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Autore: acousticzayn    14/08/2013    6 recensioni
«Perché Louis, perché? Perché sei arrivato proprio ora? Perché mi sono innamorata di te ora, che sono qui su un letto d’ospedale con i minuti contati. Perché?» disse, tra i singhiozzi. Mi scese silenziosamente una lacrima lungo la guancia. La vita era maledettamente ingiusta con noi. Le strinsi la mano, cercando di non farle male e le baciai la fronte, fasciata dalla bandana viola.
«Starai bene Taylor, guarirai e noi staremo insieme. Te lo prometto piccola mia.» continuò a disperarsi, maledicendo la vita e il destino, che ci aveva fatti incontrare nel momento sbagliato.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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-In the end of the night, we should say goodbye;

 

Dedicato a tutti coloro che hanno un angelo custode che li protegge da lassù




«Dai Lou, facciamo un altro gioco!» urlano in coro i bambini, saltando giù dai loro letti e venendomi incontro. Sorrido e ne prendo in braccio uno, si chiama Jake ed è in ospedale da quasi otto mesi. La maggior parte di loro ha perso i capelli per colpa della chemioterapia, ma alla fine non sono i capelli a renderli bellissimi, ma il sorriso che hanno stampato in volto, nonostante il tumore che li affligge.
«Va bene, va bene…cosa volete dare?» chiedo e subito dopo si solleva un brusio generale, c’è chi vuole giocare a nascondino, chi a palla e chi a fare le principesse. Inconsciamente rivolgo uno sguardo a un letto infondo alla stanza. E’ vuoto, ma le lenzuola sono ancora spiegazzate. Mi pento di quello che ho appena fatto, sono passati quattro anni ma ancora non mi sono rassegnato al fatto che lei non ci sia più.
 

_

 
Arrivai in ospedale che era quasi ora di pranzo. Ero al lavoro in officina, ma dopo la telefonata di mia madre ero dovuto correre via. Mia sorella Lottie era caduta a scuola e si era presa una brutta storta alla caviglia e, dato che i nostri genitori erano al lavoro, ero dovuto andare io. La sala d’attesa del pronto soccorso era affollata, così decisi di chiedere informazioni alla signora alla reception.
«Mi scusi, mi sa dire dove posso trovare Charlotte Tomlinson?» lei alzò lo sguardo e mi guardò scocciata da sotto gli occhialetti tondi.
«La sta visitando in dottor Logan, puoi aspettarla lì» mi indicò una delle poltroncine davanti allo studio medico.
«Uhm…grazie» borbottai ed andai a sedermi dove lei mi aveva indicato. Ero circondato da tante persone ed accanto a me c’era una ragazza, che teneva le braccia incrociate all’altezza del basso ventre. Cercai di osservarla meglio, tentando di passare inosservato. Aveva i capelli lunghi e castani, gli occhi color cioccolato, i lineamenti del viso erano morbidi e le labbra erano color pesca.
«Hai finito di farmi la radiografia?» sobbalzai spaventato alla sua frase, ero stato colto con le mani nel sacco. Diventai rosso come un pomodoro e abbassai immediatamente lo sguardo.
«Ehm, scusa…non volevo» balbettai imbarazzato, passandomi nervosamente una mano sulla nuca. La ragazza accanto a me rise leggermente, aveva una risata bellissima, limpida e cristallina.
«Non fa niente, anzi scusami per essere stata così, ehm, brusca?» continuò, non riuscendo a smettere di ridere. Sollevai lo sguardo per poterla vedere meglio. Era bellissima, veramente uno spettacolo.
«Sono Louis» dissi, tendendole una mano. Lei la strinse prontamente.
«Taylor- si presentò a sua volta, arrossendo anche –come mai sei qui?»
«Mia sorella Lottie, è caduta e si è slogata la caviglia- le spiegai, con molta nonchalance –tu invece?»
«E’ da giorni che ho un forte dolore ai reni, io sono convinta che non sia niente, ma mia madre ha molto insistito perché venissi a farmi vedere» mi raccontò, roteando di tanto in tanto gli occhi.
«Ah, brutta storia i reni. Mio nonno ha avuto un calcolo renale qualche mese fa, ci ha messo giorni per espellerlo ed ora lo tiene come una reliquia dentro una di quelle scatoline per anelli» alle mie parole Taylor scoppiò a ridere, ripiegandosi su se stessa. Venne interrotta da una porta che si apriva, da lì uscì mia sorella, saltellando sul piede destro mentre teneva sollevato quello sinistro, che era stato fasciato.
«Lou, dammi una mano» mi ordinò Lottie, che era alquanto arrabbiata.
«E’ stato un piacere per me conoscerti Tay» la salutai, dandole una leggera pacca sulla spalla.
«Anche per me Lou» mi alzai dalla sedia e presi sotto braccio mia sorella, che mi guardava male, tenendo un sopracciglio sollevato.
«Chiedile il numero, stupido» mi sibilò all’orecchio, dandomi anche una gomitata sulle costole.
«Va bene, va bene» mentre mi massaggiavo il punto in cui Lottie mi aveva colpito andai verso Taylor, che aveva già un biglietto in mano e me lo stava porgendo.
«Mandami un messaggio appena puoi, così mi salvo il tuo numero» mi disse sorridendo. Annuii come un bambino e corsi tutto felice da mia sorella, che si reggeva a stento in equilibrio.
 
