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Autore: kirlia    09/08/2013    5 recensioni
Nessuno si è mai chiesto come Franziska affrontò la morte di Manfred von Karma? 
E se avesse bisogno dell'aiuto di qualcuno per riprendersi dal dolore della perdita di un padre, anche se non è mai stato presente per lei? E se quel qualcuno fosse proprio herr Miles Edgeworth?
Dal capitolo 18: 
Sapevo che la presenza della nipotina avrebbe cambiato molte cose nella mia vita. Anzi, in effetti, stava già succedendo: mi sentivo meglio, quando ero con lei, non avvertivo il peso opprimente delle mie responsabilità e del mio cognome. Mi sentivo semplicemente me stessa. 
Spesso succedeva anche quando ero in presenza di lui, ma non volevo ammettere che mi tranquillizzasse. Lui mi destabilizzava.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Franziska von Karma, Miles Edgeworth
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Perfect for Me'
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Capitolo 18 – Things I’ll Never Say


I'm tugging out my hair 
I'm pulling at my clothes 
I'm trying to keep my cool 
I know it shows 

I'm staring at my feet 
My cheeks are turning red 
I'm searching for the words 
inside my head 

(Cause) I'm feeling nervous 
Trying to be so perfect 
Cause I know you're worth it 
You're worth it 

Things I’ll Never Say.


{Annika von Karma}

«… e poi convincerò il signor Nick a comprare alla Mistica Maya un pacco di cioccolatini e un enooorme orso di peluche con un bel fiocco rosso, e finalmente lui le confesserà il suo amore!» concluse estasiata Pearly, mettendosi le mani sulle guance, come a voler nascondere il rossore le le imporporava.
Sospirai, felice che finalmente avesse smesso di parlare, ma speravo che lei non notasse che non avevo seguito la maggior parte del suo “piano” per fare in modo che Maya e herr Nick capissero i sentimenti che provavano. Non che non fosse interessante, anzi, avevo preso mentalmente appunti per alcune idee che avrei potuto sfruttare per i miei zi… ehm, i miei interessi personali. Tuttavia, credevo che la nuova amica non avesse ancora capito che la mia conoscenza della lingua inglese era modesta – almeno per ora – e che non riuscivo a comprendere proprio tutto ciò che diceva… avevo comunque colto il succo del discorso.
Le sorrisi e pensai ad una frase facile per rispondere, sperando di non sbagliare un verbo o la pronuncia di alcune parole. Non ero ancora abbastanza brava, ma in quei pochi giorni avevo ascoltato bene il modo in cui parlavano questi Amerikaner e avevo una vaga idea di come comportarmi con loro.
«Pensi che funzionirà, Pearly?» chiesi titubante, indecisa sui metodi che credeva di poter utilizzarle per farli avvicinare.
Le nostre situazioni erano piuttosto simili, riflettendo: sia io che lei non volevamo altro che i nostri adulti trovassero la felicità e l’amore, e il “per sempre felici e contenti”, come nelle fiabe che mi leggeva la mia Mutter [mamma]. Sia lei che Tante Frannie erano cresciute nella convinzione che la perfezione fosse l’unica cosa da perseguire, ed era per questo che per molto tempo erano state infelici… ma poi la mia Mutti aveva trovato l’amore, il mio papà, e con lui era cambiato tutto nella sua vita. Io lo sapevo perché mi raccontava sempre della sua favola, anche se spesso appariva così dura e severa. Quella era solo la maschera che era solita portare in pubblico, e che aveva cercato di insegnare a portare anche a me, per non essere ferita dalla realtà.
Sorrisi inconsciamente. Mi sarebbe mancata tanto, mi mancava già, e pensare a lei mi faceva venire voglia di piangere, e il desiderio di poterla abbracciare e di poter sentire il suo profumo mi rattristava, ma mi dicevo che sia lei che il mio Papa sarebbero stati sempre nel mio cuore.
Però io ero una bambina grande ormai, e adesso dovevo occuparmi del presente, e il mio presente era Tante Frannie, e sentivo, come la sensitiva seduta sul pavimento di fronte a me, che era mio compito occuparmi di lei, visto che nessuno l’aveva fatto.
Beh, nessuno tranne Onkel Miles, il suo cosiddetto “fratellino”.
Mi ero accorta subito, dalla prima volta che l’avevo visto da dentro quell’armadietto dove ero nascosta con Phoenix, che i quegli occhi grigi appartenevano a una persona gentile. Come mi ero accorta dell’apprensione che aveva verso la zia, del nomignolo con cui solo lui sembrava avere il permesso di chiamarla, e del modo titubante in cui i loro sguardi si incrociavano. E avevo capito qual era la missione che mi era stata affidata dal destino…
Mentre pensavo a quelle cose, la mia amica continuava a fantasticare su quanto sarebbe stato splendido il momento in cui herr Nick si sarebbe dichiarato a Maya.
«Ma certo che funzionerà, Annie! E saranno così felici insieme! E avranno tantissimi bambini, e saranno tanti piccoli avvocati e sensitive e…» avrebbe continuato all’infinito, se qualcuno non l’avesse interrotta.
«Pearly! Sta per iniziare il nuovo episodio del Samurai d’Acciaio, non vieni a vederlo?» richiamò la sua attenzione la cugina, urlando dall’altra stanza con un tono molto eccitato.
Il Samurei d’Accialio? Non sapevo di cosa stesse parlando, ma credevo di aver visto una statuetta del genere a casa di Onkel Miles, nel suo studio distrutto. Ah si, avevo visto Pess e Phoenix masticarne una gamba! E mi ricordavo di aver notato lo sguardo di lui molto turbato, come se tenesse molto a quell’oggetto.
Ebbi un lampo di genio: se allo zio piaceva questo personaggio, forse piaceva anche alla zia, e sarebbe stata un’altra cosa che avevano in comune. Dovevo saperne di più su questo Samurei…
Intanto, la piccola sensitiva si era alzata dal pavimento e, prendendomi per mano, mi aveva trascinato letteralmente nell’altra camera, dove si trovava una grande tv. Una sigla avvincente veniva trasmessa in quel momento, e fui subito attirata dalla sequenza di luci, suoni e colori che investivano il mio sguardo.
Improvvisamente interessata, mi sedetti sul divanetto tra Maya e Pearl, cominciando ad appassionarmi non appena l’episodio fu iniziato.


