3.
Tutte le strade portano a te
Draco
si svegliò con un dolore pulsante alla testa. Quando, lentamente e con cautela,
aprì gli occhi, fu colto da un attacco di panico improvviso e divorante nel
rendersi conto che non riusciva a vedere assolutamente nulla. Un rantolo di
terrore puro gli risalì per la gola, prima di rendersi conto che era solo il
buio fittissimo del luogo a dargli quell’impressione. Pian piano si abituò
all’oscurità e cominciò a distinguere qualcosa: il profilo di una brocca, lo
scheletro di un tavolo, una corda di luce a diversi metri da lui – la sua via
di fuga, l’uscio della tenda in cui si trovava.
Si
mosse piano, con gesti lenti e posati, un mugolio a sfuggirgli dalle labbra
ogni volta che un’inspirazione più intensa o un movimento meno delicato
facevano scricchiolare le costole nel punto in cui la Weasley
l’aveva picchiato, senza alcun riguardo per le sue povere, vecchie ossa. Si
rese conto di avere le mani legate dietro la schiena solo quando il bisogno di
tastarsi il torace per assicurarsi che fosse ancora integro si fece impellente.
Solo allora imprecò a denti stretti, muovendosi nella speranza che le corde si
allentassero.
«
Poche storie, Malfoy » ghignò una voce nel buio. Gli
occhi di Draco, due punte di spillo lucenti
nell’oscurità, saettarono intorno alla stanza nel tentativo di individuare il
proprietario della voce. La sagoma allampanata di uno dei gemelli sbucò da
dietro una tenda gialla che fungeva da divisorio.
«
Dove sono? » grugnì il biondo, scoccandogli un’occhiata minacciosa e feroce.
Non riusciva a vedere i suoi lineamenti ma, persino nel buio, sapeva che lui
stava sorridendo: glielo suggeriva quel suo tono leggero e canzonatorio, e il
brillio furbo degli occhi.
«
Prigioniero » rispose semplicemente l’altro, con una soddisfazione quasi
maligna nella voce. A Draco sfuggì una risata
beffarda.
«
In una tenda? Non avete nemmeno una cella per i vostri prigionieri? Certo che
siete messi proprio male » asserì con intenzione derisoria.
«
O forse abbiamo solo più riguardo per le persone » lo smentì una voce. Una
sagoma oscurò per qualche minuto la lama di luce che proveniva da fuori. Dopo
qualche istante, la tenda fu invasa da un piacevole tepore, e dal chiarore
aranciato di una lampada a gas. Draco rimase accecato
e fu costretto a chiudere le palpebre, ferito dall’improvviso bagliore che aveva
invaso il luogo. Dopo diversi minuti, riaprì gli occhi e guardò il nuovo
venuto. Gli ci volle qualche minuto per riconoscerlo.
«
Paciock?! » disse, incerto. Luì annuì debolmente,
mimando un sorriso stanco, amaro. Il biondo sbatté le palpebre un paio di volte,
perplesso, e lo osservò a lungo. Era senz’altro Paciock,
ma, al tempo stesso, non lo era più. Non era come con i Weasley
– quelli, nemmeno la guerra potevano cambiarli – che, sebbene più magri e
rabbiosi conservavano nella dolcezza dei lineamenti, nella determinazione degli
sguardi e nel rosso dei capelli le stesse caratteristiche di sempre. Questo
Neville Paciock aveva qualcosa di diverso, in un modo
inevitabile e spaventoso. Al di là della denutrizione, delle guance scavate e
dei cerchi scuri sotto gli occhi, oltre la cicatrice che gli tagliava
irreparabilmente l’angolo sinistro delle labbra, allungando in modo grottesco
il suo sorriso, c’era qualcosa – Draco non avrebbe
saputo dire cosa – che lo rendeva meno… meno Paciock.
Forse era la durezza dei suoi occhi: quella risolutezza che faceva quasi
spavento, e che gli fece correre un brivido freddo lungo la schiena. O il suo
modo di guardarlo: quelle occhiate prive di compassione o gentilezza che lo
facevano sentire carne da macello. O le dita strettamente serrate attorno alla
bacchetta. O la sua voce atona e stanca. Magari tutte quelle cose insieme.
«
Vi lascio soli allora. Se vuoi un consiglio da amico, Malfoy…
canta prima che sia troppo tardi » Il gemello uscì dalla tenda con un’ultima
occhiata di commiserazione.
