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Autore: hirondelle_    18/08/2013    2 recensioni
[Sostituzione de "Il Re dei Ladri"] [linguaggio volgare] [tematiche carine e coccolose (?)]
Ember cercò con lo sguardo tra i letti e si fermò appena trovò Silver. Chino su un corpo, come sempre ad accarezzargli i capelli castani. – Ti reggi ancora in piedi, Sakuma?
Silver si voltò di scatto, scrutandolo con astio. Da quella volta che l’aveva scoperto nel secondo reparto ed era stato rimproverato, sembrava volerlo sfidare. Non si sarebbe allontanato dal malato –il ragazzo steso da giorni in perenne sofferenza, il ragazzo che non parlava, il ragazzo di cui era innamorato, Genda si chiamava, prima ancora di Belva, Genda dell’oltreoceano – per niente al mondo. Davvero.
- Te l’ho detto mille volte che sei da primo reparto.
- Te l’ho detto mille volte di non impicciarti.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Paranormal'
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Death Mask

 
- Una festa? – domandò raggiante Scheggia, ridacchiando quando il compagno gli rubò un altro bacio nel vestirsi. L’alba non era ancora sorta, ma già si potevano intravedere i primi chiarori del giorno a spazzare via le ultime ombre della Dama delle Stelle. Scheggia si ricordava ancora quando, da bambino, si divertiva a correre nella più completa oscurità, solo per provare la piacevole sensazione di passare inosservati…
- Una festa. Ha invitato anche voi. – sorrise Soldier scompigliandogli il cespuglio rossiccio che gli contornava il viso ridente. – Stasera, appena il sole non se ne va giù.
Scheggia sorrise e si coprì maggiormente con il lenzuolo lercio, guardandolo accattivante: - Sarà la mia prima volta… Come vuoi che mi vesta?
Soldier arrossì e borbottò qualcosa del tipo: “come vuoi”, anche se l’immagine di Scheggia semi-nudo stava costituendo un grave pericolo per la sua sanità mentale. Finì di vestirsi, ma subito il messaggero lo travolse portandolo a baciarlo con passione, ridendo furbescamente: - Come sei buffo!
Quella risata argentina accompagnò il giovane Soldier per tutta la camminata verso il faro, offuscandogli la mente con il suo suono piacevole. Come poteva l’amore essere una cosa tanto sbagliata, se condivisa con lui? Più volte Soldier se lo era chiesto, non trovando mai una vera risposta. Amava Scheggia più di se stesso, sebbene all’inizio aveva fatto fatica a capirlo e ad accettarlo. La sua intera vita, dal suo arrivo nell’isola, era cambiata radicalmente.
 
