Woh beh che dire?: Grazie grazie a tutte
coloro che hanno commentato e che hanno aggiunto la mia storia tra i preferiti.Vi
ringrazio di cuore.Una piccola noticina:questo
capitolo sarà particolarmente drammatico(vedrete,vedrete)e soprattutto Bella
darà il meglio di se,o il peggio come preferite.Vi avverto però che d’ora
in poi sarò molto più lenta ad aggiornare.Fino ad
adesso ho vissuto di”rendita”dato che questi capitoli gli avevo
scritti e quindi dovevo solo postarli.Mi spiace.Chiedo scusa in anticipo per
eventuali ritardi,ma conoscendomi so che un capitolo
alla settimana è quasi un utopia per me.Cmq spero apprezzerete questo mio
capitolo e che continuiate a seguirmi.Un bacio a tutte Locke
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Le calze di seta di Louis Vuitton e le scarpe con il
tacco di un delicato color porpora ora erano macchiate di sangue.
Anche il mio viso ne era
sporco.Come i miei capelli e un lembo della mia
giacca.
Edward era immobile.Non si muoveva.
Giaceva accasciato alla parete,gli
occhi chiusi,il viso rilassato.
Sembrava un angelo.Un angelo caduto.Un angelo dalle ali
spezzate.
Ed ero stata io a ridurlo così.Io,io,io,il
mostro che l’aveva quasi ucciso.
“Vattene Edward!”Il mio volto era contorto
in una maschera di furia.
I due umani si agitavano ed urlavano e questo non faceva
altro che aumentare la mia sete.
Il sangue era sparso dappertutto.Il profumo era
irresistibile.
Avvertivo il mio stomaco contercerci per la fame.
“Non ti intromettere Edward.”ripetei
rabbiosa“Queste sono le mie prede”
Non potevo trattenermi.Il muo corpo vibrava frenetico.
Avevo fame.E volevo solo essere saziata.
“Bella?”Si era avvicinato.
Potevo vedere chiaramente l’espressione spaventata
e sofferente dipinta su suo viso.
“Non farlo.”Era un’ordine.Parlava
nel tentativo di prendere tempo,di non affrontare
quell’orribile situazione.
“Per favore Bella,per
favore rifletti.Non è successo niente di irreparabile.Capita
a tutti di sbagliare.A me,a Carlisle,ad Esme,ad
Emmett.L’importante è fermarsi in tempo.Vieni a casa.Risolveremo tutto.Ne
parleremo con Alice.Faremo funzionare la cosa.Andremò in Alaska,vedrai.In un posto sperduto.Finchè non sarai pronta.Fino a
quando lo vorrai”
Perche diceva queste cose?Balle.Erano
solo balle.Niente andava bene.Niente sarebbe andato bene.
“Per favore Bella,lascialo
andare.Lo sai che è sbagliato.”Ora mi stavo supplicando.
Osò avvicinarmi.
“Non ti mettere in mezzo,Edward”lo
avvertiì
“No,non ti permettero di diventare un mostro”
“Ho detto vattene”
“NO.”
Mi accorsi di tremare.
“Vattene”gli sibilai.Che
cosa voleva?Che diavolo voleva?
Perche non si toglieva di mezzo?Perche continuare ad
ostacolarmi.
La sete mi faceva sragionare.Non riuscivo più a
controllarmi.Pensavo solo al sangue.
Sangue,sangue,sangue.
Il mio nome,il nome di
Edward,gli altri essere umani,erano solo volti senza significato,ricordi
sfocati,sopraffatti dalla vivida sensazione della sete.
E
io sapevo di dovermi nutrire.Sapevo che se non avessi bevuto sarei morta.
Non mi accorsi di aver agguantato un’umano
finchè non avvertiì le mie labbra perforargli la carne.
Non feci in tempo a succhiare che una
mano bianco mi colpì improvvisamente e mi si appannò la vista.
Qualcosa si ruppe..Qualcosa
espolse,e mi trascino nell’esplosione.
Sentiì montare dentro di me la rabbia,l’odio
e la furia.E da lì scatenai l‘inferno.
Non osavo muovermi.Non osavo avvicinarmi a lui.Non
sopportavo la sua presenza fisica ma non avevo neanche
il coraggio per fuggire.
Attendevo.Attendevo che si azasse e mi liberasse
dal tedio di compiere una scelta.
Non era ferito.Il suo corpo immortale era fatto per
sopportare colpi anche peggiori.
Eppure stava immobile,la testa
ciondolante,senza dare segno di vita.
