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Autore: pluviophilia    15/08/2013    13 recensioni
[STORIA SOSPESA A TEMPO INDETERMINATO]
"Sei Giulietta, vero?" domandò.
"Juliet." ribattei seccata, non mi era mai piaciuto quel soprannome.
"Giulietta, in Shakespeare, finisce molto, molto male." continuò impertinente.
"Romeo anche peggio."
**
Improvvisamente sentii la presa sui miei fianchi stringersi ancora di più e un dolore acuto
perforarmi la colonna vertebrale, seguito da un bruciore dove era appoggiata la sua bocca.
Colpii il pavimento con un tonfo e non riuscii più a distinguere le figure intorno a me.

[Siete gentilmente pregate di non plagiare le mie idee; nuovo sovrannaturale.]
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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...That I'm goin' need to fight off the inevitable.

 

-Juliet-


Erano passate cinque ore.

Mi ero chiusa in casa a chiave. Avevo sistemato le finestre, tutto. Jade era tornata, avevamo mangiato. Era uscita di nuovo per incontrare un’amica: nonostante insistesse per rimanere con me, non volevo rovinarle la giornata. Ero nuovamente rimasta a casa da sola, un po’ spaventata, un coltello da cucina al mio fianco.
Non era ancora successo nulla, e Niall e la mia coinquilina sarebbero tornati da un momento all’altro.
Penso fosse abbastanza evidente che, però, diventavo sempre più agitata. Non sapevo se farne parola con qualcuno o evitare. Non nascondevo nulla a Jade, solitamente, ma le parole che mi aveva rivolto il ragazzo, il suo modo di fare, qualcosa mi diceva che non era il caso di non parlarne, non ancora almeno. Di sicuro non era stato un incidente casuale, ma ora dovevo decidere se affrontarlo da sola o coinvolgere altri. Il problema era che non mi fidavo di nessuno, Jade e Niall esclusi. E per quanto riguardava loro, non volevo esporli al pericolo. 
Se il ragazzo aveva trovato il mio indirizzo di casa era pericoloso, e ben informato, e sarei dovuta stare attenta.
Infine decisi che, se l’avessi incontrato di nuovo, mi sarei confidata con Jade.
Se l’avessi incontrato e fossi stata in grado di dirlo a qualcuno, s’intende.

Finii di strofinare i capelli nell’asciugamano, togliendo le ultime goccioline, e tornai in camera, stendendomi sul letto e afferrando un paio di libri da sfogliare. Il mio comodino ne era sempre provvisto. Nello stesso momento in cui li presi, suonarono nuovamente al citofono. Guardai l’orologio, erano loro. M’infilai velocemente un paio di pantaloni di tuta, una maglietta bianca e un maglione comodo, e corsi ad aprire.
Scendendo dal letto, però, urtai inavvertitamente il comodino, facendo cadere i libri.
Feci per rimetterli al loro posto, quando una copertina scura attirò la mia attenzione. Era un libro di Anne Rice, una brava scrittrice di supernaturale. Quando i miei occhi si soffermarono sul titolo, ebbi un fremito.
Interview with the vampire.
Intervista col vampiro.
Col vampiro.
V a m p i r o.
La mia mente corse troppo velocemente, e il campanello squillò un’altra volta e un'altra ancora. Lasciai il volume e corsi in salotto, precipitandomi alla porta.
“Ta-daaaaaaa” Niall fece la sua entrata, carico di pacchetti.
“Abbiamo preso pop-corn, pop-corn, fonzies, pop-corn e… oh, guarda, pop-corn!” urlò Jade seguita dall’approvazione dell’irlandese, che non la smetteva di attingere da uno dei grandi contenitori formato cinema.
“sci, efhofessounfilm, belliffimo!” mugugnò sputacchiando mais da tutte le parti e buttandosi a peso morto sul divano.
“Quale?” chiesi andando ad accendere il video registratore, sintonizzandolo sulla rete giusta e premendo il tasto Open del telecomando.
“Intervista col vampiro! E’ uno dei tuoi film preferiti, vero, Juliet?” me lo lanciò. Lo afferrai all'ultimo, evitando che mi colpisse in faccia.
La mia mente si era fermata a vampiro.
V a m p i r o.
“Oh... sì.” annuii e lo inserì nel registratore.
Le mani mi tremavano.
“Tutto bene, Juls?” domandò Jade, un po’ preoccupata.
“No, no. Tutto bene, ho solo un po’ freddo, ecco.” sorrisi andando a sedermi tra i miei due amici.
“No problema, no problema, super Niall avere super coperta!” esclamò il biondo prendendo un grande plaid patchwork.
La cosa buona era che, lì dentro, nessuno avrebbe notato i miei tremori.
“Grazie, James.” gli lasciai un bacio sulla punta del naso e mi avvolsi nel plaid, aspettando che Tom Cruise e Brad Pitt facessero la loro comparsa sullo schermo. Il mio preferito, ovviamente, era Brad Pitt.
 