{Franziska von Karma}

Finalmente Miles era stato dimesso, finalmente eravamo pronti per tornare a casa.
Avevamo percorso silenziosamente il corridoio e il parcheggio dell’ospedale, per raggiungere l’auto sportiva rossa del mio fratellino. Dovevo ammettere che si trattava davvero di un colore vistoso, persino per noi von Karma che amavamo essere notati dalla gente comune.
Mentre camminavamo, continuavo a lanciare occhiate nervose verso di lui, mentre il ricordo del sogno che avevo fatto quella mattina mi assaliva: avevo fatto incubi, avevo visto mio padre tutte le notti e tutte le volte che chiudevo gli occhi, da quando c’era stato quel processo. Come mai in quel momento, improvvisamente, avevo fatto un sogno totalmente diverso? E che riguardava me e Miles, come in una sorta di possibile futuro?
Io non avevo mai pensato a lui in quel modo. Anzi, ad essere sincera con me stessa, non avevo mai pensato a nessuno in quel modo.
Papa, dopo la scelta di Angelika di abbandonare il nostro credo per sposare il padre di Annika, aveva deciso di aggiungere una nuova regola a tutte quelle che portavano alla perfezione: i sentimenti d’amore non erano concessi, i matrimoni non erano accettati. Avere una persona accanto, qualcuno che ti ami e che tu ami a tua volta, ti rendeva una persona debole.
Me l’aveva persino detto quella sera in cui fu giustiziato.
“Tua madre è stata la prima imperfezione della mia vita”, aveva ammesso, con un tono e un’espressione disgustati, quasi quanto quelli che aveva usato poi per descrivere me. E io gli avevo sempre creduto, e mai avevo lasciato che un ragazzo mi avvicinasse – la mia fidata frusta mi aiutava in questo – né io avevo volontariamente provato interesse verso qualcuno.
In questi diciannove anni della mia vita nessun uomo era riuscito a farmi battere il cuore, nemmeno in sogno, e ora improvvisamente succedeva. Ed era tutta causa sua, di herr Miles Edgeworth, il mio “fratellino”, come insistevo a chiamarlo, anche se non eravamo davvero imparentati. Perché era successo? E perché io ero così turbata, anche se in realtà non era accaduto nulla?
Aprii lo sportello anteriore dell’auto, per poi sedermi al posto del guidatore. Con quel braccio ferito, non potevo pretendere che lui guidasse, quindi era compito mio portarlo fino a casa. Ancora immersa nei miei pensieri, fissavo le mie mani strette al volante, che continuavano ad essere prive di guanti. Dovevo ricordarmi di fare compere prima di…
«Franziska…? C’è qualcosa che non va?» chiese l’uomo accanto a me, lanciandomi uno sguardo piuttosto preoccupato. Spaventata dalla possibilità che il mio cuore potesse di nuovo fremere come aveva fatto in sogno, evitai accuratamente di incrociare i suoi indecifrabili occhi plumbei, capaci di scrutarmi nel profondo.
Strinsi ancor di più le mani, che si arrossarono leggermente per lo sforzo, poi, con la voce più calma e sicura possibile, e fissando il vuoto davanti a me, risposi.
«Sto benissimo, herr Miles Edgeworth.»
La mia risposta era stata definitiva, e sicuramente Miles si era reso conto che non avevo alcuna intenzione di fare conversazione perché, dopo alcuni secondi in cui percepii ancora i suoi occhi sondarmi con curiosità, lo sentii voltarsi verso il finestrino, e osservare in silenzio il panorama.
Lasciai che l’auto prendesse velocità e sfrecciasse nel traffico pomeridiano della città, stando bene attenta a restare nei limiti ovviamente, ma continuando a far vagare i miei pensieri.
Perché avevo così tanta paura di confrontarmi con lui?
No! Non poteva, non doveva essere timore quello che provavo nei suoi confronti!
Non importava che mio padre fosse un assassino e che fosse ossessionato in modo malsano dalla perfezione. Io rimanevo sempre e comunque una von Karma, e i von Karma non avevano paura! Soprattutto non di uno sciocco procuratore che scioccamente mi fissava con quei suoi sciocchi occhi grigi che sembravano leggermi dentro!
