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Autore: MeikoBuzolic    08/08/2013    1 recensioni
"Il viaggio durò a lungo. L’altoparlante comunicò «Stiamo per arrivare all’aeroporto di Mystic Falls».
L’atterraggio fu brusco, mi mossi in difficoltà nel piccolo corridoio, scesi, mettendomi le mani alle orecchie per il rumore degli aerei vicini che decollavano. Dopo diversi minuti, arrivarono le mie valige, le misi nel carrello, e seguì i cartelli di uscita. La porta scorrevole si aprì..."
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2.
Il cielo era sereno, si vedevano le stelle e la mezza luna, nell’aria c’era quiete, l’unico suono che disturbava il silenzio della sera era la musica della casa accanto.
Rientrai in camera, mi misi a letto, ma la musica si sentiva ancora – Oddio! Non sopporto più questa musica. Domani ho scuola – pensai innervosita.
Chiusi gli occhi, ma la musica non cessava, mi alzai innervosita – ora ci penso io – pensai.
Andai fuori nel terrazzo e mi concentrai nella casa, sorrisi, e le luci della casa si spensero – Grazie a Dio! Vediamo se riuscirete ad accenderla ora – pensai soddisfatta, e me ne tornai a letto.
La sveglia suonò «No, per favore» mi lamentai.
Mi buttai sotto le coperte, e lanciai la sveglia al muro senza muovere un muscolo – Cavolo devo comprare un'altra sveglia – pensai.
Mi alzai con fatica, e andai in bagno a lavarmi, indossai i miei soliti jeans strappati, una canottiera, e la mia affezionata camicia a quadri. Mi piastrai i miei capelli corti, e misi la matita nera attorno i miei occhi verdi.
Presi lo zaino e andai in cucina.
«Buongiorno tesoro» disse la nonna sorridente, mentre sorseggiava il suo thè.
«’Giorno» dissi assonata – come fa ad avere quest’energia di mattina presto – pensai, e presi un tazza di caffè.
«Caitlyn, non fai colazione?» domandò la nonna.
Scossi la testa, mentre bevevo il caffè. Guardai l’orologio «Nonna io vado, prima che arrivo in ritardo il primo giorno» spiegai.
«Vuoi un passaggio?» chiese la nonna.
«Sì, visto che in Italia non ho potuto prendere la patente per l’auto, perché ho ancora diciassette anni» spiegai.
Salimmo nella piccola fiat 500 – sembra la macchina di barbie – pensai mentre allacciavo la cintura di sicurezza.
Arrivammo a scuola «Ciao nonna» salutai dandole un bacino nella guancia.
«Tesoro vuoi che entri con te?» chiese.
«No, grazie. So cavarmela da sola» le feci l’occhiolino  e sorrisi.
«Okay» sorrise. Prese dei dollari dalla borsetta, la guardai stranita «Tieni i soldi per la mensa» spiegò.
La guardai sorpresa – ci vogliono i soldi per la mensa – pensai sbalordita, scesi dall’auto, e mi avviai all’entrata.
Andai in segreteria, dove mi consegnarono il materiale: libri, orario, e il codice dell’armadietto.
Suonò la campanella, non ebbi il tempo di posare i libri, guardai l’orario – cavolo alla prima ora storia – pensai, mi annoiava quella materia, cercai la classe. Quando entrai erano già tutti ai loro posti, il professore stava facendo ancora l’appello «Buongiorno» salutai con un sorriso sforzato, e sentivo tutti quei occhi fissarmi.
«Lei dovrebbe essere la signorina Evans» precisò il professore.
«Sì, professore» risposi.
«Io sono il signor Alaric Saltzman, il suo professore di storia» si presentò.
Sorrisi – quello l’avevo capito che eri il professore di storia, tanto bello e tanto intelligente – pensai.
«Si sieda vicino alla signorina Bennett» aggiunse, indicando il posto vuoto, vicino alla ragazza dalla carnagione olivastra.
«Ok» sorrisi, e mi sedetti. La ragazza mi guardo con i suoi grandi occhi verdi, dove una frangetta castana li risaltava «Piacere Bonnie Bennett» disse con sorriso dolce.
«Piacere Caitlyn Evans» sorrisi a mia volta, e le allungai la mano, lei la strinse e in quel preciso istante sentì un brivido percorrermi in tutto il corpo.
«Signorina Evans è appena arrivata e già inizia a chiacchierare durante la lezione» rimproverò il professore, mentre scriveva alla lavagna.
Mi scusai, sorrisi a Bonnie, aprì il libro e il quaderno – cavolo devo prendere appunti – sbuffai.
Presi la penna e l’appoggiai al quaderno – avanti muoviti e scrivi gli appunti – pensai.
La penna iniziò a muoversi e scrisse le parole che scriveva il signor Saltzaman alla lavagna, dovevo stare attenta a cosa scriveva prima che nel foglio spuntassero parole poco sensate.