Il film fu snervante, molto snervante. Non riuscivo a smettere di pensare, la mia mente era altrove. Ero quasi sicura che i vampiri, o creature analoghe, non esistessero, e comunque non avevo avuto perdite di sangue, lo sconosciuto non sembrava interessato ai miei globuli rossi e la sua temperatura corporea non era affatto bassa. Qualcosa, però, mi diceva che ero sulla strada giusta. Folle, ma giusta.
Rabbrividii un paio di volte, quando Lestat morse Louise, sul collo, e in una scena simile, provando delle fitte di dolore per il ricordo. Jade sospettò qualcosa, e mi strinse la mano sotto la coperta. No, non poteva neanche immaginare.
Finita la pellicola, Niall tornò a casa, diedi il bacio della buonanotte alla bionda e rotolai nel mio letto, decisa solo a dormire, dormire e dimenticare.
 
Il tempo passava, ma il mio stato non migliorava, anzi.
La sofferenza che prima mi attanagliava solo a livello mentale sembrava essersi propagata per tutto il mio corpo.
La testa mi faceva male, pulsava, non riuscivo ad addormentarmi.
Le gambe erano pesanti, stanche come dopo una lunga camminata.
Cominciai a provare difficoltà nel respirare, e mi alzai a sedere.
Che cosa stava succedendo?
Sentivo un desiderio crescere, bruciare, una necessità, qualcosa richiamava la mia attenzione, ma non sapevo dove trovarla, dove cercarla.
Diedi un’occhiata al cellulare: solo le tre di notte, ed ero madida di sudore.
Ebbi l’impulso di vestirmi, e così feci, senza nemmeno pensarci infilai le scarpe, un’altra felpa, presi il cellulare e uscii di casa, scendendo in strada. Aprendo la porta d’ingresso un’ondata di freddo mi travolse, ma le ero inerme, non mi toccava, al momento percepivo solo che la mia respirazione diventava sempre più lenta e sentivo un bisogno disperato. Non di una bombola d’ossigeno, di un dottore, di un letto caldo.
Di lui.
Sentivo il bisogno di ritrovare quel ragazzo, non sarei mai riuscita ad addormentarmi, ad essere in pace con me stessa, senza rivederlo. Sentivo di avere una febbre che ad ogni secondo continuava a salire e salire, e il mio corpo si slanciava verso la cura mentre la mia mente era troppo annebbiata dal dolore per capire. Non sapevo perché provavo tutta quest’attrazione, semplicemente le mie gambe, improvvisamente agili, volevano correre e trovarlo. Era la stessa sensazione che avevo provato quella sera, in discoteca.
Fortissima, sconvolgente, non le potevi resistere.
Come se lui fosse stato una calamita con polo negativo, ed io quello positivo, che lavoravano ad orari alterni, ma in alcuni momenti s’incontravano. Non mi accorsi che le gambe avevano cominciato a muoversi, e stavo correndo più veloce di quanto avessi mai fatto. Il giorno prima sarei voluta scappare, e ora andavo incontro ai miei problemi. Il punto era che non sapevo nemmeno il perché, lo facevo e basta. Correvo da lui. Ero una vittima, pronta per il rapimento.*
 