Passai nervosamente dalla terza alla quarta marcia, con la mano destra che spostava in modo violento la leva di cambio verso il basso. Sentivo l’ira montare dentro di me, e cercavo di tenerla a freno concentrandomi sulla guida.
Non riuscivo ad essere perfetta come mio padre mi voleva perché ero troppo fragile e le emozioni riuscivano troppo facilmente a prendere il controllo su di me, come stava succedendo in quel momento. Ero contemporaneamente arrabbiata e spaventata, non ero capace di mantenere la calma e questo mi faceva arrabbiare ancora di più.
Ed era tutta colpa sua! Perché mi faceva sentire in questo strano modo? Perché qualcosa nel mio stomaco si agitava come se avessi la nausea, ma in una maniera molto piacevole? Non riuscivo a capire, non lo comprendevo!
Le immagini di quel sogno continuavano a scorrere davanti ai miei occhi, e per un attimo lasciai persino il volante con una mano, che andò a sfiorarmi il ventre, come a volere la certezza che non fosse diventato realtà e che non fossi davvero incinta del figlio del mio “fratellino”.
La mano si allontanò e violentemente tornò alla leva di cambio, con l’intenzione di passare dalla quarta alla quinta marcia, quando fu sfiorata da qualcosa di tiepido e gentile. Riconobbi il contatto che avevo avuto in sogno all’istante: la mano di Miles aveva appena sfiorato la mia, con delicatezza.
Inchiodai immediatamente in mezzo alla strada, senza preavviso e senza rendermene bene conto. Almeno finché non sentii il mio corpo spinto in avanti per la frenata brusca, e il suono dei clacson appartenenti alle auto dietro di me, evidentemente infastidite dal mio arresto improvviso.
«Franziska! Tutto bene?» chiese ancora l’uomo seduto al mio fianco, sporgendosi verso di me e guardandomi preoccupato.
Beh, in effetti il mio comportamento doveva risultare un po’ strano, anche se trovavo la sua preoccupazione nei miei confronti piuttosto eccessiva. Con un gesto della mano, gli feci capire che poteva tranquillizzarsi, e cercai di rimanere relativamente naturale, mentre lo osservavo negli occhi.
«Ero solo sovrappensiero, herr Miles Edgeworth! Ti ho già detto che sto perfettamente bene, sciocco.» gli risposi, sputando fuori le parole in modo nervoso e scontroso. Furono quasi un ringhio verso di lui, che si ritrasse e abbassò lo sguardo.
In realtà mi ero spaventata, e il suo gesto mi aveva colto alla sprovvista come mai era successo prima, ma non l’avrei mai ammesso di fronte a lui. Quel tocco così leggero aveva per un attimo inibito la mia capacità di pensare, e l’istinto mi aveva fatto agire cercando in tutti i modi di evitare una collisione e allo stesso tempo di fermare il tempo.
Mentre rimuginavo su ciò che avevo fatto, la voce di lui mi raggiunse di nuovo, gentile, come se non volesse rischiare di farmi esplodere.
«Ti sei… accorta che abbiamo mancato l’imbocco per la strada che porta all’ufficio di Wright?» chiese piano. Sembrava quasi che avesse paura che impazzissi all’improvviso. Io stavo benissimo! Sembravo sconvolta? Sembravo… spaventata?
Cercando di darmi un contegno, spostai una ciocca di capelli che era ricaduta imperfettamente sui miei occhi color cielo – avrei dovuto trovare un altro modo per definirli! – e annuii leggiadramente.
«M-ma certo! Ed è per questo che mi sono fermata» risposi, anche se in realtà non mi ero accorta di nulla.
Mi resi improvvisamente conto di essere stata così immersa nei pensieri da essermi totalmente dimenticata di dove stessi andando. Ma soprattutto, avevo accantonato Annika. Dovevamo andare a prendere la bambina, che avevo lasciato in custodia a herr Phoenix Wright.
Non che mi fidassi di lui, ovviamente. Ma non avevo avuto altra scelta che lasciarla nelle sue mani, mentre mi occupavo di Miles. Speravo solo che la mia nipotina stesse bene…!
Concentrata sul mio obiettivo, eliminai tutti gli sciocchi discorsi mentali che avevo fatto fino a quel momento, e rimisi in moto l’auto.
Senza aggiungere altro, e evitando accuratamente uno sguardo molto fastidioso alla mia destra, feci inversione e lentamente mi diressi verso l’ufficio dove lei ci attendeva.