- Fratello, non ti sembra di esagerare? Per quanto tempo intendi illuderlo? – domandò un ragazzo sui diciassette anni, le dita a strimpellare una vecchia chitarra malmessa. Si era seduto accanto a Perfect, sebbene entrambi volessero ignorare l’esistenza dell’altro. Il capobanda alzò lo sguardo dalle sue carte con fare inquisitore, negli occhi la stessa domanda di Onda.
- Non lo sto illudendo, è simpatico. – osservò Scheggia passandosi una mano tra i riccioli ribelli. Sviò il loro sguardo per poi incamminarsi lungo il sentiero, verso il confine della foresta. – Ho un messaggio da recapitare alle Sirene e agli Stellati. – replicò poi, salutandoli con una mano inanellata.
- Aspetta. – lo fermò calmo Perfect, fissandolo con attenzione. – Vado io dagli Stellati, Onda ti accompagnerà dalle Sirene… sei ancora inesperto. Che messaggio è?
- Una festa. Stasera, in spiaggia. Ha invitato anche noi. – spiegò conciso il ragazzino, annuendo: in effetti, era ancora troppo giovane per poter chiedere il “pagamento” per la consegna, sebbene avesse già esperienza nel campo. I capobanda si rifiutavano di avere rapporti sessuali con minori di sedici anni, e non era stato per nulla facile all’inizio venire accettato come messaggero. Alla fine sia le Sirene che gli Stellati si limitavano a miseri servizietti… Scheggia comunque preferiva le Sirene; erano le uniche ragazze dell’isola, e avevano diverse basi nelle quali nascondevano ogni cibo possibile e immaginabile: il ragazzino amava farsi coccolare dalle fanciulle come un pulcino.
- Evvai, un po’ figa!! – esclamò Onda scattando in piedi, la chitarra abbandonata ai piedi dell’albero.
- Che porco che sei. – mormorò Scheggia corrugando la fronte. – Tanto si vede lontano un miglio che il tuo unico intento è scoparti Il Sacerdote.
Onda lo fulminò con lo sguardo, poi sbuffò infastidito: - Che moccioso impertinente.
- Il moccioso sarai tu, coglione! – replicò Scheggia affrontandolo a muso duro, benché il surfista lo superasse di almeno una trentina di centimetri. – Ti lascio a riva, pidocchio! – minacciò ringhiando l’altro chinandosi su di lui.
- Smettetela, deficienti. – li interruppe con assoluta tranquillità Perfect. Raccolse con calma tutte le sue carte, infilandosele in una delle tasche della camicia a quadri, aperta a mostrare la pelle nivea. – Sbrigatevi a consegnare il messaggio piuttosto, non abbiamo tutta la giornata.
- Certo. – borbottò Onda abbassando lo sguardo: contro Perfect era difficile vincere, affrontarlo si rivelava pericoloso. Scheggia lo imitò, facendo piccoli inchini.
Appena Perfect se ne fu andato, i seguaci si incamminarono verso la spiaggia. Scheggia guardò di sottecchi il veterano per diverse volte, fino a quando non giunsero nei pressi della scogliera. Onda iniziò a scendere agilmente, la pelle del petto nudo appena sudata e lucente. Scheggia lo fissò intensamente per diversi minuti, prima di scendere con lui in modo un po’ goffo. Quando i suoi piedi nudi incontrarono la sabbia non ancora bollente si rasserenò rilassato. – Davvero mi lasci a riva?
- No, piccolo scricciolo. – rise sornione il messaggero più grande scompigliandogli i capelli con fare fraterno. – Sta’ sereno. Che vuoi che sia in confronto all’immensità dell’oceano…
Scheggia lo osservò prendere la tavola da una grotta segreta ai piedi della scogliera, fissarla un attimo come sotto ipnosi e portarla in mare accarezzandola come una bambina. – Però muoviti! – esclamò poi Onda alzando lo sguardo.
Scheggia sorrise e lo raggiunse, pensando che il surfista fosse un tipo molto strano…

 

 