«
Cantare? » Lo sguardo di Draco si posò su Neville.
Lui non lo stava guardando, sembrava immerso in pensieri impossibili da sondare
o comprendere. « Fammi capire… lasciano a te
il compito di interrogarmi? Molto, molto divertente… davvero, siete caduti
proprio in bas… »
Nel
silenzio della notte, un urlò squarciò la quiete dell’accampamento.
«
Io l’avevo avvertito » Fred scosse la testa ed emise un lungo sospiro.
Remus
Lupin, fermo sulla soglia della tenda, fissava con sguardo vuoto e allucinato
un punto non ben definito della stoffa gialla, macchiata e logora in più punti.
Quando si rese conto dell’occhiata quasi preoccupata che il giovane gemello Weasley gli stava lanciando, scosse il capo ed emise un
lieve sospiro.
« Quando siamo arrivati a questo? »
Fred non era sicuro si
riferisse all’urlo di Malfoy o allo stato d’incuria
della tenda, ma poteva capire, e di sicuro condividere, quel senso d’angoscia e
disgusto che gli stringeva lo stomaco.
« Quando la situazione
si è fatta disperata » replicò con insolita serietà. Lupin sollevò appena il
capo, l’espressione grave e colpevole ora fissa sul ragazzo.
« Non è mai stata una
giustificazione » Il suo sospiro sembrava un vero e proprio ululato di dolore.
Ma forse, si disse Fred, era solo l’eco delle grida di Malfoy
a dargli quell’impressione.
***
Alle
tre del mattino Draco non aveva ancora detto una
parola. I metodi di Paciock erano brutalmente
pacifici: niente torture, nessun dolore fisico, solo un estenuante scontro di
parole e immagini. Neville gli aveva scavato la mente con una Legilimanzia tanto potente che la resistenza aveva drenato
ogni energia: nonostante lui fosse un ottimo Occlumante,
aveva trovato serie difficoltà a contrastare quella particolare magia, che
oltre a ispezionare pensieri e ricordi, creava immagini che Draco
trovava difficile ignorare. Ma aveva i suoi buoni motivi per opporsi a quella
minuziosa ispezione.
Neville
non sembrava nemmeno minimamente stanco quanto lo era lui. Draco
aveva la pelle irritata dalle strette corde che gli serravano i polsi, la
schiena gli doleva e aveva come la sensazione che la testa gli si sarebbe
presto spaccata a metà: non sarebbe riuscito a contrastare quel continuo e
instancabile frugare ancora per molto.
Quando
il lembo della tenda frusciò leggermente e si aprì, Draco
tirò un breve e invisibile sospiro di sollievo, salvo poi stringere le labbra
quando si rese conto chi era la persona che era appena entrata. Lo stomaco si
contorse brutalmente e cominciò a bruciare nell’esatto momento in cui la sua
voce gli penetrò il cervello. Allora, fu certo che ogni difesa sarebbe stata
vana: l’armatura eretta dalla sua mente si era appena disciolta.
«
Neville, ora basta » La voce di Hermione era bassa e
monocorde, priva di qualsiasi inflessione. Era impossibile trovare la traccia
di un qualsiasi sentimento, nelle sue parole o nel suo volto, segnato dalla
stanchezza e dall’incuria. Draco non poté fare a meno
di notare che la guerra le donava: aveva le labbra screpolate, le guance
leggermente incavate e l’incarnato pallido; i capelli erano, se possibile,
ancor più crespi e disordinati del solito e la sua magrezza, pur se mascherata
da vestiti sformati e larghi, era fin troppo accentuata. Eppure, la scintilla
del suo sguardo era quella di una donna, fiera e indomabile ma, soprattutto,
implacabile e letale. Aveva qualcosa di bellissimo, pur nella sua spaventosa
forza.
«
Posso essere molto più persuasivo di così » Neville la guardava con la testa
inclinata da un lato e gli occhi curiosi e quieti di un bambino: sembrava
un’altra persona, adesso, mentre attendeva placido il verdetto.
«
Lo so » Le labbra di Hermione si incresparono appena.
Un sorriso affiorò anche sul volto dell’altro: entrambi, adesso, sembravano i
ragazzini che erano, quelli che Draco ricordava, ai
tempi di Hogwarts. « Ma per oggi può bastare. Gli
altri hanno bisogno di riposare » Un lieve, impercettibile sospiro. « E anche
tu ».
