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Autore: AlfiaH    16/08/2013    2 recensioni
// Dalla prima volta che lo vidi, che mise piede nella mia vita, capii che dovevo correre, stargli lontano.
C’era qualcosa in quel ragazzo, qualcosa di strano e tremendamente familiare, qualcosa che mi costrinse ad indietreggiare.
- Qualcosa non va? Ti ho già chiesto scusa per l’entrata! Sei di questa classe? Temo di essermi perso… -
Avanzò verso di me, uscendo dalla penombra. Improvvisamente i suoi capelli mi sembrarono più chiari, dorati, simili ai miei, senza quelle sfumature cobalto che avevo colto all’inizio, lo sguardo meno terribile, coperto da un paio di occhiali da vista. Forse mi ero spaventato per niente.
// UsUk //
Genere: Angst, Fantasy, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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<< Smettila, ti prego… >>
Stringo il tuo polso con una mano, con l’altra ti costringo a guardarmi.
<< Peggiori soltanto le cose… >>
Sfioro il tuo viso con le dita, così bello, così perfetto. Perché la mia carezza ti fa piangere?
<< Sei così bello, angelo… >>

 
Quell’Alfred non ci aveva messo molto a farsi degli amici.
Non solo in classe in realtà, sembrava piuttosto avesse conoscenze in tutto l’istituto. E io in cinque anni di elementari, quattro di medie – contata la bocciatura al terzo anno – e tre di liceo, non ero riuscito a fare amicizia nemmeno con quel Kiku, l’asociale della classe – perché non c’era un’altra parola per definirlo -, almeno  per quanto riguardava l’ambito scolastico.
Non che ne avessi bisogno, tutt’altro. Ormai avevo messo la testa a posto, dovevo prendere la scuola come un luogo di studio e apprendimento, diplomarmi in fretta e andare all’università, magari a Manchester , lontano dalla mia famiglia e dai miei parenti. Un mio amico, Lukas, conosciuto al club di letteratura durante il mio soggiorno nella suddetta città, si era anche proposto di ospitarmi. Sarebbe stato fantastico.
Forse quell’americano aveva dei poteri paranormali oltre alla mania di protagonismo e una risata da menomato, se andava d’accordo anche con quella testa calda di Gilbert, nonostante fosse passata a malapena una settimana. Non mi sentii per niente in colpa per aver declinato il suo gentile invito. Se voleva visitare Londra, chiedesse pure ad una guida turistica, io avevo ben altro da fare. Nonostante fossi costretto ad incontrarlo ogni giorno a scuola, avevo deciso di non ignorare il mio infallibile istinto. Forse gli spiriti volevano dirmi qualcosa, non potevo certo ignorarli. O forse era del segno dei gemelli, si sa che gemelli e toro non vanno d’accordo.
“Avrei dovuto chiederglielo…”
-          Non hai ancora finito di studiare? –
La vocina di Frais seduta su una mensola mi ridestò dai miei pensieri.
-          E-Eh? Non posso finire di studiare se continui ad interrompermi. –
-          Hai letto lo stesso rigo dieci volte! Oh, dai, ti prego, facciamo una pausa, usciamo! –
-          Vai, esci, divertiti, ciao! – le risposi acido tentando di riprendere la concentrazione che sembrava avermi abbandonato. Il giorno seguente avrei dovuto affrontare la prima interrogazione di storia.
-          Antipatico! – Incrociò le braccia e mise in broncio – La prossima volta non ti aiuterò! –
-          Pft, quando mai mi sei stata utile? –
-          Hey fratellino, sai che sei inquietante quando parli coi tuoi “amici”? –
“Oh, no.”
-          Sparisci, Darren. –
Il sorriso divertito di mio fratello mandò a farsi benedire tutti i miei buoni propositi. Come sempre, del resto. Spostai indietro la sedia girevole e lo guardai negli occhi tentando di essere più minaccioso possibile. Non avevo davvero voglia di parlare con lui, né quel giorno né i restanti della mia nobile vita. Specie quando si trovava in compagnia di quella stupida rana. Era incredibile come i loro cervelli insieme non riuscissero a completarne uno e come allo stesso tempo riuscissero a mettere insieme tanta di quella stronzaggine da poterla vendere a qualsivoglia malcapitato.
In quel momento un’altra terribile, disgustosa persona varcò la soglia della mia stanza, con tanto di rosa tra le dita e un’altra...
Forse “persona” era un termine troppo esagerato.
-          Ti sembra questo il modo di trattare tuo fratello, cherie? –
-          Oh, ti prego frog, mettiti qualcosa addosso, sei disgustoso! Ditemi che questa giornata non può peggiorare. E tu smettila di ridere! – Lanciai un’occhiataccia alla mia destra. Frais doveva trovare tutto molto divertente.
