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Autore: CleaCassandra    21/02/2008    3 recensioni
*Ci sono diverse cose di cui i miei genitori non sono a conoscenza.
Ad esempio, non sanno che quando avevo quattro, o forse erano cinque, anni ho picchiato il mio amichetto del parco giochi. In realtà non ricordo nemmeno che faccia avesse, o il suo nome…boh, forse Bruce, o Billy, Bob, non so…ricordo solo che c’era una B di mezzo.
Fu una scena quasi comica: ci pestammo, da bravi discoli, per il possesso di un’altalena, manco a dirlo la più bella, quella che non emetteva il minimo cigolìo, ma soprattutto l’unica del parchetto; e nessuno a dividerci. Eravamo solo io e lui, quella mattina.
Dopo i pianti e gli strepiti di circostanza, però, accadde che il bimbo farfugliò che non avremmo dovuto dire nulla della nostra scaramuccia ai rispettivi genitori. La promessa che ci scambiammo era così solenne che non me la sentii di venirle meno, e così mantenni la parola. A quanto pare anche lui, visto che nessuno venne a reclamare alla nostra porta che “quella furia di tua figlia ha mollato un cazzotto al mio bambino!”, o comunque qualcosa di simile. Diciamo che avevamo entrambi dei vantaggi da trarre: io non sarei dovuta andare a testa a bassa a chiedere scusa, e lui non sarebbe stato tacciato già così presto di essere una specie di checca. Ovviamente, queste cose, due bambini di quattro o cinque anni non le sfiorano nemmeno col pensiero.
Quanto ai lividi, che inevitabilmente mi ero procurata… “Sono caduta dallo scivolo”.
Caso archiviato.
Ma fosse solo questo, ciò di cui i miei sono all’oscuro.*
Leslie, le sue amiche e compagne di band, e un avvenimento totalmente surreale che sconvolgerà per sempre le loro vite.
attention please: non conosco gli Avenged Sevenfold (e come al solito aggiungo 'magari li conoscessi davvero' :°D), quindi quello che ho scritto non li rispecchia davvero, insomma sono un parto della mia mente alquanto malata, e non intendo offendere nessuno in alcun modo con le mie storie, ma sempre meglio specificare, non si sa mai u_ù
Genere: Comico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Chapter 03 - I'm Amazed


È fastidioso, vero, quando qualcuno vi mente, o vi tiene nascoste alcune cose?
Non me ne ero mai resa conto prima di ieri.
La giornata è partita come al solito, da quando lavoro da Mike: mi sono alzata, ancora più cisposa del solito perché facciamo le ore piccole a suonare, e avrebbe continuato a scorrere normale, se non fosse che sono andata a sbattere contro lo stipite della porta del bagno, non vedendo dove stavo andando.
“Oh, fuonfiorno Lef!” ho sentito. Dharma era pimpante, impegnata con zelo a lavarsi i denti. Le ho grugnito qualcosa di incomprensibile e mi sono buttata in direzione della cucina, stranamente senza usare più di tanto il senso della vista. Appena entrata, ho aperto gli occhi, dopo essere stata un pezzo a stropicciarmeli, perché non ne volevano proprio sapere di fare a cazzotti con la luce del sole, e mi sono diretta subito al frigorifero. Ho bevuto un boccale di succo di frutta, mi sono lavata, perché nel frattempo s’era liberato il bagno, mi sono messa qualche vestito a caso e sono uscita, in direzione del negozio. Poi sono tornata indietro. La felpa a righe era sporca, e non me ne ero accorta.
Insomma, alla fine ce l’avevo fatta ad arrivare. Praticamente ad occhi chiusi, vestita come una disgraziata, ma ero al lavoro.
“Ho bisogno di una bella sveglia” borbottavo tra me e me, mentre accendevo le luci. Controllato che fosse tutto a posto, sono andata nel retrobottega, dove Mike tiene i cd che mettiamo come sottofondo, e ho scelto i Mindless Self Indulgence, "così mi sveglio come si deve!" ho esclamato risoluta.
Tempo dieci minuti, e ho virato sconsolata su Tori Amos, che mi avrebbe tenuta ancora un po’ avvolta nel mio accogliente torpore.
