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Autore: Charlene    19/08/2013    5 recensioni
Collaborazione tra me e PichShrooms_BOOM. Le nostre menti si sono unite. Che cosa ne uscirà, chiedete? Leggete e lo scoprirete.
~Dedicata alla forte amicizia che si è creata tra di noi malgrado la distanza che ci separa.
Sento i suoi passi farsi sempre più vicini. Oddio, oddio, oddio! L'ansia comincia a prendere il sopravvento sulla mia ragione e sul mio corpo. Vedo le sue mani strisciarmi addosso rapide e noto una lama sottile e affilata appoggiarsi lentamente sulla mia pelle. Vedo il sangue uscire, sento il dolore annebbiarmi la testa...
Genere: Dark, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Boris, Hilary, Kei Hiwatari, Un po' tutti, Yuri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ottavo:

TensiØne.

“Sei sicura di non voler chiamare la polizia?” le chiese, per l'ennesima volta. Karolina sbuffò e si tolse la giacca, per adagiarla a malo modo sulla scrivania. “No! Non voglio chiamare la polizia! Troppi casini!” rispose, gesticolando nervosamente.

Yurij le passò una sigaretta e lei gliela strappò di mano, come se non avesse aspettato altro. Yurij la osservò: quando era nervosa era davvero buffa, specie per via di quel viso imbronciato piuttosto infantile. Non era il tipo di ragazza che rispecchiava i suoi gusti, ma si trovava bene in sua compagnia, malgrado vedersi con lei mettesse a rischio l'amicizia che lo univa con Boris.

“Io davvero non ne posso più!”

“Ti ho già spiegato cosa dovresti fare, ma sei piuttosto cocciuta. Fai come preferisci.”

Karolina si voltò completamente verso di lui ed iniziò a guardarlo con un'aria talmente seria che – se non si fosse trattato proprio di Yurij Ivanov – lo avrebbe intimorito facilmente. “Io sono nervosa e tu sai dirmi solo 'fai come preferisci'?!” Lui alzò le spalle: “Dormici sopra, domani mattina ci penserai con più lucidità.” Si accomodò sul letto, facendole intendere che avrebbe potuto fermarsi lì quella notte. “Non russo e non sbavo, ma non devi invadere la mia metà.”

“Beh, io non posso assicurarti di non sbavare!” e così dicendo, spense la sigaretta nel posacenere, si privò dei jeans e della felpa, rimanendo con una maglietta a maniche corte e con un paio di pantaloncini che le aveva gentilmente prestato Yurij. Si accoccolò al suo fianco, leggermente imbarazzata. Lui spense la luce, pronto a lasciarsi andare ad un piacevole sonno.

“Yurij?”

“Uhm?” Sperò con tutto il cuore che non fosse il tipo di ragazza che aveva bisogno della chiacchierata notturna prima di addormentarsi, perché – in tal caso – l'avrebbe spinta giù dal letto a calci.

“Grazie. Davvero.” Lui non disse niente, si limitò a darle un piccolo buffetto sulla guancia e a girarle le spalle. “Buonanotte.”

Finalmente si sarebbe addormentato e si sarebbe riposato. … O forse no? No, decisamente no: quella notte non riuscì a dormire bene, neanche dopo essersi guardato un film in compagnia di Karolina, che a sua volta aveva faticato a prendere sonno. Lo sbuffo continuo del vento e della pioggia sul tetto non tacque nemmeno per un istante. Si coprì la testa con il cuscino, ma prese sonno soltanto dopo mezzanotte, quando finalmente l'acquazzone divenne una pioggerella silenziosa. Il mattino dopo, dalla finestra non vedeva altro che nebbia densa e si sentì assalire dalla claustrofobia: di certo quello non era il modo migliore per cominciare la mattinata.