Non doveva intromettersi.Ero arrabbiata.Arrabbiata con
Edward,arrabbiata con me stessa,arrabbiata con il
mondo intero.
Non sapevo più dove rivolgere il mio odio.Quel’odio che mi rodeva l‘animo come una cancrena.
Avevo ucciso.Ucciso degli esseri umani.Non sopportavo la
loro felicità.Loro erano vivi,io no.
Loro potevano innammorarsi,potevano costruire una
famiglia,invecchiare e morire.A me invecie era stata strappata anche la
speranza.
Non mi rimaneva più niente.Nulla.Tranne un odio dilagante
ed incontenebile.
E a cosa mi aveva portato?Mi rifugiavo nel’odio per
non provare dolore,ma il mio odio non causava altro
che dolore e morte.
I corpi degli umani giacevano al suolo
in una pozza di sangue.E non mi ero neanche nutrita.La sete continuava a
bruciarmi la gola.
Li avevo torturati.Ma non era
stato sufficiente.Non per placarmi.Mi ero dovuta sfogare con Edward.
Avevo riversato su di lui tutto il mio potere,tutta la mia devastazione.
L’avevo avuto in pugno.Avrei potuto ucciderlo.Una
parte di me aveva desiderato farlo.
Volevo liberarmi di lui,completamente.E
la rabbia fomentava quei miei sentimenti fino a tripicarli.
L’avevo avuto sotto di me,indifeso,impotente,sottomesso.Volevo
fargli male.
E
forse l‘avrei anche potuto uccidere.Lui però non aveva provato a
ribellarsi.
Aveva combattuto contro di me per salvare le vite
patetiche di quegli umani,ma non per salvare se
stesso.
Quando aveva visto il mio sguardo,quando
aveva incontrato i miei occhi,aveva semplicemente smesso di combattere.
Come a un burattino al quale
erano stati strappati i fili.
Aveva perso ciò che lo spingeva ad essere quello che era.
Non l’avevo
sopportato.L’avevo scagliato contro un muro.
Non ce la facevo a sostenere il suo sguardo.Non riuscivo
a vedere il suo dolore.Era troppo.Troppo.
L’avevo scaraventato contro il muro usando tutta la
mia forza,e quando lui aveva colpito le pareti di
intonaco bianco avevo quasi creduto che il palazzo stesse per crollare.
Non era crollato.Come Edward non
era morto.
Anche se nella sua caduta aveva frantumato una scrivania,che si era piegata sotto la pressione del suo corpo,ed un
pezzo di muro si era staccato dalla parete,provocando un polverone bianco.
Da allora non si era più mosso.
Se fossi stata ancora umana
avrei desiderato fare qualcosa per lui.Forse l’avrei abbracciato,o gli avrei sussurrato le mie scuse.
Amore.Amare qualcuno più di se stessi.Amare così tanto fino a distruggersi.
Avevo provato quel tipo d’amore.Ora non più.Non
riuscivo più ad elaborare emozioni così complesse.
Dovevo accontentarmi di capire cosa provavo.Di riuscire a
provare qualcosa di più piccolo:gioia,serenità,allegria.
Quando ero umana davo questi sentimenti per scontato.
Ora non riuscivo neanche a ridere.
Quando tentavo di inclinare le mia
bocca in un sorriso,avvertivo le mie labbra pesanti,ribelli,e ciò che
veniva fuori era una smorfia sbilenca.
Non potevo sanare tutte le mie ferite semplicemente con
l’amore.Mi serviva qualcosa di diverso.
La normalità.Normalità che si ostinava a negarmisi.E io non potevo neanche costringermi a fingere di essere
allegra.
Oh,potevo farlo credere agli
altri,ma non potevo fingere con me stessa.
Troppo tempo era trascorso dall’ultima volta che
non avevo provato disprezzo,rabbia,ira,rifiuto verso
tutto e verso tutti.
Non erano gli altri che rifiutavo.Era la vita.La
disprezzavo.E anche gli umani dei quali ero gelosa in
realtà anche loro mi disgustavano.
Mi disgustava la loro ingenuità,la
loro cecità abissale.
Non volevo tornare umana.Ma non
desideravo morire.Non credevo in un dio.Non credevo in nulla.E la morte non mi
avrebbe liberata dalle mie afflizioni.
Ma
non volevo neanche continuare questa sorta di vita vissuta a meta.
Anche ora,distrutta
com’ero,provavo l’irrefrenabile impulso di chinarmi per terra e di
leccare il sangue.