Arrivai in un parco, che forse avevo già visto, tuttavia irriconoscibile per il buio, e lo attraversai, rallentando il ritmo di corsa e ansimando rumorosamente.
Ora che ero ferma, sentivo il vento spirare tra i rami delle querce, e scorgevo un vecchio lampione che mandava segnali di luce intermittenti.
Il tutto era molto, troppo inquietante, maledetta io e i miei film dell’orrore. In lontananza scorgevo dei condomini un po’ rozzi, tutti vicini, appiccicati, di vecchia data, ma che sembravano abitati per via delle persiane qua chiuse e là aperte, e di alcune voci di sottofondo a malapena udibili, senza le quali il parco sarebbe stato decisamente silenzioso e ancora più minaccioso.
Improvvisamente sentii le ginocchia cedere, e caddi a terra. Avevano svolto il loro compito, mi avevano portato lì, e ora non volevano più andarsene. Non riuscii a spiegarmene il perché fino a quando i miei polmoni cercarono di portare aria fresca dentro al mio corpo. Non respiravo più: le narici erano bloccate, come se stessi annegando, come un pesce fuor d’acqua. Purtroppo d’acqua nei dintorni non ce n’era, e nessuno mi avrebbe potuto aiutare.
Quando stavo per sentire i polmoni scoppiare, le narici si liberarono violentemente, e rinvenni con colpi di tosse secchi, trattenendo un conato di vomito, percependo due braccia stringermi stretta la vita. No, no, no-
“Sapevo che saresti venuta.” mormorò sul mio collo.
L’avevo trovato. O mi aveva trovata?
Il bisogno disperato di qualche minuto prima si tramutò in terrore.
“Beh, in caso contrario, dubito saresti ancora qui fra noi.” continuò, e lo sentii sorridere sulla mia spalla, facendomi il solletico.
Per un attimo ebbi la sensazione di essere inspiegabilmente al sicuro, ma mi dovetti ricredere quando un panno umido fece presa sul mio volto, e pur dimenandomi, inalai la sostanza e caddi in un sonno profondo.
 
Quando mi risvegliai, questa volta, fui travolta dal terrore. Non ci fu bisogno di tempo per prenderne coscienza, sapevo già di essere in trappola. Ero sdraiata su un letto, in una stanza fiocamente illuminata dalla luna. C’erano un armadio, una scrivania, fogli ovunque, foto attaccate alle pareti. La porta era chiusa - non ebbi bisogno di provare ad aprirla - di sicuro a chiave.
La finestra dava su sei piani di vuoto: non potevo scappare.
Sarei morta, se mi andava bene. In alternativa, non ci volevo neanche pensare. Se fosse andata ancora peggio, sarei capitata in qualche giro di prostituzione, come in quel film che mi aveva lasciata profondamente traumatizzata quando avevo dieci anni.
Un desiderio s’impossessò di me: potevo nascondermi. No, non potevo. O sì?
Dove andavo? Sotto il letto? Che cosa credevo, che sarei riuscita a scappare? Che non avrebbe controllato?
Dopotutto, sarei dovuta morire lo stesso, tanto valeva provarci. Sentii un rumore di passi che si avvicinavano, e mi nascosi sotto la grata del materasso, a contatto con il parquet. Il letto era basso, e dovetti prendere tutto il coraggio che avevo per resistere: soffrivo di claustrofobia, e di certo la cosa non aiutava. Mi sentivo schiacciata, stavo malissimo, ero nel panico. La porta si aprì, e vidi le scarpe grigie del ragazzo fare capolino. Entrò nella stanza e ne uscì subito dopo, lasciando il passaggio aperto.
La speranza si fece di nuovo strada in me, e senza esitare sgattaiolai fuori dal mio nascondiglio e raggiunsi la porta socchiusa, restando a contatto con la parete per sbirciare nell'altra stanza.
Valicai la soglia, finendo in un salotto ordinato ma un po’ trascurato, che si apriva a sinistra con delle finestre. A destra, però, non c’era alcuna traccia della porta: un’immensa parete tappezzata di poster e foto fu tutto quello che riuscii a scorgere, mentre la paura s’impossessava di me per l’ennesima volta.
 
