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Autore: blackmiranda    14/08/2013    8 recensioni
Cinque mesi dopo la sonora sconfitta, Ade riesce finalmente ad uscire dal fiume infernale in cui Ercole l'ha scaraventato. Purtroppo per lui, i progetti di vendetta dovranno attendere: una nuova minaccia si profila all'orizzonte, preannunciata da una profezia delle Parche, unita a quella che ha tutta l'aria di essere una proposta di matrimonio...
“E' molto semplice, fiorellino. Vedi, sono in giro da un bel po', e, anche a seguito di recenti avvenimenti non molto piacevoli, mi sono ritrovato, come dire, un po' solo. E così ho pensato, ehi, perché non cercare moglie?”
Persefone rimase interdetta. La situazione si faceva sempre più surreale, minuto dopo minuto.
“Tu... vorresti sposarmi?” balbettò incredula.

Questa è la storia di Ade e Persefone, ovvero di un matrimonio complicato. Molto complicato.
Genere: Comico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Ercole, Megara, Persefone
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 15
Underground breakfast




Quando Ade sbucò dall'entrata dell'Oltretomba, era ancora buio.


Il Grifone nero in testa al suo carro annusò l'aria, apparentemente compiaciuto di trovarsi in superficie.

Il dio gli lanciò un'occhiata scettica. Non condivideva per nulla lo stato d'animo della creatura.

Con un gesto imperioso quanto stizzito, lo spronò ad alzarsi in volo, cosa che questi fece prontamente, sollevando un gran polverone.

Più si avvicinavano all'Olimpo, più l'umore di Ade peggiorava. Non ne poteva più, di quel posto; e pensare che meno di un anno prima aveva tentato in tutti i modi di conquistarlo!

Certo, il pacchetto era all-inclusive: con l'Olimpo erano compresi un sacco di bonus aggiuntivi, primo fra tutti il potere supremo sull'intero cosmo.

Digrignò i denti al pensiero che il detentore di quell'immenso potere altri non era che quell'imbecille tutto muscoli di Zeus.

La cosa lo disgustava. Eppure eccolo lì, sottomesso al volere del fratello, uniformatosi, infine, al resto dell'Universo e dei suoi abitanti.

Per non parlare dell'altro suo fratello: Poseidone. Non ricordava l'ultima volta che si erano parlati. Conosceva perfettamente i sentimenti che il sovrano dei mari provava nei suoi confronti; inutile dire che li ricambiava amabilmente.

Ma il meglio doveva ancora venire. Perché, se c'era una cosa che odiava più delle altre, erano proprio le riunioni di famiglia.

D'altronde, come biasimarlo? Tra i fratelli che lo detestavano, la novella sposa irritante fino all'esasperazione e la suocera che, ne era sicuro, se ne avesse avuto la possibilità l'avrebbe reso concime per le sue amate piante...

In verità, era stanco. Non si era mai sentito tanto stanco in vita sua. Certo, il rapimento di Persefone l'aveva divertito molto, ma era stato mesi prima. Aveva bisogno di una nuova distrazione.

Aveva passato gli ultimi sei mesi a partecipare a tediose riunioni sull'Olimpo, che puntualmente risultavano in un nulla di fatto, per poi sbollire la sua rabbia nell'Oltretomba, sfogando la propria frustrazione sulle anime dell'Acheronte e, occasionalmente, sui suoi fedeli tirapiedi.

Il Grifone atterrò pesantemente sul circolo più esterno di nuvole azzurrine.

Suo malgrado, Ade non poté trattenere un ghigno.

Eccole lì, madre e figlia, una di fianco all'altra, entrambe a capo velato.

“Che atmosfera funerea.” commentò il dio, senza scomodarsi a scendere dal carro.

“Taci, serpente.” sibilò Demetra in tutta risposta.

“Oh, suvvia, non possiamo sforzarci di andare tutti d'accordo?” fece lui in tono fintamente dispiaciuto.

“Lascialo perdere, mamma.” intervenne Persefone, posandole una mano sul braccio.

Demetra parve mordersi la lingua.

La giovane dea la guardò, sorridendo tristemente. Dopo un momento di incertezza, le due si scambiarono un lungo abbraccio, al quale seguirono un paio di singhiozzi soffocati.

Ade alzò gli occhi al cielo. “Sì, è tutto molto commovente, ma possiamo darci una mossa, fiorellino? Ho un po' di impegni, oggi.”

Persefone sembrò irrigidirsi tra le braccia della madre.

