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Autore: Momoko The Butterfly    11/08/2013    3 recensioni
Londra, 18XX. In una grigia giornata come tante altre, qualcosa di inaspettato sta per accadere; qualcosa che metterà a dura prova entrambe le fazioni coinvolte nella Guerra Santa. In seguito a una terribile tragedia, la piccola Gwen si risveglia come Noah. Ma qualcosa va storto...
Il freddo londinese le faceva battere appena i denti, generando un rumore che rompeva il glaciale silenzio che altrimenti l’avrebbe resa del tutto invisibile agli occhi della folla che, incurante, procedeva disinvolta lungo la strada avvolta in morbidi e soffici cappotti.
E lei invece per scaldarsi era costretta a rannicchiarsi come un verme tra la spazzatura, un cencio consumato a coprirla quel tanto per non farla morire assiderata. Il viso scavato, sul quale era caduta un’ombra cupa che mai essere vivo o morto aveva posseduto, fissava i propri piedi impalliditi per il gelo. E respirava, a malapena. Brevi ansiti costringevano il suo petto a sollevarsi pigramente e ad abbassarsi con cautela. Come se avesse paura che qualcuno potesse avvertire la sua presenza.
Perché lei era maledetta.
Era un mostro.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allen Walker, Conte del Millennio, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
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Into the Madness



Capitolo 1
Il ticchettio della pioggia scandisce il tempo della vita





La pioggia batteva insistente sulle ampie vetrate decorate del castello, imperlandone i vetri, come tante pietruzze liquide, trasparenti e scintillanti sotto il riflesso di un sole invisibile, nascosto dal grigio delle nuvole.
Una mano era appoggiata sul vetro, cercava di afferrare quelle gocce tremolanti che vi si posavano sopra. Una mano nera come l'inchiostro, amorfa, maledetta. Ci fu un movimento: le dita si chiusero appena, come se davvero potessero andare al di la di quella barriera di cristallo e sentire il bagnato sulla pelle, per dimostrare che poteva avvertirlo; che era ancora vivo e quella sensazione di freddo e umido così fastidiosa eppure umana non lo aveva abbandonato. La croce sul dorso, così chiara e in netto contrasto con lo sfondo di ombra nel quale era incastonata, brillava d'una insolita luce candida, pura. Innocence.
La fissò per un interminabile attimo, sperando che nessuno lo interrompesse. Erano pochi i momenti che oramai poteva trascorrere in solitaria, escludendo le ore di riposo. Da quando era tornato, con quel nuovo braccio nero e osseo, tutti, chi più chi meno, gli erano stati addosso, senza dargli un attimo di tregua. Gli avevano fatto mille complimenti, si erano congratulati con lui per la buona riuscita della missione a Edo; i membri della scientifica l'avevano esaminato dalla testa ai piedi, avevano torturato il suo povero braccio con strani strumenti medici e gli avevano posto domande assurde d'ogni tipo. Così per una settimana buona, durante la quale non aveva però mancato di andare in missione e combattere, straziare anime cadute prede dell'ombra, assistere a morti inutili e combattere ancora.
Ma lui, Allen Walker, era un Esorcista e come tale doveva per forza condurla, quella vita, in nome del potere divino e dell'occhio maledetto che erano ormai parte di lui. La promessa di Mana si era fatta più viva, chiara. E lui aveva deciso di andare avanti, senza fermarsi. Proprio come avrebbe voluto i patrigno. Era questo ciò che lo muoveva. Il suo legame sottile e invisibile con lui che, benché fosse scomparso, c'era ancora. Nel suo cuore, nella sua anima. In quella cicatrice rossastra sul viso. Sempre con lui, come... una maledizione...

- Allen!

Una voce cristallina lo riportò alla realtà. La mano sinistra si staccò all'istante dal vetro, come se non avesse dovuto toccarlo. Si voltò lentamente, e incontrò la longilinea figura di Linalee Lee, sua cara amica e compagna da ormai molto tempo. Le rivolse un sorriso stirato, che denotava stanchezza. In quegli ultimi giorni aveva dormito poco o niente, ed era distrutto.
La cinesina ricambiò con un'espressione allegra, energica, eppure dolce, in quei momenti più calda del sole e più brillante della luna.

- Hai bisogno di me, Linalee? - le domandò Allen, notando un plico di fogli tra le sue mani, stretto al petto per evitare che cadesse.

