8° Capitolo – Crisi di colpa
Mi fiondai a fare una doccia veloce mentre con la mente
scorrevo un’infinità di soluzioni al mio problema.
Trovare un lavoro non sarebbe stato facile e neppure veloce
ma non avrei mollato. Ormai era deciso: avrei ripagato Eric dei suoi sacrifici,
magari non tutto e non subito, ma lo avrei aiutato economicamente. Mi fiondai
di sopra nella stanza che mi era stata assegnata, presi il mio borsone e lo
riportai in camera di Eric.
Non volevo stare da sola, dormire con lui era stato
rilassante e rassicurante. Era da molto tempo che non dormivamo assieme, da
quando ero più piccola in verità, e la cosa mi era mancata tanto. Lui mi era
mancato, moltissimo.
Ripensai a quando era andato via. Avevo una cotta per lui, mi
piaceva molto, e in più sembravo essere il suo centro; un po’ come lui e Godric
lo erano per me. Poi, logicamente, con l’andare del tempo la cosa era sfumata
ed ora averlo di nuovo vicino mi provocava belle sensazioni.
Scossi la testa e corsi a vestirmi. Frugai tra gli abiti e,
tirandone fuori jeans e t-shirt, me li infilai. Stavo per salire di sopra,
diretta in cucina, quando sentì il mio cellulare squillare. Era un suo messaggio.
<< Sara, come forse
avrai già notato, in cucina non c’è nulla da mangiare. Almeno non per te. Ho
notato i biscotti che avevi comperato, mangia quelli per adesso. Più tardi ti
accompagnerò a fare un po’ di spesa. Non uscire da sola. Qui non conosci niente
e nessuno quindi ti perderesti. Non dovrei impiegarci più di 4 o 5 ore al
locale. Poi sarò a casa>>
A
casa…
Come suonava bene quella parola.
Casa.
Tornare a casa. Sorrisi come una sciocca e senza neppure
capirne il motivo. Sapevo solo che quella parola, quel suo tornare a casa, quel
tornare da me mi faceva sentire bene.
Quattro o cinque ore non erano molte dopotutto. Avrei potuto
occuparle ambientandomi in casa, sistemando il mio bagaglio, mangiando e compilando
una lunga lista della spesa e di tutti gli oggetti che mi occorrevano.
Avevo delle scartoffie in arretrato di cui occuparmi e diversi
documenti da leggere, controllare e firmare perciò rimasi in ufficio tutto il
tempo. Come ogni volta Pam, poco prima dell’ora di chiusura, mi fece il
resoconto della serata. Assieme controllammo gli incassi, le scorte e i rifornimenti.
Parlammo dei problemi con i fornitori e quelli avuti quella sera, con un paio
di clienti.
Lasciai a lei il compito di chiudere il locale, la salutai e
mi fiondai fuori diretto verso casa.
Avevo appena varcato la soglia quando un ciclone biondo mi
investì, saltandomi addosso. Sorrisi riconoscendo da subito il dolce aroma
naturale della pelle di Sara. Me la strinsi al petto, chiusi la porta di casa
attivando l’allarme esterno. Le baciai il collo facendole il solletico mentre
lei continuava a ridacchiare divertita.
“Che bel bentornato!” esclamai ridendo per poi aggiungere con
tono divertito “Forse dovrei andare via più spesso se ogni volta mi accogli in
questo modo”
“No, invece” replicò lei sollevando il viso da sopra la mia
spalla poi guardandomi dolcemente “Non mi piace quando sto da sola”
“Ti sei annoiata?” domandai intuendo quale fosse in realtà il
motivo del suo disagio
Le manca Gloria.
“No, non è per quello. Sono solo triste, molto triste. E mi
manca Gloria e anche papà. Per fortuna ci sei tu” mugugnò tornando ad infossare
il viso nel mio collo senza avere l’intenzione di scendere o staccarsi da me
Sorrisi comprensivo e me la strinsi più addosso, lasciandole
un bacio tra la fronte e i capelli
“Hai mangiato?” domandai per cambiare argomento
“Si. Ho finito i biscotti. Dobbiamo assolutamente andare a
fare spese”
Annuì continuando a camminare diretto verso la cucina “Hai
ragione. Abbiamo ancora un’oretta abbondante prima dell’alba. Possiamo comprare
un po’ di alimentari al supermarket qui vicino e al tramonto, andare al centro
commerciale. Va bene?”