Sciolto l'abbraccio, Demetra lanciò ad Ade un'ultima, terribile occhiata di fuoco. “Se ti azzardi a toccarla, te la dovrai vedere con me.” dichiarò, glaciale.

Il dio non rispose. Demetra sarà anche stata una dea dall'aspetto innocuo, rotonda e paffutella com'era, ma in quel momento era decisamente minacciosa.

Qualcosa gli diceva che avrebbe fatto meglio a tenere la bocca chiusa. Si limitò ad accennare un inchino beffardo.

Persefone salì sul carro, titubante, senza lasciare la mano della madre. Il Grifone sbuffò, come infastidito da qualcosa, facendo sobbalzare la giovane dea.

Ade fu improvvisamente travolto da una nuvola di profumo dolciastro. Interdetto, si rese conto che era Persefone la fonte di quell'odore insopportabilmente dolce e lezioso.

Fantastico, pensò torvo schioccando le redini. Aveva trovato un altro modo per risultargli fastidiosa.

Il lugubre carro nero si levò nuovamente in volo, costringendo Persefone a lasciar andare la mano di Demetra.

***
 

Il viaggio non durò molto. Come previsto, sarebbero arrivati a destinazione prima dell'alba.

Persefone non faceva altro che guardarsi attorno, nel frenetico desiderio di imprimersi bene nella mente ogni stella, ogni montagna, ogni collina.

Aveva ardentemente sperato che il proprio odio per Ade l'avrebbe sostenuta, impedendole di lasciarsi andare allo sconforto, ma la cosa pareva non funzionare come aveva auspicato.

Non si erano rivolti neanche uno sguardo. Non che la cosa le dispiacesse... Anche se, forse, avrebbe preferito una di quelle sue battute idiote al silenzio assoluto. Almeno le avrebbe dato uno stimolo per reagire.

Lo guardò con la coda dell'occhio. Era, se possibile, ancora più massiccio di come lo ricordava. Guidava il carro volante con decisione e, apparentemente, senza sforzo alcuno. Eppure, le sembrò di scorgere un'ombra di stanchezza sul suo volto lungo ed emaciato.

Le occhiaie scure sembravano più profonde del solito e le guance più incavate.

Si ritrovò a chiedersi cosa fosse andato a fare sull'Olimpo tutti quei mesi. Sua madre si era rifiutata di parlare del contenuto di quelle frequenti riunioni, alle quali – sapeva - aveva partecipato anche lui.

Scosse la testa, come a voler scacciare quei pensieri inutili. Perché si soffermava a ragionare su di lui? Non aveva niente di meglio a cui pensare? Certo, era difficile ignorarlo, dato che la vettura su cui si trovavano era, a quanto pareva, monoposto...

L'ennesima ondata di panico le attraversò lo stomaco. Chiuse gli occhi, cercando di darsi un contegno.

“Per la barba di Tifone, Seph! Cosa ti sei messa addosso?” sbottò Ade di punto in bianco, facendo una brusca virata.

La dea lo guardò, stupita. “Come?”  

“Insomma, ci hai fatto il bagno dentro?” chiese lui, una smorfia poco lusinghiera dipinta sul volto. “Cos'è, hai trovato la ricetta della leziosità liquida?”

La dea sollevò un sopracciglio. “Oh, non ti piace il mio profumo? Me l'ha regalato Afrodite.” rispose, accennando un sorrisetto.

“Sì, beh, mi congratulo. Un'idea geniale.” commentò Ade, sardonico.

“E' un peccato che non ti piaccia, perché ne ho una boccetta piena.” replicò Persefone mentre il suo sorriso si allargava: infastidire il dio dei morti era un ottimo antidepressivo.

Ade le lanciò un'occhiata poco raccomandabile. “Non credere che ti lascerò ammorbare il mio regno con fiori, profumi e amenità simili. Mettiamo le cose in chiaro, riccioli d'oro: io sono il sovrano dell'Oltretomba. Stabilisco io le regole -”

“Ed io cosa sarei, scusa?” lo interruppe lei, incrociando le braccia.

“... Tu, mia cara, sei, diciamo, un corpo ausiliario. Ecco, magari, in mia assenza - posto che Pena e Panico siano momentaneamente incapacitati...”

Persefone sbuffò. “Mi rifiuto di essere subordinata ai tuoi tirapiedi. No, io sono regina tanto quanto tu sei re, caro mio. Per come la vedo io, metà dell'Oltretomba -”

Ade scoppiò a ridere. “Metà? Oh, no, no. Vedi, le cose funzionano così: io sono l'unico sovrano, come è sempre stato. Tu, fiorellino, puoi renderti utile in altri modi.”