- Sì, mio fratello ci ha chiamati per una missione - e quelle sole parole bastarono a distruggere il sorriso dell'Esorcista.

- Ancora! - si lamentò, sorpreso e, dovette ammetterlo, irritato - Sono appena tornato da Stoccolma...

Linalee parve accigliarsi. Certo non le faceva piacere dare brutte notizie al compagno, soprattutto sapendo quanto lui si impegnasse ogni volta e quanta anima ci mettesse negli incarichi che gli venivano affidati. E doveva dire che ultimamente Komui lo sovraccaricava un po' troppo di lavoro. Forse era per testare la rinnovata potenza della sua Innocence, ma era chiaro che ci fosse qualcos'altro. E la verità era colma di tristezza: i frequenti attacchi di Noah avevano ridotto drasticamente il numero di Esorcisti all'Ordine, tant'è che quelli rimasti erano costretti ad arrangiarsi e svolgere tutto il lavoro da soli. Anche lei si sentiva sfiancata da quel continuò viaggiare. I suoi Dark Boots, nella nuova forma assunta, erano però molto più versatili e leggeri dei primi, e dato che per natura era abbastanza resistente non ne risentiva più di tanto. Ovviamente per Allen era diverso. I tipi parassita, si sa, consumano molta più energia e senza riposo non c'è possibilità che possano combattere a pieno ritmo.

- Mi dispiace, Allen... - tentò di scusarsi. Non per lei, per suo fratello. Era una cosa che aveva imparato a fare spesso.

L'albino le sorrise imbarazzato, sicuramente non gli faceva piacere ricevere le scuse dell'amica a nome di qualcun altro. Doveva essere quel pazzo di Komui a mettere le mani davanti e chieder perdono!

- Non preoccuparti - rispose perciò, prendendole le spalle con delicatezza, per poi aggiungere con rinnovata energia - Bene, andiamo a prepararci!

E senza aspettare alcuna risposta iniziò ad avviarsi verso la sua stanza per preparare i bagagli. O meglio, per prendere i bagagli. Non aveva nemmeno avuto il tempo di disfarli.

Linalee rivolse alla sua figura un'ultima occhiata sconsolata mentre proseguiva nella direzione opposta. Per quanto ancora avrebbe dovuto farla soffrire così?




Ormai era diventata una consuetudine incrociare Lavi per i corridoi. Era come se, ovunque tu andassi, lui ci fosse. Forse per il suo lavoro di Bookman, forse perché era un curioso o forse addirittura per tutta una serie di coincidenze. Eppure Allen si stupì non poco quando ad uno svincolo incrociò il rosso, sorridente come al solito. Accanto a lui c'era Crowley. I due sembravano discutere di argomenti alquanto strani: spigole e meduse. Decisamente non un tema sul quale sarebbe valsa la pena crucciarsi. Non in quel momento.
L'albino salutò con un cenno i compagni, che ricambiarono l'uno con allegria e l'altro con pacata gentilezza.

- Dove andate? - domandò Allen, ben notando i loro abiti: canottiere e magliette corte, pantaloncini, niente scarpe.

Lavi mostrò uno dei suoi soliti radiosi sorrisi, mentre circondava Crowley con un braccio in segno d'intesa.
- Andiamo ad allenarci! - esclamò alzando una mano e facendo il segno della vittoria. L'altro annuì timido, per poi aggiungere - Perfezioniamo i nostri attacchi combinati, invero.

