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Autore: Menma__    07/08/2013    1 recensioni
Le persone pensano che i pazzi siano strani, persone da evitare, individui pericolosi.
Non è sempre così.
Alcuni creano persone, amici che li accompagnano per tutta la vita.
Come Stefan.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Probabilmente tutto cominciò quando avevo cinque anni…
Ero un bambino solo, non giocavo con gli altri ragazzi della mia età, a loro non piacevo, non sono mai piaciuto.
Sentii il bisogno di avere qualcuno accanto a me, un amico che mi stesse accanto ma a nessuno di quelli che venivano a scuola con me sembrò importare.
Così creai Stefan, un ragazzino della mia età, simpatico e gentile con me, lui mi era accanto in ogni occasione.
Ma c’era un problema con Stefan… lui esisteva solo e unicamente nella mia testa.
Io lo vedevo vicino a me, con i suoi splendidi occhi color cielo, i capelli biondi e il fisico asciutto e snello.
Mi rendevo conto della sua non-esistenza ma mi bastava così, almeno per quel periodo.
I miei genitori lavoravano sempre, gli bastava sapermi tranquillo in una scuola senza importarsi della mia felicità, Stefan riuscì a prendere anche il loro posto.
Io parlavo con lui, mi ci confidavo, capitava spesso che gli rivolgessi la parola davanti ad altri bambini, che puntualmente mi deridevano, e a professori ai quali non importava.
Ero piccolo, solo cinque anni, per cui nessuno ritenne strano che io avessi un amico immaginario, ma raggiunta l’adolescenza i problemi crebbero.
 
Stefan era ancora lì, sorridente, che cresceva con me, come se fosse esistito davvero, e lui divenne reale, per me lui esisteva, non era più un bambino con cui confidarmi, una specie di diario su cui scrivere di me e dei miei problemi, lui c’era, e mi rassicurava, viveva co me nella mia stanza e veniva a scuola.
I miei genitori e i miei insegnanti cominciarono a preoccuparsi, non era normale che un ragazzino di dodici, quasi tredici anni avesse ancora un compagno immaginario.
-Lui non esiste- continuavano a ripetermi –È solo nella tua testa, non esiste.-
Io gli urlavo contro, mi dimenavo, vedevo Stefan che, accanto a me, sorrideva, sempre, anche in quei brutti momenti, mi confortava, le lacrime cominciavano a scendere e io mi rifugiavo in camera mia con lui.
Non potevano togliermi Stefan, magari loro non riuscivano a vederlo, ero io quello speciale.
-Stai tranquillo- gli sussurravo –Non ci separeranno, non possono-
E lui sorrideva, non mi aveva quasi mai risposto, conoscevo a malapena la sua voce, ma quel sorriso mi bastava, rimpiazzava l’affetto mancato dagli amici, dai genitori, dalle ragazze.
Già, le ragazze.
Non ne avevo mai avute, tutte mi evitavano come avessi la peste.
Non m’importava, finché c’era Stefan io stavo bene, non avevo bisogno d’altro.
Aveva riempito tutti i vuoti che mi facevano star male.
 
Mi portarono in una scuola, erano tutti maschi, Stefan era con me.
Avevo ormai quindici anni e i miei genitori erano disperati.
Non a causa dei miei problemi, certo, ma perché stavo diventando ‘pazzo’ come dicevano loro, erano delle persone d’affari e non potevano permettersi che si parlasse di un figlio pazzo.
Cercarono di convincermi ad abbandonarlo, a separarmi da lui, ammettere che era solo frutto della mia testa ma non era così, loro non capivano, mi era stato vicino dall’asilo, solo lui, nessun altro.
Lui non era più fantasia e giovinezza, era un adolescente, il mio migliore amico, reale.
 
All’età di venti anni si arresero, tutti, tranne Stefan che continuava a sorridere.
Mi portarono in una casa di cura, un ‘manicomio’.
Io restai lì, c’era gente strana ma molte persone erano simpatiche.
Cercai di fare amicizia ma non c’era nessuno della mia età e con gli altri, più anziani, non sapevo di che parlare, ma non me ne preoccupai, c’era Stefan con me e finché c’era lui io ero al sicuro.
 