Night si lasciò incantare per diversi minuti dal fuoco del falò, ammirandone le fiamme alte e voraci come un bambino guarda incantato un giocoliere esperto nelle sue arti. Fissava la notte, così bella e calma, così apparentemente fredda con quel manto puntellato di stelle: era il suo nome, un nome che era stato scelto per lui molto tempo prima, quando ancora non sapeva contare e gli anni erano dettati dalle dita alzate della piccola mano paffuta.
Gli invitati stavano già iniziando ad arrivare alla spiaggia, eccitati al solo pensiero di una notte diversa dalle altre senza alcuna inibizione… ma c’era mai stata inibizione in tutto ciò che facevano sull’isola? Night non ricordava.
Donnola se ne stava lì, appoggiato a uno degli scogli, intento a contare le bottiglie di alcolici per l’ennesima volta: Night fissò la sua figura slanciata e i lunghi capelli biondi mossi appena dalla brezza del mare. La musica rimbombava nelle orecchie quasi in modo fastidioso ma al contempo euforico, già i primi arrivati iniziavano a ballare, strusciandosi tra loro e scambiandosi baci fugaci e maliziosi: Night sentiva di appartenere a quei momenti di assoluta libertà, senza vincoli, il solo desiderio di sentire pelle contro pelle, labbra contro labbra; non importava il dove o il perché.
Sentì due mani stringersi sui suoi fianchi lattei , una voce calma sussurrargli all’orecchio parole strascicate: - Come siamo sexy stasera.
Night si voltò per incrociare lo sguardo color oro di Perfect, i capelli grigi tinti dall’ultima luce del giorno di rassicuranti sfumature rossastre. Era vestito –il termine corretto sarebbe stato “svestito”- più o meno come lui: canottiera nera attillata, jeans larghi e scoloriti che lasciavano appena scoperto il ventre liscio e immacolato, diverse collane d’oro e bracciali incastonati di pietre preziose. Era appena truccato, ma non in modo femmineo, anzi suscitando un certo fascino negli occhi di chi lo guardava. In effetti si poteva dire che Perfect avesse addosso gli sguardi languidi di mezza isola.
- Ma ciao. – rise Night portando le loro labbra a contatto, un bacio viscido e impuro senza il minimo sentimento che lo elettrizzò da capo ai piedi: baciare Perfect era un’esperienza decisamente accattivante. Già stavano andando decisamente oltre, le mani che tastavano il cavallo dei pantaloni dell’altro in una morsa famelica. Night però interruppe il contatto, scuotendo la testa con un sorrisetto: - Dopo. Sarà più divertente.
Perfect inizialmente sembrò estremamente deluso, poi fece spallucce e si allontanò senza una parola, alla ricerca di qualche preda facile. Night invece si guardò attorno, scrutando la gente attorno al falò che si era decisamente moltiplicata. Erano arrivate anche le Sirene, coi loro vestiti succinti e decisamente volgari, truccate pesantemente e ingioiellate, come era loro solito senza il minimo pudore: anche così erano bellissime. Il loro capobanda, una ragazza sui sedici anni, rivolgeva sguardi ammiccanti a tutti coloro che la osservavano con una sorta di ammirazione: Night pensò ad un certo punto che avesse guardato anche lui, con quegli occhi azzurro cielo tanto grandi da sembrare pietre incastonate.
In un angolo, al riparo tra gli scogli, le coppiette si scambiavano dolci effusioni: la maggior parte dei ragazzi finivano con l’evitarle, perché era chiaro come sarebbe andata a finire. Nessuno sembrava voler prendere contatti con loro, eppure le coppie erano felici nella loro intimità: il messaggero nuovo era seduto accanto al ragazzo con l’elmo, Astro rideva con Bijou. Erano un mondo a parte, loro. Un mondo diverso, irraggiungibile, ma che avrebbe smesso presto di girare.
A guardarli, in un certo senso, si provava quasi pena.
- Ti diverti?