“E quali sarebbero?” domandò lei, iniziando a sentirsi insultata.

“Oh, sono sicuro che Pena e Panico avranno qualche mansione da rifilar... affidarti, se ci tieni tanto.” sogghignò lui mentre il carro spariva dentro la spaccatura nella roccia che portava agli inferi.

Persefone lo fulminò con lo sguardo. “Non ci sperare. Non mi abbasserò mai a tanto!” dichiarò altezzosamente. Le sue parole riecheggiarono nella cavernosa anticamera dell'Oltretomba.

“Come vuoi, riccioli d'oro.” la liquidò Ade mentre atterravano sulla brulla riva dell'Acheronte.

Caronte, riconosciuto il proprio padrone, si avvicinò lentamente al piccolo molo, pronto a trasportare le due divinità sulla barca di legno scuro.

Scesero dal carro, che sparì in una nuvola di fumo nero, Grifone compreso.

Persefone incrociò le braccia al petto, torva. Suo malgrado, era offesa a morte dalle insinuazioni di Ade. Non poteva sopportare l'idea di essere sottomessa, figuriamoci poi ad un marito così odioso.

Inoltre, non voleva accettare un ruolo così insignificante e subalterno. Era la Regina dell'Oltretomba, per Zeus! Volente o nolente, lo era diventata. Doveva pur significare qualcosa!

“Ehm, Seph? A meno che tu non voglia rimanere lì impalata a presidiare il molo, ti consiglio di salire.” le fece il dio in tono beffardo, già a bordo dell'imbarcazione.

Non gli rispose, anche se dentro ribolliva di rabbia.

Riluttante, salì a sua volta sulla piccola barca, aggrappandosi al bordo laterale. Ade se ne stava in piedi, appoggiato alla prua, e le voltava le spalle.

Proseguirono, seguendo il lento corso del fiume infernale.

Le anime dei morti si destavano dalla loro apatia al passaggio della barca di Caronte, salutandoli con lugubri lamenti.

Persefone distolse lo sguardo, scostandosi dal bordo dell'imbarcazione. Provava allo stesso tempo disgusto e compassione per quei poveri disgraziati.

Giunti presso la grande scala che conduceva alla parte più interna dell'Oltretomba, trovarono Pena e Panico ad attenderli. I due demonietti sembravano irrequieti. Sorrisero ossequiosamente al loro padrone.

“Bentornato, Vostra Lugubrità!” esclamò Panico, torcendosi le mani.

Persefone scese dalla barca, aggiustandosi il chitone bianco.

“Ragazzi, preparate la tavola. Abbiamo ospiti.” ordinò Ade mentre saliva velocemente i gradini.

Pena e Panico annuirono, dissolvendosi nel nulla con un piccolo pof.

“Io non mangio.” lo informò lei, salendo svogliatamente le scale.

“Hai imparato la lezione?” la schernì Ade senza girarsi a guardarla.

Nella sala del trono era apparso un lungo tavolo rettangolare, apparecchiato di tutto punto, con tanto di candele al centro.

Ade si sfregò le mani, compiaciuto. “Ah, così mi piace.” disse, accendendo le candele con uno schiocco di dita.  

“Pena! Panico!” chiamò poi, accomodandosi mollemente a capotavola.

I due diavoletti accorsero, portando con sé un paio di grandi vassoi d'argento.

Persefone osservò, disgustata, mentre venivano serviti una decina di piatti dal contenuto alquanto discutibile.

“Sicura di non volerti unire a noi, Seph?” la apostrofò il dio, intento a servirsi da un vassoio colmo di viscidi vermi.

La dea distolse lo sguardo, portandosi una mano alla bocca. “Che schifo.” mormorò appoggiandosi al bordo del tavolo.

“Deliziosi.” decretò Ade a bocca piena.

Persefone si allontanò dal tavolo, oltrepassando velocemente il proprio consorte.

“Ehi, aspetta un attimo, fiorellino. Dove corri?” le fece lui, voltandosi a guardarla.

“In camera mia.” rispose lei senza fermarsi.

“Ehi, ehi, andiamo. Uno cerca di essere gentile...” la blandì lui, materializzandosi di fronte a lei.

Gentile? Hai una strana concezione della gentilezza, lasciatelo dire.” replicò lei, le mani sui fianchi.   

Ade le sorrise, mellifluo. “Non eri tu quella che si considerava Regina dell'Oltretomba, pari a me in tutto?”

Persefone corrugò la fronte. “E questo cosa c'entra?”

