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Autore: Dragonfly_7    18/08/2013    1 recensioni
- Non dovresti parlare con una sconosciuta. Potrei essere una pazza psicopatica. Potrei ucciderti.
- Chi ti dice che il pazzo non sono io qui fra i due?. Già, chi me lo diceva?
Sembrava un normalissimo ragazzo, avrebbe portato un camice se fosse stato ricoverato lì.
Tornai ad osservare la ragazza che aveva iniziato a mangiare un po’ del pollo che aveva nel piatto sotto insistente aiuto della madre.
Era vestita come me, con jeans e maglietta.
Tornai ad osservare il ragazzo difronte a me.
Automaticamente cercai un braccialetto o una qualsiasi cosa che potesse farmi capire che fosse un potenziale paziente.
O cavolo, sei un pazzo!
- Aha, dissi osservando il braccialetto che portava al polso destro.
- Carino vero? Un omaggio della casa., commentò ironico… com’è che si chiamava?
- Come ti chiami?, chiesi allora io, affascinata tutto d’un tratto, curiosa di voler conoscere la sua storia.
- Il mio nome è Zayn.
*tratto dal 10° capitolo*
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Tutto ha una fine e tutto ha un inizio.








Delilah



Quante volte ancora avrei dovuto sopportare quella scena? La mia vita stava diventando noiosa. Ero riuscita a stabilire certe regole nella mia testa, ma come al solito tutto deve andare in fumo. Non potevo permetterlo ancora. Non di nuovo. Questa volta avrei dovuto prendere la situazione davvero in mano senza accontentarmi di nulla.
Suonai quel maledetto campanello. Mi sembrava scottasse per come avevo rapidamente tolto il dito dal pulsante.
Forse non c’è. Che fortuna. Non feci in tempo nemmeno a pensarlo però che la serratura scattò.
- Ma che sorpresa. E non sono ironico. Non riesci proprio a starmi lontana eh? Non lo sono nemmeno ora. Accomodati., non conoscevo quel Nathan, ma sembrava piuttosto seccato. E arrogante. Quel suo tono arrogante non mi era affatto piaciuto. Forse tornare a casa non gli aveva fatto così bene dopo tutto.
Si andò a sdraiare sul divano con le mani dietro la nuca. Non gliene fregava nulla di me in quel momento, o almeno così voleva farmi credere.
- Non sono qui per litigare ancora. Nemmeno per chiederti scusa o ringraziarti di chissà cosa. Sono qui perché voglio capirci qualcosa. Ma voglio anche aiutarti. E non sparare stronzate del tipo che non ti serve aiuto., dissi con una certa sicurezza accomodandomi sulla poltrona di fronte.
- Wow. Sai tante cose a quanto pare. E vediamo, come intendi aiutarmi?, si era alzato e ora mi fissava.
- Di cosa hai bisogno, Nathan?, ora mi ero alzata anche io, e nel mio tono c’era un non so che di perverso.
Il suo sguardo mi scrutava. Mi voleva. Oh, eccome se mi voleva.
- Vieni, con me. Ora., lo seguii su per le scale, in camera sua. Tremavo. Tremavo per l’eccitazione. Lo volevo anche io ora.
