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Autore: Water_wolf    15/08/2013    5 recensioni
[STORIA IN FASE DI RISCRITTURA]
Sintesi della mia vita: sfida mortale.
Dopo aver attraversato un fr-- portale magico anticonformista, la lista di persone che mi vogliono morta si sta allungando parecchio.
Perché? Perché sono l'Ereditaria del Segno del Sagittario, e non solo. Oppure perché ho sfiga.
***
Lo colpii prima con un calcio, poi lo affrontai con il cuscino. [...] Pride si sbilanciò e mi cadde sopra. Mi ritrovai schiacciata sul fondo del divano, con un solo misero cuscino a dividermi dalle labbra di Pride. [...] -Quella mossa era spudoratamente sleale- mormorò, ansimando un poco.
***
-No, è una sfida lanciata secondo le regole di Marte e fatta in suo nome e quello di Giove, non c'è modo di annullarla se non vincendola.
-O perdendola- aggiunsi io.
***
–Ma non è un sogno, vero? Sono finita nel Paese delle Meraviglie del ventunesimo secolo, giusto? Con cavalli parlanti, spade magiche e gatti stregati?
-Veramente i gatti stregati non ce li abbiamo- precisai. –Per il resto, sì, hai centrato più o meno il bersaglio.
***
Tante coppie shippose e peripezie alla 'Rick Riordan' (non che io sia minimamente brava come lui, che è un colosso çwç)
Genere: Azione, Comico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2.  Vengo rapita da un ragazzo-leone