Ero consapevole di ogni goccia
di sangue che si infilava nelle crepe del pavimento,che si mischiava alla terra
e alla sporcizia,e formava minuscoli rigagnoli.
Questa consapevolezza mi faceva impazzire.Percepivo
addirittura le goccie di sangue sui miei vestiti e sotto la suola delle mie
scarpe.
Ero patetica.Come potevo non
odiare quest’esistenza?Come potevo non odiare me stessa?
Anche perche non ero stata trasformata dal mio Edward.Oh no,lui mi aveva lasciato.
Mi aveva abbandonato indifesa,e
io avevo dovuto raccattare i cocci della mia vita e proseguire per la mia
strada.Una strada che mi aveva portato a questo.
Odiavo.Era l’unica parola che riuscivo
a comprendere pienamente,in tutta la ricchezza delle sue sfumature.
La rabbia,l’ira,il
disgusto,queste mi dominavano.
Ma l’odio,il desiderio di
vendetta verso i mostri che mi avevano trasformata,ecco ero io a dominarlo.
Faceva parte di me.Era parte di me.
Rinunciarvi sarebbe stato come tagliarmi un braccio o una gamba.Ormai
ero divenuta così e non potevo farci nulla.Nulla.
Edward si mosse.Lentamente
iniziò a muoversi.Non sapevo quanto tempo era passato.
Minuti,ore,attimi?
Si alzò.Non era ferito.
Aveva solo un leggero strappo alla camicia nel punto in
cui l’avevo morso,e i capelli ricoperti da
quache pezzo di muro sbriciolato.
Barcollava.Era in piedi immobile.Osservava i cadaveri,il sangue e probabilmente anche me.
Io non osavo alzare lo sguardo.Non osavo.Anche se mi
avesse attaccata non mi sarei mossa.
Poteva prendere i cadaveri.Seppelirli,mettersi
a prendere a pugni la stanza o colpirmi nel tentativo di uccidermi.Non avrei
reagito.
Prima ero disposta ad ammazzarlo se solo mi avesse
sfiorato ed ora non mi sarei mossa di un millimetro neanche se mi avesse dato fuoco.
Edward però non fece niente di tutto questo.Non disse
niente.Non mi guardò con i suoi occhi penetranti.Non tentò di farmi sentire
colpevole o di rassicurarmi.
Era immobile.Una statua.Una statua che respirava con
sfiancante lentezza e che poteva provare dolore.Soffriva.
Il fatto che non facesse nulla era ancora più terribile
se avesse deciso di urlarmi.
Non lo capivo.Edward non gettava
la spugna,mai.Eppure ora pareva intento a fissare una chiazza di sangue sul
muro,incurante dello scempio che aveva intorno.
Non so per quanto rimase così.Qualche secondo ma per me
sembrò che fossero trascorsi giorni.
Dopo un po’ se ne andò.Così
improvvisamente,senza fare niente.Se ne andò.
Uscì dalla porta con quel suo passo da automa e sparì,senza voltarsi neanche una volta.
Edward
“Signore?Signore desidera un’altro
bicchiere?”
La barista mi fissava paziente.Annuì.Non si aspettava una
risposta.
Me ne versò un’altro.Non sapevo
neanche cos’era.
Era un liquido rosso,quasi
violetto con delle sfumature vermiglie.Emanava l‘odore dell’acido.
“Prego.Ci ho messo un po’ di vodka per
addolcire il sapore”mi sorrise.
Era carina.Mora,occhi azzurri,un
fisico da atleta.
Lavorava la sera per permettersi di pagare gli studi
universitari.Volevo laurearsi.
Aspirava a divenire un avvocato.Sognava di far trionfare
la giustizia e di creare un mondo migliore.
Era una sciocca idealista.
Ingenua,romantica ed
illusa,convinta di poter cambiare il mondo.Non apparteneva a quest’epoca.
I ragazzi ormai non erano più così.In questo secolo
nessuno aveva più il coraggio di sperare.
Era troppo difficile
sopravvivere.C’erano troppi problemi.
Famiglie divorziate,matrimoni
ridotti al lastrico,bambini didicenni che gia iniziavano a spacciare droga e a
cimentarsi nel piaceri del sesso.
Cambiare il mondo era irrilevante.Era impossibile.A
nessuno interessava migliorare la vita degl’altri.
Eppure la ragazza che mi trovavo davanti apparteneva ancora a
quell’antico stampo che aveva forgiato la popolazione dell’America
negli anni sessanta.
