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Autore: BlueSkied    18/08/2013    1 recensioni
La notte dell'Epifania del 1537 Alessandro de'Medici, detestato duca di Firenze viene assassinato dall'amico e congiunto Lorenzaccio de'Medici.
Tocca allora a Cosimo de'Medici, figlio del capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere ed erede del ramo popolare della famiglia, prendere il potere.
Tra raffinato mecenatismo artistico, nuove politiche e disgrazie familiari, condurrà la Toscana verso il Granducato, con la cauta inesorabilità del suo motto.
Note: mi sto documentando il più possibile, per rendere la storia verosimile, ma qualcosa potrebbe sfuggirmi, anche perché spesso le fonti si contraddicono.
Per finalità di trama, alcuni passaggi potrebbero essere violenti.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
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13.

Luglio 1552


Vedendola per la prima volta, si aveva l'impressione che la Torre del Mangia somigliasse a una dama che indossava un sontuoso abito rosso mattone e un velo bianco sui capelli raccolti. La placida e dorata città di Siena non aveva nulla di minaccioso, nulla di spaventoso.
Eppure, adesso, don Diego de Mendoza vedeva come la bella dama fosse sdegnosa e feroce come il leone neméo: chiuso nel Palazzo Comunale insieme a un drappello di soldati male in arnese, il diplomatico imperiale fissava le porte sprangate frettolosamente e sentiva ordini misti a imprecazioni provenire sia dall'interno che dall'esterno, dove la guarnigione, colta alla sprovvista, si preparava a un'improvvisata difesa.
Come avrebbe potuto aspettarsi una rivolta? L'idea di costruire quella fortezza era parsa la migliore, sul momento. Ora non aveva la più pallida idea di cosa fare.
Non conosceva quella gente, e in verità, non si era affatto preoccupato di conoscerla. Parlamentare era escluso, non avrebbero ascoltato, e lui non avrebbe saputo come convincerli. Un pezzo di selciato lanciato dalla piazza sfondò una finestra, facendo bestemmiare un paio di soldati e sussultare don Diego.
Sua Maestà Imperiale andava allertata, certo, e andavano chiesti rinforzi, e anche subito. Ma quanto ci avrebbero messo per arrivare, e soprattutto, la cosa che più l'atterriva, quanti sarebbero effettivamente intervenuti, non poteva saperlo. Aveva un solo alleato disponibile, e pregò intensamente che non si rivelasse un traditore. Fuori, la folla imbestialita gridava e sacramentava, mentre le milizie della repubblica attaccavano i punti scoperti del Palazzo. Non si poteva competere con chi in quella città era nato e sempre vissuto.

I ministri del duca lo attorniavano come una torma di galline intorno al gallo, o almeno, questa fu l'immagine che ne ebbe il cameriere Sforza Almeni, immobile con gli altri attendenti lungo un lato della sala, in discreto ascolto. Gettò distrattamente un'occhiata a una finestra vicina, da dove si scorgeva la tranquillità del pomeriggio estivo nella piazza. Era difficile immaginare che in quelle ore Siena fosse in tumulto.
Tornò a scrutare il consiglio, con preoccupazione. Sforza conosceva a menadito ogni espressione sul volto del suo signore, e quella che aveva in quell'istante non prometteva niente di buono. Oltretutto, i ministri non facevano che parlare tutti insieme, creando un intollerabile chiasso, e il duca detestava la confusione.
- Adesso, basta! - ordinò, seccamente, facendo segno a tutti di tornare al loro posto e fare silenzio. Quelli obbedirono immediatamente, ma egli rimase in piedi, considerando la situazione con gravità e fastidio crescente:
- Non possiamo ignorare la richiesta di soccorso da Siena - esordì - Ma - e si rivolse al messo, in spagnolo - Siamo assai contrariati dalla condotta di don Diego e non mancheremo di dolercene con Sua Maestà - avvisò. Scrutò l'uomo con stizza evidente, poi proseguì:
- Fate che sia inviato subito un drappello nel Senese, solo di rinforzo, e allertate le Bande nei territori confinanti, così da arginare i rinforzi francesi su Siena - comandò a due dei suoi, che s'inchinarono e corsero ad eseguire l'ordine.
- Fino ad ulteriori comandi di Sua Maestà, non agirò oltre - dichiarò, sciogliendo l'assemblea.
Sforza osservò i ministri e i dignitari sfilare fuori dalla sala, cogliendo sussurri e commenti di disapprovazione. Non era una sorpresa, un po' di malcontento.
Indirizzò gli attendenti di camera negli appartamenti ducali, e li seguì dopo un momento, aspettando di essere chiamato, cosa che avvenne poco più di un'ora più tardi.