“Ho già preparato una lista” mugugnò ancora
Mi sedetti su una sedia e, allontanandola di poco da me,
presi ad osservarla. Aveva gli occhi umidi e la fronte corrugata.
“Non piangere” le sussurrai piano
“Non sto piangendo” negò tirando un poco su con il naso
“Non mi piace quando piangi” e l’avvicinai ancora a me
Mi tornarono alla mente ricordi di lei bambina. La ricordavo
sorridente, sempre, oppure con faccine buffe, di lei musona o capricciosa, di
lei spaventata o sorpresa.
Vederla o anche solo sentirla piangere era qualcosa di
insopportabile, quasi fastidioso. Non
mi piaceva saperla triste o depressa e mi faceva infuriare l’idea che piangesse. Le lacrime esprimevano dolore,
certo non sempre, e per me saperla addolorata era sbagliato.
Lei non doveva provare dolore
perché io non lo sopportavo. Anche saperla triste era inconcepibile. La volevo sorridente, felice, meravigliata,
sorpresa, allegra, capricciosa, viziata, determinata ma non addolorata.
Al locale, avevo provveduto a nutrirmi più che adeguatamente;
una ragazza con sangue dal retrogusto zuccherino aveva provveduto a soddisfare
il mio appetito. Mi preoccupava quindi sapere che lei per tutto il giorno aveva
mangiato solo mezzo pacco di biscotti.
Perciò pochi minuti dopo eravamo fuori. Una breve passeggiata
a piedi ed arrivammo al market.
“Dov’è il reparto della frutta?”
“Più avanti” risposi indicandole il punto di riferimento con
un dito “Prendi tutto quello che vuoi e di cui hai bisogno” aggiunsi spingendo
il carrello vuoto davanti a noi
Mezz’ora dopo eravamo di ritorno. Nei nostri sacchetti
verdura, formaggi, pane, carne e pesce poi una valanga di confezioncine di
fragole.
La guardai con la coda dell’occhio, sulla strada del ritorno,
e notai che sorrideva; questo mi rasserenò un poco ma non del tutto. Sapevo che
la morte di Gloria sarebbe stato un avvenimento lungo e difficile da
affrontare. Arrivati a casa, le baciai una guancia e l’aiutai a sistemare la
spesa in cucina, suddividendo gli alimenti ed utilizzando per la prima volta il
frigorifero inserendoci finalmente alimenti.
Per cena la lasciai sola, scendendo a farmi una doccia.
Quando tornai sopra la trovai intenta a lavare piatti, stoviglie e pentole
utilizzate.
Era così strano pensarla adulta ed autonoma.
Rimasi ad osservarla, inosservato, per parecchi minuti poi sorprendendo
lei e me stesso, la presi in braccio stringendola forte. Camminai lentamente
con la sua risata nelle orecchie diretto verso il salotto. Mi accostai alla
ricca libreria e scelsi un volume.
Ci sedemmo entrambi sul divano, aprì il libro ed iniziai a
leggere ad alta voce. Lei mi si accoccolò vicino e rimase ad ascoltare in
silenzio, attenta. Ogni tanto la sentivo muoversi un poco fino a quando non la
sentì sbadigliare.
Le presi la mano, accarezzandole una guancia con infinita
premura, e me la trascinai dietro. Stesi sul grande letto aspettammo, assieme e
vicini, l’arrivo del sonno.
Quel senso di malessere e tristezza era così pesante. Lo
sentivo mio ma inesplicabilmente lo sentivo anche estraneo.
La morte di Gloria mi aveva sconvolto per diversi motivi. Era
la prima mamma che avevo mai
conosciuto e vedermela portare via a quella maniera, in modo tanto violento e
rabbioso, era stato uno shock spaventoso. Il modo in cui era morta, immersa e
soffocata nel suo stesso sangue, era stato grottesco.
Come poteva un essere
umano, un essere vivente qualsiasi ad essere sinceri, portare dentro tanta
rabbia? Vivere con quell’odio e colmo di sentimenti di disprezzo e vendetta?
E perché non me ne ero
accorta? Come avevo potuto non intravedere i reali fini di Louis? Da cosa ero
stata distorta o accecata nel mio sentire?
La morte di Gloria
quindi in parte era colpa mia?
La forza di quel pensiero e la consapevolezza che si trattava
effettivamente così mi bloccò il respiro ed abbatté su di me un disastro
emotivo senza precedenti. Un singhiozzo mi sfuggì dalle labbra ed Eric se ne
accorse immediatamente.
