che Sirius Black vuole, perché deve andarci di mezzo tutta la scuola?»

Remus all’inizio fu spiazzato ma poi ricordò che era una Corvonero che aveva davanti, non una Grifondoro. Un ragionamento notevole, quello della ragazza, ma privo di valori.

«Sirius Black è pur sempre un assassino, e se è indirizzato qui siete tutti in pericolo.» Quelle parole gli costavano tanto. Sirius Black era stato uno dei suoi migliori amici, e faceva male riconoscere il suo tradimento. Aveva passato settimane a scervellarsi, ma non c’erano giustificazioni: Sirius aveva venduto Lily e James a Voldemort, aveva ucciso quei babbani innocenti e un altro dei suoi amici, Peter Minus. Ma Cece non poteva sapere della passata amicizia tra Remus e Sirius. Era meglio che nessun altro lo sapesse all’infuori di Silente e quelli che l’avevano visto ai tempi con i loro occhi. «La protezione dei dissennatori è necessaria» concluse il professore. La giovane sbuffò, per poi rattristirsi.

«Professore...» chiese titubante «ha mai avuto un segreto che la opprimesse fino a desiderare di urlarlo al mondo non curandosi delle conseguenze?»

Il professore non sapeva a quale segreto si riferisse la ragazzina, ma la capiva eccome. La sua licantropia lo costringeva a star lontano dalle persone, a respingerle, a impedire che si affezionassero a lui. E doveva sempre inventare scuse le notti di luna piena, per sparire dalla circolazione e chiudersi nel suo studio durante la trasformazione.

«Sì» ammise, con un sospiro. «Puoi parlarmi del tuo» propose. «Qualunque cosa sia, l’ascolterò.»

La Corvonero colse la palla al balzo. «A patto che lei mi dica il suo.»

Lupin esitò. No, no e poi no, niente l’avrebbe convinto a rivelare la sua licantropia a qualcuno di sua spontanea volontà, specialmente a una studentessa che avrebbe potuto dirlo a chiunque.

«Allora è meglio che tu vada a dormire» proferì Remus. «E che ci vada anch’io.»

Fece per scendere giù dal tavolo, ma la ragazza lo trattenne dalla giacca. Quando si voltò, lei era già con le lacrime agli occhi.

«Mio padre» singhiozzò «è stato sbattuto ad Azkaban. Con l’accusa di servire Lei-sa-chi.»

Lupin non credeva alle sue orecchie. Sapeva, sì, che il padre di Cece era finito ad Azkaban, ma non aveva idea di quale fosse l’accusa. «Ed è vero?» fu l’unica cosa che riuscì a chiedere.

La ragazza aprì la bocca, come se volesse negarlo con enfasi, ma poi si aggrappò al professore e si mise a singhiozzare più forte.

Il professore, non sapendo come comportarsi, le accarezzò i capelli in modo impacciato. Stava per scusarsi per quanto aveva appena chiesto, era stato davvero indelicato, ma in quel momento la ragazza sollevò la testa dal suo petto. Si fermò a poca distanza, fissando un punto che la sua camicia lasciava accidentalmente scoperto.

«Professore...» mormorò, la voce ancora rotta dal pianto «cosa ha fatto?»

   
 
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