Si guardò attorno, accorgendosi solo dopo qualche istante che Karolina dormiva ancora al suo fianco. A giudicare dall'espressione raffigurata in viso, stava sognando qualcosa di ben poco piacevole. Allungò una mano per svegliarla, per strapparla via da quel possibile incubo, ma ci ripensò; forse lasciarla dormire ancora un po' le avrebbe solo giovato e magari l'avrebbe aiutata a scacciare via quel malumore che da giorni la tormentava senza un secondo di tregua.

Si alzò dal letto, scavalcando Karolina e facendo attenzione a non imprimerle peso. Gettò uno sguardo all'ora: le sette in punto. Era presto, il che significava che avrebbe avuto tutto il tempo necessario per potersi fare una doccia e una colazione decente. Uscì dalla stanza, intento a dirigersi in bagno, ma un gemito soffocato lo fece bloccare in mezzo al corridoio. Andò in direzione della cucina e vide sua sorella piegata sul tavolo a piangere, circondata da una marea di fogli che gli diedero fin dal primo istante in cui li vide una sensazione di disagio non indifferente.

Si sedette accanto a lei e le circondò le spalle con un braccio. La scosse un paio di volte, delicatamente, ma Diana sembrava che neppure si fosse accorta della presenza del fratello.

“Che cosa succede?” le chiese, con un tono di voce basso e dolce. Se ne meravigliò anche lui, ma con sua sorella in queste condizioni poteva trasformarsi nell'uomo più dolce dell'universo senza troppi problemi. Avrebbe dato via la vita per lei, l'unica persona al mondo che si fosse degnata di accudirlo e di crescerlo. Diana si era da sempre fatta in quattro pur di assicurare un futuro decente a Yurij e lui ne era consapevole.

Diana alzò il viso, rigato di lacrime. Guardò Yurij dritto negli occhi per qualche istante, senza proferire parola. Il suo labbro inferiore tremava e ciò le impedì di riuscire a dire qualcosa. Ci provò con impegno, ma dalle sue labbra non fuoriuscì altro che un rantolo soffocato.

Si asciugò le lacrime con il dorso della mano, sforzandosi di sorridere. “Niente, va tutto bene!”

Yurij sbuffò. “Non dirmi cazzate, Diana. Cosa succede?”

Diana prese un gran respiro, cercando di formulare un discorso degno di essere reputato tale. Stava in ogni modo cercando di trovare le parole giuste da dire. “Ci hanno dato lo sfratto.”

Per Yurij quelle parole furono come lame affilate che si impuntarono sullo stomaco. Per qualche istante, il fiato gli si spezzò e il cuore gli mancò di un battito. Guardò la sorella con un'espressione indecifrabile, racchiudente numerose emozioni: tristezza, sorpresa, rabbia, preoccupazione... Ed ora cosa avrebbero fatto? Come sarebbero usciti da quella tragica situazione? Afferrò entrambe le mani della sorella, fortemente. Lei si irrigidì, perché attraverso quel semplice tocco poté avvertire tutta la preoccupazione del fratello. Deglutì, sentendosi in colpa. “Mi dispiace, Yurij. Farti vivere certe situazioni è l'ultimo dei miei voleri.”

Lui scosse la testa più volte e scattò in piedi, facendo cadere la sedia in terra. Gettò le braccia al collo di Diana e l'abbracciò, dando come l'impressione che non fosse intenzionato a staccarsi da quel contatto neanche per un misero secondo. Sentì gli occhi pizzicare, pronti a far scivolare lungo le guance delle lacrime che difficilmente sarebbe riuscito a trattenere. Tuttavia riuscì a tener duro, a mostrarsi forte. “Troveremo una soluzione, Diana. La troveremo insieme.”

Diana lo guardò speranzosa e fiduciosa al tempo stesso, accarezzandogli i capelli molteplici volte. “Promettimelo.”

Lui esitò, non ancora del tutto sicuro di trovare un modo efficace e utile per cavarsela in quell'improvviso e sgradito problema. “Promesso.”