Allen parve finalmente comprendere. Gli avevano detto quanto la potenza dell'Hiban di Lavi, combinata alla naturale forza e agilità di Crowley avessero danneggiato pesantemente gli Akuma durante l'assalto a Edo. Insieme dovevano essere proprio fortissimi.
Diede una pacca sulla spalla a entrambi come segno d'incoraggiamento, sautandoli e allontanandosi verso la propria stanza. Certamente loro avrebbero fatto scintille, bravi com'erano in coppia. Lui aveva provato ad allenarsi con Kanda e il risultato era stato pessimo: una scommessa assurda sui loro capelli terminata con una scazzottata senza riguardi per entrambe le parti. Però non potevano dire di non essersi impegnati al massimo per pestare l'altro. Su quello, non c'era santo che tenesse. A pensarci bene, ultimamente Kanda pareva essere scomparso dalla vista di tutti. Gli Dissero che andava spesso in missione, e per questo tornasse alla Home solo per breve tempo prima di ripartire nuovamente. In ogni caso, Allen si sentiva preoccupato nei suoi riguardi. Non troppo, s'intende. Si trattava della stessa apprensione provata sull'Arca, quando avevano dovuto abbandonarlo tra le grinfie dei Noah; e quando avevano visto con orrore la distruzione della candida città e la sua scomparsa assieme a quella di Lavi, Crowley, Chaoji. Non poteva dire di tenere a lui, ma... lo considerava sempre un compagno insostituibile, certamente unico nel suo genere, che nonostante tutto possedeva un cuore. Certo, era sepolto sotto quella sua scorza da demone sanguinario ma c'era. E lui lo sapeva.

Si fermò. La porta di legno davanti a lui recava inciso il suo nome, incorniciato in una targa avente anche un numero di riconoscimento. Una cosa che non gli era mai andata a genio, ma necessaria. Detestava essere trattato come uno strumento di guerra.
Con assoluta calma afferrò la maniglia e la girò. Un cigolio, e la porta lentamente si spalancò. Non c'era mai stato niente di prezioso in quella stanza. Un letto, una scrivania e una sedia. E quel buffo quadro che aveva deciso di portarsi dietro, sebbene non gli fosse mai piaciuto troppo. Era un cimelio, un ricordo della prima Home in cui aveva vissuto, carico di nostalgia e sentimenti; e tramite di quella promessa fatta anni prima. Il buffo folletto che camminava in quel dipinto era lui, senza dubbio.
Si buttò di peso su letto, sentendo i muscoli indolenziti gemere di dolore. Gli pareva di sentirli implorare di lasciarli in pace, di farli riposate. Per quanto gli dispiacesse, il sonno non era nei programmi. Si tirò a sedere, afferrò con malavoglia la divisa buttata sulla sedia e la studiò con calma, notando buchi e strappi. Capitava sempre in missione. Fortunatamente c'era Jhonny, che con un'incredibile e persino spaventosa voglia di fare li rammendava tutti. Non lo avrebbe mai ringraziato abbastanza.
Decise di vestirsi in fretta, prima che il suo cervello potesse riconsiderare l'idea di farsi un pisolino sul materasso. Più esausto di prima uscì dalla stanza richiudendo la porta dietro di sé. Percorse il corridoio in modo quasi meccanico, senza badare a ciò che gli stava intorno. Ormai lo conosceva a memoria, sebbene fosse trascorso poco tempo da quando si erano trasferiti. La verità era che lo aveva percorso talmente tante volte da memorizzarlo alla perfezione.
Dinnanzi a lui si stagliò la porta di legno finemente lavorata che conduceva all'ufficio del supervisore. Entrò, e con la stessa andatura di uno zombi si sistemò sul divanetto posto di fronte alla scrivania ricolma ci fogli e documenti. Solo allora se ne accorse. Komui non c'era. Cominciò a guardarsi attorno, perplesso. Ma ecco che udì una voce flebile provenire da dietro la scrivania. La raggiunse e... vide solo un mare di carta e libri! Ma proprio mentre ipotizzava potessere essersi confuso, il medesimo rumore lo insospettì e, scavando, scoprì una mano che si contorceva in maniera orribile, in cerca di fuga.
A quella scoperta fece un balzo all'indietro, lasciandosi scappare un gridolino. E subito dopo una voce, debitamente sommessa e chiaramente proveniente da sotto il cumulo, parve sollevarsi.

- Allen caro, sei tu?!

L'interessato annuì, ancora scioccato, per poi correggersi e rispondere con energia - Sì!

La voce continuò visibilmente sollevata.

- Ah, grazie a Dio! Aiutami, sono finito qui sotto!

Allen spalancò gli occhi.

- Signor Komui, siete voi?!

- Sbrigati, sto soffocandooo!

- S-Sì!

E senza pensarci due volte, cominciò a togliere libri e fogli dal cumulo, fino a scoprire la punta del berretto del Supervisore. Sempre più interdetto, continuò a scavare finché il reperto non venne totalmente alla luce, recuperando il fiato e alzandosi a fatica.