Era una rarità.Una sciocca idealista che avrebbe
veramente cambiato il mondo,o si sarebbe ritrovata a
patire la fame in un quartiere per immigrati.
Io sapevo tutto questo.La conoscevo.Conoscevo lei.
Non le avevo rivolto la parola,ma
grazie al mio potere ero a conoscenza dei suoi desideri più profondi dei suoi
pensieri più intimi.
Eppure non poteva importarmene di meno.
Mi lasciava indifferente.Non mi sforzavo neanche di
fingere.
Avevo ammucchiato davanti a me tre bicchieri colmi di
liquore,ma non mi prendevo neanche la briga di svuotarli
di nascosto.
Ero...Stanco.Distrutto.
Solo una parte superficiale della mia coscienza prestava
attenzione al mondo esterno.
Il resto di me era impegnato a piangere,e
ad annegare nel dolore.
Prima o poi sarebbe passato.Avrei dimenticato e avrei fatto finta di
niente.Non era la prima volta.Era solo la più grave.La mia vita sarebbe
continuata esattamente come prima.
Come prima.Come quando fissavo Bella per ore in attesa che lei si voltasse verso la mia direzione o mi
desse un segno di avermi riconosciuto.
In fin dei conti non era così
male.Era meglio di questo.Di ciò che era diventata.
“Signore,ne vuole
ancora?”La ragazza mi osservava.Era attratta da me.Mi trovava
irresistibile.
Non si chiedeva neppure perché non bevessi.Sembravo
ubriaco.
Forse erano le occhiaie che mi contornavano gli occhi,o lo sguardo assente,o l’espressione orribile del mio
viso.
Non avevo niente che non andava.Non esteriormente.Ma parevo lo stesso distrutto.Annientato.
Avevo la faccia di qualcuno che si era salvato da un palazzo
in fiamme e conservava ancora l’espressione sconvolta di chi è appena
sopravvissuto ad una tragedia.
“Ne è sicuro?”
Sicuro?Le avevo detto qualcosa?Avevo parlato?Non riuscivo
a riflettere.Non volevo riflettere.
Provavo solo un garbuglio indistinto di
emozioni.Non sapevo neanche perché ero entrato in quel locale.I
o odiavo quel locali.Detestavo
l‘odore di fritto,il rumore,le risate stridenti
degli ubriachi.
Eppure ero entrato.Forse speravo di poter dimenticare la mia
disperazione,affogandola nell’alcool.
Come se fossi stato ancora umano.Umano.
Mi trovai a ridere da solo.Il proprietario del locale mi
lanciò un’occhiata di traverso.Dovevo sembrare pazzo.
Mi alzai,pagai e usciì da quel
piccolo pub,non curandomi neanche di prendere il resto.
Pioveva.Mai prima d’ora avevo amato così tanto la pioggia.Era
meravigliosa.Divina.
Mi dava la sensazione di poter provare delle vere lacrime.
Lacrime che mi scendevano sul viso,lacrime
che mi bagnavano le labbra e mi colavano sui vestiti.
Era così che dovevano sentirsi gli umani?Liberi.Liberi di
poter dare sfogo ai loro sentimenti.
Non ricordavo neanche più come si faceva a piangere.O
come si facevano tante altre cose.
Il sapore de cibo,il calore
della pelle umana,il freddo ed il caldo e la sensazione di sentire il proprio
cuore battere all’interno del petto.
Il rumore del cuore,del sangue
che pulsava all’interno di ogni vena,in ogni arteria,in ogni singolo
tessuto,portando con se l’incredibile percezione della vita.
Da quando ero vampiro non ricordavo di aver provato più
niente.Ero vuoto.Freddo.
Per più di un secolo non avevo provato nessuna
emozione.Fino a quando non avevo conosciuto lei.
Lei.Avevo creduto di essere tornato nuovamente umano.
Avevo gioito al sorgere del sole,perché
la luce del giorno mi permetteva di osservarla come non potevo al buio,mi
permetteva di perdermi nei suoi occhi e di fingere di essere umano.
Ogni cosa con lei aveva assunto un
altro significato.E poi così come tutto era cominciato era finito.
In un attimo.Era bastato tanto,una
decisione sbagliata per distruggere il nostro amore.
Era colpa mia.Se me ne avesse
dato la possibiità mi sarei umiliato per lei.Avrei fatto di tutto pur di
spingerla a perdonarmi.
A lei però non interessava nulla.Ero come invisibile.E
più tentavo di riconquistare la sua attenzione e più lei mi ignorava.
Fino ad oggi.
