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Autore: annabll    18/08/2013    4 recensioni
L’ultima cosa che ricordava la disorientava: era uscita dal bar, dopo aver preso un caffè, e si stava dirigendo verso casa di Emily, per incontrare le ragazze. Aveva qualcosa di importante da dir loro. Doveva aver fatto una scoperta sconvolgente, ma che al momento non le ritornava in mente. - Spence, apri gli occhi – ripeteva a se stessa. Ma ancora non aveva trovato il coraggio di farlo. Non ne conosceva il motivo, ma aveva un orribile presentimento.
Genere: Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa, Spencer Hastings, Toby Cavanaugh, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Breathless

capitolo quinto

 

 

 

Ora credeva di avere il coltello dalla parte del manico.  – Beh, più o meno – pensò, dato che era ancora rinchiusa in una cella nel bel mezzo del nulla con al piano di sopra la sua amica non morta e il suo ragazzo traditore, probabili assassini e suoi persecutori. Ma non aveva scelta. Se fossero scesi nel seminterrato e l’avessero trovata in quello stato, probabilmente non avrebbe più avuto un’occasione di scappare così succulenta. Cercava di assaporarla nel migliore dei modi, anzi, in tutti i modi possibili e immaginabili, ma comunque rigirasse la situazione, avvertiva un fortissimo retrogusto amaro, che la scoraggiò, ma non le fece perdere la speranza. Senza indugiare ulteriormente, si avvicinò furtiva alla porta della sua cella: era serrata con un lucchetto. Si tolse una forcina, che usò per aprirlo. L’aveva già fatto prima, soprattutto con i diari di Melissa fin da quando erano ancora entrambe delle bambine, perché si divertiva a ficcanasare tra gli affari della sorella. Come si aspettava, anche grazie alle sue esperienze passate, riuscì ad oltrepassare quelle grate di ferro, per arrivare ai piedi delle scale, che le sembravano più ripide e più lunghe di quanto non avesse notato in precedenza. C’era quasi. Oltre quella maniglia, lì in cima alla gradinata, sarebbe stata libera. Con ottimismo pensò alla possibilità che non ci fosse nessuno lì a sorvegliarla, che magari i suoi rapitori in luna di miele fossero andati a compiere non si sa quale azione importante e che l’avessero lasciata incustodita. D’altronde erano loro A, no? Dopo averla rapita dovevano pur continuare a importunare le altre! Ma i suoi pensieri fortunosi furono bruscamente interrotti dal brusio di voci che sentiva provenire dal probabile salottino che aveva sopra la testa. Ne riusciva a distinguere due: una, quella del ragazzo, a cui non riusciva a dare un volto, nemmeno quello di Toby, dato che non faceva altro che annuire e acconsentire a ciò che diceva l’interlocutrice; l’altra, quella della ragazza, era alta e squillante, che lasciava trapelare tanta rabbia e dolore, era inconfondibilmente, inesorabilmente, sicuramente quella di Alison. Salì lentamente e senza far rumore tutti i gradini della scala, fino ad arrivarne all’estremità, dove si fermò trattenendo anche il respiro. Ora riusciva a distinguere il tono alterato di Alison, che sembrava realmente infuriata con il suo complice. Lui d’altronde sembrava essere completamente subordinato alla ragazza, come se fosse l’anello debole del team, colui che esegue gli ordini, ma che non ha alcun diritto di impartirne. Spencer avvicinò il suo occhio sinistro allo spioncino, nella speranza di poter comprendere meglio con chi aveva a che fare. Vide, dalla sua prospettiva, che probabilmente non si trovava in una vecchia casa di campagna, e che sopra al suo stanzino non c’era un salotto, né una cucina, né un covo. Era semplicemente quella che sembrava essere una camera di un motel, anzi, anche di quelli scadenti. Le pareti erano di color ocra, con crepe vistose, soprattutto in prossimità di un quadro che Spencer aveva proprio di fronte, - altro che Monet e Van Gogh! Sembra quasi sia stato dipinto con i piedi! – rifletté la ragazza. Sulla sinistra vi era un letto a due piazze, che Spencer riusciva a vedere solo di striscio dallo spioncino, e, dritto davanti ad i suoi occhi, alla prospettiva che gli offriva quel buchetto dal quale guardava, riusciva a vedere il suo assalitore in nero, o almeno le sue spalle. Lei era presumibilmente rivolta verso la porta dalla quale la Hastings stava spiando, lo poteva notare dalla direzione dei suoi piedi, ma non mostrava il suo volto, dato che era coperto dal corpo del suo complice. Dopo qualche minuto di silenzio, Spencer sentì Cappotto Rosso dire: “ Allora siamo intesi: tu ora vai a rimediare al casino che hai combinato con quelle tre stronzette, e occupati anche di Mona, mi raccomando. Io invece finirò la quarta, quella che sta qui sotto. Se pure sospetta di noi, sta' tranquillo, tra cinque minuti non potrà più riferirlo ad anima viva “, ed entrambi scoppiarono in una risata malefica, quelle che a volte si sentono nei cartoni animati, ma che in quella rara occasione fece venire a Spencer i brividi. Il ragazzo corse fuori, si sentì il suono di un motore appena acceso, probabilmente quello di un motorino ( - Toby! – urlò la Hastings nella sua mente ), e, mentre A si allontanava andando chissà dove e Cappotto Rosso chiudeva la porta d’ingresso, Spencer stava pianificando il modo di scappare, dato che ora lo scontro sarebbe stato alla pari. Era troppo tardi però per la ragazza di poter constatare che quella fosse Alison, dato che aveva già indossato una maschera, prima di prendere le chiavi e dirigersi verso il seminterrato. Ma non le importava di scoprirlo in quel momento. Ora voleva solo uscire viva da quel posto, e fece appello a tutta la forza del suo istinto di sopravvivenza. Quella in rosso infilò la chiave nella serratura, e prima che potesse girarla, Spencer già si era armata di un tubo di ferro arrugginito che aveva trovato. Contava sull’effetto sorpresa. Non aspettò nemmeno che la porta fosse completamente spalancata per colpire alla testa la ragazza, che cadde a terra svenuta. La gettò giù per le scale, sperando di averla finita una volta per tutte, e chiuse la porta, ma, non trovando la chiave che sembrava misteriosamente sparita, la bloccò con una poltroncina che giaceva lì vicina. Corse verso l’ingresso ed uscì fuori: c’era il nulla. Aveva sbagliato di nuovo. Intorno a sé c’erano solo boschi e quella adesso sembrava avere tutta l’aria di una baita abbandonata a se stessa. Non c’era un sentiero, non c’era una strada. Poteva correre e seguire le tracce di pneumatico lasciate dalla moto, ma non credeva le sarebbe convenuto. Le dava l’aria di dover fare troppa strada a piedi, più di quanto potesse nelle sue condizioni e quindi l’avrebbero trovata subito. Ripensò alle parole della bionda in rosso, “Se pure sospetta di noi, sta' tranquillo, tra cinque minuti non potrà più riferirlo ad anima viva” : aveva intenzione di ucciderla già da prima, e fuggendo in quel momento, ma soprattutto in quel modo, sarebbero riusciti nel loro intento in poco tempo. Tornò in casa allora, assicurandosi, però, che la poltrona con cui aveva sbarrato l’ingresso al seminterrato fosse ancora lì. Non c’era pericolo. Cercò allora in giro un telefono, fisso o mobile che fosse, per poter chiamare la polizia. Gli sbirri non l’erano mai stati di grande aiuto! Sicuramente non sarebbero arrivati in tempo. Aveva tuttavia altra scelta!? Trovò in un cassetto un cordless con la batteria quasi scarica. Stava per digitare le cifre 911 quando, con l’angolo dell’occhio destro, notò sul comò di fronte al letto un cartoncino bianco. Corse lì per accertarsi che fosse ciò che pensava. Lo prese in mano, lesse, poi la sua espressione da cupa divenne euforica, come se avesse appena ritrovato tutto il coraggio e la sicurezza della quale aveva bisogno. Compose infine il numero, velocemente, e uscì da quell’angosciosa dimora. Il telefono squillava, ma ancora nessuno rispondeva. Improvvisamente: “ Pronto? Chi è? “ disse con voce calma e pacata il dr Reid.