La mattinata è trascorsa come sempre, quindi pochi clienti, la visita di Ronnie delle dieci in punto, almeno quattro o cinque cambi di dischi, più spesso imputabili alla noia che all’effettiva fine del long playing, e un paio di frappuccini dello Starbucks di fronte al Countryhouse. Ma ieri, non so, forse sentivo qualcosa nell’aria, fatto sta che ero più nervosa che mai, e quando Veronica ha aperto la porta del negozio ero già al quarto cambio di disco: dopo Tori Amos, che era il secondo, i Cure, e poi Dr. Feelgood, dei Motley Crue. Precisamente, nell’esatto momento in cui è entrata, suonava Kickstart My Heart. La mia preferita.
“Nervosetta stamani?” è stato il suo saluto. A volte ritengo sconcertante la sua capacità di capire cosa mi frulli in testa vedendomi e basta.
“Hm?”
“No, è che non metti mai qualcosa di metal, a meno che non ti girino le balle” ha spiegato.
“Sì, devo dire che hai ragione” ho bofonchiato “ma non è che mi girino proprio…è un altro affare.”
“E allora, dì tutto a Ronnie tua, cosa c’è che ti inquieta a quest’ora del mattino?”
Col suo tono finto solenne è riuscita a strapparmi un sorriso.
“Ma guarda, a essere sincera non lo so. È come se dovesse succedermi qualcosa di…non tragico, nemmeno particolarmente negativo…e che cavolo, non mi so spiegare!”
“Dunque, non è tragico, nemmeno negativo…qualcosa di evitabile, allora?”
“Ma neanche…è più…”
“Potrebbe rovinarti la giornata?” mi ha interrotto.
“Ma che ne so”
“Uhm…allora…qualcosa di positivo!”
“No, proprio no” ho detto, scuotendo energicamente la testa.
“Un dejà-vu?”
“Ma no!”
“Qualcosa di talmente assurdo da sembrare irreale?”
“Ecco.”
“Beh, direi che è presto per preoccuparsi, sono le dieci e mezza e hai tutta la giornata davanti, finirai per rovinartela davvero” ha affermato, serissima.
“Ma magari questa cosa potrebbe arrivare anche adesso, devo prepararmi!”
“Naaah, prendila come viene!”
“S…sicura?”
“Ovvio che sì!”
“Bah, mi fido, dai!” ho concluso, sorridendo.
Però è facile, a parole, fissarsi un proposito da seguire. Meno facile è applicarlo nei fatti.
Intanto, per convincermi che ce l’avrei potuta fare, ho cambiato il disco, e ho messo i Foo Fighters, giusto per farmi elargire una sana botta di energia ottimista (e un po’ anche perché i Motley mi erano venuti a noia), e mi sono messa a riordinare un po’ sul bancone, notando un giornale che non avevo ancora visto, così l’ho preso e mi sono messa a sfogliarlo, mentre Ronnie trafficava in mezzo ai vinili, poi l’ho posato di scatto.
“Puoi stare qui cinque minuti? Vado a prendermi un frappuccino, vuoi qualcosa?”
“Un caffè lungo, grazie” e non sono stata nemmeno a sentire il ’grazie’, che ero già fuori ad aspettare di attraversare. Una sequela infinita di automobili mi stava separando dal mio frappuccino, e la cosa non mi andava molto a genio, anzi stava facendo cadere ogni mio proposito di rendere positiva l’attesa di quel qualcosa che sapevo sarebbe arrivato, ma di cui, purtroppo, ignoravo le spoglie, mentite o meno che fossero.
Una volta di là, sono entrata dentro Starbucks, e in cinque minuti i bicchieri erano tra le mie mani, fumanti, tiepidi e emananti un profumino invidiabile di caffè.
Tornata in negozio, mi sono riposizionata dietro il bancone, a sfogliare il giornale, per recuperare un attimo di lucidità.
“Toh, è il New York Times di ieri…deve averlo preso Mike” ho bofonchiato, affondando metà faccia nel bicchiere di carta.
Leggevo e sorseggiavo, sorseggiavo e leggevo, e le pagine del quotidiano scorrevano sotto i miei occhi nella loro austera solennità.
Sono arrivata alle pagine della cultura, in cerca di qualche mostra interessante in quel di New York, ma ho visto una cosa che mi ha fatto andare di traverso il beverone che ormai stavo trangugiando con ingorda avidità, e che me lo faceva distribuire a intervalli nemmeno poi così regolari tutt’intorno a me.
“Les, che succede?” mi ha chiesto una giustamente allarmata Ronnie. E tra un colpo di tosse e l’altro, incapace di formulare alcunché di differente da gutturali esternazioni scomposte, le indico la pagina del giornale.
