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Autore: Angelo Osaki    13/08/2013    2 recensioni
(dal secondo capitolo)
Sai, stanotte credo di averlo sognato. C’eravamo noi due, in un infinito spazio bianco e stavamo in silenzio. Un silenzio che parlava, sussurrava cose su noi due e io mi stringevo al suo petto, mentre lui mi passava una mano tra i capelli. Mi guardava, con quegli occhi marroni che non sono altro che le porte dell’infinito e sorrideva. E io? Beh, io mi sentivo felice, come se avrei potuto stringermi a lui per sempre e niente avrebbe mai potuto strapparmi via. I sogni non sono la realtà, lo so.
Eppure, dimmi, sono innamorato? Confesso di sentirmi così, onestamente.
Quindi, ancora, dimmi: sono innamorato? Sinceramente, ogni giorno che passa scopro di volergli sempre più bene e di desiderarlo sempre di più.
Dimmi, sarò mai ricambiato o questo amore mi si rivolterà contro e mi ucciderà? Se sarà così, preferisco che la mia anima mi abbandoni ora che non riesco a vedere niente di negativo provenire dal mio Angelo.
Dimmi, è solo un sogno o la realtà veramente mi sta offrendo ciò? In fine, dimmi, sono davvero innamorato?
[ la storia comincia dal secondo capitolo, il primo è una sorta di prologo-premessa]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Breathe no more
 
Convincimi di essere stata malata per sempree tutto questo avrà un senso quando starò meglio
-Breathe no more

Fine Maggio 2012,

 

Maggio si è rivelato un mese terribile, sai? E per concludere la morte si è abbattuta sulla mia famiglia: stanotte mia madre mi ha svegliato perché papà, seduto nel divano dove l’avevo lasciato io qualche ora prima, adesso non respirava più. Strano.  Quando io sono andato a letto lui mi ha augurato la buonanotte ed è rimasto lì, a guardare la televisione. Ma ora non respira più: un modo carino per dirmi che è morto.
Ho ricordi confusi di ciò che successe nei giorni seguenti.  L’autoambulanza che arriva, mia madre che urla, i miei parenti che arrivano pochi minuti dopo saputa la notizia. Io che sento cadermi addosso un sonno mai avvertito prima  e crollo sul letto, in un torpore vuoto e buio. Non riuscivo proprio a capire, sai? Mi sentivo interdetto, come se i miei sensi mi fossero stati strappati via e io non potessi neanche piangere.
Non ho pianto, sai? Non riuscivo a  provare nulla, era come se fossi diventato un pezzo di marmo. E mi sento ancora così, nonostante sia passata una settimana. Il tempo, da quel giorno, sembra essere passato molto velocemente, ma forse sono io a essermi addormentato a occhi aperti. Ho sempre ricordi confusi, ovviamente.
I due giorni della veglia, la  cassa mortuaria aperta, lui freddo sistemato lì, come se stesse solo facendo una cosa innocua come dormire. Dormire per sempre.
Le visite di parenti, amici, conoscenti. I miei amici che continuavano a venire  e cercavano di darmi forza. Ma io, di marmo come al solito, non riuscivo a dire niente o a mostrare dei sentimenti. Forse mi sono semplicemente chiuso in me stesso, ma ammetto che ai loro occhi tutto ciò sembrava troppo strano.
Poi il funerale. Anche lì io non feci nulla, né spesi due parole a favore di mio padre o piansi, o parlai. Niente. Marmo.
I miei amici che portarono anche delle lettere e dei fogli nei quali, spero se ne rendano conto, hanno dimostrato tutto il bene infinito che mi vogliono. E io? Io sempre a non capire niente, a dormire pur essendo sveglio.
Il cimitero, la sepoltura. Gente che andava e veniva in continuazione, tutti addolorati e io che non ero altro che un alieno di fredda pietra.
I tre giorni seguenti passati a casa dei parenti, con  le mie sorelle scese dalla Germania per il funerale.
Tutta la famiglia riunita nel dolore a cercare di tirarsi su a vicenda. Ma la pietra non prestava attenzione a nulla, come ovviamente sarebbe dovuto essere.
Il ritorno a casa e il silenzio assoluto che cominciò a spaventarmi. Eravamo in due adesso.
Sai, ogni volta che apparecchio la tavola metto sempre le stoviglie necessarie a tre persone. Poi me ne accorgo e prima che mia madre veda il mio operato, risistemo tutto e faccio finta di niente.
Il pezzo di marmo sta cominciando a provare delle emozioni, sai? Ma io preferisco che resti fredda pietra: fa meno male e mi impedisce di pensare. Ogni volta che ci provo, la piccola finestra nella mia mente viene chiusa e io risprofondo nel silenzio delle cose morte.
Quando sono a casa non ho più nessuno con cui parlare o litigare e questo fa male, ma per far smettere il tutto basta chiudere la piccola finestra.
Potrò continuare a tapparla per sempre o comincerà ad aprirsi con sempre più forza finché sarò costretto a guardare in faccia la realtà?
Sai, questi due mesi sono stati l’inferno e so per certo che nulla è terminato qui, ma fortunatamente ho tante cose da fare: prossima settimana ricomincio ad andare agli incontri di preparazione del GREST. Ho bisogno di tenermi impegnato, quindi deduco che sarà buttato lì tutto il giorno. E dopo, quando tutto questo finirà, cosa farò? Chiuderò di nuovo la finestra?
Sinceramente, non ho molte parole da spendere sulla morte di mio padre, poiché desidero che questa maledetta finestra resti chiusa.
Definisci me insensibile, se vuoi, ma io so cosa c’è dentro questo pezzo di marmo. Basterebbe il martello giusto per farmi sbriciolare in mille pezzi, ma esso può arrivare a me soltanto attraversando  quella spaccatura che ogni giorno sempre più difficilmente riesco a chiudere.
Non ho più niente da dire, sai? Non riesco né a scrivere né a parlare. Ma so che tu puoi capire il mio silenzio: esso spiega molte cose.
Può spiegarti anche come mai adesso io non respiro più.
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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