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Autore: chocobanana_    17/08/2013    1 recensioni
[GerIta/SpaMano/FrUk/Altre Pair][Fantasy/Angst/Sentimentale][Giallo][AU][Het/Yaoi]
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Succede che qualcuno senta il bisogno di scappare da tutto, dal male che la vita gli infligge, e allora si cerca rifugio in qualcosa.
Può essere un amore, un’amicizia, una casa, qualsiasi cosa che porti conforto.
Poi c’è chi chiede alle pagine di un libro di divenire la propria realtà e non essere più fantasia.

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La testa gli faceva male, come se stesse per scoppiare da un momento all’altro.
Si chiese in quale bizzarro modo fosse arrivato in mezzo a quel prato, anzi, giardino.
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camy
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 1 ♣

 Qualcuno di cui Fidarsi

 
 
Aveva appoggiato una mano sul vetro, la pelle iniziava a riprendere un colore roseo, e lui cominciava a sentirsi molto meglio. Quando aveva spalancato le palpebre si era ritrovato a fissare un soffitto bianchissimo, decorato agli angoli con rilievi di gesso. Le pareti erano di marmo, lucido e immacolato. Il tempo, in quel luogo, sembrava essersi fermato, ma a contraddire questa ipotesi c’era il ticchettio di alcune lancette che scandivano il passare dei secondi, dei minuti, delle ore.
Il ragazzino non era riuscito ad intravedere l’orologio, non comprendeva da dove provenisse quell’innocuo picchiettio.
Quando si era messo a sedere, tra le lenzuola color panna, profumate e morbide, si era guardato intorno. Aveva sperato di trovarsi davanti il suo amato salotto dalle pareti gialle -dipinte proprio da lui con quel colore acceso e solare-, il suo divano vecchio e dai colori scambiati, la finestra che affacciava su di un piccolo quanto affollato parco. Voleva di nuovo udire le urla felici dei bambini, quelle preoccupate dei genitori, la voce annoiata di Lovino. Voleva percepire l’odore della pasta che pian piano invadeva l’aria, mentre cucinava.
Il tempo passava e lui capiva sempre meno.
Ancora cercava nella propria mente il ricordo di come fosse finito in quello strano ed inquietante posto. Ogni passo su quel pavimento di cristallo lo turbava sempre di più. Un’agitazione che cresceva ogni volta che poggiava i piedi nudi su quella fredda pavimentazione. Gli occhi nocciola di Feliciano guardavano l’orizzonte, la fioca luce del sole che andava spegnendosi poco a poco, mentre si nascondeva dietro ad una tavola blu, vastissima e calma.
Era così simile al suo amato mare ma, ormai, si era convinto di non essere più dov’era prima. Gli tuonavano nella mente parole udite chissà quante ore prima.
Voleva scoprire cos’era quel “fuori” di cui avevano parlato i due uomini nel giardino, per quale motivo c’entrasse nella discussione che avevano avuto.
Gli avrebbe fatto paura il buio che sarebbe calato tra qualche minuto? Forse sì, in fondo era da solo, senza nessuno da stringere, senza nessuna spalla su cui piangere.
C’era solo un vetro su cui appoggiare le dita, da cui poteva vedere cosa c’era nei dintorni di quel castello.
Non aveva neanche provato ad aprire la porta bianca di quella camera lussuosa e ampia, immaginava che, probabilmente, fosse chiusa a chiave. Come se qualcuno ci tenesse ad averlo lì, imprigionato tra quelle mura, con l’intenzione di usarlo quando gli sarebbe servito. Sarebbe riuscito a salvarsi? Feliciano aveva timore di incrociare ancora quelle iridi smeraldo che tanto lo avevano affascinato e spaventato, di incontrare nuovamente quella figura snella ed elegante che gli aveva teso la mano.
