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Autore: Maxximilian    04/08/2013    4 recensioni
In un continente sull'orlo della guerra oscure ombre si proiettano sul regno dell'Ovest. Alran, un giovane soldato del regno, ha l'incarico di indagare sulla malvagia Legione Nera in un viaggio tra la vendetta e il dovere.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Colosso


Soltanto qualche debole raggio arancione illuminava ancora il paesaggio.

La palizzata meridionale di Vina pareva in fiamme, ma in poco tempo tutto sarebbe stato inghiottito dalle tenebre e, anche l'ultimo coraggioso bagliore del sole sarebbe scomparso tra i monti a ovest.

In piedi, sull'imponente barriera di legno, Rakk osservava la pianura davanti a se. Era sorpreso, non si sarebbe mai aspettato una mossa del genere. Attaccare da sud, dove le difese non erano state minimamente approntate, e schiacciare lui e la sua guarnigione tra Vina e le montagne. Dovette riconoscer che era un problema, qualsiasi strategia avesse deciso di adottare non avrebbe mai cambiato l'elemento di base: erano topi in trappola.

Una lieve brezza scompigliò i suoi lunghi capelli, come a dargli conforto in quel frangente di disperazione, una morbida carezza per ridare vigore al suo animo abbattuto.

«Quando sono comparsi?» chiese al suo attendente, accanto a lui in attesa di ordini.

«Più o meno un ora fa. Inizialmente le sentinelle pensavano fossero rinforzi, ma col diminuire della distanza hanno iniziato ad avere i primi dubbi...» rispose demoralizzato il giovane.

«Capisco... non ci rimane molto tempo. Fai schierare metà degli uomini sulla palizzata in attesa, all'altra metà ordina di spostare una mezza dozzina di baliste e di puntarle verso sud. Fai in modo che ogni uomo impugni un'arma, se non bastano le spade fai distribuire pugnali e daghe. Voglio che chiunque sia in grado di colpire una di quelle cose».

Non attese nemmeno che il giovane si congedasse che si allontanò diretto alla sua tenda: c'era una battaglia da combattere e gli uomini sarebbero stati più rincuorati nel vederlo il prima possibile schierato in prima linea.


Alran galoppava il più velocemente possibile, ma sapeva di essere troppo lento, non sarebbe mai arrivato in tempo. Eppure, non abbandonò la sua corsa, non diede un attimo di tregua al suo cavallo e dovette ringraziare solo la sua massiccia stazza se non era ancora stramazzato.

Soltanto quando scorse la vecchia torre diroccata, che fungeva da posto di guardia, si decise a rallentare.

Nel sentirlo avvicinare, Roxas, il soldato a cui era affidato il comando delle rovine, si affrettò verso Alran intuendo che soltanto qualcosa di grave avrebbe potuto obbligarlo ad simile ritorno.

«Roxas! Grazie al cielo! Avevi ragione, a Dalgonn non c'è più nessuno! Hanno scavato un tunnel sotto di noi, stanno attaccando Vina da sud!».

Il soldato, per tutta risposta, salì sul suo destriero sistemandosi arco e faretra sulle spalle.

«Rakk allora ha bisogno di tutto l'aiuto possibile. Cosa stiamo aspettando... in marcia!».

Anche gli altri uomini si precipitarono verso i cavalli e in poco tempo la torre di pietra tornò ad essere deserta, come lo era stata per i precendenti due secoli.

Il giovane comandante si affiancò al cavallo di Alran: «Sei sicuro di quello che dici? Non è che se ne sono semplicemente andati?».

Roxas era poco più che ventenne, alto e snello, capelli rossi come fuoco striati di nero qua e là. Prima di arruolarsi era stato un ottimo cacciatore e per questo la sua arma preferita rimaneva l'arco. Si diceva che non sbagliasse mai un colpo, riusciva a colpire un cervo dritto in mezzo agli occhi senza dargli nemmeno il tempo di rendersene conto.