«Oh! Vedo che ti hanno dimesso, Edgeworth» salutò l’avvocato difensore vestito di blu, mentre ci apriva la porta del suo ufficio.
Lo vidi sorridere, mentre ci invitava ad entrare. Osservai subito gli interni della stanza: niente di speciale, a dire il vero, tutto sembrava urlare “economico” nello stesso modo in cui tutto nel mio studio in procura gridava “costoso ed elegante”. C’erano una scrivania con alcuni giornali sopra, una pianta da appartamenti e alcune poltroncine molto anonime. Una finestra dava direttamente su un lato dell’Hotel Gatewater, senza un minimo di privacy tra i due palazzi… Beh, che potevo aspettarmi da questo posto?
Speravo solo che la piccola stesse bene e che l’avessero trattata nel modo giusto, facendola sentire a suo agio. A proposito di lei, mi voltai in tutte le direzioni, cercandola, ma non era da nessuna parte.
«Herr Phoenix Wright, dov’è mia nipote?» chiesi, con voce seccata e con un tono autoritario.
Quella era proprio una giornata no per me, mi ero svegliata in modo strano e non riuscivo proprio a contenere il mio nervosismo. Persino quello sciocco dovette accorgersene, visto che guardò Miles con un’occhiata interrogativa, come a chiedergli cosa mi prendesse. Lui rispose con un’alzata di spalle e si limitò a lanciarmi un grigio sguardo curioso. Se possibile, il mio fastidio aumentò. Ma cos’avevano da fissarmi tanto?! Se solo avessi avuto la frusta…
«Dev’essere di là con Maya e Pearls. Stavano guardando alcuni epis…»
Non sentii nemmeno la fine della frase, che mi fiondai nella stanza accanto a quella, sperando che almeno la presenza di Annika riuscisse a rasserenarmi. Avevo notato che aveva un effetto calmante, e che riusciva spesso a farmi fare o dire cose che altrimenti avrei tenuto per me.
La camera accanto all’ufficio non era altro che una specie di salottino, o forse sarebbe stato meglio definirla una sala relax: un divano di fronte ad un’enorme televisione – l’unica cosa relativamente costosa che avevo visto finora in quel posto – che stava in quel momento trasmettendo una sottospecie di programma sui samurai. Non riuscivo a vedere molto del resto, visto che le luci erano spente, forse a dare una sorta di “effetto cinema”, e le uniche cose visibili erano quelle illuminate dallo schermo.
Riuscii ad individuare tre figure nel buio, di cui due portavano abiti molto simili e acconciature strane, mentre una terza, piccola ed elegantemente accomodata sul sofà, indossava un abitino e aveva un fiocco tra i capelli.
Gli occhi di Annika scintillavano di fronte all’avvincente cartone animato che stava vedendo, e la sua espressione sembrava stupita e interessata. Cosa stavano facendo vedere alla bambina? Qualcuno di quegli sciocchi programmi americani che incitavano alla violenza? Chi aveva dato loro il permesso di vederli?!
Trovai il pulsante tastando la parete accanto alla porta, accendendo le luci e rompendo l’atmosfera. Tre visi si voltarono verso di me, tutti con sguardi corrucciati. Stavo per dire qualcosa sull’inutilità di quel programma e sull’effetto nefasto che poteva avere sulla psiche dei bambini, quando Annika si alzò in piedi e mi corse incontro con un gran sorriso sulle labbra.
«Tante Frannie!» strillò, con quella sua vocina melodiosa da bambina, e io mi sentii subito meglio. Non riuscivo a resistere a quel suo infantile entusiasmo nel vedermi, era l’unica persona in questo mondo che mi voleva bene e che lo dimostrava così. Le feci un mezzo sorriso anch’io, mentre mi abbracciava, poggiando la testolina cerulea sul mio grembo. Percepii gli sguardi stupiti di Maya e Pearl Fey, che commentavano silenziosamente la rarità di quel mio gesto, ma le ignorai tranquillamente.
«Mi sei mancata tanto!» disse ancora ad alta voce, guardandomi dritta negli occhi.