 

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Accarezzo piano le lenzuola bianche di quel letto d’ospedale del reparto d’oncologia. E’ così difficile lasciare andare il suo ricordo, perché oramai ha lasciato un segno indelebile dentro di me. Mi tornano alla mente tante cose di noi due, tutto il tempo passato insieme, tutte le risate, tutte le volte che mi guardava negli occhi. Taylor era una ragazza di quelle che si trovano raramente. Era piena di valori importanti, come l’amore che provava verso la sua famiglia, verso i suoi amici, verso me. Perché quando eravamo insieme eravamo una cosa sola.
 

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«Quindi tu lavori» ripetè di nuovo Taylor, sicura di aver capito bene. Ridacchiai e mi avvicinai ancora di più a lei, mentre camminavamo sul pontile di Brighton. Era lì che l’avevo portata per il nostro primo appuntamento.
«Eggià, riparo moto in un’officina. Tu invece che fai?»
«Studio all’università, vorrei laurearmi in medicina un giorno» mi disse, sfiorandomi la mano. Sorrisi a quel gesto, così per non farla sentire a disagio fui io a fare il primo passo, le presi la mano e la intrecciai con la mia.
«E’ una cosa bellissima Tay…» scendemmo sulla spiaggia, era sera, la luna rifletteva la sua luce argentata sul mare scuro, mentre il bagliore della città illuminava l’orizzonte. Calò il silenzio tra noi due, solo il suono delle onde che si infrangevano sul bagnasciuga si sentiva.
«Sai Louis, penso che tu mi piaccia, e anche tanto» confessò. Anche se era buio notai del rossore sulle sue guance. Le accarezzai dolcemente, scostandole i capelli dietro l’orecchio.
«Anche tu mi piaci da matti Taylor- dissi, poggiando la mia fronte sulla sua ed incrociando i nostri sguardi –so che suonerà molto da dodicenni, ma…vuoi essere la mia ragazza?» Tay ridacchiò, poi si morse il labbro inferiore e infine poggiò le sue soffici labbra sulle mie, permettendo di assaporarne il sapore. Finito il bacio ci guardammo nuovamente, eravamo senza fiato e i nostri cuori battevano insieme, in una melodia unica e straordinaria.
 

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Le sue labbra. Erano dolci, morbide, rosee, al sapore di pesca. Erano le sue labbra, della mia piccola e dolce Taylor. Cosa avrei dato per baciarla ancora una volta, per dirle che l’amavo, per sentire la sua risata, per vedere ancora quegli occhi color caramello. Ogni cosa mi mancava di lei, anche quando litigavamo. La nostra litigata più brutta la ricordo ancora, come se fosse appena passata, ricordo le urla e poi i pianti, ma è comunque uno di quei momenti che rivivrei infinitamente.
 