*

L'ora di educazione fisica era un vero e proprio trauma per Takao. In particolar modo quando si trattava di dover affrontare un'ardua partita di pallavolo. Non era riuscito neanche a fare mezzo punto, considerando che quando gli veniva passata la palla lui correva dalla parte opposta. Hilary lo aveva colpito più volte con poderosi schiaffi in pieno viso, dal momento che odiava perdere a pallavolo. Era la più brava della classe, insieme a Mao. Ora che non c'era più sentiva quel campo sportivo vuoto e spoglio. Tuttavia trovò la forza necessaria per non pensarci e distrarsi, specie dopo aver saputo la notizia di Salima e Chris. Era stato un vero colpo di scena! Non se lo sarebbe mai aspettato. Certamente non riteneva l'omicidio di Mao di importanza inferiore a quest'ultimo pettegolezzo, ma lasciarsi andare a qualche piccola distrazione non le avrebbe potuto nuocere in alcun modo. Guardò Boris, mezzo addormentato in mezzo al campo a non fare niente. “Boris, attento!” lo avvertì con scarsi risultati, perché una forte pallonata lo colpì sul naso. Urlò massaggiandoselo più volte, cercando con uno sguardo omicida il responsabile di tale aggressione. Si accorse poco dopo che era stato Yurij, che gli sorrideva con fare divertito. “Riflessi, Huznestov. Riflessi!”

“Non è il momento più giusto per scherzare, Yurij!”

“Nemmeno per me, Boris! Eppure non ti sei neanche degnato di chiedermi come sto!” scattò Ivanov.

La tensione divenne, all’improvviso, padrona del momento, portando il resto della classe a interrompere la partita. Neppure il professore di ginnastica ebbe il coraggio di mettersi in mezzo, dal momento che sapeva quanto fosse pericoloso interferire in una discussione tra quei due.

“Perché non te lo fai chiedere da Karolina? Siete diventati così amici!”

Yurij sbuffò, stanco di affrontare quel discorso. Avevano litigato tutta la sera precedente per quella faccenda e non era ancora riuscito a fargli capire che tra loro due non c'era niente di ambiguo o malizioso. Inoltre quello, attualmente, era l'ultimo dei suoi pensieri: aveva ben altre cose a cui pensare, con cui arrovellarsi. Peccato che Boris non se ne fosse accorto... Evidentemente si era illuso che ormai avesse imparato a conoscerlo.

“Non ti risponderò.” fece per girargli le spalle, ma Boris lo afferrò per un polso e lo costrinse a voltarsi. Yurij rimase profondamente irritato da quel gesto, poiché era stato piuttosto brusco. “Lasciami, Boris!” cercò di strattonare la presa, ma il russo lo teneva saldamente.

“Lo fai di proposito, vero?!” chiese Boris, alzando la voce e ignorando ciò che aveva detto il rosso precedentemente. Il suo sguardo si era acceso d'ira, chiaro segno che Boris stava andando incontro al suicidio. Quando Yurij perdeva il suo famigerato autocontrollo conveniva stargli alla larga, prima che l'inevitabile accadesse.

“Che cosa starei facendo di proposito?! Stai farneticando!”

Boris rise istericamente, provocando una reazione a Yurij che gli fece raggelare il sangue: si stava comportando come un pazzo! “Avanti, ammettilo: non puoi proprio fare a meno di appropriarti di tutto ciò che è o è stato mio!”

Yurij sgranò gli occhi, sconvolto. Sì, doveva essere per forza impazzito per poter dire simili idiozie! “Stai scherzando, vero?!”

L'altro scosse la testa. “Sei geloso di me.”

“È assurdo! Sei pazzo!”

Hilary si avvicinò in silenzio a Kei, che si era seduto in un angolo della palestra intenzionato fin dall'inizio dell'ora a non fare ginnastica. Troppo faticoso per lui, senza contare che riteneva la materia inutile. “Dobbiamo intervenire.”

Kei rimase completamente impassibile. “Quei due litigano sempre, non preoccuparti.”

“Non così, Kei. Sono entrambi troppo nervosi.”