Gli anni passarono, tranquilli e sempre uguali.
Mi chiamavano spesso per fare dei controlli e Stefan veniva sempre con me.
Ci chiudevano in una stanza e mi chiedevano cose su di lui, c’era una piccola lampada e un grande specchio, nient’altro.
-Lui è qui ora?- mi chiedevano ogni volta.
-Certo, lui è sempre con me-
E Stefan sorrideva, un sorriso dolce, gentile, rassicurante… non era cambiato negli anni mentre lui cresceva con me.
Gli occhi ancora dello stupendo color cielo, i capelli sempre biondi ma tendenti al bianco.
 
Il tempo passava e tutto restava uguale, quel posto non mi piaceva affatto, era tutto bianco, letti, coperte, divani, sedie… tutto…
Gli altri pazienti mi guardavano male, mi trovavano strano, anche lì.
-Sono solo invidiosi perché io ho potuto portare te qui mentre loro non hanno nessuno in questo posto… è solo invidia- dicevo a Stefan.
Lui mi dava ragione, rispondeva.
Decideva lui quando parlarmi, quando smettere quel silenzio.
Da quando ero entrato nella casa di cura parlava di più.
 
Invecchiavo, senza aver fatto nulla d’importante nella mia vita.
I pazienti che c’erano quando arrivai erano morti, non tutti certo ma molti di loro.
Non m’importava più di tanto, non avevo legato con nessuno di loro, solo con Stefan.
 
Avevo circa ottant’anni quando accadde.
Una forte fitta al petto mi fece accasciare al suolo, cercai di alzarmi per poter guardare quegli occhi azzurro cielo che mi avevano accompagnato per tutta la vita, lui era lì, in piedi accanto a me, le rughe che solcavano il suo viso, i capelli radi e bianchi, e quel sorriso sapeva di conforto.
Alcuni potrebbero vedersi infastiditi da una persona che non fa altro che sorridere ma non io, lui riusciva, con un semplice sorriso, a ripagarmi di tutti quelli che non mi avevano dato i miei genitori, i miei compagni, i medici, un sorriso sempre uguale ma che trasfigurava sentimenti diversi, a seconda degli avvenimenti, un sorriso speciale, tutto per me.
Due o tre medici mi raggiunsero, mi chiesero cosa fosse successo.
Non seppi rispondere, avevo un groppo in gola che mi impediva di parlare, Stefan era in piedi dietro i dottori che continuavano a parlare concitati, la sua figura mi parve farsi argentea.
-Svelti, portate una barella, ha avuto un attacco di cuore.- gridò un dottore ai colleghi.
Un attacco di cuore… non mi era mai successo… non sapevo che ne avrei sofferto, penso che avrebbero dovuto dirmi una cosa del genere, i miei genitori, sono morti già da un po’.
Volevo andare a trovarli, almeno una volta, ma loro non hanno voluto, non mi hanno voluto nemmeno in punto di morte.
Un gruppo di dottori mi alzò e mi mise sulla barella.
Tutto mi si confondeva intorno, luci, colori, suoni.
Mi portarono in una stanzetta piccola e piena di macchinari.
Mi spostarono dalla barella a un lettino.
Mi misero una mascherina, avrei dovuto addormentarmi ma non accadde.
I dottori si urlavano ordini e consigli a vicenda, io non prestavo molta attenzione alle loro parole, riuscivo a
carpire a stento alcuni pezzi delle loro frasi.
-SVELTI, LO STIAMO PERDENDO!- riuscii a capire.
Che intendevano? Stavo morendo?
Avrei dovuto essere triste? Mi ero perso tante cose nella vita… avrei dovuto pentirmene?
No.
Lui c’era, anche in quel brutto momento.
C’era sempre stato, in qualsiasi momento, era l’unico.
Mi guardava e sorrideva.
Fece una cosa che non gli avevo mai visto fare: si avvicinò al mio volto, era vicinissimo.
-Tranquillo, io continuerò ad esserci. Per sempre.- mi sussurrò lui e mi sfiorò… non l’aveva mai fatto.
Sentii un piccolo brivido alla mano, dove mi aveva toccato Stefan.
Una lacrima mi solcò il viso.
-Grazie- sussurrai.
Poi buio.
 
Ora sono qui, in questo luogo indefinito.
Dovrei essere triste? Sentirmi solo?
No.
Non sono solo, è tutto buio, non ho paura.
Lui c’è, ha mantenuto la sua promessa, continuerà ad essermi vicino fino alla fine.
L’unico che c’era sempre stato, non i miei genitori, non i miei amici, non i miei compagni. Solo lui.
Stefan è qui. Mi sento felice.
  
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