- Grazie mille, Allen! - disse grato all'albino, mentre si accomodava con sollievo sulla propria sedia - Stavo cercando un documento importante e per sbaglio mi è crollata addosso una pila di libri...

Allen rimase sconvolto, pensando che probabilmente con tutta quella roba che gli era caduta addosso sarebbe potuto anche morire. Ma vederlo ridere spensierato come se nulla fosse gli fece venire un'incontenibile voglia di riseppellircelo sotto e abbandonarlo al suo crudele destino.

Proprio in quel momento entrò Linalee. In mano aveva ancora il fascicolo di prima, anche se adesso sembrava essersi alleggerito. E l'albino pensò, amaramente, che pur di scansare il lavoro Komui era disposto a tutto; anche a sfruttare la sua adorabile sorellina.
Vedendo l'espressione scioccata di Allen, la cinesina assunse toni di rimprovero e si rivolse al fratello.

- Fratellone! Ti avevo detto di lasciare in pace Allen, almeno per una volta!

Komui si mise a ridere, nervoso, e Linalee lo guardò truce. Ma non stava facendo sul serio. Per quanto suo fratello fosse riprorevole, non poteva realmente andargli contro.

I due poi si ricomposero e la ragazza si sedette al fianco di Allen sul divanetto della stanza, mentre Komui distribuiva loro dei fascicoli contenenti i dettagli della loro nuova missione.

- E' una zona montuosa non molto lontana da qui. E' attraversata principalmente da mercanti, e proprio alcune loro segnalazioni ci riportano fatti davvero insoliti.

- Insoliti? - chiese Linalee, curiosa.

Komui annuì piano.

- Vedete,  per raggiungere il paese adiacente, sono costretti ad attraversare un tratto boscoso abbastanza fitto. E la cosa strana, a sentire le voci, è che questo percorso cambia di continuo.

Allen sollevò lo sguardo dai fogli e guardò perplesso il supervisore.

- In che modo cambia di continuo?

Komui mostrò loro una mappa del luogo. Un cerchio rosso era segnato attorno all'area interessata.

- Semplicemente... - spiegiò, indicando con una bacchetta l'indicazione sulla carta - ... si sposta.

A quella spiegazione entrambi gli Esorcisti parvero rimanere sorpresi. Ma era piuttosto naturale avere a che fare con simili fenomeni, nella loro condizione.

- Innocence? - domandò Allen, serioso.

- Possibile - rispose il supervisore, riponendo la mappa con serietà - Ci dicono che gli alberi, il percorso, le montagne stesse che ne fanno parte, cambino la loro mofrologia in modo casuale e del tutto imprevedibile. Per questo molti mercanti si sono smarriti, e sono finiti da tutt'altra parte.

- Capisco... - annuì Linalee, mentre rifletteva già sulle possibili cause del fenomeno.

- Vi chiedo di andare a controllare che le voci siano vere, per favore - concluse Komui sedendosi sulla sedia e congiungendo le mani. Aveva l'aria stressata. Sapevano entrambi che, nonostante tutto, non mancava di fare il suo lavoro e la cosa impediva loro di prendersela totalmente con lui.

- Bene - affermò Allen, alzandosi con determinazione. La curiosità aveva risvegliato le sue energie. Ora sentiva il bisogno di partire e risolvere quel mistero - Quando partiamo?

- Tra un'ora - troppo poco per prepararsi a dovere, sicuramente, ma questo era il loro lavoro. Un lavoro che solo loro potevano fare. E se non ci fossero andati Dio solo sapeva cosa sarebbe potuto accadere. L'Innocence era imprevedibile. Ma per questo erano nati gli Esorcisti, gli unici in grado di controllarla, gli unici in grado di averci a che fare. Il riposo poteva anche attendere.


