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Autore: Orveon    09/08/2013    0 recensioni
Un anziano stregone si precipita in casa di un amico scrittore, Roen, per indurlo a partire con lui. Necessita del suo aiuto, ma non vuole rivelargli alcunché.
Roen attraverserà un mondo di cui aveva letto solo nelle pagine di antichi tomi polverosi. Incontrerà strane creature, occulte città e vivrà esperienze che pochi, in quel mondo devastato dalla guerra e dall'oscurità, hanno mai vissuto.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Quando ti dissi di sellare i cavalli e preparare il necessario, intendevo proprio quel che dissi!»
 
Camminavano oramai da parecchio tempo. La pioggia si era diradata, lasciando che una leggera nebbia avviluppasse colli e viandanti. Contro ogni aspettativa di Roen, s’andava a piedi; niente cavalli, borse in spalla e una lunga via dissestata da percorrere.
 
«E per quale assurdo motivo abbiamo imboccato questa via? I ciottoli e l’erbaccia fanno male!»
 
«Se non vogliamo perder tempo è necessario addentrarsi in brevi scorciatoie, benché spesso siano maltenute come questa. E adesso mira diritto e non fiatare!»
 
«Non mi hai ancora spiegato perché continuo ad adoperare i miei piedi per un viaggio che si prospetta interminabile».
 
Oltrepassarono una fitta macchia di cespugli, mirando verso est. Lasciato alle spalle un ripido sentiero su ciò che parve a Roen una collina pietrosa, la nebbia s’alzò come un sipario, rivelando la maestosità di una landa coperta da un fitto reticolato di ruscelli e rigagnoli d’acqua lucente. Era quella Rorilanda, una sconfinata distesa di terra rifulgente di zaffiro incastonata fra strapiombi di pietra grigia. Benché sembrasse un paradiso verde al centro d’un deserto, gli Uomini non osavano sfruttarne la fertilità a causa di antiche leggende.
 
«Rorilanda, ridente gemma fra terre di lacrime! Mira bene ciò che hai innanzi, potrebbe essere l’ultima volta che...»
 
«Cosa?»
 
«Non ti ordinai forse di non fiatare? Va’ avanti e scova un bordo sufficientemente solido: ci caleremo con le corde».
 
«Pensavo fossi tu la guida. Sfodera qualche artifizio che generi scalinate in pietra e cristallo, non m’intendo di scalate».
 
«Smetti di vivere nelle fiabe. Se avessi la capacità di generare comodi passaggi non avrei chiesto il tuo aiuto. Va’, lascia fare a me».
 
Ilgis s’avvicinò al limite dello strapiombo, saggiandolo con attenzione. Emise un verso e indicò il punto da cui avrebbero disceso la parete rocciosa.
 
Scendere si rivelò più facile del previsto. Roen si divertì a terrorizzare il vecchio urlando aiuti disperati, ma smise quando questi gli colpì il capo con un grosso sasso. Spero che questo t’insegni qualcosa, disse.
Mirarono tosto l’occidente, balzando qualora una serpe d’acqua ostacolasse i loro passi. Si fermarono al cospetto di una grossa statua priva degli arti superiori. Il viso consunto celava un’espressione fiera e nobile. Una fitta rete di rampicanti lo vestiva, ma le foglie, per un motivo o per un altro, non riuscivano a nascondere la scritta incisa su quella che pareva una lapide di marmo posta ai suoi piedi. 
 
«Chi Borunhregiret, driltisref driltisev. Qui giace Borun, re fra i re. Oh, il tempo è infine riuscito a portarlo seco. Avrei dovuto fargli visita.»
 