L’avevo supplicata.L’avevo supplicata
che rispiarmasse gli umani.Perche poi?
Cosa mi importava?Ero veramente
interessato a salvare le oro vite?
O
il mio era solo uno sciocco e patetico orgoglio.
Una parte di me,la parte vile ed
egoista,voleva rannicchiarsi per terra e voltare la testa dall’altra
parte.Chiudere gli occhi e far finta di non vedere il mio angelo che compiva
quel massacro.
“Per favore Bella,lascialo
andare.Per favore Bella,so che non vuoi
uccideri”
Era una palese bugia.Tutto il suo corpo fremeva per contenersi.E la sua mente non pensava altro che
a sangue.
Eppure il mio desiderio che funzionasse era tamente forte da
annebbiare la verità.
Dovevo crederci.Dovevo credere che dentro di lei c’era una parte che voleva essere salvata.
Era l’unica speranza che avevo.Perderla sarebbe
equivalso a morire.
Ma
avevo sbagliato.Mi ero messo in mezzo.Avevo scatenato la sua rabbia,e lei aveva sfogato su di me il suo odio e la sua sete
repressa.
Ero stato scagliato contro un muro,il
suo corpo sopra il mio,le sue braccia mi imprigionavano e mi impedivano di
difendermi.
Era troppo forte.Più forte di me.Più forte di qualsiasi altro vampiro.Non potevo competere con lei.
Non avevo scampo.
Le sue mani mi stringevano rabbiose,continuava
a colpirmi,continuava a sfogare su di me la sua ira,mentre le sue labbra
ripetevano un incessante cantilena:
"Ti odio,ti odio,ti odio”
Non tentavo più di frenarla o di combatterla.Tentavo solo
di evitare i suoi pugni,di non farmi uccidere dalla
sua forza incontrollata.
Avevo provato a liberarmi.Era forte,ma
veniva ancora dominata dall’istinto.
Era pur sempre una neonata.Non riusciva ancora a
comprendere appieno i limiti della sua nuova natura.
Mi ero divincolato dalla sua presa e l’aveva
colpita alle gambe facendole perdere l ‘equiibrio.Avevo
approfittato della sua debolezza e l ‘avevo
spinta con tutta la mia forza contro il pavimento.
Il suo bel viso si era sporcato di sangue.Per un attimo mi faveva fissatò sconvolta.Non se
l’aspettava.
Per un istante,la sorpresa era
balenata sul suo volto per essere poi sostituita da un odio
dilagante,incontenibie,spaventoso.
Avevo visto la sua espressione e per la prima volta avevo
avuto paura di lei.Non era semplicemente arrabbiata.Voleva uccidermi.
L’avrebbe fatto.La sua mente non ragionava più e
voleva soltanto farmela pagare.
Non era più Bella.Le sue labbra si erano inclinate
orripilate e dalla sua bocca era scaturito un grido agghiacciante.”
TI ODIO”mi aveva ulrato
con tutto il suo essere.
“Ti odio Edward,io ti
odio”
Sembrava posseduta.Un demone si era impossessato del suo
corpo.
Non so se mi avevano fatto più male i suoi colpi o le sue parole.
Non avevo avuto tempo di fare niente.Ero stato coòpito
da qualcosa,da quacosa di incontrollabile.
Bella era immobile,gli occhi
iniettati di sangue,ed io venivo scaraventato per terra,da un nemico
invisibile.
Era energia.Pura energia.Fuoco e ghiaccio fusi
insieme.Per la prima volta ero stato vicino a Bella.
Quando aveva gettato su di me tutto il suo potere,in un certo senso le barriere della sua mente si erano
abbassate e io avevo potuto percepire ciò che provava.
Rabbia,odio,ma anche dolore.
Un dolore sordo,nascosto sotto
strati di furia,di disgusto e di apatia,ma pur sempre dolore.
Per un attimo avevo provato compassione per lei.Avrei
vouto aiutarla.Avrei vouto abbracciarla e dirle che
l’amavo.
Non ne avevo avuto il tempo.
Lei mi era saltata addosso e non mi aveva dato neanche il
tempo di reagire.Non che l’avrei fatto.
Non provavo neanche più a difendermi.E
attendevo.Attendevo che si calmasse o mi uccidesse.
E
lei si era calmata.Mi aveva tirato ancora una volta contro un muro,e poi si era accasciata sul pavimento.
Era rimasta immobile.Non aveva alzato lo sguardo e non si
era mossa di un millimetro.