La serratura della porta scattò improvvisamente, destando Feliciano dai suoi pensieri. Si voltò subito, mentre l’infisso color latte veniva spalancato con delicatezza. Fecero capolino una testa biondina e degli occhi violetti, coperti da un paio di occhiali da vista. Il ragazzino che spuntò da dietro l’anta aveva un fisico alto e asciutto. Guardava il pavimento, imbarazzato, mentre teneva un vassoio nero tra le mani. Si avvicinò lentamente al letto a baldacchino, poggiando su un tavolino vicino quella che doveva essere la cena.
Un recluso, ecco cosa gli sembrava di essere. Eppure Feliciano non aveva mia considerato di poter meritare la prigione. Perché il soggiorno in quel luogo gli dava quell’impressione.
Feliciano cercava sempre di essere ottimista, di vedere il lato positivo delle cose. Ma, in quel momento, non ci riusciva, non percepiva nulla di buono, solo sensazioni negative.
L’altro ragazzo non disse nulla, gli lanciò una veloce occhiata e si diresse verso la porta, rapido.
«Come ti chiami?» Feliciano lo guardava curioso, mentre sentiva il bisogno di comunicare con qualcuno, di fare conversazione. Sembrava essere passato un secolo da quando aveva parlato normalmente con qualche persona.
«Dici a me?” Il biondino si indicò, sgranando gli occhi. Non era abituato ad essere notato, lui passava sempre inosservato. Nemmeno il suo amato orsetto color crema, spesso, lo riconosceva. A proposito, doveva cercarlo, Kumajirou non si faceva vedere da almeno venti minuti. Doveva assolutamente trovarlo, anche perché non amava stare da solo.
«Sì, dico a te.» Il castano sorrise, poi si allontanò dalla finestra per poter osservare meglio il ragazzo che aveva di fronte.
«Matthew Williams, per… per servirla!» Farfugliò, mentre il suo viso diventava color porpora. Fece un inchino impacciato.
Feliciano si sorprese a quel gesto, non c’era bisogno di tutti quei cerimoniali.
«Feliciano Vargas.» Il castano allungò la mano davanti a sé.
Matthew non sembrava affatto una persona cattiva, anzi, gli ispirava fiducia. Feliciano amava credere nella parte buona delle persone, voleva fidarsi, non essere diffidente verso tutto e tutti, come faceva Lovino.
Discutevano sempre su quell’argomento. All’italiano mancavano anche quei battibecchi che finivano con scuse silenziose e abbracci affettuosi.
Perché Feliciano era la famiglia di Lovino e viceversa. Avevano bisogno l’uno dell’altro e ne erano consapevoli entrambi.
«Posso sapere cosa ci faccio qui?» il castano sfoderò un altro sorriso.
Il biondo scosse la testa. «Mi hanno solo detto di portarle la cena, non so altro.» si affrettò a rispondere.
Matthew voleva solamente scappare da quel sorriso gentile ed innocente, da quel calore che quella figura sconosciuta emanava.
Forse era per quello che interessava tanto ad Arthur. Non era affatto convinto che una persona come quella dovesse trovarsi in un posto del genere. Si chiedeva come mai si fosse avventurato nella loro realtà.
«Mi faresti compagnia?» Quelle iridi color nocciola sembravano supplicarlo, mentre chiedevano disperatamente aiuto, o semplicemente compagnia.
Matthiew esitò, ancora chiuso nella sua timidezza e abbastanza diffidente. Feliciano si sedette sul letto, e sorrise riconoscente.
Il biondo, tutt’un tratto, si trovò convinto che quel ragazzo non avrebbe potuto fare nulla di grave, era solo un’altra vittima di quel destino che continuava a prendersi gioco di tutti.
Gli si sedette di fianco e il volto dell’altro s’illuminò ancora di più. Matthiew avrebbe cercato Kumajirou più tardi.
E chissà quanto tempo rimase ad ascoltare quella voce squillante quanto confortante.
Dopo tanto tempo passato in quell’enorme castello, Matthew provò di nuovo il benessere di avere qualcuno al proprio fianco, anche se per poche ore.
L’ultima volta che era successo aveva la mano stretta in quella di un bambino della sua stessa età, aveva gli occhi azzurri come il cielo.
 