“Pensi davvero che io mi sia visto con Karolina per fare un torto a te?!” urlò Yurij, allargando le braccia. “Sei completamente fuori strada, credimi!”

“Oh, no. Io ti ho inquadrato fin dal primo giorno in cui ci conoscemmo: non accetti che io abbia chi voglio ai miei piedi, mentre tu perdi tempo dietro a...”

Yurij a quel punto si liberò completamente dalla presa di Boris, tramite uno strattone carico di forza. “Smettila!” e così dicendo gli tirò uno schiaffo. Nessuno osò fiatare o commentare il gesto; rimasero tutti in silenzio, a bocca aperta. Il professore di ginnastica fece un passo avanti per mettere fine alla discussione: “Ora smettetela! I vostri problemi extrascolastici non vanno affrontati durante le mie ore!”

Boris lo ignorò. “Come diamine ti permetti?!” fece per andare addosso a Yurij, ma Sergey fu abbastanza rapido da bloccarlo e da allontanarlo dall'amico. “Stai esagerando, Boris! Basta!”

Boris cercò di liberarsi e di oltrepassare Sergey, ma fu un tentativo vano. “Questa me la paghi, Yurij! Te lo giuro!”

Yurij non riuscì a rispondere, perché Ivan lo anticipò: “Sei davvero ridicolo! Scarichi il tuo nervosismo su uno dei tuoi amici più cari come se niente fosse!”

Lo sguardo di Boris divenne stracolmo d'ira e si concentrò completamente sul piccoletto. “Tu non ti immischiare, idiota! Non mi interessa sapere che cosa ne pensi!”

Ivan si sentì ferito di quelle parole, difficili da digerire. Rimase zitto e immobile per qualche istante, ma la sua testa calda lo fece controbattere poco dopo: “Sai, inizio a pensare che tu sia fuori di testa! Ha fatto bene Julia a rimpiazzarti con Brooklyn, così come ha fatto bene Karolina a rimpiazzarti con Yurij!”

Yurij si voltò verso di lui, guardandolo severo. “Ti ci metti anche tu ora?!”, ma Ivan non riuscì ad udire in tempo quelle parole, perché Boris lo aveva colpito con un poderoso pugno in pieno viso. Ivan crollò a terra, tenendosi il naso con le mani ormai logore di sangue. Hilary e Kei, così come Takao e il resto della classe, non seppero come reagire, persino il professore rimase pietrificato dinanzi a tale reazione.

Boris non gli diede il tempo di lasciarsi andare al dolore, perché lo colpì con un calcio. Yurij lo spinse via, con l'aiuto di Sergey che lo trascinò lontano da Ivan. A quel punto il professore riprese controllo del proprio corpo e si avvicinò al gruppo: “Huznestov, tu vieni con me dal preside!”

Gli occhi di Yurij traspirarono tutta la delusione di cui era in balia in quel preciso istante. “Non ti credevo così...”

*

Boris tamburellò con le dita sul legno scuro del tavolo, stanco di quella ramanzina. Aveva perso la cognizione del tempo: da quanto tempo era dentro a quel noioso ufficio? Minuti? Ore? Sbuffò con strafottenza, iniziando a dondolarsi sulla sedia.

“... La tua condotta non è consona all'ambiente scolastico, Huznestov. Temo che sia il caso di prendere dei seri provvedimenti.” Doveva essere la ventesima volta che gli ripeteva quella frase. Poteva fare quello che accidenti voleva quel maledetto preside, tanto lui era maggiorenne e viveva solo; non doveva rendere conto a nessuno e andava a scuola giusto per passare il tempo. Si manteneva grazie alla “paghetta” che mensilmente gli spediva una cugina che non aveva mai visto in vista sua, residente in Giappone. Non si preoccupava dell'andazzo dei suoi voti o di quello che poteva combinare in giro, a lei interessava solo tenersi a posto la coscienza spedendogli quei soldi che gli avrebbero fatto comodo per tutte le sue eventuali esigenze.