La direttrice Johnson strillò e corse a nascondersi sotto la scrivania. Il leone sbuffò, avvicinandosi zampa dopo zampa. Scattai in piedi. Perché avevo la strana sensazione che quella palla di pelo troppo cresciuta volesse me e me soltanto?
-Stai buono, micino… bravo, stai indietro…- mormorai, ma il leone ruggì, e un’ondata di alito caldo puzzolente mi investì la faccia.
–Ehm… la vuoi una mentina? Sono lì, sotto il banco- dissi, indicando freneticamente il nascondiglio della Johnson.
L’animale azzerò con un balzo la distanza tra noi, facendomi perdere ogni briciolo di buon senso.
Indietreggiai, sbattendo contro il muro, e aprii la finestra. L’edificio era alto, circa il sesto o settimo piano; sicuramente un bel volo. Ma se fossi rimasta lì sarei stata sbranata dal leone.
La mia mente occupò qualche secondo a calcolare le probabilità di sopravvivenza di uno o l’altro piano. Tutte e due minime.
Colsi un lampo di stupore negli occhi del re della savana.
Deglutii. –Addio, micino- dissi.
Poi mi lanciai giù dalla finestra.
Credo avrei dovuto ripensare a tutte i momenti belli e spiacevoli della mia vita, ma la mia mente era occupata unicamente da un pensiero: “Aaaaaaaaaaaaaaahhhhhh!”.
A un metro da terra, mi sentii afferrare per il cappuccio della felpa. La corsa rallentò immediatamente e qualcosa di caldo e morbido attutì lo schianto. Da sotto di me provennero degli “umpf”, “ach”, “sgrunt”.
Il mio primo pensiero fu: “sono finita in un fumetto di Topolino?”.
Ehi, mi suggerì una vocina nella mia testa, se puoi pensare sei viva! Il mio cuore perse un colpo. Non ero morta! Non mi ero schiantata a terra, ne spiaccicata come una frittella, nemmeno sarei rimasta paralizzata dalla vita in giù, niente ossa rotte o dolore e…
–Sono viva!- esultai, balzando in piedi.
Barcollai, presa da un capogiro, e inciampai in un piede. Caddi a terra con un tonfo sordo, pensando distrattamente che mi ero fatta più male così che con un volo dai piani più alti dell’edificio.
Un’ombra mi sovrastò. Sbattei due volte le palpebre per vederci meglio.
Era un ragazzo, forse più grande di me di un anno, e anche carino. Alto, fisico asciutto, portava una t-shirt con scollo a V nera, una sciarpa bianca e nera a quadretti, pantaloni militari e scarpe che non mi sarei permessa nemmeno nei miei sogni.
Il viso era ingentilito dalle ultime rotondità dei bambini, i capelli erano  luminosi ricci nocciola, che ricadevano in volute ordinate incorniciando il volto.
Ma ciò che più mi attirò di lui furono i suoi occhi: l’iride castana faceva da sfondo, mentre dalla pupilla nerissima partivano dei raggi dorati, di un giallo sfolgorante, che illuminavano lo sguardo di malizia e fascino.
Si passò una mano tra i riccioli e sospirò, scocciato: -La prossima volta, vedi di non farmi fare un volo del genere, non sono mica immortale.
Stavo per rifilargli una sfilza d’insulti sul fatto che io non l’avevo costretto a buttarsi, che non ci sarebbe stata una prossima volta, che nemmeno lo conoscevo  e che poteva tranquillamente farsi gli affari suoi, ma un pensiero mi punse i margini della coscienza.
–Il-il leone dov’è?
Il ragazzo rise di gusto. –Non l’hai capito? Io sono il leone.
Okay, questo era proprio suonato. –Senti, forse leggi troppi fumetti,- azzardai- i mutanti in stile X-Man non esist…
Fui costretta a interrompermi.
La sua pelle abbronzata incominciò a pulsare, i suoi muscoli aumentarono, dalle spalle una criniera leonina gli ricoprì le braccia e lo sterno.
–Sì, sì, lo dicono tutti prima di conoscere la storia- disse, la sua voce aveva assunto una sfumatura gutturale. –Allora, devo trascinarti con la forza o ci vieni con le tue gambe?
Le sue parole mi entrarono da un orecchio e mi uscirono dall’altro. Capii in quel momento come si sentissero lo pietre.
–Va bene, prima opzione. 
Il mio cervello riprese a funzionare.
–No!- esclamai. –Hai tentato di uccidermi! Io ho dovuto buttarmi… no!
Le sue mani pelose mi afferrarono i fianchi, e lui mi issò senza fatica sulle sue spalle.