Neville
si alzò e, senza dire più una parola, uscì dalla tenda. La consapevolezza di
essere rimasto da solo con la Mezzosangue esplose dentro di lui sotto forma di
una strana, inconcepibile rabbia.
« Se ti aspetti che ti ringrazi per… » cominciò, la voce rabbiosa di un cane
randagio.
« Non mi aspetto niente da te, Malfoy »
Hermione non gli permise neanche di concludere la
frase: lo interruppe con il suo tono pacato, intriso di una punta di amaro
rancore. Il modo in cui aveva pronunciato il suo cognome, poi, come per
rimarcare le differenze e tracciare confini netti e linee precise, lo irritò
oltremodo. Mentre Draco prendeva fiato per parlare,
lei, con gesti lenti e tranquilli, prese un vecchio bicchiere di latta e vi
versò dentro una generosa ondata d’acqua fresca. Il giovane si rese conto solo
in quel momento che la gola prudeva in modo fastidioso, e la visione fu tanto
dolorosa ed evocativa da indurlo al silenzio. Quando Hermione
si voltò, gli sembrò di vedere l’ombra di un sorriso sul suo volto, ma
probabilmente era solo uno scherzo giocato dalla luce intermittente delle
torce.
La ragazza si piegò su di lui senza
mai incrociare il suo sguardo. Draco, istintivamente,
si ritrasse quando la vide avvicinarsi, emettendo un ringhio rabbioso, come un
animale ferito e braccato, costretto in un angolo. Lei non batté ciglio, e si
adoperò con zelo sui nodi che gli stringevano i polsi.
Le corde si sciolsero, obbedienti, e
si adagiarono con dolcezza sul pavimento mentre Draco,
incredulo, si massaggiava i polsi irritati e doloranti, lanciando occhiate
rancorose alla giovane che, evitando il suo sguardo con sorprendente efficacia,
prese il bicchiere e glielo porse, insieme a una mela dall’aspetto marcio e
vecchio.
Lui si limitò a guardarla con aria di
sfida, osservando gli occhi scuri e stanchi tra le lunghe ciglia, le ombre
drappeggiate sugli zigomi, la piega delle labbra. Un violento dolore al petto
lo costrinse a distogliere lo sguardo nello stesso momento in cui lei, con un
sospiro, poggiava bicchiere e mela ai suoi piedi. Non si era accorta del suo
tentennamento.
« Non hai paura che scappi? » la provocò Draco
quando la ragazza gli girò le spalle ancora una volta.
« Non puoi scappare » replicò lei con tono tranquillo.
Anche se tutto ciò che il giovane vedeva era la sua schiena, immaginò che
stesse sorridendo con maligna soddisfazione.
« Mi hai appena liberato » le ricordò con tono beffardo. « Potrei ucciderti e fuggire, sarebbe
così semplice »
Draco rise, accompagnando con uno sbuffo ironico la
sua affermazione.
Fu in quel momento che gli occhi di Hermione si puntarono dritti in quelli del ragazzo. Si
voltò lentamente, con gesti posati, apparentemente stanchi, eppure il suo
sguardo dardeggiò dritto nelle iridi di Draco fino a
trapanargli il cervello. Fu doloroso. C’era qualcosa di
strano, in quello sguardo: una curiosità accesa, un rancore evidente, una pietà
che forse era il fastidio più grande. Mentre le rivolgeva, tra le ciglia socchiuse, uno
sguardo raggelante, lei rispose.
« Non puoi scappare » ripeté. « Le corde erano solo un fastidio in
più che hanno voluto provocarti per dispetto »
Hermione alzò gli occhi al cielo, ma l’angolo della
bocca era incurvato in un sorriso, come se trovasse divertente quel piccolo
scherzo giocato dai gemelli. Era una di quelle poche cose che la facevano
sentire a casa, al sicuro; una di quelle cose che le ricordavano i tempi di Hogwarts, della felicità e della spensieratezza. Erano
cambiate tante cose, ma Fred e George rimanevano i burloni di sempre, e anche e
soprattutto in quelle piccole azioni mostravano i segni di una maturità
acquisita per forza: il bisogno di una risata in quei tempi bui era maggiore
della paura e del nervosismo. «
Ci sono incantesimi di protezione posti lungo tutto il perimetro della tenda, e
anche se dovessi superarli, fuori ci sono molti uomini, e altri incantesimi » spiegò con quell’aria da maestrina
che aveva anche a Hogwarts.