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«Taylor che diavolo hai? Perché sono due giorni che non mi rispondi al telefono? Hai idea di quanti messaggi ti abbia mandato? Di quante chiamate ti abbia fatto? DI QUANTO STIA IN PENSIERO PER TE?! Aprimi cazzo!» battei di nuovo con forza la mano sulla porta del suo appartamento. L’avrei sfondata se fosse stato necessario, ma volevo delle spiegazioni. Dopo poco questa si aprì e ne uscì Taylor, aveva gli occhi gonfi e rossi e altra lacrime le scendevano lungo il volto.
«P-Penso che dovremmo finirla q-qui» balbettò, asciugandosi il naso con il fazzoletto stropicciato che aveva in mano e che teneva all’altezza della bocca.
«Cosa?!» quasi urlai, cercando di mantenere la calma.
«Hai capito bene. Va via, fa come se non fossi mai esistita» fece per rientrare in casa ma prontamente l’afferrai per un braccio e la riportai fuori sul pianerottolo del condominio.
«Va bene, ma voglio una motivazione valida. Che cosa è successo in questi due giorni Tay? Due notti fa hai detto di amarmi e ora vuoi finirla qui? Spiegami, perché non capisco» ero confuso e non capivo il perché di quel comportamento.
«Non posso spiegarti Louis, ti prego, va via e non rendere il tutto più difficile» continuò disperata, ma non me ne sarei mai andato lasciandola in quelle condizioni.
«Cosa è difficile Tay, cosa? Spiegami ti prego, aiutami a capire che sta succedendo. Ho fatto qualcosa che non va? Posso cambiare, posso fare tutto per te ma ti preg-»
«Cazzo Louis, sto morendo» urlò disperata, affogando di nuovo nelle lacrime. Il sangue mi si gelò nelle vene e il mio cuore smise di battere, mentre il cervello tentava di elaborare quelle informazioni.
«S-Stai scherzando, vero?» fu l’unica cosa che riuscii a dire, dopo aver capito cosa mi aveva appena detto. Taylor scosse la testa, singhiozzando, poi estrasse dalla tasca posteriore un foglio e me lo porse, in modo da poter leggere cosa ci era scritto. Leucemia renale in stato avanzato. Il tumore le aveva già fatto collassare il rene sinistro e al destro mancava poco per fare la stessa fine dell’altro. Il verdetto del medico era che non era curabile ma che si poteva fare comunque un tentativo, incominciando la chemioterapia per ridurlo e per permettere in seguito un trapianto. Buttai il foglio a terra e cinsi Taylor tra le mie braccia, mentre si disperava. Non poteva essere possibile, doveva essere per forza un sogno, un terribile incubo da cui mi sarei risvegliato.
 

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Per quanto lo avessi desiderato, quello non era un incubo ma si era trasformato in una realtà che aveva cambiato le nostre vite, quella di Taylor e la mia. Cercavo di passare ogni momento con lei, ogni attimo mi serviva per imprimere la sua immagine e il suo ricordo nella mia mente in modo da renderlo indelebile. Perché in fondo sapevamo che lei non ce l’avrebbe mai fatta. In poco tempo perse tutti i capelli per la chemioterapia, i suoi occhi si spensero e la sua carnagione perse il suo vivido colorito, diventando biancastra. Ma nonostante tutto, non me ne facevo una ragione e sia io che la sua famiglia continuavamo imperterriti nella ricerca di una cura efficace, un bagliore di luce in un tunnel buio e freddo e soprattutto senza speranza. Taylor cercava di andare avanti, di vivere quegli ultimi mesi con tranquillità e serenità al contrario di me, che non mi rassegnavo al fatto che presto lei sarebbe morta, ed io con lei. L’ultima notte che passammo insieme fu la più bella e la più triste della mia vita. Eravamo in ospedale, lei stesa sul letto su cui sono ora, attaccata ad innumerevoli tubi, con una bandana viola avvolta sul capo e le lacrime che le rigavano il viso.
 