–No! Lasciami andare, lasciami andare, lasciami andare!- strillai.
Scalciai, mi feci male a furia di colpirgli la schiena con i pugni, mi divincolai con tutte le mie forze, ma il ragazzo-leone sembrava d’acciaio. In lontananza, partì la sirena dall’allarme. Mi rincuorai un po’, sapendo che qualcuno sarebbe venuto a salvarmi dal mio rapitore mezzo animale.
–Aiuto!- gridai a pieni polmoni.
Finalmente, il ragazzo si fermò. Lo sentii fremere sotto di me.
–La vuoi smettere di urlare come una bambina?!- sbraitò – Sono io il tuo aiuto!
-Certo, come no, vallo a dire a qualcun altro, Alex il Leone!- ribattei.
Il ringhio che seguì mi fece gelare il sangue.
Riprese il suo rapimento, ora correndo, ora scavalcando il cancello della Brighton. Non feci in tempo a domandarmi come fosse riuscito a saltare più di tre metri da terra.
Non era per nulla umano.
Percorremmo in un lampo la distanza dal riformatorio alla periferia della città. Sfrecciavamo per le vie e, quando i passanti si accorgevano di quella strana scena, non potevano che voltarsi e domandarsi che tipo di scherzo fosse.
Mentre arrivavamo a quelle che intuii fossero delle strade piuttosto trafficate, notai un taxi fermo, il conducente era fuori e parlava concitatamente al telefono.
Costrinsi Alex il Leone a andare più a destra con un calcio ben piazzato, e sporsi le braccia verso la portiera.
Il colpo fu più duro di quello che immaginavo. Schizzai via dalla presa del mio rapitore, ma proprio quando la mia faccia stava per scontrarsi contro il vetro, lui mi riacciuffò al volo. Il taxista smise di parlare per un secondo.
–E’ matta, è fuggita dal manicomio- biascicò Alex il Leone, ripartendo in quarta.
Ancora stordita per il mio brillante piano di fuga, non mi resi conto che il ragazzo stava rallentando in prossimità di non so quale “esima”. L’insegna a neon era spenta, le persiane erano state tirate giù e un sacchetto di spazzatura che avrebbe potuto essere un balsamo per i ratti copriva parte del cartello CLOSE.
Alex il Leone aprì la porta con una zampata, entrò e mi sbatté sul il pavimento, ansimante.
Quella fu la goccia che fece traboccare il  vaso.
Va bene che mi ero dovuta buttare giù dal sesto piano, va bene che mi ero beccata le maledizioni di uno sconosciuto, va bene che mi ero lasciata trasportare come un sacco di patate per mezza New York, ma gettarmi sul pavimento come uno straccio era troppo!
-Ma tu chi cavolo ti credi di essere per trattarmi così, eh?!- sbottai.
Alex il Leone sorrise, beffardo. –Solo un ragazzo speciale di nome Pride.
Mi prese un attacco di ridarella.
–Tu- riuscii a chiedere tra le risa. –hai per caso un amico di nome Prejudice?
Il suo viso si colorò di porpora. –Detesto Jane Austen…- brontolò.
Fui felice di trovarmi a terra, in quel momento, perché non mi sarei retta in piedi se fossi stata alzata. Mi rotolai sulle piastrelle sporche senza ritegno, ridendo come una matta, con picchi d’ilarità e scoppi improvvisi di risate.
Come si poteva sopportare il nome Pride? Chi era la madre che chiamava il proprio figlio Orgoglio?
Il ragazzo-leone s’infiammò in viso, ma rinunciò in partenza a farmi smettere di ridere. Doveva essergli capitato parecchie volte.
Mi fermai solo quando una voce adulta, temperata, disse: -Victoria, può bastare. Alzati, su.
Lo feci, sia perché il tono del proprietario non sembrava ammettere repliche, sia perché stare ulteriormente sul pavimento sporco non mi eccitava granché. Mi girai, Pride si era fatto attento.
Dietro un bancone scolorito del McDonald’s se ne stava un uomo di mezza età, capelli nerissimi tagliati corti, occhi di un blu profondo e una camicia sbottonata mostrava il torace allenato. Si spostò di lato con un rumore di zoccoli.
Zoccoli?
Quello che vidi mi fece prendere un colpo.
Dalla vita in giù, l’uomo si trasformava in un cavallo sauro, con tanto di quattro zampe e coda lunga.
Mi riusciva difficile ammetterlo, ma quello era un  centauro.