Mi guardai attorno, Bonnie era seduta accanto a una ragazza dai capelli castani e lisci – che bella – pensai.
Dietro di me un ragazzo biondo, dai occhi blu – tipico ragazzo americano – pensai.
La mia attenzione l’attirò quel ragazzo seduto alla finestra, capelli castani, occhi verdi e i lineamenti decisi, lo fissai. Lui si voltò, e mi guardò, arrossì e mi girai. Notai Bonnie guardare la mia penna, m’irrigidì – Cazzo! – pensai, e presi la penna in mano, e gli sorrisi.
«La battaglia Willow Creek si svolse qui a Mystic falls. Qualcuno sa dirmi quante vittime caddero? Signor Donovan?» chiese il professore.
Mi voltai, e il ragazzo dagli occhi blu si irrigidì «emmm… non saprei un centinaio» disse.
«Mi dispiace ma non così poche, ricordiamoci che era una guerra» precisò il professore.
«Trecentoquaranta sei, escludendo i civili» intervenne il ragazzo accanto alla finestra.
«Giusto, signor Salvatore» disse il professore, ma non sembrava molto sorpreso.
Lo guardai – Forse sarà un secchione, ma è pur sempre bello – pensai.
La campanella suonò, posai la mia roba nello zaino – speriamo che riuscirò a posare tutti questi libri – pensai.
Mi avviai all’armadietto, mentre posavo i libri.
«Ciao Caitlyn» disse una voce alle mie spalle.
Mi voltai «Ciao Bonnie» sorrisi agitata – spero che non mi abbia visto – sperai.
«Sai prima in classe, ti ho visto» disse.
Spalancai gli occhi «C-che cosa hai visto?» domandai agitata.
«La penna… scriveva da sola» specificò.
«Cosa dici? Le penne non scrivono da sole!» esclamai sforzando un sorriso.
Lei mi sorrise, la guardai dubbiosa, prese la penna dal suo astuccio, e chiuse gli occhi e vidi la penna che teneva nella mano iniziò a fluttuare.
La guardai scioccata «Anche tu, hai ipoteri» sussurrai l’ultima parola.
Lei annuì «Tu da che dinastia di streghe discendi?» mi domandò naturalmente.
«Streghe?» dissi stranita – ha detto veramente dinastia di streghe?– pensai.
«Sì, streghe. Sennò come ti spiegheresti i tuoi poteri» sussurrò.
«Non credevo di essere una strega, pensavo ch’esso, una cosa del tipo, che fossi caduta in qualcosa di nucleare o fossi un alieno» le spiegai.
Lei rise «Sei una strega, lo sento dall’energia che emani» disse «Beh! Almeno sai la tua dinastia? La mia sono le streghe di Salem» m’informò.
Sbarrai gli occhi – forse è pazza – pensai «Non saprei, sono stata adottata» le spiegai.
Lei fece un’espressione turbata «Mi dispiace» disse.
Sorrisi «E di cosa? Io sono stata felice, i miei padri mi avevano trattato sempre bene e forse anche viziato» risi.
Lei mi guardò confusa «Perché parli al passato?» domandò.
Sforzai un sorriso «Sono morti quattro mesi fa, ora vivo con mia nonna» le raccontai.
Il suo sguardo era rintristito «Mi dispiace, anche una mia amica, forse l’avrai notata all’ora di storia accanto a me, Elena Gilbert. Anche a lei gli sono morti i genitori qualche anno fa» m’informò.
«Ah! Mi dispiace» dissi. Suonò la campanella «Beh! Ora vado, ho letteratura» dissi.
Lei sorrise «Ok! Io invece ho matematica» affermò «Ciao!» disse.
«Ciao» dissi a mia volta, e se ne andò, dalla parte opposta alla mia.
 
Le ore passarono velocemente – meglio non andare alla mensa, se è come nei film visti, non voglio pranzare sola mentre gli altri sono tutti raggruppati – pensai, e infilai una banconota nella macchinetta degli snack.
Mi diressi fuori in giardino, e mangia una della barrette che avevo preso – le conserverò per dopo – pensai.
Mi accesi una sigaretta, e una ragazza dai lunghi e lisci capelli biondi e dagli occhi chiari, si avvicinò «Non si può fumare a scuola» disse con aria possente.
«Ah! Non lo sapevo, e la prima volta che frequento una scuola americana» mi giustificai – deve essere la solita saputella – spensi la sigaretta, e la misi in un fazzolettino.
«Si sente, sei italiana?» chiese sempre con la solita aria.
«Sì. Come hai fatto a capirlo?» chiesi.
«Semplice dal tuo accento» rispose «Sono Rebekah Mikaelson» si presento porgendomi la  mano.
«Piacere Caitlyn Evans» gli strinsi la mano fredda, mi venne il capo giro, e un immagine confusa e scura infase la mia mente. Lei mi guardò stranita «Tranquilla, un calo di zuccheri» inventai.