“Sara?” domandò riaprendo gli occhi e voltando il capo verso
di me “Cosa c’è?”
Gli voltavo le spalle e mi infossai ancora di più, tentando
di blandirlo “Nulla, dormi”
Un sibilo scocciato e poi me lo ritrovai addosso. Mi aveva
voltato, in fretta e con violenza, verso di lui. Aveva subito scorto le mie
lacrime ed era rimasto immobile con occhi sgranati.
Tentai di liberarmi della sua stretta ma quando appurai di
non essere abbastanza forte mi premetti le mani sugli occhi e scoppiai a
piangere disperata. Tentai di accucciarmi di nuovo sul fianco ma lui me lo
impedì.
Mi strappò le mani dagli occhi e salì a cavalcioni su di me
quando iniziai ad agitarmi come un posseduto. Volevo liberarmi di lui. Stare da
sola. Smettere di pensare. Smettere di vedere quelle terribili immagini di lei
coperta di sangue.
“Smettila di agitarti in questo modo, dannazione. Ti farai
male, sciocca!” mi gridò forzando ancora di più la presa sui miei polsi e quella
del suo corpo sul mio. Da parte mia, ovviamente, non gli prestai ascolto.
“Smettila!” mi sgridò ancora con voce tesa “Falla finita, subito. Sara!”
Continuavo ad agitarmi, con forza, per liberarmi e a piangere
disperata.
“E’ colpa mia!” gridai con rabbia, rivolta a me stessa
“Cosa?” domandò subito “Di che cosa stai parlando?”
“Mia!” urlai di nuovo sconvolta “E’ solo colpa mia! Non l’ho capito … avrei
dovuto saperlo, avrei dovuto sentirlo
… se lo avessi sentito non sarebbe
riuscito ad ammazzarla! E’ colpa mia! Tutta colpa mia!”
“Basta! Smettila!” gridava lui con furia
“Sara, smettila. TI farai male! Ti prego” si abbassò su di me e poggiò il capo sul mio
petto
“Ti prego, Sara, smetti di farti male” il
suo sussurro accorato arrivava dal mio petto, su cui lui poggiava il capo
Smisi di dibattermi ma ero comunque preda di fortissimi
singhiozzi ed ero ancora agitata. Alcuni secondi dopo lui, vedendomi un poco
più calma, mi liberò i polsi e prese ad accarezzarmi tutto il corpo con il solo
intento di tranquillizzarmi.
Portai le mani a coprirmi il viso e lentamente, grazie
soprattutto alle sue carezze dolci e alle sue parole rassicuranti, smisi di
piangere del tutto. La sua presenza era come un balsamo per il mio animo, una
rassicurante presenza che con forza e decisione congelò a poco a poco quel mio
malessere.
Quando riaprì gli occhi, e lo feci solo molto tempo dopo, lo
trovai steso sul mio corpo, aggrappato ad esso con una forza quasi disperata,
mentre le sue mani continuavano ad accarezzarmi lentamente. Passavano delicate
dal viso, alle braccia, alle mani che stringeva un poco fra le sue, poi passava
alla mia vita per poi salirmi al viso e ai capelli. Dopo un paio di respiri
lunghi tentando a fatica di placare quei singhiozzi che mi scuotevano il petto
e il corpo, iniziai a rispondere alle sue carezze.
Lui alzò il viso verso il mio e dentro i suoi occhi potei
scorgere un emozione nuova, mai vista in quegli occhi glaciali. Era un qualcosa
che li illuminava e li incupiva allo stesso tempo. Non riuscì a decifrarla.
Lui si sollevò un poco spingendosi più in alto. Mi si sdraiò
di nuovo sopra, sempre senza mai pesarmi eccessivamente, e il suo viso questa
volta era vicinissimo al mio, nascosto nel mio collo. Sfregò il naso su quella
porzione di pelle che va dalla mascella al collo, di tanto in tanto mi lasciava
qualche bacio.
Restammo in silenzio, così, l’uno sull’altro a coccolarci teneramente
a vicenda sino a quando, in un punto imprecisato del giorno, ci addormentammo. Abbracciati
stretti, le mie mani fra i suoi capelli e sul suo viso, le sue labbra sul mio
collo e il suo respiro sulla mia pelle. Una sua mano aggrappata al mio fianco
ed una stretta al mio polso.
Strettamente uniti, strettamente vicini.