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«Perché Louis, perché? Perché sei arrivato proprio ora? Perché mi sono innamorata di te ora, che sono qui su un letto d’ospedale con i minuti contati. Perché?» disse, tra i singhiozzi. Mi scese silenziosamente una lacrima lungo la guancia. La vita era maledettamente ingiusta con noi. Le strinsi la mano, cercando di non farle male e le baciai la fronte, fasciata dalla bandana viola.
«Starai bene Taylor, guarirai e noi staremo insieme. Te lo prometto piccola mia.» continuò a disperarsi, maledicendo la vita e il destino, che ci aveva fatti incontrare nel momento sbagliato.
«Ho paura Louis- confessò stringendosi a me –ma non ho paura di morire. Ho paura di rimanere sola. Ho tante domande, dove andrò? Che ne sarà di me? Sarò sola?» mi trattenni, stavo per esplodere in lacrime.
«Tu non sarai mai sola Taylor, io sarò sempre con te» mi stesi sul letto vicino a lei, stringendola tra le braccia e cullandola, canticchiandole “Hero” di Mariah Carrey. Quella notte Taylor Crystal Jessen chiuse gli occhi, addormentandosi in un sonno profondo.
 

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Mi scende una lacrima che mi solca il viso. Ricordo che, quando mi svegliai quella mattina, mi ritrovai su una poltroncina della sala d’attesa e non sul letto accanto a Taylor.
 

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«Dottore! Dottor Logan! Si fermi!» spintonai alcune infermiere, e raggiunsi finalmente l’uomo col camice bianco che inseguivo da dieci minuti.
«Ah Louis, sei tu…» pronunciò quella frase con una nota di tristezza, ma non ci feci caso.
«Dottore, dov’è Taylor? Stamattina non c’era sul letto. L’avete portata in sala operatoria? Vi prego, ditemi cosa è successo.» chiesi disperato. Il dottore si tolse gli occhiali e si passò una mano sugli occhi, poi me ne poggiò una sulla spalla.
«Louis…- disse, prendendo un gran respiro –lei non ce l’ha fatta a superare questa notte. Ti abbiamo trovato sul letto, mentre eri abbracciato al suo corpo. Due infermieri ti hanno messo sulla poltrona in sala d’attesa e l’abbiamo portata via…mi dispiace» tolse la sua mano dalla mia spalla, si voltò e sparì in mezzo a tutte le altre persone che affollavano il reparto. Il tempo intorno a me si fermò, rendendo i miei arti pesanti come pietre. Gli occhi si inondavano di lacrime e dalla bocca si liberò un grido disperato. Mi ripiegai su me stesso, tenendomi la testa tra le mani. Lei era morta. Tra le mie braccia. E io non me ne ero accorto nemmeno. Piansi e urlai disperato, non poteva essere vero. Taylor, l’unica ragazza che avevo amato in tutti i miei 21 anni, se ne era andata per sempre.
 

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Saranno passati quattro anni, ma ancora oggi, ogni volta che penso a lei piango. Piango quando sono solo, piango la notte mentre mia moglie mi dorme accanto. Piango quando vedo mia figlia Taylor corrermi davanti e ridere spensierata. Perché in qualche senso la mia Tay c’è ancora, è con me, che mi guarda e che mi protegge e che veglia su di me e sulla famiglia che avremmo potuto avere insieme. Lei mi ha cambiato la vita. Grazie a lei ho preso una laurea in medicina, ho una bellissima famiglia e un bellissimo ricordo di lei. Grazie Taylor, grazie per avermi insegnato a vivere e per avermi fatto capire cosa è importante nella vita. Grazie mio angelo.


meow.ϟ 
Okay, non so in che stato siete arrivate fino qui, ma io personalmente ho pianto come una dannata mentre scrivevo.
E io sono una che non piange mai.
Come avete capito, ho voluto dedicare questa One Shot a tutti coloro che, come Louis, hanno perso una persona importante che ora veglia su di loro come un angelo custode. Spero vivamente di non aver trattato questo argomento con leggerezza e se è risultato così, mi scuso immensamente con tutti
Beh, spero vi sia piaciuta e vi saluto, voglio evitare di annegare sulla tastiera.
A kiss, Vale
 
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