Dopo un po’ me ne ero
andato.Mi ero alzato lentamente.Esausto,distrutto,ferito
sia ne corpo che nello spirito.
Ero fuggito.Fuggito da lei,fuggito
dalla sua sofferenza e dalla sua rabbia.
Mi ero rifugiato in uno squallido
locale e lì ero rimasto.Per ore,come un giocattolo
rotto,aspettando di rcomporre ciò che restava di me.
La pioggia continuava a scendere scrosciante.Avevo i
vestiti fradici.
Non mi piaceva quella sensazione di umido.La
trovavo irritante.
Eppure non tentavo minimamente di ripararmi dalla pioggia.
Continuava a camminare.Non sapevo dove mi trovavo.Lontano
dal centro.In un quartiere di periferia,isolato,vuoto,spoglio.
In giro non vi era anima viva.Nessuno voleva uscire con
questo tempo.Nessuno sano di mente si sarebbe messo a passeggiare di notte
durante un temporale.
Le persone preferivano rimanere al sicuro nelle loro
case.
Circondati dai loro cari,da
coloro che amavano.Famiglie.
Anche le persone sole,senza famiglia,avevano sempre
qualcuno a cui rivogersi.
La madre,il padre,il vicino
della porta accanto che condivideva con loro le piccole disavventure della
vita.
Addirittura gli assassini,avevano
i loro cari che continuavano ad andare a trovarli.
Gli umani non sopportavano la solitudine.Neanche i
vampiri del resto.
Sarei potuto tornare a casa,da
Carl da Esme.Ma non volevo.Se l’avessi fatto
avrei dovuo raccontare ciò che era successo,e non
volevo ricordare.Volevo dimenticare.
Continuavo a camminare perché era l’unica cosa che
mi restava.Fermarsi significava arrendersi.
Ed una volta arreso non avrei
potuto impedire ai ricordi di venire a tormentarmi.
Continuai.Ancora ed ancora.Le strade illuminate
lasciavano il posto a vicoli bui e maleodoranti,il
silenzio dei quartieri tranquilli era coperto dalla musica e dalle urla dei
locali candestini.
Entrai in uno di quei locali.Era un posto squallido,caotico,dove però potevo nascondermi e passare
inosservato.E annegare nella mia disperaziome.
Mi sedei su un divanetto di pelle nera il più lontano
possibile dal rumore,dalla musica,dai corpi frenetici
che sfrecciavano sulla pista da ballo.
Rimasi solo.Per tanto tempo.Passarono le ore,ma rimasi seduto su quel piccolo
divano,immobile,impassibile come una statua.
Dopo un po’ però mi accorsi di essere
osservato.Qualcuno mi osservava.Qualcuno mi gettava rapide occhiate curiose.
Avvertivo i suoi occhi perforarmi la schiena.
Una ragazza.
Bellissima.Alta,capelli
neri,pelle d’avorio,un viso da bambola.E due occhi verdi che avevano lo
stesso colore intenso degli smeraldi.
Quando incontrò il mio sguardo sorrise.Un sorriso capace di far sciogliere il cuore di un umano.
Era molto bella.Troppo.E la tutina attillata che
indossava non faceva che mettere in evidenza le forme
del suo corpo.
Appena mi vide si avvicinò a me.Lentamente,quasi stesse recitando una parte.
Quando si muoveva pareva danzare.E anche il profumo che
emanava.Buono,delizioso.Non buono per i
vampiri,l’odore del suo sangue era perfettamente normale,ma la sua pelle
emanava un profumo da far gola agli appetiti degi umani.
“Ciao.Sei solo?” La sua voce era un tintinnio
musicale.
Non le risposi.Non cercavo compagnia.
Ero venuto per dimenticare,come
se vedere quei corpi sudati che ballavano sensualmente avrebbe potuto farmi
dimenticare il dolore che avvertivo nel petto.
Lei non si scoraggiò.Era abituato a quel tipo di
clienti.Chi doveva entrare in quel genere di locale
doveva essere disperato.
“Allora non ti va di parlare eh?” Ogni volta
che pronunciava una parola,sbatteva le sopracciglia.
La faceva assomigliare ad una bambina.Le donava un’aspetto ingenuo,quasi infantile.
Anche questo doveva essere studiato.
“No”risposi gelido.Sperai che se ne andasse.
“Bene.”sospirò
“Questo renderà le cose molto più
divertenti”sorrise divertita.
“Vattene.Non intendo pagarti.Non ho soldi”
Ed era vero.Avevo lasciato tutto
al piccolo pub.Non mi ero neanche interessato di
scoprire quant’era.