“Sono curioso di sapere il motivo di questo tuo comportamento. Dimmi, Boris... a casa ti trascurano? Potrei organizzare un colloquio con tua... cugina.”

Boris sbuffò ancora una volta, sommessamente.

“Ha tutti i permessi che mi ha chiesto, tutti rigorosamente firmati. Ha la copia dei suoi documenti e i vari certificati di residenza e dispone anche della dichiarazione della maggiore età del sottoscritto... che altro le serve?”

Il preside si tolse gli occhiali e li pulì con il panno apposito. “Mi servirebbe capire il perché di questi atteggiamenti.” Si alzò dalla sedia e si avvicinò alla finestra, per poi rigettare lo sguardo su Boris. “Magari dipende da qualche brutto ricordo collegato al tuo passato, quando ancora vivevi in quel...”

Boris lo fulminò con uno sguardo. “Non lo nomini in mia presenza, grazie!”

“D'accordo! D'accordo!” esclamò, alzando le mani in segno di resa. “Penso proprio che sia l'astio per quel posto in cui hai passato buona parte della tua infanzia a renderti così... aggressivo.”

Scrollò le spalle, con indifferenza. Era tutto tempo sprecato, quegli inutili giri di parole non lo avrebbero portato da nessuna parte. “Potrebbe anche essere, ma non sono affari che la riguardano.”

“Sono il preside, Boris. E' mio dovere tutelare gli studenti di questo istituto.”

Boris si alzò dalla sedia, pronto ad andarsene. “E allora si limiti a fare il suo lavoro, anziché ficcanasare su cose appartenenti al mio passato.” Uscì dalla presidenza, ignorando le lamentele del preside e chiudendosi la porta alle spalle. Fu una pessima scelta, perché in quel momento avrebbe voluto restarsene inchiodato a quella maledetta sedia di quel dannato ufficio pur di non vedere la scena che gli si stava svolgendo davanti agli occhi: Julia che baciava appassionatamente Brooklyn.

Perché davanti a lui? E poi perché proprio Brooklyn?! Si avvicinò ai due con rapidità e afferrò Brooklyn per un braccio, allontanandolo da Julia. “Fai ancora una volta una cosa del genere davanti a me e giuro che ti faccio del male!”

Julia fece in modo che Boris lasciasse Brooklyn e lo spinse con tutta la forza di cui era in possesso. “Hai già abbastanza guai, Boris. Risparmiati queste patetiche scenette di gelosia!”

Boris rise: “Gelosia? Io geloso di te? Non sentirti così importante Julia, perché non lo sei!” Lei si mostrò del tutto immune ed indifferente a quelle parole. “Bene! Allora dimostralo!”

“Non devo dimostrare proprio niente a te, capito?!” Le aveva parlato a pochi, pochissimi centimetri dal viso. Lei si intimorì un poco e Brooklyn, prontamente, intervenne: “Stalle lontano, Huznestov!” Boris si accigliò e il suo sguardo diventò degno di un vero e proprio serial killer. “Stai attento a come parli con me, potresti pentirtene!”

Se ne andò, dandogli una spallata e oltrepassandolo, lasciando Julia delusa ed amareggiata.

*

Karolina riattaccò. Si lasciò sfuggire un urlo isterico e si incamminò a passo spedito nel cortile della scuola, in quanto fosse l'ora della ricreazione. Trovò Boris al solito posto: seduto sul muretto conducente alla palestra, in compagnia di Sergey che sembrava parlargli di qualcosa riguardante Ivan. Non ci badò, perché era talmente arrabbiata che avrebbe desiderato trasformarlo in una polpetta e mangiarselo.