«Si sono sicuro, sotto la fortezza di Dalgonn c'è una voragine immensa. Non vedo quale motivo abbiano per fare una cosa simile se non per aggirare le nostre difese...» rispose il giovane.

«Speriamo almeno siano numerosi, ho voglia di impiantare qualche freccia nelle loro teste nere. Non vorrei arrivare a battaglia conclusa, muoviamoci!»

Anche se Alran non aveva la stessa voglia di combattere del suo compagno, c'era qualcosa in quel giovane che infondeva sicurezza e coraggio. Sicuramente col passare del tempo sarebbe diventato un ottimo ufficiale, sempre se non fosse diventato cibo per corvi nell'imminente battaglia.


Quando arrivarono a Vina la battaglia infuriava ancora.

La porta meridionale reggeva ancora miracolosamente e l'unico modo che i nemici avevano per entrare nel villaggio rimaneva scalare la muraglia, ma, la maggior parte delle volte, non riuscivano nemmeno ad affacciarsi che venivano rigettati sui propri compagni sottostanti. I pochi che ce la facevano però erano ossi duri per la guarnigione e, troppe volte, prima della loro dipartita riuscivano a infliggere profondi tagli o a spezzare qualche osso ai malcapitati che si trovavano difronte.

Il gruppetto di rinforzi superò la piazza principale e si unì agli uomini nella difesa dell'entrata. Solo Roxas e Alran si diressero su per le scale di legno alla ricerca di Rakk.

Individuarlo sulla cima della palizzata non fu difficile visto che la sua corazza, dello stesso color dorato della sua chioma, risplendeva come un braciere alla luce delle torce.

Qualcosa sibilò dietro Alran e una di quelle creature cadde dal parapetto lanciando un ripugnante grido di dolore: Roxas aveva iniziato a colpire, e quel che si diceva sulla sua abilità era vero, senza dubbio.

Solo dopo aver affrontato un paio di abomini, riuscirono a raggiungere il capitano impegnato in un difficoltoso scontro. Altre due di quelle creature l'avevano accerchiato nello stretto camminamento e si preparavano a colpire.

Mentre Roxas scagliò un'altra freccia verso la più lontana delle figure nere, la punta di Yutaka squarciò la schiena dell'altra. Il mostro cadde in ginocchio, in attesa che la lama verde tagliasse di netto anche la testa.

«Sapevo che saresti stato utile!» gridò Rakk ancora col fiatone per la fatica dello scontro.

Il ragazzo si limitò a guardarlo: «Com'è la situazione capitano?».

«Disperata. Come ci aspettavano dopotutto... sapevano fin da subito di essere in minoranza numerica. Però non tutti i nemici ci stanno attaccando, sembra che abbiano mandato solo una piccola avanguardia per tenerci occupati.» rispose Rakk.

«Occupati? Per quale motivo?».

«Credo che cerchino Lucius e quello che trasporta, ma non sanno dove sia. A quest'ora dovrebbe già essere a Lisjask però. Dovranno affrontare metà dell'esercito reale per arrivare a lui...»

«Ma Lucius non può aver raggiunto Lisjask così in fretta!» ribatte Alran. «Non aveva abbastanza cavalli per tutti i suoi uomini e procedeva molto lentamente».

Lo sgomento attraversò gli occhi di Rakk: «Altri uomini? Non è possibile! Lucius è partito da solo, mi sono assicurato personalmente di fornirgli il miglior cavallo in mio...».

Un suono, profondo e cupo, costrinse tutti a voltarsi verso sud. La battaglia si fermò, mentre la paura iniziò ad attanagliare i cuori dei soldati.

Ci fu un altro passo e la terra tremò. L'enorme creatura si avvicinava in un susseguirsi di passi poderosi.