«Beh! Spero di esserti stata d’aiuto. Ciao» disse.
«Ciao» salutai, vibrò il telefono, il tempo di prenderlo e lei sparì dalla mia vista.
Accettai la chiamata «Ciao nonna».
«Tesoro come sta andando?» chiese ansiosa.
«Tutto apposto, ti avevo detto che me la sarei cavata» ribadì «Nonna conosci per caso una ragazza di nome Mikaelson?» chiesi. Ci fu silenzio dall’altra parte della connetta «Nonna?» la chiamai.
«Si tesoro ci sono» il suo tono era rigido «Tesoro, non credo che tu e lei potreste andare d’accordo, quindi evitala» rispose «Ora vado» disse.
«Ciao nonna» salutai con tono stranito.
La campanella risuonò, e sospirai – dai le ultime tre ore e andrò a casa – m’incoraggiai.
 
Arrivai a casa «Nonna sono arrivata» dissi ad alta voce, non ricevetti nessuna risposta – dove sarà? – pensai.
Andai in camera mia, posai lo zaino e mi buttai nel letto – cavolo sono stanca! – pensai.
Andai fuori in terrazza, una dolce brezza di vento mi coprì, respirai profondamente, guardai in giardino – la nonna non c’è nemmeno fuori – riflettei.
Dalla villa davanti, vidi un uomo fissarmi – che cavolo vuole quello ? – lo fissai male – Cavolo non riesco a vederlo nemmeno bene, che cavolo! – pensai.
Suonò il campanello «Arrivo!» urlai, scesi le scale di fretta.
Aprì la porta «Bonnie!» esclamai sorpresa.
Lei mi sorrise «Ciao, Caitlyn» salutò.
La guardai stranita «Come facevi a sapere dove vivevo?» domandai.
«È una piccola cittadina, mi è bastato chiedere a mia nonna» spiegò.
«Ah ok!» dissi «Vieni accomodati» la invitai.
Ci accomodammo nel grande salone, nel divano bianco «Vuoi qualcosa da bene o uno snack?» domandai cortesemente.
«Un bicchiere d’acqua» mi rispose.
Andai in cucina, e ritornai con il bicchiere d’acqua, ma vidi che lei già ne aveva uno in mano. La guardai sbalordita «Come hai fatto?» esclamai sorpresa.
«Come fai tu» rispose.
«Io non lo mai fatto» spiegai.
«Ma lo potresti fare» insistette, «Vuoi che ti insegni?» propose.
Annuì sorridente.
Per precauzione ci misimo fuori, seduti nel grazioso tavolino di ferro battuto e vetro.
«È semplice, basta che ti concentri ed immagini l’acqua nel bicchiere. E poi pouf! Comparirà da sola» spiegò Bonnie.
Annuì sicura di me ì, presi il bicchiere di vetro tra le mani, respirai, e chiusi gli occhi, immaginai il bicchiere che si riempiva d’acqua fresca. Sentì dalle mani qualcosa pulsare, e poi un sensazione di freschezza, riaprì gli occhi e il bicchiere era pieno fino all’orlo di acqua fresca.
Bonnie mi guardò sorridente «Bevila» mi incoraggiò.
Lo feci «È buonissima!» esclamai sorpresa.
Bonnie rise «E cosa ti aspettavi, acqua delle fogne?» disse ironica. «Da quanto tempo vivi a Mystic Falls?» domandò.
«Possiamo dire da circa quattro mesi, da quando sono morti i miei genitori, però sai fino a una settimana fa facevo Firenze e Mystic falls di continuo» sorrisi.
«Oddio! Sei Italiana» disse sorpresa «Io ho sempre sognato di andarci» sospirò.
«Beh! Quando vorrai andarci chiamami potrei farti da guida, ovviamente se vuoi andare a Firenze» le dissi.
Lei mi sorrise divertita.
Suonò il campanello della porta, mi alzai, e notai Bonnie seguirmi.
Aprì la porta e vidi Il ragazzo dai capelli corti e mossi di un colore castano chiaro, la barba incolta, il naso al insù, le labbra rosee e i suoi occhi intesi di colore verde –Oh mio Dio! Chi è? – pensai.
«C-ciao, chi sei?» chiesi agitata sentivo le guance calde, e il mio cuore battere a mille – Dio! È bellissimo – pensai.
«Sono il tuo vicino di casa» spiegò.
Rimasi scioccata, non credevo possibile mai il io cuore batté ancora di più, riuscì a dire solo «Ah okay!»
Lui mi guardò interrogativo «Il tuo nome?» chiese con il suo sorriso divertito.
«Caitlyn… Caitlyn Evans» mi presentai «Il tuo?» chiesi col nodo alla gola.
«Klaus Mikaelson » si presentò sorridendomi.
   
 
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