Lo afferrò per un braccio e lo trascinò poco più in là. “Tu!” iniziò, additandolo. Boris inarcò un sopracciglio. “Tu! Sei tu che mi fai quei pessimi scherzi telefonici di cattivo gusto!” Aveva usato un tono di voce alto senza rendersene conto, catturando l'attenzione di Yurij e Kei che sedevano sulla panchina più vicina. Yurij drizzò le orecchie ed iniziò a godersi lo spettacolo: Karolina aveva una parlantina più che capace di ammutolire Boris, il che era una goduria unica per lui! Kei, al contrario, iniziò a temere che la ragazza avesse qualche rotella fuori posto. Come quasi tutti là attorno, in effetti. Iniziava a venirgli mal di testa con tutta quella gente che urlava e impazziva. Si accese una sigaretta, preparandosi a scattare in piedi in caso Boris avesse iniziato a perdere le staffe come suo solito.

“Lasciati dire che è un giochetto a dir poco squallido ed inutile! Sei patetico, caro mio!”

“Tu sei pazza! Hai il ciclo perenne, credimi!” ribatté Boris, spingendosela via di dosso.

“Parla proprio quello che si atteggia come la classica ragazzina disagiata! Fatti visitare da uno bravo, perché di questo passo ti aspetta il manicomio!”

“Io non ti ho fatto nessuna chiamata, Karolina!” Lei rise, guardandolo con odio. Lo spinse e gli tirò un calcio sugli stinchi. “Evita di prendermi in giro! Solo uno psicopatico come te sarebbe capace di farmi certi scherzi!” Yurij nascose il viso dietro la schiena di Kei, cercando di nascondere la risata interminabile di cui era in balia in quel preciso istante.

“Io non ti ho fatto nessuno scherzo!” urlò sul procinto di metterle le mani addosso: quando ci si metteva era davvero cocciuta ed era quasi impossibile farle cambiare idea.

“Sappi che se continuerai ad importunarmi così prenderò i miei provvedimenti!”

“Non mi sembrava che ti dispiacesse essere importunata dal sottoscritto fino a qualche giorno fa!” Il volto di Karolina si imporporò di un rosso piuttosto acceso ed evidente, per poi scemare ad un colorito tendente al rosa. Gli mollò uno schiaffo e gli voltò le spalle, andandosene e lasciandolo perplesso. “Tu hai qualche rotella fuori posto!” le urlò, mentre la guardava allontanarsi.

Yurij a quel punto si alzò in piedi e si piazzò davanti a lui, con aria divertita. “Ha ragione: sei diventato una donnetta isterica.”

Boris gli dedicò uno sguardo stracolmo d'odio. “Stammi lontano, Yurij! Non ho bisogno di amici falsi come te!” Yurij alzò gli occhi al cielo e si allontanò.