Poi, una grande figura emerse dalle tenebre: era un colosso, una malvagia creatura leggendaria che guidava armate demoniache. Alta almeno trenta piedi, il corpo scuro avvolto in una spettrale luce rossa. Sopra il muso da lupo e una rossiccia criniera, troneggiavano due corna decorate con catene d'oro e varie scritte: secondo le leggende più le corna di un colosso erano decorate, maggiore era la loro forza. Tra le grosse mani, impugnava un poderoso martello da guerra, grande quanto bastava per abbattere con un sol colpo un'abitazione.

Un uomo, che cavalcava un grosso scorpione vermiglio, lo affiancava.

Lo scorpione gigante era un animale molto diffuso nella desertica Repubblica dell'Est e, molti dei suoi condottieri ne cavalcavano uno in battaglia. Erano delle armi micidiali: una sola puntura della loro coda poteva uccidere uno stallone in meno di dieci secondi e anche le chele anteriori non erano più clementi. Ci erano voluti secoli prima che i Signori degli Scorpioni imparassero ad addomesticarli e ora, solo dopo anni di preparazione, un soldato poteva aspirare a scendere in battaglia in groppa ad uno di quei terrori.

Quando si fermarono si trovavano a ben poca distanza dal cancello di Vina.

Il cavaliere dell'Est si schiarì la voce:

«Chi di voi ha il comando?».

«Io, capitano Ulter Rakk. A chi devo il piacere di una simile visita dall'Est?» rispose Rakk facendosi avanti.

«Stupido zotico occidentale! Sono io che faccio le domande qui, dov'è l'Heruh? Dove l'avete nascosto?».

«L'Elmo Infernale non cadrà nelle vostre mani, ora è già in viaggio per Lisjask. Non lo raggiungerete mai!».

L'uomo sullo scorpione non si scompose, rimase come una statua nella sua armatura di piastre rosse. Poi, si tolse l'elmo e rivelò quella che era la sua testa deturpata: metà del viso era invasa dalle cicatrici di gravi ustioni, di un rosa innaturale, che dava l'impressione stessero ancora pulsando.

L'altra metà, invece, appariva normale, anche la barba e i capelli neri crescevano normalmente.

«Crimson Claw...» mormorò Rakk con occhi sbarrati.

«Capitano conosce quell'uomo?» chiese Roxas.

«Non di persona, ma sono moltissime le storie che girano attorno al suo nome: governa col pugno di ferro una provincia della Repubblica e si dice che non abbia pietà per nessuno. In battaglia sono pochi quelli che possono eguagliarlo e la sua daga si colora presto di rosso... per questo l'hanno soprannominato l'artiglio rosso: Crimson Claw».

Lo straniero sorrise e riprese a parlare:

«Ecco, ora che abbiamo fatto le presentazioni potresti gentilmente offrirti come prigioniero? Un ufficiale vivo vale più di uno morto e dato che quello che cerco non è qui, tu non hai più nessuna utilità per me. Arrenditi e avrai salva la vita».

«Non senza combattere!» ribatte il capitano stringendo la presa sulla sua lama.

«Ahahahahahah! Davvero poco furbo da parte tua. Non pensavo che voi occidentali foste un branco di stupidi. Exiles ritirata! Tu Melgor occupati di questi folli, non lasciare nessuno in vita».

Crimson Claw si rimise l'elmo, fece girare l'enorme scorpione e si immerse nelle tenebre da cui era fuoriuscito, seguito anche da tutte quelle creature di cui, fino a qualche secondo prima, nessun uomo dell'Ovest sapeva il nome.

Il colosso, invece, si piegò sulle ginocchia ed emise un poderoso ruggito di sfida agitando il gigantesco martello, poi caricò.

Rakk diede ordine agli arcieri di scoccare, ma le frecce sembravano non fargli nemmeno il solletico mentre il demone continuava ad avanzare.

Il martello di Melgor si schiantò sul legno della barriera con un fragore assurdo. Travi e uomini volarono ovunque, in un unico urlo di micidiale dolore.