 


Il brusio che si era levato dalla tavola era uniforme, non una voce pareva spiccare in quel mare di confusione, al quale si aggiunsero presto il tintinnare dei bicchieri e delle posate sulla ceramica fine dei piatti colmi di cibo. Eppure, nonostante l'aspetto alquanto delizioso e la fame che li divorava, qualcosa di ben più invitante stava dando loro filo da torcere: la curiosità. Una irrefrenabile, morbosa curiosità. Erano stati chiamati con urgenza dal loro capo, il quale li aveva raccomandati di prendere parte ad un'altra importante cena di famiglia. E loro, perplessi, avevano accettato ed ora erano lì, in fila, seduti a tavola con le pance vuote - o quasi -. Non tutti infatti parevano così ansiosi di sapere il motivo della loro chiamata improvvisa, tant'è che avevano cominciato già a ripulire i piatti serviti in silenzio - o quasi, ancora -.
Perché non tutti avevano avuto la decenza di consumare le pietanze in silenzio. Due individui, certamente giovani ma non così tanto da parire immaturi come invece erano, si stavano amabilmente prendendo a forchettate lanciando purè ovunque, colpendo disgraziatamente in faccia un giovane signore dall'aria distinta che stava facendo ticchettare le dita sulla tavola per l'impazienza. Al sol sentire il proprio viso impunemente assalito dal contorno, immediatamente saltò su, irato, e si mise a minacciare di morte i due scalmanati, promettendo loro una orribile fine.
Questi però continuarono a ridere sguaiatamente, incuranti delle sue parole, e la battaglia di cibo continuò indisturbata. O almeno, finché non avvertirono che intorno a loro era improvvisamente calato il silenzio. Succedeva sempre così, erano gli ultimi ad accorgersene, ma lui faceva comunque finta di non averli visti.
Apparve così, dal nulla, senza far accorgere gli altri della sua presenza. Era teatrale. Ogni suo gesto, ogni sua movenza pareva calcolata, sembrava che la eseguisse solamente per rispecchiare il ruolo da lui scelto: l'infausto personaggio che avrebbe portato il mondo alla rovina, il Conte del Millennio.

Dalla tavola una piccola figura si sollevò. Una bambina. si sporse verso il centro, per vederlo meglio, rivolgendogli un sorriso d'intesa. Eccole finalmente, le risposte. Bene, non aspettava altro.

- Sono molto felice che siate venuti tutti, fratelli - cominciò, con voce calda, eppure tremendamente grottesca. La voce di un essere tanto bizzarro quanto ingannevole. Si spremacciò con cura il soprabito color crema che seguiva alla perfezione la sua forma tondeggiante - Scusatemi per avervi fatti radunare qui con così poco preavviso .

E fu allora che la bimba prese la parola, di sua iniziativa. Aveva una voce chiara, infantile, dolce per certi versi. Eppure, era come se queste qualità fossero costantemente messe in ombra da un lato più oscuro; maligno. Sorrise, già immaginando quello che volesse dire il loro ingombrante capo. Ma voleva esserne certa. Manifestare la sua curiosità a nome di tutti perché, ne era sicura, chiunque stesse presenziando alla cena in quel momento si sentiva perplesso tanto quanto lei.

- E' successo qualcosa di grave, Lord?

Non lo sapeva, ma riusciva a capire quando il primo apostolo Noah era sovrappensiero, o rattristato da qualcosa. Una sotto specie di senso materno nei suoi confronti che le piaceva mettere in luce per far vedere quanto fosse brava.
Il Conte scosse la testa, accentuando il ghigno che si portava sempre appresso, come una maschera; cosa che lo rendeva sempre più simile a un buffo personaggio da commedia. Ridacchiò appena alla domanda della piccola. Una risata grossa, vivamente divertita, riempì per qualche attimo la stanza prima di dare le dovute spiegazioni.

- Nulla di grave, Road - ammise, sollevato nel dirlo - Un altro di noi si è risvegliato .

A quella notizia i presenti sussultarono. Tutti. Colti dalla sopresa, non si sarebbero mai aspettati una simile notizia. Road Kamelot, il Sogno di Noè, si mise in piedi sulla sedia rivelando il proprio abitino di tulle, bianco e spruzzato di nero come un paesaggio invernale al contrario. Neve di pece cadeva su di un terreno candido. La terra immacolata che loro presto avrebbero invaso d'ombre e d'odio.

- Qualcuno ha preso il posto di Skin? - chiese speranzosa. E dire che il suo golosone preferito per eccellenza le mancava molto. Necessitava di avere un nuovo compagno di giochi.

Eppure, il Lord del Millennio scosse ancora la testa, evidentemente dispiaciuto. Risposta negativa. Road si rimise a sedere, sconfortata, senza però aver perso la voglia di sapere.

- Allora?! Chi sarebbe?!
- Hiii, sarebbe?!

