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Autore: laragazzadirenoir    08/08/2013    2 recensioni
Lui tolse gli occhiali a specchio, aveva gli occhi castani, con qualche piccola e quasi impercettibile linea verde. Si sedette accanto a lei, i suoi occhi avevano una base castano chiaro, ma erano pieni di verde, un verde forte, sembravano quasi gialli.
Deglutì, non si aspettava quegli occhi, restò muto. Fu un attimo che sembrò durare un'eternità e Rosalba sapeva già che sarebbe stato così, che avrebbe pensato a quello sguardo almeno per un mese.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Come una supernova


''Perché mi guardi così?'' si rivolse a lei.
Incredula cercò di guardare altrove, diventò rossa, finse di non aver sentito nulla - come da una vita intera, mentre un mondo le esplodeva dentro. Poi si voltò.
''Scusa, non volevo'' balbettò. Odiava la sua insicurezza. Eppure la nascondeva così bene, sembrava così forte, così dura. Come se nulla potesse scuoterla, ma tutto la uccidesse. Le parole e gli occhi, quegli occhi così intensi, la tagliavano come lame.
''Non devi scusarti'' Rispose lui. Aveva i capelli neri e ricci, le spalle larghe, le mani grandi. Lei non riusciva a guardarlo senza poi, di colpo, abbassare lo sguardo. Ma in realtà si chiedeva come facessero le altre, come facessero a non accorgersi di tanta bellezza, oppure a divinizzarla. 
Non rispose, volse la testa altrove, appoggiandosi al bordo della piscina. Come al solito, credeva che non fosse ‘destino’. ”Non è destino questo, non quello” - si diceva. Poi tornava a maledirsi. Si diresse verso la scaletta per uscire dall’acqua, abbassando lo sguardo, si avviò verso il suo lettino e prese l’asciugamano, lo tenne fermo sul viso e per un attimo sperò di sparire. Aveva così bisogno di essere vista, ascoltata, capita. Ma in fondo era abituata ad essere sola, a capirsi da sola, a vedersi ed odiarsi, da sola.
 
Matteo fissava la piscina dietro ad occhiali specchiati. Signore sposate cercavano di mettersi in mostra, ragazzine lo circondavano, adulandolo. Odiava sentirsi osservato, odiava il fatto che tutti lo guardassero, odiava la poca educazione delle persone, la sfacciataggine, persino il fatto che quella giovane donna fosse andata via senza aggiungere più nulla. Forse non c’era nulla da aggiungere, forse aveva sbagliato a rivolgersi a lei in quel modo, forse non era il caso di porsi così tante domande. Ma era uno così, uno che fisicamente faceva scena, mentre con la testa chissà in quanti e quali posti era perso.
Simone lo chiamò ridendo. Lui era uno che amava essere al centro dell'attenzione, amava gli occhi che lo seguivano in giro per tutto il posto e amava mettersi in mostra. Matteo non lo sopportava, non tollerava il suo atteggiamento.
''Che c'è?'' gli urlò serio.
Simone rispose avvicinandosi ''Tieni, una lattina di the alla pesca'' mentre beveva dalla sua, al limone. 
''Ti stai divertendo?'' aggiunse.
''Da impazzire, guardami!'' Matteo accennò un sorriso sarcastico. Aveva le labbra sottili, di un rosa salmone, la pelle scura, un tattoo maori alla caviglia.
''Mamma mia, fatti una risata, la vita è bella, non vedi?''
Simone allargò le braccia, era a dorso nudo, e aveva un fisico invidiabile. Probabilmente in quel preciso momento mezza piscina era lì a fissarlo. E se ne compiaceva.
''Lasciami in pace'' gli ripeté. Si alzò e, prima che Simone potesse replicare, si avviò al bar e ordinò un drink. I pensieri lo torturavano, la sua storia con Marta finita nel peggiore dei modi, la voglia di partire che era voglia di scappare; doveva affogarli, o almeno doveva provarci.
''Giò fammi un mojito forte'' disse, mentre passò dietro al bancone. Si accomodò su un divanetto bianco, fece zapping al televisore a plasma di fronte, quello del bar, spense.
Giovanni gli portò il drink, senza dir nulla glielo appoggiò sul tavolino e andò via,  aveva da fare. Lo conosceva bene suo cugino, quando chiedeva qualcosa di pesante era perché si sentiva così, pesante.
 
Rosalba aveva la gola secca. Il sole la irritava, la sua pelle tendenzialmente chiara non era abituata ad esposizioni eccessive e non riusciva a smettere di pensare all'ennesima pessima figura che aveva fatto. Eppure quell'uomo le piaceva. Le piaceva davvero. Era un'attrazione fisica, ma lei studiava le persone, sapeva che c'era dell'altro in quella persona che - come lei - non parlava mai e sorrideva appena, senza mostrare i denti. Come se qualcuno gli avesse portato via qualcosa. 
Disse ai ragazzi che erano con lei che aveva sete, gli chiese se avessero voglia di qualcosa, ma risposero di no.
Prese il borsellino e si diresse al bar, attraversò la pedana, abbassò lo sguardo ed entrò nel bar. Si diresse al chioschetto delle bibite e chiese un the alla pesca, era il suo preferito. E al diavolo le calorie. Al diavolo tutto. Si sedette al fresco, sotto una sorta di palma, appoggiò i piedi su un divanetto e fissò il nulla.
 