Night si girò e incrociò gli occhi cremisi di Donnola: uno degli sguardi più bramati di tutta l’isola. A differenza degli altri ragazzi, lui era completamente vestito: una maglia leggera a maniche lunghe, le righe rosse e nere che quasi si confondevano nella penombra della notte, un gilet di pelle aperto sul davanti, pantaloni di tela stretti a fasciargli le gambe bianche. Nessuno l’aveva mai visto nudo, o semi-nudo. Si diceva persino che fosse ancora vergine.
Night sorrise squadrandolo da capo ai piedi, al suo solito: - Bel modo di entrare nelle grazie di un certo qualcuno, direi. Sei proprio un vero leccapiedi, è vero quello che si dice su di te.
Donnola chiuse un occhio in un sorriso ammiccante. – Bingo. O forse no.
La risposta non piacque a Night che corrugò la fronte delicata. Prese la bottiglia di alcool che gli stava offendo il ragazzo biondo quasi senza accorgersene, bevve un sorso sentendo appena un brivido ghiacciato scendergli giù per la gola: la volpe aveva un piano. Voleva qualcosa da lui… ma cosa?
 Donnola non sembrò volergli rivelare nulla. Si lasciò distrarre dalla musica, dai seni delle ragazze e dalle lingue che giocavano in una danza sfrenata e selvaggia, dondolando la testa al ritmo incalzante. Poi, dopo quell’istante immobile, gli rivolse un’occhiata civettuola: - Come sta Day?
Night a quelle parole venne travolto da un brivido di terrore. Lui sapeva. Si guardò circospetto attorno per assicurarsi che nessuno avesse sentito. – Ma che dici? Day sono io. Ho solo cambiato nome.
Donnola rise come se avesse detto una cosa decisamente divertente: si portò una mano alla bocca, scoprendo le dita fini e delicate come porcellana erose da taglietti. – Si cambia il nome Night, non la persona. Mi sono accorto lo sai? Tu e Day siete due persone diverse. Vi siete illusi di diventare il sostituto dell’altro, ma non sono stupido.
- Cazzo vuoi? – ringhiò diretto Night. Oh, gli avrebbe spaccato volentieri la bottiglia in faccia. Gli avrebbe strappato i vestiti. L’avrebbe violentato prima di mezzanotte, quando lui se ne andava puntualmente a dormire. Lo avrebbe sverginato con ferocia, chi se ne fregava in fondo di quel suo bel faccino?
- Io? L’isola. Nulla di speciale.
L’isola. Questo voleva, voleva il potere sull’isola: assoluto, nessuno a contrastarlo. Era quello che volevano tutti, in fondo: una cosa tanto grande da sembrare irraggiungibile, eppure degna di speranza. – Cosa mi vorresti dare in cambio? Ma stai scherzando?
- Pensavo che le informazioni in mio possesso fossero più che sufficienti, Night. – sorrise perfido e aggraziato Donnola. – Immagino che Day abbia bisogno di un certo aiuto dopo quel giorno, non credi? – Dopodiché rise cristallino. Night lo guardò con odio, la rabbia gli cresceva nel petto: un ricatto. Se avesse rifiutato, avrebbe sparso in giro la voce che nascondeva uno di loro. Se avesse accettato, il potere sarebbe passato a Donnola, lui avrebbe avuto le medicazioni necessarie per Day ma avrebbe dovuto agire nell’ombra.
La sua voce lo riscosse dai suoi pensieri furiosi: - Parlane pure con lui. Ti do tempo, nessuna fretta. - Poi i suoi capelli d’oro sferzarono l’aria come una frusta, mentre si voltava e raggiungeva la banda dei Divini, il sorriso sulle labbra sottili. Donnola aveva vinto.
Donnola aveva vinto su tutto.
- Ehi.
Night si girò nella stretta di due braccia esili e bianche, vide il volto di Perfect stravolto dall’alcool e dal fumo. – Ora è dopo. Balliamo un po’? – sussurrò posando le labbra contro le sue, senza lasciargli il tempo di ribattere.
Night si lasciò andare in balia dei colori, della musica e delle risate sguaiate. Si appoggiò a uno scoglio senza protestare, sentendo le mani di Perfect scivolare su di lui come sabbia bollente. Non capì più niente.
Non volle capire più niente.