“La giovane fotografa Angelica Smitherson presenta la sua mostra al museo di arte contemporanea di Los Angeles…” ha letto ad alta voce, rivolgendomisi, poi, e guardandomi storta: “E quindi? Siamo a New York, dall’altra parte degli Stati Uniti!”
Finalmente mi ero ripresa, e riuscivo ad articolare suoni di senso compiuto.
“Guarda la foto. Guarda lei.”
L’ha fissata, a lungo. Poi ha alzato lo sguardo.
“Okay, ho fatto, e quindi?”
“Guarda me.”
“Hm. Okay. Cosa devo concludere?”
“Vediamo se ci arrivi.”
“Vi somigliate, però...” ha osservato.
“E basta?”
“No, direi che siete proprio uguali...” ha concluso, meditabonda, poi s'è voltata di scatto in mia direzione e ha urlato “CAZZO SIETE UGUALI!”, facendomi saltare sullo sgabello.
“Ecco, lì ti volevo far arrivare” ho affermato poi, ricomponendomi con una tranquillità a dir poco inquietante.
“Sì, ma…no, dai. Voglio dire, sarà un caso, che vi somigliate così…”
“E mettiamo sia un caso. Ma sono uguale, non può essere un caso! E poi, guarda” ho detto, indicandole uno stralcio dell’articolo “ha la stessa età mia!”
“Non potrebbero essere tutte coincidenze? E poi tu nemmeno fai Smitherson di cognome…”
“E CHE C’ENTRA?!” sono sbottata. Ronnie ha tentato di calmarmi, ma niente da fare: credevo che l’aver visto quella foto, di quella tizia così simile a me, fosse la faccenda così assurda che mi aspettavo accadesse. In realtà era soltanto, come dire, l’antipasto.
Perché a volte la realtà può essere molto, molto surreale. L’esatto contrario di ciò che vorrebbe far credere di essere.
Sono riuscita a rientrare nei ranghi, almeno fino a mezzogiorno. Fino a che il mio cellulare non ha iniziato a squillare.
Mia madre.
È da quando abito a New York che mi chiama, ogni giorno, puntuale, alle dodici.
“Leslie...”
“Mamma buongiorno! Ho una sorella gemella per caso?” ho esordito la conversazione, con un'insolita brio nella voce.
“Eh?” ha chiesto, chiaramente sbalestrata.
“Ehi, scherzavo, volevo vedere se ti avrei colto alla sprovvista o meno!" l'ho rassicurata, ma con la piena convinzione che stessi parlando a me stessa, in quel momento.
Lei taceva, dall'altra parte della linea. Taceva, e quel silenzio non mi piaceva nemmeno un po'.
"Mamma?"
“Sì, ci sono...a dire il vero avrei dovuto dirtelo…"
"Cosa?" ho chiesto, sovrappensiero, ricollegando poi il tutto.
"Non dirai davvero sul serio, mamma!"
"Oh, cavolo, Les, è difficile, sai, e tuo padre nemmeno voleva che te lo dicessi, ma sei grande, e so che capirai….si chiama”
“Angelica Smitherson?”
“E come lo sai? Io credevo tu scherzassi, prima!” mi ha chiesto, esterrefatta.
“Beh, in realtà ero serissima. Ho visto la sua foto sul giornale, sta allestendo una sua mostra al museo, lì, a LA…”
“Ah. Non lo sapevo.”
“Beh, ora lo sai!" ho esclamato, non riuscendo a capire se con allegria o con acido sarcasmo. Poi il mio tono di voce s'è incupito di colpo.
"Perché non mi avete detto nulla tu e papà?”
“Santo cielo, Les, mi cogli alla sprovvista, così…avrei tanto da dirti, e abbiamo così poco tempo per sentirci…”
“Mamma, non importa. Ne parleremo molto presto, e avremmo un casino di tempo. Ciao, ti voglio bene.” E ho riattaccato, secca, senza aspettare sue risposte. Poi ho guardato Ronnie a fondo negli occhi.
“È vero. Le mie paranoie erano fondate.”
Mi ha fissato, a lungo, torturandosi le labbra in una serie infinita di morsi. Non sapeva cosa dirmi, era evidente.
“Dici che tuo fratello si incazzerà se ti chiedo di coprire il mio turno per qualche giorno?”
  
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