-          Darren, mon amour, temo che Mr. Ho dei procioni morti al posto delle sopracciglia stia dando fuori di matto. Non dovremmo aiutarlo? – Ammiccò andandosi a sedere sul mio letto. Quasi mi venne da vomitare.
-          Ormai ho rinunciato al mio intento di guarirlo, è un caso perso. Ho scoperto che ha una duplice copia di tutti i libri, il tuo scherzo non è servito a nulla, Francis. – Fece spallucce Darren per poi lanciare un ghigno divertito all’amico.
-          Perché non rendete un servizio alla comunità e vi date fuoco? Sarebbe anche una cosa romantica, se ci pensate. Ecco, potreste darvi fuoco insieme e per solidarietà potrebbero darsi fuoco anche i vostri amici. E tu alza il tuo lardoso didietro francese dal mio fottuto letto, prima che ti sbatta fuori a calci! Oh, non provare a sdraiart-… Scendi immediatamente! –
Tentai con le buone maniere,  poi con quelle poco carine, ma ovviamente, dato che la mia stupida fata era utile quanto un ombrello bucato, mi trovavo in svantaggio numerico. Giacchè scoprii poi che sotto casa mia si trovavano anche i due bravi di Francis che si stavano intrattenendo con i fratelli Vargas.
“Abbiamo casa libera, dobbiamo approfittarne,” avevano detto, “mamma e papà hanno chiamato, tornano stasera”, aveva aggiunto poi Darren. A me non era rimasto altro che prendere il mio libro di storia e congedarmi, affidandomi alle ben più silenziose strade della mia splendida città, con un livido sotto l’occhio e l’immagine di Francis che soffocava ancora impressa nella mente. Se non ci fosse stato quel guastafeste di mio fratello e se fossi riuscito a stringere un po’ di più quel foulard viola – gay – attorno al suo lurido collo, a quest’ora sarei stata una persona felice.
E invece no. Quell’uomo aveva più vite di un gatto.
Non osavo immaginare in che modo “avrebbero approfittato” della casa. Contai almeno cinque stanze in cui non sarei più entrato.
 
 
-          Ti fa tanto male? –
-          Oh, di certo fa più male a lui, credimi. Ero lontano tanto così dal toglierlo di mezzo. – Specificai continuando a premere la borsa di ghiaccio sull’occhio. – Vorrei solo essere lasciato in santa pace, chiedo troppo?  A volte mi sembra di avere a che fare con dei mocciosi… –
-          Mi dispiace… Forse staresti meglio senza di noi… - la vocina di Frais si fece flebile, quasi non la riconoscevo. La interruppi immediatamente.
-          Non dire sciocchezze. Voi essere fatati siete i più cari amici che ho, – arrossii – anche se mi credono pazzo. Non importa. Non negherò mai la vostra esistenza come ha fatto Darren. Se dovessi farlo, tu moriresti e… -
-          E…? – mi esortò a continuare, le mani giunte e gli occhi luminosi.
-          P-Per quanto schifo tu mi faccia…  Tengo molto a te, ecco. –
Non l’avessi mai fatto.
-          Oh, questa è stata la dichiarazione più tenera ed emozionante che qualcuno mi abbia mai fatto! –
“Conta fino a dieci, Arthur. Voltati lentamente e torna a casa, è solo un brutto sogno. Domani ti sveglierai tra le tue lenzuola profumate alla cannella, tua madre ti porterà la colazione in camera e gli uccellini cinguetteranno allegramente annunciando l’inizio di un nuovo fantastico giorno.”
Frais sbuffò, io, a malincuore, nascosi la busta col ghiaccio dietro la schiena e mi voltai verso il proprietario di quella terribile voce.
-          Sempre nei momenti più opportuni, eh Jones? –
-          Il tempismo è una dote fondamentale per un eroe! Stavi parlando con una delle tue fatine? – Mi domandò con aria curiosa e sorrise, voltandosi verso la mia amica fatata. La vidi sbiancare. Andò a nascondersi dietro il mio collo, sbirciando di tanto in tanto. Non capivo.
-          Tu come…? –
Alfred alzò le spalle.