Anche Alran e i suoi due vicini vennero scaraventati giù dalla palizzata a causa della potentissima onda d'urto. Sicuramente quello non era un martello comune.

«Non possiamo vincere contro una cosa del genere...» disse Rakk mentre si toglieva di dosso alcuni pezzi di legno.

«Ma ci deve essere qualcosa che possiamo fare capitano! Non possiamo arrenderci ora!» ribatte Alran.

L'ufficiale sospirò atterrito, stava per aprire bocca quando vide Yutaka, ancora in mano ad Arlan.

«Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima... Arlan la tua spada. La tua spada era l'arma di un Custode della Vita, uno strumento forgiato appositamente per sconfiggere le forze del male».

Guardò in direzione di Melgor e poi riprese: «Io e Roxas cercheremo di attirare l'attenzione del colosso e tu, invece, lo colpirai senza pietà!».

I due ragazzi aiutarono l'ufficiale a rimettersi in piedi.

Rakk imbracciò la spada e cominciò a correre in direzione del nemico, mentre Roxas lanciava frecce e urla per richiamarne l'attenzione.

Anche Alran si lanciò all'attacco, ma a qualche piede dalla gamba del gigante, questi mulinò il martello tracciando un arco verso gli assalitori.

Ancora una volta, il potere dell'arma entrò in gioco e vennero tutti sbalzati lontano. Tutti a parte Arlan.

Non aveva minimamente avvertito la forza proveniente dal martello e continuava a correre verso di lui.

Melgor, irritato, alzò l'arma a cielo e caricò il colpo con due mani. Riversò tutta la sua inaudita forza verso il giovane.

Alran, di fronte a morte certa, non poté fare altro che alzare la lama verde sopra la testa in un sorta di ultima inutile difesa.

Un lampo bianco scaturì dal cozzare delle loro armi e, inaspettatamente, il colpo non lo raggiunse: il martello rimaneva bloccato sopra Yutaka, mentre il colosso appariva visibilmente contratto nello sforzo di imprimere una forza maggiore.

Rimasero in quella posizione per quelli che parvero minuti, mentre il ragazzo non riusciva a capacitarsi per come era riuscito a bloccare l'attacco.

Riacquistata la consapevolezza, spazzò via l'arma del gigante senza difficoltà e si ributtò all'attacco mentre quest'ultimo si trovava ancora sbilanciato.

La verde lama recise i tendini e le ossa della gamba destra con estrema facilità, come era già accaduto precedentemente con gli exiles a Dalgonn.

Il colosso rovinò a terra sostituendo lo spavaldo ruggito di sfida con un insopportabile lamento di dolore, mentre il giovane soldato si ritrovò investito da una cascata di scuro sangue gelato.

Scivolò e si ritrovò sul terreno. Il suo nemico, in ginocchio, ma ancora determinato a vincere, si stava preparando ad abbattere ancora il martello su di lui. Alran, allora, rotolò sul fianco e, questa volta, fu l'arto superiore ad essere mozzato. Un altro grido straziante eruppe dalla bocca del colosso e, senza voler aspettare oltre, il ragazzo si alzò e si arrampicò sul corpo straziato.

Mentre il resto della guarnigione osservava con stupore il duello, Arlan, facendo appello alle sue ultime forze, si avvicinò alla gola del mostro impugnando la spada a due mani.

«Sconfitto da un ragazzo. Deve essere molto umiliante per un Signore degli Inferi come te, dico bene?».

Il colosso continuava a soffrire tra sangue e lamenti.

«Vai Alran! Finiscilo!» sentì urlare Roxas distante.

Spinse la spada nella carne, ma non ebbe nemmeno il tempo di esultare per la vittoria che sentì le forze abbandonarlo. Yutaka scivolò dalle sue mani mentre cadeva a terra esausto.


   
 
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