*

In classe c’era molto più silenzio del solito. Ormai anche l’entusiasmo per l’ultimo pettegolezzo, in breve tempo sulla bocca di tutti, era scemato. Sì, perché la notizia che Salima tradisse Rei con un altro ragazzo, e per giunta alla luce del sole, aveva tenuto banco piuttosto a lungo. Ma all’interno della classe, dove la ragazza non aveva neanche il coraggio di guardare i compagni in faccia, e Rei non aveva aperto bocca con nessuno per due giorni interi, gli studenti erano stati abbastanza delicati da non infierire più di tanto. Yurij non contribuiva certo a ravvivare l’atmosfera. Il professore dell’ora successiva stava tardando, e il rosso si alzò dalla sedia con aria funerea e uscì dall’aula. A Kei non sfuggì la sua espressione, così come le mani in tasca e la testa bassa. Non ci mise molto ad alzarsi a sua volta e a seguirlo.
Lo pedinò fino al bagno –e Yurij non si accorse di nulla- finché non lo vide appoggiarsi al termosifone, la fronte sul muro.
Kei fece i quattro passi che li separavano e gli mise una mano sulla spalla, sentendolo sobbalzare.
“Ehi.”
“Kei! Sei silenzioso come un accidenti di gatto!” protestò Yurij, dopo essersi voltato bruscamente.
“Scusa. Stai bene?”
Il rosso annuì con ben poca convinzione, e Kei sorrise: “Guarda che era una domanda retorica. Che cos’hai?”
Ivanov esitò. Poi alzò lo sguardo e si decise a parlare: “Ci hanno sfrattati.”
“Cosa?”
“Non farmelo ripetere.”
Fu Kei stavolta a rimanere senza parole. “Yurij ma… io non pensavo che la situazione fosse così critica…”
“Non mi piace far sapere i miei problemi in giro.”
“Lo so… ma perché non me l’hai detto?”
Yurij alzò le spalle. “Te lo sto dicendo adesso.”
Era terribilmente a disagio e non lo stava nascondendo. “Che palle…” mormorò. “Devo trovarmi un lavoro, alla svelta.”
“E lasci gli studi?”
“Non vedo altra soluzione.” rispose. Kei si accorse che aveva le lacrime agli occhi, ma la sua espressione rimaneva sempre incredibilmente dignitosa.
“Col cazzo. Vi aiuterò io.”
“Ecco, vedi perché non te lo volevo dire? Mi secca da morire che…” iniziò Yurij, ma Kei gli tappò la bocca con una mano e finse che l’interruzione non ci fosse mai stata.
“Dicevo, vi aiuterò io. Con l’affitto e tutto il resto, finché la situazione di tua sorella non migliorerà e tu non ti sarai diplomato.”
Yurij mugugnò qualcosa sulla mano di Kei, che non la spostò: “Mi restituirai tutto, ok? Non sto facendo l’elemosina, non essere orgoglioso.”
Il rosso tolse la mano e lo guardò, incerto. “Kei, davvero, io non so se posso accettare.”
“Non è giusto che tu e tua sorella siate in questa situazione, non ve lo meritate.”
“Lo so, ma…”
“Bene, allora è deciso”
Yurij fece per ribattere, ma poi sorrise: “Grazie…”
Kei ricambiò e gli mise le mani sulle spalle, per poi tirarlo a sé: “Ringraziami davvero” gli disse, baciandolo sulle labbra.

*

Era sera. Salima corse all'impazzata fino alla porta del suo appartamento, in centro. I suoi genitori erano fuori per una cena di lavoro e quella casa non era mai stata così vuota. Entrò in ampie falcate nell'ingresso, chiudendosi rapidamente la porta di casa alle spalle. Per tutto il tragitto non aveva fatto altro che guardarsi alle spalle, poiché aveva avvertito la raggelante sensazione di sentirsi seguita da qualcuno. Non era certa che fosse tutto frutto del suo subconscio e della sua coscienza in quanto sporca, molto sporca: tradire Rei non era stato uno dei suoi gesti migliori, ma senza ombra di dubbio la aiutava a sentirsi meglio.

Rei non faceva altro che parlare di Mao, che ricordarle quanto fosse bella, dolce e... perfetta. Salima non lo era, il che le creava un senso di disagio non indifferente. Odiava essere svalorizzata in quella maniera. Anche lei era attraente, come ragazza, era anche dolce – a modo suo, certo, ma lo era. Rei nell'arco di quei mesi non si era degnato di conoscerla a fondo, non ci aveva neppure provato. Avere una relazione con Chris, suo compagno di scuola, l'aiutava a scaricare tutto lo stress che accumulava in quei momenti di incomprensioni, di pregiudizio inopportuno. Se non ci fosse stato lui, probabilmente, avrebbe troncato la sua storia con Rei in un batter d'occhio. Eppure, in quel preciso istante, il rimorso era padrone del suo animo. Era un periodo in cui alla notte faticava a prendere sonno, in balia com'era dei mille pensieri che alloggiavano nella sua mente.

Si sedette pesantemente sul divano, abbassando il capo su uno dei tanti cuscini che lo occupavano. Fece per accendere la televisione, ma un improvviso rumore proveniente dal corridoio la fece sobbalzare e irrigidire. Non ebbe la forza di dire o di fare qualcosa, perché la paura di non essere sola la stringeva fortemente a sé, mozzandole il respiro.