-          Come faccio a saperlo? A scuola gira voce che tu sia pazzo, sembra che ti ridano tutti dietro. Ma che… Che cavolo hai fatto all’occhio?! –
Le strade erano ancora bagnate a causa dell’acquazzone della notte prima e dal grigio scuro le pietre erano passate all’essere completamente nere, palesemente umide. Chissà se l’acqua era riuscita a penetrarle, intanto le faceva sembrare più lisce, quasi viscide, simili a scogli melmosi, ma con un cipiglio luminoso, tant’è che il sole era finalmente sbucato e ora pareva voler comunicare loro un avviso, assicurare che le avrebbe asciugate presto. Doveva essere una viottola vecchia, quella, fatta di pietre tra un dislivello e un altro, magari risalente al dominio Romano, semmai Londra fosse realmente appartenuta ai Romani. Evidentemente non ero portato per la storia.
Solo quando sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla e un brivido mi percorrermi la schiena mi accorsi di tutta l’attenzione che stavo riservando al terreno. Involontariamente il mio sguardo vi si era posato senza più volersi staccare, non seppi ben dire per quanto tempo vi rimase incatenato, il tempo che Alfred mi si avvicinasse e mi ponesse un’altra domanda.
-          Hey, va tutto bene? –
No, non andava tutto bene. Come faceva ad andare tutto bene se l’intera scuola rideva di me? Avevo davvero perso il rispetto di tutti? Io che ero stato il terrore di insegnanti e genitori, il boss circondato da tirapiedi di ogni genere, il flagello dell’Inghilterra. A volte rimpiangevo gli anni delle medie.
-          Non  importa quello che pensate voi branco di idioti, - mi affrettai a rispondere – le fate esistono, non sono pazzo. Piuttosto, che ci fai qui? Non dovresti essere a casa a studiare? –
-          Perché mi includi nel “branco di idioti”? Io non ho mai detto nulla contro le fate! Aiutano sempre gli eroi nei film! E tu non hai ancora risposto alla mia domanda. –
Alzai la testa confuso – era una spanna più alto di me -, fino ad incrociare i suoi occhi, assottigliati. Era un azzurro più scuro, quello, così intenso da non permettermi la fuga, infinitamente triste, preoccupato. Mi sfiorò lo zigomo col pollice, proprio dove si trovava la macchia violacea, e una scarica elettrica mi arrivò al cuore, mi sentii avvampare. Scacciai la sua mano in malo modo e incredibilmente la fitta che avevo nel petto si allargò, impedendomi di respirare. Non riuscii a decifrare la sua espressione, le labbra rivolte verso il basso si distesero subito in un sorriso sghembo, malinconico. Quel gesto, quel piccolo gesto, seppur insulso, sembrava averlo ferito, sembrava aver ferito entrambi. Perché, poi? Avevo soltanto allontanato la sua stupida mano. Eppure era così tremendamente strano.
-          Non sono affari tuoi! – Ripresi velocemente, mentre la sua risata riempiva di nuovo l’aria. Quella fu la prima volta che fui felice di sentirla. Si portò le mani in tasca e mi canzonò facendo una battuta sul mio modo di arrossire. Avrei voluto strozzarlo.
-          Si, okay, adesso piantala di ridere e di farmi perdere tempo, devo studiare. -
-          Stavo giusto venendo da te, comunque. Hai dimenticato questo a scuola, pensavo ti servisse per domani. –
Estrasse dallo zaino un libro, uguale a quello che avevo tra le mani. Evidentemente non era a conoscenza della mia previdenza.
-          Non l’ho dimenticato, è Francis con i suoi due amici cretini che si diverte a rendermi la vita impossibile. Comunque ho già reso il favore, credimi. – Sogghignai al solo pensiero di vedere la faccia di quella rana in preda al panico. – Ho un’altra copia, grazie lo stesso per avermelo portato. Adesso però non so dove metterlo, ti dispiacerebbe riportarmelo domani a scuola? –
-          Ma casa tua è qui vicino! E…
Non mi chiesi nemmeno come facesse a sapere la collocazione della mia residenza.
-          Casa mia è occupata, adesso. – Sospirai, sconsolato.
-          Eh? –
-          È una lunga storia. –
-          Beh, puoi venire a studiare da me! Non abito lontano! –
Ancora cinque minuti e sarei impazzito.  Farfugliai velocemente un “no, grazie” e lo superai.
“La prossima volta eviterò di chiedermi quanto una giornata possa peggiorare.”
-          Oh, coraggio, che devi studiare? –
-          Eviterò di farti notare quanto il tuo spirito d’osservazione faccia schifo, dato che ho un libro di storia in mano, perché penso che tu stia solo scherzando. Perché diavolo mi stai seguendo? – Mi voltai di scatto e spalancai le braccia, esaurito. Lo vidi arricciare il naso, infastidito (da cosa, poi?), prima che mi superasse a sua volta, sbarrandomi la strada.