 ♣♣♣♣

 
Lovino si svegliò di scatto, mettendosi a sedere. Aveva la fronte imperlata di sudore ed il fiatone, il cuore gli batteva all’impazzata, mentre le gote erano arrossate.
Aveva appena fatto un incubo, aveva avvertito un vuoto, a tentoni si era fatto strada nel sudicio fango che gli aveva avvolto le gambe. Aveva teso una mano verso quelle spalle che conosceva bene, così simili alle proprie. Ma suo fratello sembrava non averlo visto, aveva continuato a camminare, imperterrito.
Ma urlavano entrambi, si cercavano. Feliciano continuava a non vederlo, a farsi avanti per la sua strada. Nel momento in cui il minore era sparito all’orizzonte, Lovino aveva aperto gli occhi, ancora più turbato.
Scese dal letto, con l’intenzione di stendersi al fianco di Feliciano, per rassicurarsi senza far sapere nulla al fratello. Era sicuramente mattina. L’italiano poteva intravedere il sole che attraversava le tapparelle di legno della sua camera.
Barcollò, assonnato e inquieto, verso la porta che stava dall’altra parte del corridoio. Era socchiusa, come sempre.
Lovino appoggiò la mano sulla superficie ruvida e spinse leggermente, facendo scricchiolare un po’ il legno. Poi si bloccò.  Girò le spalle e tornò indietro.
La paura di non trovarlo avvolto nelle sue coperte gli invase la mente, lo torturò per tutte le ore successive.
Finché non suonò la sveglia. Feliciano era sempre il primo ad sentirla e a buttarsi giù dal letto. Lovino contò mentalmente dieci secondi. Chiuse gli occhi, sperando di sentire la voce del fratello proveniva dall’altra camera.
Si rese conto di avere timore perfino del
 numero dieci, quello a cui seguì un silenzio allarmante.
 

♣♣♣♣

 
Feliciano salutò per l’ultima volta Matthew, che sparì dietro la porta, scusandosi di doverla chiudere a chiave.
L’altro fece spallucce. Sarebbe scappato in un modo nell’altro. Amava la libertà, assolutamente sì. Quindi prima o poi sarebbe uscito da lì, magari non incrociando nessuno di ambiguo, anche se la vedeva una sfida parecchio difficile.
Dopo quella lunga chiacchierata, si sentiva animato da una nuova energia. Adesso doveva solo trovare un’idea che non facesse acqua da tutte le parti.
L’albero che si ergeva fuori la finestra sembrava volergli dire di scendere arrampicandosi tra i suoi numerosi rami. Feliciano provò ad aprire l’anta di vetro, il materiale rigido vibrò un po’, ma non si mosse nient’altro.  Il castano sospirò deluso.
In effetti sembrava troppo facile così, ammesso che fosse riuscito a scendere, senza farsi male e, soprattutto, senza dare nell’occhio.
Ma quel grande tronco nasceva proprio all’interno del giardino dove si era svegliato la prima volta. Probabilmente, Arthur era ancora lì. O forse no. Era solo questione di fortuna, che sembrava gli avesse voltato le spalle.
Feliciano sospirò, poi lanciò uno sguardo al vassoio con il cibo, che nel frattempo si era fatto sicuramente freddo.  Si convinse a mangiare non appena il suo stomaco cominciò a protestare, brontolando.
 La cena non era tanto male, soprattutto considerando la panna cotta piena di caramello che Feliciano continuava ad esaminare con l’acquolina in bocca.
Il cucchiaio che aveva tra le mani affondò nel dolce, portandone via una parte e sformandolo. Si portò la posata alle labbra, poi un sapore dolciastro gli inondò la bocca. Lo trovò semplicemente delizioso, ma non doveva dimenticarsi chi gliel’aveva offerto. Era ancora all’oscuro di tutto, inconsapevole di quali fossero le parti in disaccordo e cosa volessero da lui.
Avrebbe capito subito con chi schierarsi?  Era conscio di non poter risolvere nulla da solo e, tra le altre cose,  non amava fare le cose da sé. Sicuramente qualcuno sarebbe stato nel giusto… e lui l’avrebbe seguito senza indugi.
Si stese sul letto, non si sentiva per niente stanco. Solo estremamente confuso, ma era normale. Magari stava solo sognando. Ma perché non si svegliava? Continuava a ripetersi di aprire gli occhi, ma non accadeva mai, rimaneva addormentato.
Forse perché lui non stava affatto schiacciando un pisolino.
Riuscì ad udire lontani passi nel corridoio, l’ansia lo invase da capo a piedi.
Fissò il vassoio ormai vuoto, tastò il materiale duro con le dita. Non avrebbe mai immaginato, in passato, che avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. Non l’aveva mai sfiorato il pensiero di rompere qualcosa così, lanciandogli contro qualcosa. La finestra s’infranse sotto i suoi occhi, il vetro cadde al suolo. Feliciano scese di corsa dal letto, cercando di evitare i cocci. Nel momento in cui si ritrovò in piedi sul cornicione e guardò giù, un brivido gli scosse le membra, qualcosa gli disse di tornare indietro. Era piuttosto alto. Non osava pensare cosa sarebbe accaduto nel caso di caduta.
Un rumore di ossa gli rimbombò nel cervello. Il castano scosse la testa, mentre allontanava quelle macabre ipotesi. Allungò la mano verso la chioma verde che aveva a pochi centimetri.
La libertà non era poi così lontana, o almeno così credeva.
 