Ecco una caratteristica di lei che non avevo ancora notato: per quanto le sue iridi fossero di quel freddo color ghiaccio molto simile al mio, riuscivano a trasmettere un calore che credevo non potessero possedere. Riuscivano a sciogliere persino il mio cuore di ghiaccio da perfetta von Karma. Le mie, invece, non erano capaci di ottenere quell’effetto, o forse ero io a non volere trasmettere nulla attraverso di loro?
Lasciai perdere questo discorso mentale a cui, comunque, non sapevo dare risposta, per parlare con la mia nipotina.
«Mi sei mancata anche tu, mein Kleiner [piccola mia]» sussurrai, finalmente con un tono molto diverso da quello scontroso che avevo utilizzato praticamente per tutto il giorno. Anche volendo, non credevo che sarei mai riuscita a rivolgermi ad Annika in quel modo così arrabbiato.
Non l’avrei mai turbata mostrandole quella parte di me stessa, non potevo spaventarla. In fondo, stavo per diventare la sua tutrice, la donna che si sarebbe occupata di lei da quel momento in poi, e non era certo un buon modo per instaurare un legame.
Si, ricordai a me stessa continuando a sorridere, mancava poco e quella bambina sarebbe stata legalmente sotto la mia custodia. Mentre Miles era in ospedale, infatti, nei momenti in cui riposava e l’infermiera era lì ad occuparsi di lui, avevo sbrigato tutte le pratiche per l’affidamento della bambina, e ormai aspettavo soltanto l’ultima conferma che sarebbe arrivata di lì a poco. Non ero preoccupata: ero la sua unica parente in vita, la migliore candidata per lei. Di certo non ci sarebbero stati problemi.
Sapevo che la presenza della nipotina avrebbe cambiato molte cose nella mia vita. Anzi, in effetti, stava già succedendo: mi sentivo meglio, quando ero con lei, non avvertivo il peso opprimente delle mie responsabilità e del mio cognome. Mi sentivo semplicemente me stessa.
Spesso succedeva anche quando ero in presenza di lui, ma non volevo ammettere che mi tranquillizzasse. Lui mi destabilizzava.
Quasi a poter avvertire i miei pensieri, Annika tornò a guardarmi con quei suoi occhioni azzurri, e mi chiese: «Dov’è Onkel Miles?»
Mi stupivo ogni volta che lo chiamava in questo modo, anche se l’aveva fatto ormai in molte occasioni in mia presenza. Perché lo considerava uno zio? Il mio fratellino mi aveva detto di non essere stato lui a chiederle di chiamarlo così, ma che era stata un’iniziativa personale della bambina. Cosa l’aveva spinta a darle questo appellativo? Prima o poi le avrei posto questa domanda, ma non era ancora il momento.
«Sono qui, Annie» commentò una voce dietro di me, che subito riconobbi.
I toni di Miles erano sempre gentili, calmi, come se niente potesse stupirlo. In presenza della piccola, poi, diventavano particolarmente dolci, simili a quelli usati verso di me in quel sogno che avevo… Ah! No, non dovevo più pensarci! Avevo quasi rischiato un incidente solo pochi minuti fa per quello stupido incubo, non dovevo più lasciarlo sfiorare i miei pensieri.
Entrambe ci voltammo in sua direzione, incrociando il suo sguardo grigio con i nostri due celesti. Si stagliava sulla porta della stanza, tenendo il braccio destro innaturalmente rigido lungo il fianco.
La reazione di Annika non si fece attendere: si staccò da me per correre dallo “zio”, per poi allungarsi verso l’alto cercando in tutti i modi di avvicinarlo a sé. Il che era praticamente impossibile, considerato il dislivello fra i due. Infatti, mentre Miles era molto alto – mi superava molto in altezza – la piccola era piuttosto bassa per la sua età, una dei geni che doveva aver ereditato dai von Karma. Nemmeno io ero molto alta in effetti, ma compensavo questa mancanza con la frusta: nessuno doveva pensare che ero piccola e debole.
L’uomo si abbassò per avvicinarsi a lei, finché i loro visi non furono allo stesso livello, poi la bambina le schioccò un bacio sulla guancia. Lui sorrise calorosamente al suo gesto.
Un moto di gelosia mi assalì, ma allo stesso tempo mi stupì. Non riuscivo a capire se fossi gelosa per le attenzioni che la mia nipotina aveva dimostrato verso lui, anziché verso di me, oppure per lo sguardo così affettuoso che Miles lanciava verso di lei, anziché verso di… No. Sicuramente era per il primo motivo.