-          Vado forte in storia, posso aiutarti! –
-          No, grazie. –
-          Dai, chiedimi qualunque cosa! Se sbaglio, ti lascio in pace, promesso! –
-          Non ho tempo per i tuoi stupidi giochetti, Jones. Levati di mezzo.  – ordinai nel modo più convincente possibile, spostandomi prima a destra e poi a sinistra, senza successo. Da così vicino sembrava davvero una montagna insormontabile. Evidentemente Dio voleva punirmi per aver usato una statuetta benedetta per picchiare Francis in seconda media, o qualche lontano prozio ce l’aveva ancora con me per non averlo salutato a Natale, forse le maledizioni della mia prof di arte avevano preso a funzionare o semplicemente la sfiga aveva deciso di perseguitarmi. Ovviamente, ottimisticamente, optai per le prime tre. Sospirai. Quell’idiota era seriamente intenzionato a farmi perdere la pazienza.
-          Solo una! –
-          Poi mi lascerai in pace? –
-          Solo se dovessi sbagliare. – Mi sorrise, determinato. Doveva essere davvero sicuro di sé, fargli crollare le convinzioni non sarebbe stato male, dopotutto.
-          Bene. –
Aprii il mio libro di storia mentre lui andava a sedersi su un muretto vicino, facendomi cenno di seguirlo.
 
-          D’accordo, la battaglia di Kiev. –
Sembrò pensarci un attimo, incerto. Fece oscillare piano le gambe e guardò il cielo, arricciando il naso.
-          Guarda che la risposta non ti arriverà dal cielo. –
-          Seconda Guerra Mondiale, 1941 tra la Desna e il Dnepr*. Durò circa un mese durante il quale l’URSS venne stracciata dai crucchi. – Ghignò, lasciandomi a bocca aperta. Che la risposta gli fosse davvero arrivata dal cielo? Decisi di non lasciarmi intimorire e controllai il libro: erano le pagine da portare per il giorno seguente, forse aveva semplicemente studiato.
-          Allora? –
-          Mpf, tutta fortuna. Quella era solo una domanda di prova, tanto per vedere se facevi sul serio. Non ti avrei mai chiesto una cosa tanto semplice. –
-          D’accordo, allora fammene un’altra! L’eroe risponderà a tutte le tue domande! –
-          Battaglia di Arras. Contesto, inizio e fine, voglio sapere ogni cosa. Vediamo adesso se sei tanto bravo. – Lo sfidai, incrociando le braccia al petto.
-          Francia, Prima Guerra Mondiale, 1917. Gran Bretagna, Australia,  Canada e Nuova Zelanda contro il terzo Reich che venne sconfitto. Morirono circa 158.600 uomini, tra cui la maggior parte inglesi e canadesi. Fu una grande vittoria fondamentalmente per la conquista di postazioni strategiche come quella del crinale di Vimy. Le perdite però non compensarono mai le conquiste. Il vecchio Ludendorff ci rimase male! –
Continuò a parlare per un po’ di quella battaglia. Continuò a parlare per un po’ anche delle altre, in verità, seduto alla scrivania di casa sua, senza risparmiarsi qualche battuta sul quanto avessi bisogno dell’aiuto di un eroe del suo calibro, certamente.  Eppure rimanevo ad ascoltarlo, a bocca aperta, in silenzio. Sembrava averle vissute tutte, una ad una, sembrava aver conosciuto i generali e aver fatto amicizia coi soldati, come se fosse successo il giorno prima. Di tanto in tanto, col dubbio che mi stesse prendendo in giro, finivo per ritrovare le sue parole nelle righe nere del volume di storia. Non sembravano poi così vecchi quegli avvenimenti raccontati in quel modo. Li rendeva reali. I suoi occhi brillavano e si incupivano a seconda della tragedia e del lieto fine, lo trovai bellissimo. Quando mi resi conto del pensiero appena formulato, mi sentii avvampare. Lo scacciai immediatamente e mi voltai da un’altra parte, mi accorsi che intanto Frais era sparita. Da quando avevo varcato la soglia di casa sua, probabilmente. Non volli neppure pensarci.
-          Sembra che in tutti questi anni tu non abbia fatto altro che vivere nel passato. – Borbottai, sfogliando qualche pagina. – Non c’è nessuno in casa? –
-          Beh, in effetti hai ragione, più o meno. – Strappò una pagina di quaderno per gli appunti e me la passò – abito con mio fratello Matthew ma di solito anche se c’è, non lo vedi! –
-          Quindi vieni sul serio dal passato?! E tuo fratello è un fantasma?! –
-          Avevo un vecchio zio che era una cariatide! Non faceva altro che blaterare delle sue sfavillanti conoscenze e delle sue innumerevoli medaglie! Ho pensato spesso anch’io che Matt fosse un fantasma, ma non passa attraverso le porte, quindi ho scartato l’idea! –
-          Dovresti portare più rispetto per i vecchi, idiota. – Arrossii e distolsi lo sguardo. Quell’idiota si stava prendendo gioco di me.