♣♣♣♣

 
Un ciuffo di capelli castani, arruffati, spuntò dietro ad un grosso cespuglio.
«Spiegami cosa stai facendo.» Un ragazzo dagli occhi color rubino lo guardò perplesso, incapace di intuire cosa stesse facendo l’amico.
L’altro teneva un rametto, sul quale c’erano tre o quattro foglioline giallognole, tra le dita. Se l’era portato sopra la testa, convinto di potersi mimetizzare meglio tra la vegetazione.
«Funzionerà!» esclamò, poi si coprì le labbra con le mani, consapevole di aver appena urlato.
«Idiota.» commentò il più alto, continuando a fissarlo, chiedendosi se Antonio lo facesse apposta, certe volte, ad essere così stupido.
«Gil, dovresti nasconderti anche tu.» Disse all’albino, poi sorrise.
Gilbert si mise le mani sui fianchi. «Sono troppo magnifico per andare in giro con delle foglie in testa.» commentò, fermamente convinto delle proprie parole.
Non era mai stato un tipo modesto e mai lo sarebbe stato.
«Mi ripeti cosa dobbiamo fare?» Il castano spalancò i grandi e limpidi occhi verdi.
L’altro sbuffò. «Per la decima volta, dobbiamo incontrare il nuovo esterno di turno.» spiegò, poi uno strano ghigno si fece spazio sul suo volto. Scrutava un punto preciso davanti a sé, Antonio cercò di capire cosa avesse attirato l’attenzione dell’amico.
«Che succede?» Antonio gli lanciò un’occhiata curiosa.
Gilbert indicò un ragazzino dal viso scorticato; se ne stava raggomitolato dietro il tronco di un albero. Le mani strette contro il petto, alla ricerca di un calore che non riusciva più a recuperare.
«Ehi…» Antonio lo raggiunse e si chinò vicino a lui. «Problemi?» Sorrise cortese.
Feliciano alzò gli occhi. «Non so dove sono.» Mormorò.  Sentiva i graffi sulla pelle fargli incredibilmente male. «Voglio solo andare via.»
«Ci pensiamo noi!» Quello dalla carnagione più abbronzata gli accarezzò una spalla, per rassicurarlo. «Vieni con noi.»
L’italiano sussultò, non aveva idea di cosa fare ora. Gilbert incrociò gli occhi verdi del compagno e annuì. Era proprio lui la persona che stavano cercando.
Incredibile pensare che fosse scappato da solo dal palazzo, doveva avere coraggio, allora. Anche se ora sembrava debole e spaesato.
Antonio lo aiutò, facendolo alzare. Feliciano avvertì del sangue caldo colargli sulle guance e sulle braccia, mentre persisteva il dolore che gli procuravano i lividi violacei che gli macchiavano la pelle  sporca di terra.
Scappando gli aveva risparmiato metà lavoro. Adesso dovevano solo portarlo in un posto sicuro e poi aspettare Françis.
Gilbert avrebbe voluto vedere la faccia di Arthur nel momento in cui avesse scoperto che il suo caro ostaggio non era più sotto controllo, chiuso chissà dove.