Scossi la testa cercando di liberarmi di quelle ipotesi, mentre mi dirigevo di nuovo verso l’ingresso dell’ufficio e dicevo:«Credo che dovremmo andare, adesso. Dobbiamo ancora passare a prendere… delle cose.» Mi riferivo, ovviamente, ai due Hunde [cani].
Ero quasi arrivata alla porta, quando una mano si poggiò sulla mia spalla. Mi trattenni dall’urlare a quel contatto lieve, che avevo subito associato ad una persona, solo per non sconvolgere la piccola, e mi voltai con uno sguardo infastidito verso il mio “fratellino”.
Lui non vacillò, non scostò la mano, ma parlò con voce pacata.
«Credo che tu ti sia dimenticata di ringraziare Wright per essersi occupato di Annika in questi giorni. Non è vero, Franziska?» i suoi occhi, simili a nuvoloni d’inverno, non erano severi, né mi imponevano di fare quello che aveva detto. Sembravano solo chiedermi gentilmente di accontentarli.
Era vero, non lo avevo ringraziato. Ma pretendeva forse che mi sarei esposta così? Che avrei ammesso di avere un debito con quello sciocco avvocato difensore? Forse non mi conosceva ancora abbastanza bene.
Incrociai le braccia, e una mano andò a stringere la manica dell’altro braccio. Uno di quei gesti che non riuscivo a smettere di compiere, anche se mi ricordavano mio padre. Non incrociai lo sguardo dell’uomo in blu, che probabilmente attendeva i miei danke con un sorriso trionfale sulle labbra.
«Non devo ringraziare nessuno. Herr Phoenix Wright mi ha fatto questo favore solo per scusarsi della sua sciocca inutile difesa durante il mio processo» pronunciai le parole lentamente, come per fare in modo che tutti le comprendessero.
In realtà dovevo ammettere che aveva fatto qualcosa in mia difesa, anzi che la sua assurda ipotesi mi aveva salvato dalla condanna a morte. Ma per me era difficile ringraziare una persona.
“I von  Karma non hanno bisogno di aiuto, quindi non ringraziano mai nessuno” era una delle leggi più importanti della mia famiglia, e io, con il mio orgoglio, non riuscivo a sottrarmi a questa regola. E Miles lo sapeva. Infatti sorrise e mi guardò di sottecchi, divertito dal mio atteggiamento, probabilmente. Appena avrei riavuto la mia cara frusta tutti quegli sguardi sarebbero stati puniti…
«Che cosa?!» sbottò Maya, che ci aveva seguito dall’altra stanza insieme alla cugina «Nick ti ha praticamente salvato la vita, e tu…!» la predica che la sensitiva mi stava facendo per la mia frase fu interrotta bruscamente da mio “fratello”, che mi indicò gentilmente la porta.
«Tu vai pure avanti con Annika, Franziska. Ti raggiungerò fra poco.»
Io girai i tacchi e stavo per andarmene a testa alta e senza salutare nessuno. Non avevo intenzione di essere giudicata da quella sciocca Maya Fey! Sembrava che nessuno riuscisse a capire che non potevo ringraziare per il favore che mi era stato fatto e questo mi innervosiva ancora di più.
Mentre il tacco del mio stivaletto si poggiava già sulla soglia, una manina piccola e tiepida mi tirò per la manica della camicetta, attirando la mia attenzione.
La mia nipotina mi guardava confusa, e con voce melodiosa mi fece una domanda.
«Dovresti dire “danke” a herr Nick, Maya e Pearly, Tante Frannie. Sono stati tanto gentili con me…» inclinò il capo, con quello sguardo a cui non si riusciva a dir di no.
Era già la seconda volta che lo faceva, con me, e proprio non mi rendevo conto di come facesse. Non poteva essere semplicemente il fascino da bambina, sembrava quasi un potere sovrannaturale! Eppure era capace di farmi cambiare idea.
«Io… Beh…» ero a disagio, combattuta tra i miei ideali e gli occhi supplicanti di quella piccola. Non riuscivo a pronunciarmi, eppure stavo crollando e il mio volto esprimeva emozioni che non dovevano essere viste da nessuno.
Mi mordicchiai il labbro e sussurrai semplicemente:«… se ne occuperà Miles, Nichte. Andiamo»
La presi per mano e me ne andai velocemente, sperando che tutti si dimenticassero di avermi vista così.
Debole.