Ade le posò una mano sulla spalla, facendole fare un giro di centottanta gradi. “Vedi quel tavolo? Ci sono due sedie. Ora, una è per me, come avrai certamente capito dal fatto che mi ci ero seduto. L'altra, quella al lato opposto del tavolo, è per te. Sempre che tu ti comporti da regina e non da ragazzina isterica in preda agli ormoni adolescenziali.” le spiegò in tono cattedratico.

La dea gli lanciò un'occhiata sorpresa. Dove voleva andare a parare? Non riusciva a credere che avesse organizzato quel banchetto per lei.

“... E chi ti dice che io abbia voglia di passare del tempo con te? Dopo quello che mi hai fatto?” gli chiese, la voce piena di risentimento.

Ade le passò un dito sotto il mento. “Mia cara, dovremo prima o poi sotterrare l'ascia di guerra. O preferisci passare il resto dell'eternità a battibeccare? Prima di arrivare a quella fase del matrimonio, credevo ci avremmo messo almeno un paio di secoli...”

Persefone si lasciò condurre al suo posto, indecisa sul da farsi.

Il dio la fece accomodare. “Ecco. Non è poi così male, no?” le soffiò all'orecchio subito prima di tornare a sedersi di fronte a lei.

Lei lo squadrò, perplessa. Le era parso di avvertire una nota di dolcezza, nella sua voce, e questo la confondeva alquanto.

“Sappi che non ci casco.” gli disse, cercando di mantenere un tono di voce sicuro.

“Non capisco di cosa parli.” replicò lui, svuotando in un sol colpo un bicchiere colmo di ambrosia.

Persefone prese in mano il grande calice d'argento che aveva di fronte. Lo esaminò, scettica: era un oggetto finemente decorato, dovette riconoscere, anche se il soggetto della decorazione non era esattamente nelle sue corde: una fila di scheletri danzanti, racchiusi in quelli che sembravano artigli affilati.

Rimase a fissare il liquido dorato al suo interno: sembrava proprio ambrosia.

Titubante, ne prese un sorso.

***

Ade sorrise, compiaciuto. Tutto sommato, avere Persefone nel proprio regno non era così male.

Certo, era irritante – cercò di tenerlo presente, mentre la osservava di sottecchi spiluccare una o due bacche di Belladonna – ma era comunque una dea... Oltre che sua moglie, dettaglio molto importante.

Forse, si disse mentre addentava un'ala di pipistrello fritta, forse la sua vita aveva bisogno di una ventata d'aria fresca.

Forse era rimasto solo per troppo tempo. Un po' di compagnia non poteva certo fargli male, no?

Insomma, la presenza femminile che più gli era stata vicina – e vicina, per uno come lui, era un'iperbole, a dir poco -, in tutti quei secoli, era stata Meg.

Certo, aveva avuto un paio di flirt con Eris, a suo tempo, ma Meg... Era tutta un'altra cosa.

Un'altra cosa che gli era stata portata via da Megafesso. Oh, la lista era lunga.   

Improvvisamente, con fragore di tuono, una potente scarica elettrica si abbatté con forza sul pavimento della sala, interrompendo bruscamente il filo dei suoi pensieri.

Dalla luce accecante emerse l'imponente figura di Zeus.

Persefone, nel vederlo, scattò in piedi, evidentemente imbarazzata.

Ade le lanciò un'occhiataccia, prima di rivolgere le sue attenzioni al dio del fulmine. “Siamo mattinieri, vedo. Impaziente di scendere nel Tartaro?” gli fece in tono mellifluo, non accennando minimamente a volersi alzare dalla sedia.

Persefone sgranò gli occhi. “Nel... Tartaro?” bisbigliò, scioccata.



 
 
 

 

Salve salvino! xD Accidenti, era ora che aggiornassi. ^^'' Purtroppo ho ricominciato a studiare per un esame di settembre (letteratura greca, manco a farlo apposta) e quindi tempo e voglia di scrivere scarseggiano... Tuttavia, farò come al solito del mio meglio per andare al passo col programma.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto... Ho piantato un bel po' di semi per futuri sviluppi della trama. :) In fondo capita anche ai cattivi di innamorarsi, no? :P

Un saluto e un grazie di cuore a catherineheatcliff, Dark_Sorrow, MrsBlack4 e x_LucyW, che hanno di recente aggiunto la storia tra le seguite, e a KiriaL e Margherita Dolcevita, che l'hanno aggiunta alle preferite.

Al prossimo capitolo! ;)

   
 
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