Ridacchiò e Antonio intuì subito a cosa stesse pensando. Magari si sarebbero dovuti preoccupare per Françis ma, in fondo, se l’era sempre cavata da solo e l’avrebbe fatto anche questa volta. Sicuramente aveva un piano per incontrare al più presto il loro nuovo ospite.
«Non mi farete del male, vero?» Quando Antonio provò a cingergli i fianchi per sorreggerlo, Feliciano indietreggiò intimorito.
«Certo che no! Siamo qui per aiutarti.» Il sorriso di quel bizzarro uomo non aveva nulla da nascondere, non lo spaventò, non aveva niente di cattivo. Sembrava solo voler essere creduto.
In quel momento, però, Feliciano desiderò essere diffidente come suo fratello.
«Capisco che tu non voglia fidarti…» Mormorò sempre lo stesso ragazzo. «Non dovevo portarmi Gil dietro, ha una faccia sospetta!» Esclamò.  
L’albino s’innervosì. «Non è affatto vero!» Ribatté. «La mia presenza lo intimorisce solamente perché riconosce che sono magnifico.» Aggiunse, per poi sbuffare sonoramente.
Feliciano non riuscì a trattenere un risolino. Se erano cattivi, allora erano proprio buffi. L’italiano si sentì davvero stupido: stava seguendo persone di cui non sapeva nemmeno il nome.
Ma non avrebbe avuto la forza di correre via, tanto valeva recuperare le forze.
E poi, senza dubbio, nessuno dei due ragazzi lo turbava come Arthur Kirkland. Si voltò un’ultima volta a fissare il castello che sembrava fatto di cristallo.
Riuscì ad intravedere, in lontananza, il vetro rotto di quella che era stata, per un breve periodo, la sua camera. Gli dispiaceva lasciare Matthew, ma non poteva rimanere. Suo fratello lo stava aspettando.

♣♣♣♣


.:Angolo dell'autrice:.

Giorno, dopo giorni passati a scrivere, rileggere e correggere, ecco questo primo capitolo. Diciamo che doveva essere del tutto diverso, ma ho dovuto cambiarlo per poter introdurre altri personaggi e seguire la mia ispirazione (?).
Ho preferito incentrare questo primo capitolo su Feliciano -e anche su Lovino, in effetti- e sul legame che instaura con Matthew, e l'incontro con Gilbert e Antonio. Nel prossimo capitolo sicuramente spiegerò alcune cose importanti e sarà presente Arthur , che ho tralasciato un po' in questo primo capitolo c: 
Di Lovino parlerò un po' più avanti, ma comunque è un personaggio importante.
Per le pair ho deciso di optare per le mie amate otp, anche se potrei cambiare idea, dipenderà dalle mie idee (?) e dall'ispirazione.
Ma comunque oltre la GerIta e la SpaMano, dovrebbero esserci la PruHun, la FrUk e la NiChu, ma anche l'AsaKiku e tante altre.
Be', penso di poter andare (?). 
Grazie a chi ha letto e chi leggerà <3 E se volete, mi farebbe piacere ricevere una vostra opinione :3
E un ringraziamento speciale e Roby e Alle che mi hanno aiutata a perfezionare il capitolo c: 
A presto, Chocobanana_


   
 
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