Matteo si alzò di scatto, la riconobbe. Era lei, la ragazza che non si era più fatta vedere per tutto il giorno e che l'aveva ignorato, andando via, senza dire assolutamente nulla.
Doveva parlarle, era ancora lucido. In fondo, per quanto fosse pesante, un solo drink non era in grado di stenderlo, perché per metterlo al tappeto c'era bisogno di ben altro. Senza pensare ancora alle conseguenze, si diresse verso di lei. Le guardò le spalle, non troppo larghe, non troppo strette. I capelli erano neri e ricci, come i suoi, ugualmente ribelli. Lei li portava in una coda molto stretta. 
Ora o mai più, doveva sapere perché quella situazione, così irrilevante agli occhi di un'altra persona, lo aveva colpito profondamente. Per tutto il giorno.
''Ciao'' le disse in tono pacato.
Rosalba si girò di scatto, si chiedeva come avesse fatto a non vederlo, si chiedeva cosa volesse, cosa dovesse o non dovesse dire, cosa stesse succedendo. Il cervello le si ingarbugliò in un attimo e mentre le domande le affollavano la mente, la sua bocca taceva. Inerme.
Lui tolse gli occhiali a specchio, aveva gli occhi castani, con qualche piccola e quasi impercettibile linea verde. Si sedette accanto a lei, i suoi occhi avevano una base castano chiaro, ma erano pieni di verde, un verde forte, sembravano quasi gialli. 
Deglutì, non si aspettava quegli occhi, restò muto. Fu un attimo che sembrò durare un'eternità e Rosalba sapeva già che sarebbe stato così, che avrebbe pensato a quello sguardo almeno per un mese. Lui parlò ancora.
''Hai perso la lingua?'' sorrise sarcastico, aggrottando la fronte.
''No, cioè, io stavo solo bevendo del the, ma ora devo andare'' annuì da sola, come per convincersi di quanto aveva detto. Fece per alzarsi.
''Ma tu scappi sempre?'' le chiese Matteo, sorridendo, questa volta era uno di quei sorrisi dolci, rilassati. Eppure l'aveva colpita dentro, perché scappare era un po' il suo mestiere, da sempre. 
Rosalba si pietrificò, mentre in testa le risuonavano le parole di una canzone degli Arctic Monkeys: '' You're such a fugitive, love, but you don't know what are you running from''. Ed era incredibile il fatto che, talvolta, la testa si staccasse dal resto del corpo; dalla bocca, per esempio.
''Come scusa?'' replicò, voltandosi, spalancando gli occhi.
''Sì, voglio dire, prima non mi hai risposto e sei andata via e non ti ho più vista, ora te ne vai'' fece una breve pausa, ''Perché?'' le chiese in modo spontaneo, sollevando le sopracciglia.
''Non sto scappando'' fu tutto ciò che riuscì a dire. Risposta secca.
''Ma non è la risposta alla domanda che ti ho posto''.
''Ci vediamo eh'' fece di nuovo per andarsene. Non lo vide, lui si alzò e mettendosi le mani in tasca e sollevando le spalle, le ripeté ''L'hai fatto di nuovo''.
Non si voltò più, ma lui aveva ragione. Continuava a scappare. Sarebbe scappata persino da se stessa, se solo ci fosse riuscita. Matteo portò le braccia dietro alla testa, la guardò andare via, poi tornò al divanetto, senza sedersi. 
 
Rosalba tornò dai suoi amici, erano quasi tutti pronti per andare via, erano più o meno le cinque del pomeriggio e nonostante il sole stesse per calare, continuava a sentire molto caldo. Una morsa le stringeva lo stomaco. Preparò la sua borsa in silenzio, indossò i ray-ban neri, il vestitino da mare e, in silenzio, staccandosi totalmente da i discorsi degli altri - che ormai erano solo voci in lontananza - li seguì fino all'uscita.
Durante il tragitto verso casa non faceva che guardare fuori dal finestrino, senza dir nulla. E non le chiesero nulla. In fondo avevano imparato a conoscerla, seppure avesse avuto un problema, la sua bocca non l'avrebbe mai ammesso. Decise di raccontarlo a sua sorella, sapendo che non le avrebbe dato alcun consiglio utile, nulla di nuovo, nulla che non sapesse già da sola. Ma aveva bisogno di sfogarsi, o sarebbe implosa. Anche se, a dirla tutta, non sarebbe stata la prima volta. 
 
Matteo cercò di non pensarci, almeno per un po'. Decise di mettere quei pensieri in stand-by, anche perché sapeva benissimo che poi sarebbe tornato da loro, li avrebbe ripresi e stretti a sé.


  

 
Continua
  


 
P.O.V. Autrice:
Ho sempre paura di essere estremamente banale, ma delle volte il bisogno di scrivere si fa persino più forte della paura. Quindi questo è un piccolo assaggio, sto già continuando. In fondo qualcuno ha detto che si scrive anche (o soprattutto?) per essere letti. Mi auguro che vi piaccia e vi tenga compagnia per un po'.  Nb: i personaggi sono verosimili e le persone che mi hanno ispirata esistono davvero, anche se non le conosco in maniera diretta.
 
Ps: mi scuso con chi, probabilmente, aveva già iniziato a leggere la storia. Ho dovuto cancellarla due volte di seguito e inserirla nuovamente, visto che alcune parti erano illegibili e avevo problemi con l'html.
Buona lettura, a presto!
 
  
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