Si stiracchiò e blaterò qualcosa mentre sbadigliava sonoramente. Ovviamente non riuscii ad afferrare il messaggio. In realtà erano rare le volte in cui riuscivo ad afferrare qualche sua parola, dato che la sua bocca era sempre occupata da cibo di dubbia provenienza.
-          Vado a prendere qualcosa da bere! –
Approfittai della sua assenza per dare un’occhiata in giro, per giustificare il mio brutto presentimento
“Magari è abitata da qualche spirito maligno…” pensai, aprendo la porta della stanza che Alfred aveva definito “lo studio”. C’era un piccolo corridoio ben illuminato adornato con qualche quadro paesaggistico e delle scale che probabilmente portavano alle camere da letto.
Era una normalissima casa. Poggiai una mano sul corrimano di legno, lucente, perfettamente pulito. Quel Matthew mi era già simpatico. Sentii la voce di Alfred chiamarmi e mi voltai.
-          Arthur… -
A stento trattenni un urlo. Due occhi chiari, violacei, mi fissavano. Era un ragazzo molto simile ad Alfred, fatta eccezione per i capelli più mossi e uno strano ciuffo a spirale che gli spuntava dalla testa. Mi guardava stranito, le sopracciglia corrugate. Per poco non mi presi un colpo.
-          S-Si… T-Tu devi essere Matthew, vero? –
-          Piacere di conoscerti. - La sua espressione si distese, mi sorrise. Aveva uno strano orso stretto tra le braccia ma evitai di fare commenti.
-          Piacere mio. –
-          Ehy Arthur! Dove sei finit-… Oh. –
Alfred sembrò sbiancare di colpo, con ancora una lattina di coca cola stretta in una mano. Rimasi in silenzio, non sapendo cosa dire.
-          Vedo che hai conosciuto mio fratello! Arthie, ti presento mio fratello maggiore Matt, Matt, ti presento Arthie, un mio compagno di classe! – Ridacchiò nervosamente, cingendomi le spalle con un braccio che, ovviamente, scacciai. – Non pensavo saresti tornato così presto! –
-          Ci siamo già presentati. Non volevo correre il rischio che tu ti sentissi solo, fratellino. –
Nonostante Matthew avesse sorriso amabilmente, c’era qualcosa di acido nella sua voce, già ridotta ad un sussurro. Sembravano davvero diversi.
-          Si è fatto tardi, è quasi buio. Penso di dover andare, ora. –
Abbozzai un sorriso di cortesia e lanciai uno sguardo alla finestra, notando le sfumature rossastre che avevano colorato le pareti. Raccolsi le mie cose e mi avviai alla porta, seguito dall’americano.
Non avevo mai sofferto tanto di claustrofobia, se non a casa mia.
-          Non vuoi che ti accompagni a casa? –
-          Non sono una principessina in pericolo, casa mia è qui vicino. Spero solo che Francis e Darren abbiano finito. –
-          D’accordo… Se avvisti degli alieni, fammi un fischio! –
-          Lo terrò a mente. Ah, Alfred… Grazie per oggi. Infondo non sei così insopportabile. – Ammisi, sperando che scambiasse il colorito del mio volto per un gioco della luce rossastra del sole.
-          Non c’è di che. Presto verrò a ricambiare il favore, sta tranquillo! – Rise lui, dandomi una pacca sulla spalla, rischiando di spezzarla.
-          Va all’inferno! Mi rimangio tutto! –
Sbraitai e mi avviai verso casa.
Almeno avevo imparato qualcosa di storia.
 
 


#L'angolo della disperazione
Ogni capitolo è una vittoria, pipol! Che dire?
E' comparso il nostro amato Canada.
- Who? -
Spero di riuscire a renderlo al meglio nel corso della storia! Come gli altri personaggi, ovviamente.
Viva la FraScott! (?) Povero Arthur. *un minuto di silenzio*
Come sempre si accettano consigli! E commenti ewe Spero non ci siano errori!
Un biscotto per chi ha letto fino a qui <3 *sparge biscotti*
* La Desna e il Dnepr sono due fiumi della Russia europea che scorrono anche in Bielorussia e Ucraina. Tra questi due fiumi è stata appunto combattuta la battaglia di Kiev, dall'omonima città.
...Come sempre, grazie Wikipedia.
  
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