« Potrei usarti come ostaggio. Se ti
portassi al Signore Oscuro… »
Ancora una volta, Hermione non gli permise di
concludere la sua velata minaccia.
« Non lo farai » disse con pacatezza.
« Cosa te lo fa pensare? » Una sfumatura di rabbia crepitò nella
voce di Draco, che era rimasto immobile, seduto sul
freddo pavimento a massaggiarsi i polsi.
« Hai già avuto l’occasione, e non
l’hai fatto »
Adesso, nello sguardo di Hermione brillava un vivo interesse.
Per qualche istante, sembrò valutare l’idea di andarsene, ma alla fine la
curiosità ebbe la meglio. «
La domanda è: perché? »
Inclinò la testa di lato, come una bambina, lo sguardo ostinatamente fisso in
quello del ragazzo. Non sbatteva nemmeno le palpebre, per timore di perdersi
una seppur minima reazione. Non le sfuggì la scintilla che saettò negli occhi
di Draco per un istante infinitesimale, né il
serrarsi improvviso della mascella, che denotava un nervosismo crescente.
« Non so di cosa tu stia parlando » Il suo tono serbava una durezza
latente, che recava l’eco di una traccia difficile a morire. La sua voce era lo
specchio dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti, tanto limpida quanto
incomprensibile.
Hermione lo guardò a lungo, indecisa se
indagare ancora o meno. Dopo molti istanti di silente contemplazione, emise un
lungo sospiro e gli voltò le spalle.
« Non parlerò mai. Tanto vale mi
uccidiate »
La voce del ragazzo la raggiunse quando era ormai a un passo dall’uscita. Hermione non si voltò per rispondere.
« Parlerai, Malfoy.
Te lo assicuro »
Nel suo tono c’era un evidente traccia di dispiacere.
***
La mente di Malfoy
era un labirinto di porte serrate e solide resistenze. Le capacità di Neville,
sviluppate solamente negli ultimi anni di guerra grazie ai consigli e al prezioso
aiuto di Lupin, furono messe a dura prova più di una volta. Laddove la porta
era più resistente e protetta, lui insisteva perché pensava che Malfoy cercasse di nascondere informazioni importanti.
Talvolta era così; spesso, però, lui non faceva altro che attirarlo in trappole
che, alla fine, lo lasciavano stremato e senza forze. Neville cercava di non
dare a vedere quanto frugare nella mente altrui fosse estenuante, ma rimanere
impassibile davanti al ghigno malizioso di un ragazzino arrogante che si divertiva
a metterlo in imbarazzo non era sempre facile.
Draco provava un piacere quasi sadico nel
destabilizzare la sua concentrazione, giocandogli tiri mancini e agguati nei
momenti più inaspettati, proprio come faceva quando erano a scuola.
Neville poteva superare facilmente la
vergogna di situazioni scabre e oscene: non era più un bambino, e il disagio
che un tempo provava – quando il contatto con il sesso femminile si faceva più
intimo e provocava scomode reazioni – era scomparso con l’arrivo dell’amore e
con l’incedere di una guerra che non aveva più lasciato spazio per niente. Non
lo infastidiva nemmeno più il fatto che Malfoy
provasse piacere nel prenderlo in giro o nell’attirarlo in trappole che lo
facevano arrossire: la vendetta era un eccesso che non gli era mai appartenuto,
né avrebbe cominciato in quel momento per colpa di un ragazzetto inutile e
sciocco.
Ma la fatica si faceva sentire dopo
quelle violente incursioni, che lasciavano entrambi sfiniti, l’uno per lo
sforzo di resistere, l’altro per l’energia spesa nell’assalto. Almeno, Malfoy poteva consolarsi con la soddisfazione di vedere il
rossore invadere il viso di Neville; a lui, invece, non restava altro da fare
se non prendere un respiro profondo e ricominciare, nella speranza che almeno
quella porta verso cui si stava fiondando avrebbe condotto a informazioni
utili.