 

 

Onda fece scorrere le sue mani sulla sua schiena nuda, respirando piano, la testa abbandonata contro le scalinate e gli occhi chiusi: il mare s’infrangeva contro gli scogli nascondendo i gemiti che uscivano dalla sua bocca, gli stessi che si erano ripetuti quasi tutte le sere.
“Sono venuto a tenerti compagnia”, era la scusa che funzionava sempre. “Sei sempre tutto solo, qui”.
Il Sacerdote si alzò dal suo bacino e si sollevò sulle mani per avanzare leggermente, ad appoggiare il capo sul suo grembo, le gambe scure di Onda ancora aperte sotto di lui. Lo osservò in silenzio, con gli occhi azzurri grandi e dolci che lo fissavano quasi impazienti, i capelli biondi scossi appena dalla brezza, l’oro degli orecchini reso fulgido dalla pira sulla spiaggia in riva al mare. Il messaggero spostò lo sguardo su di lui, ancora intontito, la musica della festa arrivava lontano alle sue orecchie in brevi suoni ovattati.
Nei pressi dello Scoglio delle Sirene regnava sempre il rumore delle onde che si infrangevano sulle rocce ruvide e i canti delle ragazze, il loro vociare e le loro risate, ma quella sera era diverso: c’era solo il rumore del mare, solo per loro, come a voler proteggerli in una bolla impenetrabile. Onda gli accarezzò i capelli e Il Sacerdote sorrise, socchiudendo gli occhi, come un gattino che si abbandona alle coccole del padrone. Sembrò capire anche senza bisogno di parole: non ci sarebbe stato un seguito, non quella sera. Poi si alzò in piedi, lo fissò per un po’ e lasciò che il suo sguardo scivolasse sul suo corpo ancora una volta: un’immagine terribile, cattiva e perfida, un groppo alla gola per chiunque non ci fosse abituato. Eppure Onda aveva smesso da tempo di sobbalzare appena Il Sacerdote si spogliava davanti a lui, aveva smesso di cercare o immaginare cose che non c’erano più da tempo. A volte c’era solo il desiderio, l’urgenza di sentire quella pelle proibita sotto le dita.
Il Sacerdote raccolse con delicatezza il kimono da terra, bianco come la spuma, se lo infilò con grazia misurata, per poi indossare anche i pantaloni di tela. Lasciò che l’oro delle collane scivolasse sul suo petto, le clavicole scoperte alla luce lunare, si sgranchì i muscoli tesi fino allo spasmo, socchiuse gli occhi. Poi raccolse la lancia e si voltò a guardarlo.
E lo guardò a lungo, osservando ogni minimo dettaglio di lui, come a volerlo imprimere nella memoria. Faceva sempre così, ogni sera: lo osservava, senza la minima espressione, come se stesse guardando una cosa lontana e irraggiungibile. E allora Onda si avvicinava, intrecciava una mano con la sua e lo baciava. Lo fece anche quella sera, badando bene di morderlo piano, senza ferocia. Si ricordò delle parole che aveva detto a Scheggia solo quella mattina: illuderlo. Onda era consapevole di star solo illudendolo, eppure c’era qualcosa che non capiva mai durante i loro incontri. Si era avvicinato a lui solo per sfizio, per curiosità, e ora eccolo lì, sullo Scoglio delle Sirene a baciarlo e a morderlo. Lo voleva.
Qualche tocco sulla spalla, il segno di fastidio: Onda si scostò da lui con un sorriso perverso. – Va bene, va bene, mi vesto anche io.
Si avvicinò agli scogli, lì dove aveva lasciato il costume. Ma si bloccò, appena notò qualcosa d’insolito nell’acqua: rossa. Rabbrividì e si avvicinò cautamente, notando un oggetto sottile e bianco tra le rocce: un braccio. Le onde s’infrangevano in un suono sordo, qualcosa continuava a sbattere in balia della potenza del mare.
Onda raccolse il corpo tra i brividi di freddo e agitazione: un ragazzo, forse sui quindici anni, i capelli castani e la pelle cadaverica. L’aveva trovato tra due scogli, sbattuto dalle onde imperiose senza grazia, la testa sanguinante. Il Sacerdote lo guardò muto, gli occhi spalancati, e si avvicinò con passi veloci. Onda lo adagiò delicatamente sul marmo dell’entrata del Tempio, appoggiando un orecchio al suo petto e una mano appena sopra le sue labbra violacee: il cuore batteva flebile, l’ultimo barlume di vita che ancora risplendeva nel petto magro e segnato.
Non c’era tempo da perdere. Il Sacerdote lo prese tra le braccia e lo portò all’interno del Tempio, il suo kimono si macchiò di rosso. Gli lanciò una breve occhiata: doveva chiamare aiuto; ma allo stesso tempo nessuno avrebbe dovuto sapere nulla sul loro incontro. Su di loro. Sul messaggero e Il Sacerdote.
Onda annuì, folgorato dai suoi occhi stregati.

 