Chiuse la porta a chiave. Due giri. Chiuse le tende della finestra, e mi si parò di fronte, con le braccia tese lungo il corpo. Era troppo calmo.
Delicatamente mi sfiorò il braccio destro con un dito, disegnandone il contorno, fino ad arrivare al collo.
- Vuoi?, mi chiese. Ma a me sembrava più un invito. Così senza pensarci due volte mi fiondai sulle sue labbra che mi accolsero più che volentieri. Mi stringeva le braccia lungo i fianchi. Non potevo muovermi. Ma non me ne curai. La sua lingua era sufficientemente buona come distrazione.
Lentamente mi spinse col suo corpo verso la porta. La percepivo, la sua erezione che spingeva contro i suoi jeans. E percepivo le mie fitte.
D’un tratto si stacco dalle mie labbra e mi voltò. Le sue mani mi stingevano i fianchi ora, e continuando a stringere il mio corpo risalì lungo la schiena fino al seno. Lo strinse forte, fino a farmi gemere.
Infilò una mano sotto la maglietta attraverso lo scollo a “V” della maglietta. E come se il reggiseno non ci fosse mi sfiorò il capezzolo e raccolse il seno nella sua mano. Il mio respiro ormai era andato in tilt.
Non riuscivo a pensare. Ero distratta da quella mano, dal suo fiato sul collo, dalla sua voglia che spingeva contro di me, dall’altra mano che…stava abbassando la zip!
Un forte brivido mi percorse la schiena. I suoi baci umidi mi coprivano la spalla.
- Ora., disse lui quasi mi stesse avvisando. La sua voce era così decisa e sensuale. Mi piaceva quella parte di lui.
Mi lasciai totalmente andare. I miei pantaloni si erano fermati alle ginocchia. Poggiai la testa contro il legno freddo della porta quando percepii le sue mani spostarmi gli slip. Ma prima ancora che potessi provare una qualsiasi altra sensazione estasiante, sentii la porta sotto di me tremare. M’irrigidii all’istante. Ma lui mi strinse i fianchi.
- Shhh., mi zittì tranquillo, Si?, chiese poi al disturbatore.
- Nathan apri?, Natalie!
- Ho da fare, cosa ti serve?, la sua voce era dolce ma al tempo stesso non ammetteva repliche.
- Mi serve il tuo aiuto. Apri Nathan!, sentii la stretta sui fianchi farsi più decisa.
- Natalie. Non voglio ripeterlo. Vai., e questa volta davvero che non voleva ripeterlo. Mi voltai a guardarlo.
Mi stava sorridendo, in modo quasi, malato. Mi afferrò il viso fra le mani e mi baciò, con delicatezza. Si chinò e nel tirarsi su tirò su anche i miei jeans.
- Vieni, gli dissi allora io, sedendomi sul letto dopo aver risistemato il tutto, cosa hai deciso di fare quindi?
- Andare a Londra e stare in macchina con la pioggia fuori. E fumare erba.
- Non male come inizio. Solo che non piove oggi.
- Lo so. Per quello avevo pensato di riempire il mio vuoto riempendo te., disse poi lui divertito.
- Dovresti vergognarti Nathan, non sei per niente da esempio per tua sorella così.
- Lei non farà mai queste cose.
- Ah davvero? Ne sei proprio certo?
 