“Non la troverai.” quella voce mi fece rabbrividire.
Vidi prima le sue gambe, poi il busto e il viso spuntare dall’angolo in fondo alla stanza, emergendo dall’oscurità in cui erano celate. Ora sì che ero spacciata.
“Cosa vuoi da me?” scoppiai, urlando, cercando di incontrare i suoi occhi.
“Non avevo voglia di venirti a prendere sotto al letto, davvero sei così ingenua?” rise pensando alla mia trovata di poco prima, senza perdere la sua compostezza. Per quanto non riuscissi a vederla in questo modo, il suo atteggiamento non sembrava minaccioso, come se fosse cambiato completamente in poche ore.
“Rispondi.” marcai la parola duramente, nonostante alcune lacrime indicassero la mia fragilità. Inarcò le sopracciglia, sorpreso.
“Cosa voglio da te? Suvvia, non l’hai ancora capito? – fece una pausa, ritornando alla solita voce calma e inquietante – Voglio te.”
Cosa fa in questi casi la ragazza impaurita, nella solita pellicola da cinema? Indietreggia fino a quando non colpisce un muro e si trova in trappola. Senza trovare un’alternativa migliore, fu quello che mi ritrovai a fare.
“E-e cosa m-mi vuoi fare?” chiesi balbettando.
“Capire perché è toccato proprio a te.” sussurrò spostandomi una ciocca di capelli dal viso, che si era attaccata alla guancia per via delle lacrime.
“Capitarmi cosa?”
“Vivere. Sopravvivere. Resistere. Non sarebbe dovuto succedere.” Avevo ragione, allora sarei dovuta morire.
“Non voglio farti del male. – cercò il mio sguardo – Non più.” si corresse, spostandosi e indicandomi la sua camera. Non avendo molta scelta, procedetti incerta verso la stanza, sedendomi per terra, sul parquet. Non mi sentivo a mio agio, provate a contraddirmi. Lo sentii sbuffare, e si accomodò al mio fianco, appoggiandosi alla fiancata del letto a due piazze.
Mi chiamo Zayn - mi girai a osservarlo, mentre rispondeva alla domanda che gli avevo rivolto tempo fa – e da un po’ di tempo non vivo per morire.
Mi costò fatica cercare di comprendere quelle parole, e scossi la testa. No, non mi sembrava essere un sadico ossessionato da riti, sacrifici e cose del genere. Da una parte mi veniva da ridere, ma sapevo che non era una grande idea.
“Non è come pensi. – mi lesse nel pensiero – Non è stata una mia scelta. O, più o meno lo è stata, ma non ne ero cosciente, e risale a molto, molto tempo fa, quando non avrei potuto tener conto della gravità della decisione.”
“Per favore, non capisco più nulla. – scoppiai singhiozzando – Mi dici cosa sta succedendo? Sono impazzita?”

C’è un momento prima della morte. – m’interruppe – Un momento in cui daresti ogni singola cosa per evitarla. In cui uccideresti, per evitarla. E’ allora che nasce tutto.





















Oh My Josh.
Eccoci qui, devo dirvi che personalmente adoro questo capitolo - w la modestia.
Lo considerò un po' il primo incontro civile fra i due.
Spero di cuore che intrighi anche voi, perché, ebbene sì, ora si entra al cento per cento nella vicenda.
*ripresa dalla canzone ET di katy perry, una delle mie ispiratrici per la fan fiction.
Ringrazio tutte per le bellissime parole, 
Saluto le prime Jade//Niall shipper,

Joanne





Buttai la testa all’indietro scoppiando a ridere. “Sai, Zayn. Mi sembra di vivere in un film, è impossibile…”
“La mia vita è un film. Purtroppo credo che sia classificabile solo nella sezione dell’orrore.” rispose sottovoce, riuscendo così a nascondere ulteriormente i suoi sentimenti. 

   
 
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