“ Dr Reid sono Spencer! Spencer Hastings! La prego! Ho bisogno di aiuto! Vogliono uccidermi! “ la ragazza disse tutto questo d’un fiato e le vennero dei capogiri per mancanza di ossigeno.

“ Spencer dove sei?” continuò in una morsa di stupore e paura l’agente.

“ Non lo so, non lo so! So solo che sta per svegliarsi, aiuto!” urlò tra lacrime e sgomento Spencer. Aveva paura, ma tutta la calma che aveva mantenuto in quel seminterrato negli ultimi giorni era d’un tratto svanita. Aveva seriamente bisogno d’aiuto, e, l’unico che potesse aiutarla era quell’uomo, l’unico che lei vedesse come il suo eroe personale.

“ resta altri trenta secondi al telefono, così potrò rintracciare la chiamata, stai calma, tira un respiro! Sarò lì prima che tu possa accorgertene! Descrivimi l’ambiente dal quale sei circondata” cercò di fingere lui una tranquillità che in cuor suo sapeva di non avere.

Lei fece come le disse il suo eroe, e cominciò a descrivere: “ Ci sono tanti, tanti boschi qui in, intorno . . . “ aveva smesso di urlare e di piangere “ . . . alle mie spalle invece c’è la baita dalla quale sono scappata . . .”