 



 
Nathan



Non ci ero mai andato senza Loris. Per un attimo mi ero sentito un traditore, ma voltandomi quella sensazione svanì subito. Lei era lì, con quella sigaretta in mano. Fumava occasionalmente, e per tenermi compagnia mentre fumavo la mia di sigaretta. Certo, la sua conteneva nicotina e la mia no, la sua la manteneva lucida e la mia iniziava a farmi sorridere quel tantino di troppo, ma meglio così. Mi sentivo meno solo con lei, era quella la verità. Mi eccitava da morire, ma quell’effetto lo faceva a mezza scuola senza che se ne rendesse davvero conto. E poi mi teneva testa, e quello mi piaceva più di ogni altra cosa. Ma sapevo che aveva di nuovo innalzato un muro tra di noi. Sembravamo più due amici che due… Non siete nulla Nathan, nulla. Già, non eravamo nulla. Non stavamo insieme, o sì? Queste domande da femminuccia non mi piacevano proprio. Forse era l’effetto di quella droga che iniziava a circolare per bene nelle vene che mi faceva fare certi pensieri.
Mi voltai a guardarla ancora, avvolta in una nube di fumi. Era bella, davvero bella. Neanche un filo di trucco, o almeno non che io ne vedessi. Magari usava uno di quei fondotinta speciali mimetizzanti di cui noi maschi non capiamo una beata mazza. Indossava sempre gli stessi orecchini di perle bianche. Spesso ci abbinava un bracciale anch’esso di perle bianche, altrimenti portava i polsi sempre nudi. Niente collane, niente accessori tipicamente femminili. Un maschiaccio insomma. Quel pensiero mi fece ridere.
- Ti faccio ridere signorino?, mi rimbeccò lei osservandomi a sua volta. Sorrideva.
- Sembrerebbe che tu sia un maschiaccio., le parole mi uscirono senza controllo. Temetti il peggio. Il suo sguardo si inarcò ma immediatamente tornò a sorridere.
- Cosa c’è in quella roba? Ti fa dire parecchie cazzate., e scoppiò in una risata.
Forse il fumo che io espiravo lei lo stava ispirando, provocando qualche effetto anche su di lei. Anzi dentro. Dentro. Quanto avrei voluto che mia sorella non fosse venuta a rompere le palle quel giorno. Avrei sfogato la mia rabbia dentro di lei, sbagliando, ma l’avrei fatto. Ormai da quando la conoscevo non ero più stato con nessuna. Loris mi sfotteva in continuazione. Diceva che mi ero dato alla fedeltà. Figuriamoci. Poi vibrò il telefono di entrambi. Nello stesso istante si illuminarono entrambi gli schermi, poggiati sul cruscotto.
- Tieni, mi porse il mio vecchio rottame e lesse il suo messaggio ad alta voce. Ed io potei farle coro nella mia testa, poiché le parole erano le stesse. La misteriosa persona aveva colpito ancora.
“Dicono che il piccolo Nathan sia tornato in piazza. Chissà cosa gli è capitato. Magari una gita dai nonni in montagna? O forse all’inferno, Nathan? Bye Bye. ;)”
- Ancora lei, commentai schifato. Ogni giorno una novità. Era diventata una specie di Gossip Girl. Ed era pesante. Non eravamo mica a Manhattan noi.
- Cosa ti fa pensare che sia una lei? Magari è uno stupido ragazzino che si diverte a giocare Gossip Girl., mi aveva letto nel pensiero. Guardai fuori dal finestrino. Solo nebbia. Lo aprii leggermente e lanciai nel freddo della notte quel che rimaneva del mio spinello. Richiusi velocemente, perché nel caldo che avevamo creato coi nostri respiri quel filo di aria gelida penetrato nel veicolo ci fece rabbrividire rapidamente. Girai le chiavi e il quadro dell’auto si accese.
- No. Aspetta., posò la sua mano sulla mia e rigirò all’indietro le chiavi. Il motore non risuonava più. Aspettavo cosa volesse dirmi. Perché voleva dirmi qualcosa giusto?
Si avventò su di me e mi baciò. Con frenesia.
 
Quella notte facemmo l’amore. Quella notte mi prese per mano e mi chiese di scappare via con lei, ovunque avessi voluto io.  E lo facemmo, scappammo davvero. Avvisammo le persone più care con un semplice messaggio che saremmo andati via. Non c’erano motivi. Ne avevamo voglia. Volevamo viaggiare, vagabondare, stare soli e ovunque. Chiunque ci avrebbe conosciuti, e nessuno avrebbe saputo chi fossimo.
Quella notte ci unimmo in una folle corsa che la vita ci aveva offerto su un piatto d’argento. Invitante.
Quella notte decidemmo che la vita è solo una, ed è stupido sprecarla in cosa serie. È più bello viverla come si vuole e come si può. Senza recare danni a nessuno, ma solo piacere a se stessi.
Quella notte segnò l’inizio di un amore che non finì mai. Come la vita.






E così finisce questa mia seconda storia. Forse un po' forzata (eh direi!), ma l'ho amata. :)
Ciao Nathan. <3
E naturalmente grazie a tutti i lettori.
   
 
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