Lei in risposta mi sorrise di
nuovo,ma non si allontanò.
Si avvicinò ancora di più e iniziò a giocherallare con
una ciocca di capelli e a passarsela sulla bocca.
Mi scansai da lei.La sua risata si fece più acuta.
Ma
che voleva?Non volevo giocare.Non volevo la sua compagnia.
Affinai la mia mente e penetrai i suoi pensieri,distinguendoli dal rumore caotico che affollava il mio
cervello.
Non mi piaceva leggere i pensieri delle persone.Era un
contatto troppo intimo,troppo profondo.
Cercai in lei qualcosa che mi potesse
dirmi come allontanarla.Ciò che vidi però non mi servì
a nulla.
Vidi la sua solitudine,la
tristezza e il disgusto per se stessa e per ciò che era costretta a fare.Rabbia
verso il mondo,stanchezza,il desiderio di sdraiarsi e
di non alzarsi mai più,e nascosto più in profondità...attrazione.
Attrazione per me.
Le piacevo.Era assurdo.
Lei era una prostituta.Come poteva considerare il sesso
qualcosa di diverso da lavoro?
Era costretta a vendere il proprio corpo.
Come poteva ancora provare desiderio per un altro essere
umano.
Provai un’improvvisa pietà per lei.
Si riavvicinò a me e mi mise una
mano sul collo.Stavolta non la scansai.
“Sei freddo”mi
disse.
Non voleva una risposta.Non c’era una risposta.
“Che vuoi da me?”mi
sforzai di essere educato.
Scrollò le spalle.
“Sono solo curiosa.Che ci fa uno come te,in un posto del genere?”
Uno come me?
Non mi resi conto di averlo pronunciato ad alta voce,finchè lei non mi rispose.
“Non sei da queste parti.La camicia che indossi anche se rotta,è di seta.Una volta ho indossato un
corpetto di seta."
"So riconoscerla quando la
vedo.E so che nessuno di quelli che vengono in questo locale possono
permettersi un abito del genere”
Non sapevo che dire.
“Non sei come tutti gli altri.”indicò gli
uomini ubriachi e ragazzi che ballavano ancheggiando e facevano apprezzamenti
volgari sulle donne che incontravano.
“Sei giovane.Non puoi avere piu di diciotto
anni.Eppure hai uno sguardo strano."
"Era lo stesso sguardo che avevo io quando scopriì
che era morta mia madre”
Mi fissò triste.I suoi occhi erano pozze profonde nelle
quali annegare.Seppì che quello che mi disse era vero.
Nella sua mente si formò l’immagine di una bambina,una bambina con un abitino strappato che stringeva la mano
della mamma morta.
Una lacrima scivolò sul volto della giovane donna che mi
trovavo davanti.Se la asciugò rabbiosamente.
“Scusa.Non so perché ti racconto queste cose.Non mi
che mi è preso”sorrise per scusarsi.
E mentre la osservavo notai che
assomigliava ancora ad una bambina.
Ad una bambina che era stata costretta
a crescere e a diventare una donna.
“Anche a te è
successo?”
Non risposi.Dentro di se aveva formulato un'altra
domanda”anche tu hai perso qualcuno?”
“Si”Lo dissi di
getto e mi accorsi che era vero.Avevo perso Bella.Avevo perso il suo amore.
“Chi?”
“La ragazza che amavo.La mia fidanzata”
Mi osservò con compassione.
“Mi dispiace”sussurrò dolce.
“Mi dispiace.Ma venire qua
non ti servirà a niente”
“Perche mi aiuti?”chiesi sgarbato.Sapevo che
era vero.
E non sopportavo che fosse una
ragazza di vent’anni,che faceva la prostituta in un locale clandestino a
dirmelo.
“Io sono un’estraneo
per te.Non mi conosci.Che ti importa di
aiutarmi?”
L’avevo tempestata di domande.Il mio tono gelido
doveva averla ferita.
“Perché.”mormorò
cauta.
“Perché sei diverso.Quando
ti ho visto ho pensato che eri un’angelo”
“Non sono un angelo”
Le sue parole però mi avevano commosso.
“Lo so.Non potevi essere un’angelo.Se
lo fossi stato mi avresti portato in paradiso con te”
E sorrise.Ammiccò triste verso l’ambiente che la
circondava.Un’uomo vecchio ed ubriaco palpeggiava una donna che era poco più che una ragazzina e la baciava con
violenza.
Mi sentiì a disagio.Perchè mai ero entrato in un posto
del genere?