“Spencer! Allontanati subito di lì! Va' più lontano che puoi non appena riesco a rintracciarti! Se come hai detto c’è ancora chi lì può farti del male, scappa! “ urlò l’agente. Spencer annuì con un gemito di paura, ma non disse nient’altro. Si era così rilassata al telefono con il dr Reid, che quasi dimenticava di avere alle sue spalle il covo dei suoi aguzzini. Ecco che l’uomo urlò ancora: “ Ecco! Ho le coordinate del luogo! Sono vicino! Corro! Tu nel frattempo allontanati! “.

Spencer a quel punto gettò il cordless a terra, correndo verso i boschi che si infoltivano sempre di più. Tuttavia prima che potesse realmente cominciare a correre fu colpita alle spalle. Cadde a terra e si voltò, ma prima che potesse sferrare un colpo alla sua assalitrice, già ella le si era messa a cavalcioni, ed era intenta a strangolarla con le sue mani, che, pur essendo piccole, sprigionavano una forza letale; per quanto Spencer provasse a dimenarsi, non riusciva a contrastare tutta quella potenza. Provava a schiaffeggiare con le sue mani deboli le braccia tese della bionda, senza che sortisse alcun effetto. Le forze stavano per abbandonare definitivamente il suo corpo, sentiva di stare per morire, che nessuno sarebbe arrivato in tempo per salvarla. Ma non poteva morire con quel dubbio. Doveva sapere chi si celasse dietro quella maschera. Con un leggero sforzo alzò la mano verso il volto della sua aguzzina. Le prese la maschera e con l’ultimo sprizzo di energia che le rimaneva in corpo la strappò via. Sgranò gli occhi. Non ci poteva credere. Era lei, era davvero Alison. Non che avesse qualche incertezza. Ma ora l’aveva vista per bene, ne aveva avuto la prova decisiva. Da lì sotto la guardava, la vedeva sorriderle mentre la stava strappando a questo mondo. Spencer era completamente frastornata. Non capiva più nulla. Sentiva le palpebre pesanti, che le si stavano per chiudere, forse per sempre, e lei non avrebbe mosso un dito mentre accadeva.

“ Toglile le mani di dosso o ti sparo!” disse forte una voce fuori campo. Il dr Reid, che lentamente si avvicinava, ma non perdeva mai la mira, tolse la sicura alla pistola “ Subito! “ continuò categorico.

Alison alzò le mani, nella sicurezza che lui non fosse riuscito a riconoscerla, dato che le stava alle spalle. Si alzava lentamente da terra, con il viso rivolto verso il corpo stremato di Spencer, prestando attenzione a non voltarsi ancora verso l’agente. Improvvisamente si sentì un fortissimo tonfo, che distrasse per una frazione di secondo il dr Reid, facendogli perdere la mira, quanto bastava ad Alison per scappare nei boschi.  Egli la inseguì con pistola alla mano, scendendo vertiginosamente tra gli alberi di pioppo che gli ostruivano la visuale a tal punto da non poter più prendere la mira. A quel punto voleva catturare quella ragazza che aveva provato a far del male a Spencer, ma si fermò per tornare indietro, preoccupato per la salute dalla Hastings. Corse verso di lei e le si inginocchiò accanto; la prese tra le braccia e la strinse in petto, così come farebbe un fratello maggiore. Le sussurrò all’orecchio: “ Spence? Sei ancora con me? Ho chiamato già polizia e ambulanza, stanno per arrivare “, il suo tono sembrava profondamente allarmato. Dal canto suo la ragazza stava riprendendo le forze, anche se a rallentatore, e si sentiva ancora un po’ frastornata.

Tuttavia riuscì a rispondere: “ Si, sto b-bene! Grazie di essere arrivato, davvero, sei fantastico! Credo di amarti, mio caro Dr Reid “, nel parlare sembrava quasi ubriaca, ma era stato a causa della mancanza di ossigeno prolungata. Il dr Reid cominciò a ridere, come se non prendesse sul serio ciò che la ragazza aveva appena detto. Spencer alzò allora lo sguardo, per incrociare quello dell’uomo che la stava abbracciando, in attesa di una risposta alla sua affermazione. A quel punto l’agente indossò un’espressione più seria, tuttavia sempre serena, e, dopo essersi immerso per almeno un minuto in quegli occhi di cioccolato, prese il volto di Spencer, per avvicinarlo al suo, e pose le labbra sulle sue, applicando non troppa pressione, come se avesse paura di farle male. I movimenti delle loro bocche sembravano voci che cantavano all’unisono, la stessa melodia, generando un suono armonioso così forte che l’avrebbero potuto sentire a chilometri di distanza. Furono interrotti dalle sirene dell'ambulanza che si avvicinava, seguita dalla volante di turno. Ce l'aveva fatta. Era salva e al sicuro. Le sembrava di sognare, finalmente, dopo giorni e giorni di incubi.

  
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