Angolo di Kirly:

Beeeh un altro capitolo un po' vuoto di "avvenimenti" ma ricco di pensieri contorti. Vi prometto che nel prossimo succederà qualcosa di carino, dai... No, anzi, non prometto niente XD 
Alla fine il POV di Annika è venuto una cosa piccola piccola, ma sapete era un po' difficile entrare nella testa di quella bambina! Dovrò allenarmi (anche perché ce ne saranno altri, provate ad indovinare in che occasioni? :3)
Visto che il suo punto di vista era piccino, vi lascio una sua immagine in varie posizioni, non è tenera? 

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Che altro...? Ah, pensavo che magari potreste spedire le vostre domande personali ai personaggi, che vi risponderanno nel prossimo capitolo u.u Per intenderci:

Kirlia: Miles, perché non hai ancora sposato Franziska?! -.-
M: Ehm... che domanda dovrebbe essere... *arrossisce* ... è perché... cioè...

Vabbè tesoro, non dovevi rispondere adesso, non agitarti, era solo un esempio! Okay, tutti avete capito quanto sono sclerata.
Spero che la lettura di oggi sia stata interessante e spero di ricevere presto i vostri commenti! Sapete quanto ci tengo <3 
Un bacione a tutte,
Kirlia <3 
   
 
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