“Mi dispiace”
“Non fa niente”fece
spallucce.“Sei stato comunque interessante.Sono
contenta di averti conosciuto”
La pietà che provavo per lei aumentò
ancora di più.Mi sentiì un mostro.
“Non provare compassione per
me”i suoi occhi luccicavarono furiosi.
“Non voglio la tua pietà.Ho scelto io di diventare
così.Non ti ho raccontato la mia storia per farti commuovere.Non voglio la
pietà di nessuno”
E vidi con quanta ostinazione
negava l‘aiuto degli altri.Non voleva essere compatita.
Aveva una dignità.Era pur sempre un essere umano.
E per quanto dolorosa fosse la
sua situazione,essere compatiti non piaceva a nessuno.
“Mi spiace”Le sfiorai la manoIl
suo sguardo si ammorbidì.
“Sei strano.Un’altro uomo mi avrebbe subito
ficcato la lingua in bocca e avrebbe cominciato a toccarmi."
"O se non poteva avrebbe
tentato di convincermi a trovare una camera per noi,e avrebbe iniziato a
parlare di se e ad autoelogiarsi.Non gli sarebbe interessato
ascoltarmi.Tantomeno di ferirmi."
"A nessuno interessa quello che penso.A nessuno è
mai interessato quello che provavo.Nessuno si era mai interessato
di pararle con me”
“In fin dei conti”aggiunse poi.“Forse sei veramente un
angelo”
Continuammo a fissarci per un po’.Fin quando la voce roca di un uomo iniziò a chiamarla.
“Eveline?Eveline?Eveline vieni qua”le faceva
dei gesti come quando si chiama un cane.
Lei arrossiì.Mi ricordò Bella.
E mi ricordai quanto era adorabile
quando le sue guancie si tengevano di un tenero rossore e abbassava lo
sguardo imbarazzata mentre si accorgeva che la stavo fissando.
Forse non si era mai resa conto quanto la desideravo,quanto la trovavo meravigliosa.
“Non è Eveline il mio vero nome.Non lo è mai
stato.Ho detto che mi chiamo così solo perché lo
voleva sapere.Così non mi rompeva più e la smetteva di infastidirmi.”
Cercai di concentrarmi su di lei.
“Come ti chiami?”le chiesi.
“Violetta.Il mio vero nome è Violetta.E tu come ti
chiami?”
“Edward”
Lo assaporò per quache istante.
“Edward”mormorò a fior di labbra
“Che bel nome.Potrebbe essere
veramente il nome di un angelo”sussurrò.
“Anche il tuo è un bel
nome”E lo era davvero.
“Grazie”Rise deliziata e poi incontrò
nuovamente i miei occhi.
“Posso chiederti una cosa Edward?”
Sapevo cosa voleva,ma annuiì.
Le mi si avvicinò cauta.Sembrava
insicura.Avvertiì le sue mani sul mio viso e poi le sue labbra.
Non ricambiai il bacio,ma lei
non se lo aspettava.
La sua bocca era delicata,dolce
come un petalo di rosa.
Mi baciò teneramente,mentre le
sue mani indugiavano sul mio viso,e mi carezzavano la fronte.
Scopriì sorpreso di desiderarla a mia volta.Di desiderare quel contatto dolce e fragile con un altro essere
umano.
“Sei freddo”Aveva il
respiro spezzato.Le guance rosse e le pupille dilatate.Non stava fingendo.
Mi voleva.E si era innammorata di me.
“Lo so”Ma ora non
potevo più prestarle attenzione.
Dovevo andarmene.Sapevo che sarei dovuto tornare a
casa.Era doloroso ma dovevo.
Lei avvertiì la mia impazienza perché mi diede un ultimo
rapido bacio,per poi avvicinare le sue labbra alla mia
guancia e assaporare il sapore della mia pelle fredda.
“Grazie Edward.Non ho mai incontrato uno come te.Anche se sei troppo freddo per
essere un angelo”
Non risposi.
“Grazie”ripete in un fioco sussurro.Si
allontanò da me tristemente.
“Addio,Violetta”la
vidi sorridere.
Un ultimo rapido sorriso,per poi
sparire inghiottita dalle ombre del locale.
Gettai verso di lei un’ultimo
sguardo,e mi avviai verso casa.Casa.Ora mi sentivo pronto.
O
meglio meno vulnerabile di prima.Sarei tornato da lei.
L‘avrei affrontata.E forse allora
Bella mi avrebbe perdonato.
E
avrebbe ricordato cosa si prova ad amare.