 
Night tornò a casa nelle prime luci dell’alba. Non si curò di fare troppo rumore: era sempre il primo a tornare alla base, e certa gente non tornava affatto. La sbornia, non del tutto smaltita dall’acqua gelida del mare, continuava a fargli girare la testa: ma nel complesso si sentiva bene, riposato, e allo stesso tempo piacevolmente sfinito.
Una voce. Era calma e dolce, eppure una delle più terribili che Night avesse mai ascoltato: era uno di loro, ormai. Day non esisteva più.
Subito gli venne in mente il ricatto della sera trascorsa, quando Donnola era ancora sobrio, prima che se ne andasse allo scoccare della mezzanotte, come un’ombra: alla fine, aveva detto di parlarne con Day. Night non rispose al richiamo dell’Alto ma andò verso la sua stanza, scostò la tenda che copriva appena la porticina di legno marcio: a vederla, sembrava inutilizzata da secoli. Nessuno l’aveva mai aperta, nessuno aveva mai osato chiedergli le chiavi. Night sospirò sentendo il clangore metallico della serratura che scattava.
Era sveglio, come sempre seduto sul letto con le coperte a coprirgli le gambe nude: Day si svegliava sempre all’alba e si addormentava al tramonto, quasi il suo nome fosse il più adatto che avesse potuto scegliere. Un sorriso radioso gli illuminava il viso scavato, una leggera peluria rossiccia gli contornava il mento non ancora rasato, i capelli color sangue cadevano ribelli ai lati del suo viso. E quegli occhi, tanto intensi da sembrare quasi finti, lo osservavano con la curiosità di un bambino: ma Day non era un bambino. Non più. – Night! Hai passato una bella serata?
Il sosia non gli rispose subito. Si sedette e, come al solito, si ritrovò ad osservarlo con un brivido: “Anche io sarò come lui quando crescerò?” si chiedeva. “Siamo destinati a rimanere uguali per sempre? Quando finirà la mia pena?”
Uccidilo.
- Day, sembri pallido. Che ti succede? – corrugò la fronte l’uomo. – Non dirmi che era la tua prima orgia.
 - Non è niente. – mentì il ragazzo continuando a fissarlo. Poi guardò le sue gambe nascoste dalle lenzuola e si ritrovò a parlargli soprapensiero: - Hai bisogno di una mano per raggiungere il bagno?
Day si massaggiò gli arti immobili, sorridendo angelicamente: - Non preoccuparti, me la cavo da solo. Piuttosto, raccontami come è andata, dai!
- No. – rispose sbrigativo Night, e si avviò verso le finestre per permettere alla luce del sole di penetrare nella stanza: Day sembrò gradire, perché sospirò trasognato. – Mi mancano le orge in riva alla spiaggia. Chissà se sono come allora.
Night si stese freddamente sul letto, nel lato che Day non osava mai occupare. L’uomo invece si alzò sulle braccia, e facendo leva sulle mani si sedette non senza una certa difficoltà sulla sedia a rotelle accanto al matrimoniale. Fece un po’ di rumore, ma non sembrò infastidire Night.
Il ragazzo lo aspettò, sentendo distrattamente il rumore dello sciacquone, il getto del lavandino, lo sfregare dello spazzolino sui denti.
Pensava: “Quanto tempo ci rimane?” E poi: “Quando avrò il coraggio di sbarazzarmi di lui?”
Le domande non sembravano avere una risposta. Day tornò e si sedette di nuovo sul matrimoniale, stavolta però Night dovette aiutarlo per evitare che cadesse. L’uomo riprese la sua solita posizione, la schiena nuda appoggiata alla testiera e le gambe immobili sul letto sfatto. Night ci appoggiò sopra il viso respirando piano, abbandonandosi a quel calore intimo e naturale.
Day gli accarezzò piano i capelli, cantando una nenia come si fa con i bambini. Night tutto sommato trovava quelle ninnananne rassicuranti: la promessa che, a differenza di lui, non sarebbe cresciuto mai.
- Buongiorno Kira.
- Buonanotte, Kiyama.
 
Angolino di Macareux
Salve :3
Uhm, questa fic ha ricevuto un notevole successo (?) A questo punto non vi incito neanche, se il risultato equivale a due recensioni, mi aspettavo molta più pietà per il Re dei Ladri (ma quanto sono modesta -.-)
Ordunque, signore e signori, indovinate: a quelle due recensioni non ho risposto nemmeno. Ah. Che novità. Dovrei cambiare le mie abitudini.
Lo farò il prima possibile –anche ora, ma non so (?)-, ma prima vorrei precisare qualche cosa: nel precedente capitolo ho scritto che non avevo intenzione di inserire elementi Fantasy. Questo perché non volevo affatto “copiare” la storia di De Feo, semplicemente prendere spunto dalla sua ambientazione: niente Scalzi, nessuna Sibilla, nessuna fine dell’isola (o quasi), nessun sogno di Pri—
… Cazzo. Io e gli spoiler non andiamo d’accordo. Oh oh oh. Perdonatemi vi prego.
Comunque… sì, mi dispiace non inserire gli Scalzi. Io adoro gli Scalzi. Sono la mia vita. E sono anche il centro, il fulcro della storia di De Feo--- Oh, perdindirindina. Forse ci scriverò una flash –l’hogiàscrittamasonodettagli-
… E poi, amatemi: vi ho rivelato l’identità di Night al secondo capitolo. Oh, non c’è gusto così.
Chi ha indovinato l’identità di Perfect e del Sacerdote  alzi la mano ** Onda no, Onda è palese.
Perfetto, credo di aver detto tutto… perdonate la mia spigliatezza (?) e vivacità (?) ma credo di non essere del tutto a posto stasera.
Grazie mille a Cha, a Niki e a coloro che hanno messo la fic tra le seguite/ricordate/preferite. Metterla nelle preferite mi sembra esagerato al primo capitolo, ma sembrate determinat-
La smetto. Notte. Baci.
 
Fay
 
   
 
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