 


Pride mi dovette sorreggere quando svenni. Vorrei  poter dire che fu un eccellente crocerossina, che mi fece riprendere con tanto amore e dolcezza, ma fu tutto il contrario.
Il centauro gli vietò di darmi una secchiata d’acqua gelata in faccia – non lo ringrazierò mai abbastanza per questo -, così lui uscì dal McDonalds e tornò con una buccia di banana che, di banana, aveva ben poco.
L’odore nauseabondo mi fece storcere il naso, e rinvenni. Il ragazzo-leone e il centauro erano chini su di me, distesa sul bancone polveroso di quel McDonald’s abbandonato. Pride gettò via la buccia di banana e decretò:- E’ tra noi.
Gli mollai uno schiaffo. –E’ difficile non rinvenire quando ti sventolano sotto il naso qualcosa di così mefitico.
Pride cercò lo sguardo del centauro, sembrava chiedergli “posso ucciderla? Hai visto anche tu, è una palla al piede”.
L’uomo-cavallo non ci badò, quindi si rivolse a me:-Come stai?
Alzai le sopracciglia.
Come voleva che stessi? La mia vita si era stavolta in nemmeno un’ora e avrei dovuto dirgli che stavo bene? Non sapevo nemmeno se tutto queste assurdità erano frutto della mia immaginazione, se stavo facendo il sogno più strano della mia vita o se Hayley Becker mi aveva colpito in pieno con la sua freccia e quella era la mia proiezione di esistenza oltre la morte.
Il centauro si accigliò, ma capì cosa mi stava evidentemente passando per la testa. A quella reazione mi sentii inspiegabilmente in colpa; dopotutto, l’uomo-cavallo mi aveva evitato un bagno gelido.
–Ehi, per essere stata rapita da un ragazzo-leone e aver appena visto qualcosa che appartiene alla mitologia, sì, sto abbastanza bene.
Il centauro scosse la testa, abbozzando un sorriso. –Quante cose devi ancora sapere…
Non sono sicura di volerle conoscere.
–Da dove ho iniziato a raccontare la storia con te, Pride?
-Dalla fine, ma credo che con lei sia meglio essere più… delicati.
-Che cosa stai insinuando, eh? Che sono una pappamolla?- lo aggredii.
Pride sogghignò, gli occhi brillarono maliziosi. –Io non sono svenuto quando ho visto per la prima volta Pholos.
Aprii la bocca, pronta a ribattere, ma il centauro mi precedette. –Credo, però, di doverle spiegare chi sono per lei.
-Sicuro? – domandò Pride. –Questo potrebbe farla svenire sul serio.
Pholos fissò i suoi occhi nei miei, calcolando le probabilità di un’altra perdita di coscienza. –Se è lei quella che cerchiamo, e lo è, glielo devo dire.
-Fa come vuoi…- sbuffò Pride.
–Ehi- esordii. –Guardate che ci sono anch’io. Cos’è che dovete dirmi di così importante?
Nelle iridi blu di Pholos scorsi un lampo di compassione. –Victoria.
-Sì?- sospirai, esasperata.
Il centauro sembrò tentennare un attimo, ma era solo un’impressione, perché disse ciò che di dovere con decisione. –Victoria, io sono tuo padre.

***

Angolino dell'autrice
Buongiorno a tutti, ecco il secondo capitolo di questa storia!
Non è esattamente all'apice del "spettacolare", visto che avevo spoilerato tutto nell'introduzione. L'ultima frase, che doveva suonare come "Luke, io sono tuo padre", avrà suscitato sicuramente dei "Ma va?" invece che dei "Nuoooo, non è possibile!".
Ma fa niente, le sorprese verranno dopo *sorriso maligno*
Che ve ne pare di Pride? Il suo nome significa veramente orgoglio, in inglese, e il romanzo di Jane Austen si traduce "Pride and Prejudice" ---> Orgoglio e Pregiudizio.
Non ho intezione di scrivere la solita pantomima dove il bello e la protagonista si odiano e poi si amano, no. E' troppo usato, scusate, ormai è anche un pochettino banale.
Per cui, penso di mantenere una certa costante in fatto di odio.
E così mi gioco metà dei lettori LoL
Ci vediamo al prossimo capitolo!
Besos:*

*Ringraziamenti*
Grazie a TiaSeraph, King_Peter e _Charlie_ per aver recensito (in rigoroso ordine di recensioni!) Alle tre persone che l'hanno inserita tra le seguite e a tutti coloro che hanno letto. Sarei grata a tutti se mi lasciaste una recensione, può solo aiutarmi a migliorare, I don't bite^^
E grazie a Marta, la mia host, che DEVE farsi un account lettore per recensire su EFP e non tramite mail. Ti voglio bene anch'io. Non fare l'anticonformista :*


*Piccoli appunti*
Il Leone, segno zodicale, è irascibile, ha l'aria da leader, quindi è orgoglioso. I suoi colori sono il giallo, e la sua pietra il diaspro giallo. Per cui, nome e caratteristica degli occhi, è sistemata^^
Pholos è un altro modo per scrivere Folo, una delle poche eccezioni dei centauri che, invece che essere un violento burbero, si interessa alla medicina e alle stelle. Come Chirone c:
New York è divisa in tante *troppe* strade, come la Settanduesima, per cui quando Victoria dice di essere in non so quale "esima", si riferisce alla strada.
Spero sappiate tutti bene cos'è un centauro, vero? xD

 

  
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