Jasdevi non mancarono di partecipare al discorso, anche se in realtà non fregava loro nulla del nuovo membro. Erano annoiati e basta.

Il primo apostolo rise goffamente a quell'intervento, ben consapevole del reale interesse dei Noah del Legame. Ma rispose loro in modo normale, cogliendo le loro domande al volo per creare l'effetto suspence che tanto gli piaceva per terrorizzare e far morire d'ansia i suoi amati ospiti.

- Oh oh oh! Sapete, non lo so nemmeno io! .

E questa volta i presenti rimasero basiti.

- Come sarebbe a dire? - domandò un giovane seduto accanto a Road. Era elegante e aveva l'aria parecchio annoiata.

Gli occhi del primo apostolo parvero luccicare dietro le piccole lenti tonde degli occhiali, come se si aspettasse quella domanda.

- E' presto detto, Tyki-pon! - esclamò sollevando l'indice con aria sapiente - Lasciate la stanza e seguitemi .

A quelle parole il Noah del Piacere si stizzì. Come odiava quel soprannome, e finché avesse avuto aria nei polmoni gli avrebbe detto di smetterla di usarlo con lui. Eppure non batté cigio, e si alzò da tavola assieme a tutti gli altri discepoli di Noè. Non erano molti. Dopo la battaglia dell'Arca uno di loro se n'era andato, ma solo temporaneamente. Sapevano che sarebbe tornato, assieme a tutti i fratelli mancanti. Il piccolo gruppo si raccolse dietro al primo apostolo, che come un'impavida guida, li condusse fin nei più remoti angoli di quella che era la loro nuova casa: un antro buio, immerso nel nulla, nel quale l'impossibile diventava reale, e l'immateriale assumeva una forma concreta. Erano quelle stesse ombre a plasmarsi, seguendo il percorso dei loro abitanti, a disporsi tremolanti e ad assumere forma, colore, solidità. Così, senza che se ne rendessero conto, stavano camminando all'interno di un ampio corridoio elegante, attraversato da un morbido rosso tappeto e illuminato da cadelabri di cristallo alle pareti. In fondo ad esso, una porta che, in confronto a quel lussuoso ambiente, pareva essere stata appoggiata lì per sbaglio. Era di legno, scarna, senza l'ombra di una decorazione, decisamente fuoriluogo. Eppure era la chiave di quella riunione. Oltre di essa, risiedeva la ragione per cui il Conte non si era mai sentito tanto interdetto in vita sua.
Il gruppo vi si fermò di fronte. Rimasero lì per qualche attimo, finché il primo apostolo non sollevò la mano e con un gesto, forse un incantesimo sconosciuto, rimosse il lucchetto che la teneva sigillata. Cigolando, si aprì. Ma molto, molto lentamente. Non voleva certo impaurirla.
Un raggio di luce penetrò all'interno, illuminando una stanza spoglia, vuota. Pareva la cella di una prigione. L'unica differenza era che, nonostante vi fosse una finestrella in pessime condizioni, le cui schegge erano visibili a terra, essa non forniva alcun tipo di illuminazione. Chiunque vi fosse stato all'interno, era rimasto nel buio più totale fino a quel momento. L'Arca aveva mille segreti, alcuni di questi noti nemmeno al suo creatore, e i suoi misteri superavano le comuni leggi terrestri, per elevarli a esseri superiori.
Road si fece avanti, curiosa. E fu allora che l'avvertì. Un movimento provenire dall'oscurità. Era strano, molto strano. Le parve come se qualcuno stesse strisciando nella loro direzione. Ma quando udì il tocco di due mani leggere appoggiarsi al pavimento e avanzare, ne fu certa. E lì, dovette ammetterlo, persino lei si sentì inquieta. Come se da quel qualcuno o qualcosa che lentamente veniva verso di loro scaturisse un'aura ostile; pericolosa. E, in qualche modo, spaventosa.
Indietreggiò: gesto involontario, eppure, nel profondo, voluto.
Dalla sottile striscia di luce che attraversava la cella, emersero improvvisamente due dita. Poi una mano. Poi un braccio; e lì i presenti impallidirono. Persino loro, nella loro fredda e spietata malignità, trovarono orripilante lo spettacolo cui furono costretti ad assistere.
L'essere davanti a loro era chiaramente una persona. Ed aveva la pelle grigio cenere, come la loro. Però... era diversa. Come se in qualche modo fosse estranea a quella condizione. I capelli lunghi, candidi e lisci le cadevano sul viso, sulle spalle, scomposti, sudici, stopposi. Ma erano anche intrisi di sangue, secco e raggrumato. Anche il corpo era ricoperto da macchie cremisi. Era sulle dita delle mani, sulle braccia, sul collo... come se ci avesse fatto il bagno. Ma il perché di tutto quel sangue fu presto detto. La mano destra stringeva stretto stretto un pezzo di vetro appuntito, come fosse stato qualcosa di prezioso come una bambola o un orsacchiotto. Numerosi tagli abbastanza profondi si aprivano sulle braccia, su quel poco di viso che era concesso vedere, sulle gambe..
La scena era indicibile.