Trovò Sua Eccellenza in uno dei suoi terrazzi privati, seduto in profonda meditazione e intento a fissare gli dei affrescati sul soffitto. Pareva essersi accorto a malapena del suo ingresso. Si voltò lentamente verso di lui e si alzò, prendendo a misurare la stanza con passo apparentemente calmo.
C'era qualcosa nella sua persona che trasmetteva sempre e comunque incredibile fermezza: alto e non ancora appesantito dai banchetti, come ad altri signori della sua ancora giovane età capitava, sembrava saldo come una colonna, anche se nella sua mente, Almeni l'avrebbe giurato, imperversava una tempesta. Il guizzo quasi impercettibile degli occhi lo rivelava, come lampi che precedevano un tuono.
Era certamente preda di un penoso conflitto: da sempre sperava di annettere Siena ai suoi territori, e vedeva senza dubbio come questa fosse un'occasione da poter sfruttare. Ma alle sue ambizioni s'interponevano gli interessi di Spagna e Francia, che non avrebbero esitato a far della Toscana la scacchiera dei loro conflitti. Già da tempo Cosimo aveva paventato possibili invasioni dal mare rafforzando le difesa della costa, ma capiva bene che la sua lotta sarebbe stata diplomatica, più che militare. Doveva cercare di ottenere ciò che voleva, senza che il suo ducato fosse risucchiato nella rovina.
- Maledetti senesi! - imprecò, all'improvviso - Vogliono essere liberi? Bene, hanno scelto la peggior via per farlo. Perché non si sono contentati di mettersi sotto la mia protezione? Li avrei lasciati indipendenti, senza chiedere nulla di più rispetto alle altre città, e invece no, questi idioti repubblicani -
Fece una pausa, poi si rivolse al fedele cameriere, in tono amarissimo:
- Ricorda le mie parole, Sforza: hanno pestato la coda al serpente e il serpente li morderà. Correranno a chiedere alleanza ai francesi e Caterina li aiuterà, solo per mettere spine nel fianco a me, e l'Asburgo mi costringerà ad attaccarli, e io non avrò scelta. Non sono un uomo d'armi, avrei preferito una strada più conveniente, ma tant'è -
Sforza non aveva nessun modo per rassicurarlo o consigliarlo.
- Vostra Eccellenza, agirete secondo la misura e la saggezza che vi sono propri - provò a replicare, in modo tranqillizzante, ma non servì a molto.
- La misura e la saggezza non m'eviteranno il biasimo, per quanto m'importi del biasimo altrui - ribatté Cosimo, ancor più amaramente - Non potrò scansarmi dalle contese dei grandi, ma cercherò di ricavarne meno danno possibile: ho miei casi, il dominio e la famiglia a cui pensare per primi. Ho aspettato Siena per anni, e aspetterò ancora -
Il cameriere capì facilmente perché Sua Eccellenza parlasse in quel modo: intanto, non si faceva illusioni sulla facile resa di Siena che, se si fosse effettivamente arrivati alla guerra, sarebbe stata lunga e sofferta. In secondo luogo, la guerra era una faccenda dispendiosa di mezzi e risorse, e in ultimo, il duca era seccato di essere usato come pedina dall'imperatore. Sforza non riusciva proprio a rimproverare la prudenza del suo signore.
Questi rimase in silenzio a lungo, dopo quello sfogo, poi parlò di nuovo, cambiando argomento:
- La duchessa ha vomitato ancora? - chiese, in tono più familiare. Sua Eccellenza stava male da diversi giorni, e solo quella mattina s'era risolta a farsi visitare.
Almeni scosse la testa:
- No, Eccellenza, ma la causa del suo male è lieta. Il dottore è certo di una nuova attesa - rispose, sperando di portare un po' di sollievo al duca, che in effetti, si rischiarò:
- Grazie a Dio - replicò, evidentemente più calmo. La duchessa aveva avuto l'ultimo figlio tre anni prima, e si pensava non potesse più averne, dato che la sua salute si era fatta più incerta.
Cosimo sospirò, cosa rarissima per lui:
- Cosa non si fa per la famiglia. Anche montare quel cavallo pazzo che è il potere - osservò.
Il servitore non disse niente, ma in cuor suo, avrebbe dato chissà cosa per aiutare il suo signore a reggere quelle briglie.



Note:

Don Diego de Mendoza era il diplomatico spagnolo a cui Carlo V aveva affidato il controllo di Siena, comunque ancora una repubblica libera. Si comportò in modo tirannico e impose la costruzione di una fortezza per la guarnigione spagnola in città, cosa che causò la rivolta a cui accenno a inizio capitolo. In verità, in quei giorni egli era a Roma, ma l'ho inserito a fini do trama.

Sforza Almeni era il fedele cameriere segreto di Cosimo. L'ho inserito come voce narrante, che probabilmente tornerà come personaggio anche più avanti.

Allora, questo èil primo dei prossimi capitoli, due o tre al massimo, dedicati all'episodio centrale della guerra di Siena (1552 circa - 1554). Non entrerò nei dettagli, ma cercherò di dare un quadro generale. Visto che la faccenda è complessa, non aggiornerò in modo regolare, quindi vi chiedo un po' di pazienza.

Come sempre, ringrazio chi leggerà.

BlueSkied
  
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