Per la prima volta Roen si chiese quanto in realtà fosse vecchio l’amico.
Riempirono gli stomaci con gallette e carne secca, quindi si rimisero in viaggio. Lasciarono che il braccio che piegava verso sud passasse alle loro spalle, mirando sempre verso il letto del sole. 
La vegetazione cominciò a farsi via via più fitta sino a formare un denso intrico d’alberi e rovi. Varie e mansuete erano le bestie che ivi abitavano, e la terra punteggiata di fiori violetti e bianchi provava l’amenità del posto. 
I castagni e i pruni presero lentamente a scemare, cedendo il posto a una piccola radura circolare. Non vi si fermarono; anzi, Ilgis parve affrettare il passo. Giustificò la sua fretta con un semplice ho fretta, che poco piacque al compagno.
Infine gli alberi si diradarono: una lingua di terra separava i due boschetti. Le nuvole erano scomparse: adesso il sole inondava di luce ogni angolo di cielo. Il meriggio era ancora vivo, fatto che ristorò in parte le membra stanche dei viaggiatori.
S’inoltrarono allora nel bosco loro innanzi, più fitto e ampio del precedente. L’incedere non era particolarmente faticoso, poiché rare erano le salite.
Camminarono fianco a fianco sferzando i cespugli che li ostacolavano, ora irti, ora in fiore, dimore di scoiattoli e bestiole nascoste. Raggiunsero in fretta una radura circolare ampia un tiro di sasso. Era adombrata dai rami di grossi alberi, e parecchi erano i fiori che punteggiavano il manto erboso fine e curato. Al centro vi era una pozza d’acqua con in mezzo un isolotto sormontato da una casa minuscola posta su delle palafitte. Pareva disabitata.
 
«Quella, Roen, è una casetta molto pericolosa». Rise e prese a camminare. L’altro lo seguì, ignaro dell’importanza delle sue parole.
 

La luce del sole ormai fioca tingeva d’oro le fronde degli alberi; qualche lama di luce cadeva come liquida sui volti della compagnia, confortandola un poco. Quando infine giunse il crepuscolo, si diressero ai piedi d’un grosso castagno, ove avrebbero installato il bivacco. Il fuoco fu tosto acceso e la cena preparata. Roen fu troppo stanco per parlare sicché, rannicchiatosi, s’assopì. 
Si svegliò di soprassalto a causa di una visione fosca e inconsistente che aveva turbato il suo sonno. Sotto la luna calante s’ergeva la figura di Ilgis assorta in qualcosa che emanava una tremula luce. 
 
«Che stai facendo?» chiese ad alta voce. 
 
Il vecchio sussultò, ma rispose con voce tranquilla.
 
«Al contrario tuo io possiedo degli amici. Lascio loro un messaggio».
 
«Qualcuno abita qui in giro e tu mi fai dormire su sassi e spine?».
 
«Se desideri una risposta, osserva le mie azioni».
 
Roen si chiese cosa intendesse dire, ma presto l’oblio lo avvolse fra le sue spire.


 
 
Come petali di fiore, le nubi dell’alba si svolsero in magnifiche danze. Il vento si levò dolce per svegliare con carezze e sussurri gli abitatori della luce. 
Ma la bellezza di quel giorno non sfiorò affatto la compagnia. Gli uccelli che ancor cercavano di scrollarsi dalle penne il torpore della notte avrebbero potuto sentire due bipedi parlare a gran voce.
 
«Per l’amor del cielo, le fauci di questa formica sono spaventose!».
 
«Abbi rispetto, sciocco viaggiatore: quella formica possiede nome e passato come tu forse possiedi».
 
Roen non poteva muoversi. Si era svegliato intrappolato nella terra: solo la testa era libera, alla cui guardia un esercito di formiche stava in attesa. Qualcuno alle sue spalle infieriva ad ogni sua parola. Dalla voce intuì che fosse svelto e minuto. «Ilgis, buono a nulla, era dunque tutto uno scherzo?»
 
Ma il vecchio compagno non poteva ascoltarlo.
 
«Sta’ zitto, Uomo! Il sole non è ancora alto. Voglio divertirmi un poco con te».
 
«Quali sono le tue intenzioni? Abbi il coraggio di mostrarti!»
 
«Non soffrirai, te lo prometto».
 
Rise in modo strano.
  
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