Ce n’era una in particolare che
l’aveva incuriosito fin dall’inizio. La prima volta che era penetrato nella sua
mente era stato come atterrare nel bel mezzo di un labirinto: ovunque spingesse
il suo sguardo si snodavano corridoi, e sulle pareti si aprivano porte e
porticine, finestre oppure oblò, di diverse forme, colori, materiali e
dimensioni, ma quella spiccava in modo inequivocabile, talmente sfacciata che
sarebbe stato impossibile non notarla.
Era un gigantesco portone dorato,
altissimo e altrettanto spesso, con doppi battenti e stranamente intarsiato con
motivi che lui non era riuscito a decifrare. Era ben diversa dalle piccole
porticine di legno o ferro battuto che aveva visto lungo le pareti, anche perché
sembrava maggiormente serrata, con catenacci e travi, come se Malfoy stesso non volesse accedervi. Tutti i corridoi
sembravano portare verso quel punto, per cui a Neville era venuto istintivo
puntare verso quel portale, che era certo conducesse a informazioni preziose.
Malfoy era sempre stato molto più veloce di
lui: la nascondeva, la proteggeva in modo rapido ed efficace, la allontanava
ogni volta che lui tentava di avvicinarsi, o ergeva muri di mattoni davanti ad
essa per non fargliela raggiungere.
Neville aveva desistito dopo qualche
tentativo, ripromettendosi di tornarci quando le sue forze glielo avrebbero
permesso. Ora, sentiva che era il momento: quella, ne era certo, era la porta
che nascondeva i suoi segreti più profondi, le informazioni più importanti.
Forse, avrebbero potuto trovare il loro quartier generale; forse, avrebbe
potuto conoscere i loro piani – numeri, condizioni, intenzioni, mezzi – e così mettere
fine a quella guerriglia che si stava protraendo da troppo tempo.
Non fu facile trovare quella porta,
non perché fosse difficile individuarla – era fin troppo grande – ma perché
sembrava quasi che Malfoy avesse capito le sue
intenzioni.
L’incursione di Neville fu silenziosa
e discreta, mirata, più che a indebolirlo o stancarlo, a distrarlo. La tecnica
del ragazzo era simile a quella che usavano durante le battaglie, in campo
militare: scartare a destra e a sinistra senza mai guardare la propria meta era
un ottimo metodo quando non si volevano scoprire le proprie carte. Così fece
lui: aprì diverse porte e ne indebolì delle altre, facendo credere a Malfoy che il suo obiettivo fosse uno di quegli usci
facilmente cedibili. Sebbene il fu Serpeverde
tentasse di guidarlo tra i corridoi della sua mente verso un punto ben preciso
– un altro scherzo o forse solo la paura che arrivasse davvero dove lui voleva?
– non fu semplice capirne le intenzioni né ingannarlo un’altra volta: ormai Paciock aveva capito i suoi metodi, e aveva imparato ad
aggirare gli ostacoli o volgere la situazione a suo favore. Perciò Draco eresse barriere più potenti laddove pensava che lui
avrebbe attaccato, tralasciando per un istante i ricordi lontani. Un istante di
troppo.
A Neville bastò allungare una mano,
spingere i due grossi battenti, forzare di più l’incantesimo e annientare le
ultime, blande difese. La grande porta si aprì placidamente, con un’obbedienza
che fece gemere Malfoy di dolore e rabbia. Sul suo
volto passò un lampo di paura che Neville non riuscì a vedere, troppo attento a
mantenere la concentrazione, troppo impegnato a chiudere il giovane fuori dalla
stanza per esplorarla fino in fondo, fino all’ultimo ricordo.
Quando il portone si dischiuse, la
prima cosa che Neville avvertì fu un delicato profumo di pergamena. La luce lo
accecò solo per un attimo, cogliendolo di sorpresa: nella mente di Malfoy, fino a quel momento, tutto era stato buio, cupo,
oscuro. C’era poca luce, prevalentemente negli anni dell’infanzia e della prima
adolescenza, nessun odore, una minima e frammentaria felicità. Le stanze erano
piccole, anonime, talvolta pregne di paure e dolori.
Quella stanza, invece, era enorme e
invasa dalla luce. Aveva un profumo meraviglioso, e lui riusciva quasi a
sentire il battito stonato del cuore di Draco Malfoy, un ritmo alternato che sfogava paure e ansie, gioie
e dolori. Quel chiarore improvviso gli ferì gli occhi. Neville li chiuse, per
poi riaprirli lentamente. Quello che vide lo lasciò senza fiato.
Mi
potete trovare qui.