Qualcuno rimase impietrito; qualcun altro si lasciò scappare un sorriso di nervosismo. Di circostanza, ma solo per mascherare l'angoscia che quell'essere aveva loro infuso.

Il Conte si chinò su quella figura, allungò una mano e le prese il viso ferito, freddo come il ghiaccio. Delicatamente lo sollevò, affinché i fratelli vedessero chiaro e tondo quella che aveva reputato un'anomalia. Sulla sua fronte si aprivano non sette croci, ma solo quattro. Quasi la metà. Dalla tempia destra, fino ad arrivare alla stigmata centrale, quella più grande e invasiva. Sangiunavano, eppure... trasmettevano una strana sensazione. Il vessillo dei Noah, dimezzato. Questo poteva voler dire tante cose, ma il Conte non perse tempo, e spiegò immediatamente ai suoi cari fratelli la questione.

- Questa giovane ospite - spiegò, con voce insolitamente seriosa - Doveva essere la nuova portatrice della memory della Pietà di Noè. Ma qualcosa è andato storto .

Sembrava rammaricato. Come se la cosa lo dispiacesse.

Tra i Noah, si fece avanti il detentore del Desiderio di Noè, Cheryl Kamelot, che con voce piatta domandò - Puo spiegarsi meglio, Lord?

Il primo apostolo osservò negli occhi la nuova arrivata. Quegli occhi d'ambra che nonostante tutto erano rimasti gli stessi, non erano cambiati. Erano ancora i suoi...

- Certamente - acconsentì, pacato, asciugandole una lacrima cremisi; gesto di pura gentilezza - Invece di reincarnarsi completamente nel corpo, la memory ha avuto un malfunzionamento e si è sdoppiata, generando una nuova emozione di Noè .

Cheryl ne rimase sbalordito. Ma non solo lui. Tutti, in particolare Road, ammutolirono all'istante. Certo di aver fatto finalmente comprendere loro la situazione, il Conte annunciò solenne la nascita di una nuova memory.

- Lei si chiama Gwen Grey, e rappresenta la Follia di Noè .



Angolo di Momoko ♞

E anche il primo capitolo è andato!
Spero che la storia vi stia piacendo!
Finalmente ho schierato in campo le parti. Da un lato gli Esorcisti (il cui coinvolgimento con il nuovo personaggio avverrà presto) e dall'altro i Noah, che già hanno visto la nuova sorellina e si sentono minacciati. E credetemi, ne hanno tutte le ragioni u.u *Momoko si compiace del regno di terrore che ha instaurato*.
Eh, sì, come ha spiegato il nostro caro Conticino c'è stato un problema con la reincarnazione delle memory. Per ora sapete solo che invece di diventare Maashiima è diventata la Follia (evito di tradutte in giappo perché non sono sicura). Presto spiegherò per bene nel dettaglio questa situazione! ;) Ah, state tranquilli: Gwen non è un personaggio stereotipato dal passato orribile e dai poteri nascosti, ha punti di luce e di ombra vi assicurò che sarà trattata in modo realistico. Quindi... spero possa piacervi, e se non vi piace fa lo stesso. Mi piacerebbe sentire i commenti anche di chi la detesta! E non è un attimo di masochismo, giuro. Solo pura curiosità.
Oh, be', ora mi dileguo! Ringrazio di cuore La Strega di Ilse per aver recensito il prologo, il suo parere mi è stato di grande conforto e mi ha fatto venir voglia di mettermi subito al lavoro <3
A prestooo,


Momoko <3

 
   
 
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