Riprese confidenza con il proprio corpo poco dopo, cercando di sgombrare la mente da pensieri inquietanti, e si alzò dal divano. Si diresse a passi lenti in corridoio e accese la luce: vuoto. Non sembrava esserci nessuno, ma come si girò per tornare indietro la luce si spense con un click e qualcuno la spinse bruscamente in terra.

Accadde tutto troppo in fretta perché potesse rendersi conto di cosa stesse succedendo: una figura non meglio identificata cominciò a riempirla di calci e pugni, mentre lei urlava per quel dolore ingiusto e immeritato.

“Ti prego, basta!” urlava Salima mentre cercava di coprirsi il viso con le braccia. Il suo aggressore non sembrava averla sentita, difatti continuava a colpirla. Poi estrasse dalla tasca interna della giacca un lungo e grosso coltello e lo avvicinò in pochi attimi al viso della ragazza.

Salima si sentì il sangue raggelare, il cuore le mancò di un battito e il suo petto sembrò diventare improvvisamente incapace di gonfiarsi per permetterle di respirare. “No, ti prego! Non farlo!”

La lama tagliò la carne tenera del suo collo, immergendo ben presto Salima in una pozza di sangue. Non ci volle molto prima che smettesse di rantolare e le sue labbra si piegassero in una posizione amorfa, semi-aperta. Il suo assassino si curò di abbassarle le palpebre.

“Non esiste perdono per il tradimento.”

*

Hilary fece ritorno a casa, sentendosi più stanca che mai. Kei l'aveva gentilmente accompagnata, ma si era rivelato fin troppo strano e taciturno anche per i suoi canoni. Era davvero imprevedibile e lei stava iniziando a stancarsi di continuare a corrergli dietro cercando di capire che cosa gli passasse per quella testa dura. Era scesa dalla macchina, salutandolo freddamente. Ogni volta che c'era Yurij nei paraggi diventava improvvisamente strano. Iniziava a non tollerare più una situazione simile, presto si sarebbe lasciata andare all'insano impulso di andare a parlare direttamente con Ivanov. Non aveva nulla contro di lui, specie dopo averlo sentire ammettere di pensarla come lei. In un certo senso, quelle parole le erano state di profondo conforto: non si era più sentita sola ed incompresa. Era stato come uscire da una malattia mentale per lei.

Entrò dentro la sua camera e si lasciò ricadere a peso morto sul letto. Si chiese per quanto tempo ancora avrebbe dovuto soffrire, quanto ancora sarebbe passato prima che le cose avessero ricominciato ad andare per il verso giusto. Trattenne le lacrime, perché era consapevole che se si fosse lasciata andare ad un pianto non si sarebbe più fermata. Doveva essere forte, e lei lo era. Lo era stato per tutto quel tempo e doveva continuare ad esserlo. Doveva farlo per se stessa.

Il suo telefono cominciò a squillare, lasciandola del tutto sorpresa. Non si aspettava di ricevere chiamate, specie a quell'ora. Prese il telefono curiosa e rispose: "Pronto?"

"Hilary? Sono Rei." Il tono di voce del ragazzo le parse fin dal primo momento in cui lo sentì tremolante, forse rotta da un pianto che cercava di trattenere.

"Ciao Rei! Va tutto bene?"

"Non ho molto tempo. Devi correre a casa mia, è urgente."

Hilary sentì il cuore mancarle di un battito. Un brutto presentimento prese a tormentarla. "Che cosa succede?"

"S-si tratta di Salima. L'hanno trovata m... morta."

A quel punto la presa di Hilary sul telefono cedette: lasciò che ricadesse sul pavimento, seguito da un rumore fastidioso. Il suo sguardo si perse nel vuoto. "No, non può essere... Non di nuovo..."

*

Le sue mani tremavano. Trasse un lungo respiro e lasciò fuoriuscire l’aria lentamente. Entrò dentro la doccia, cercando di lavare via dalla sua pelle il sangue della sua ultima vittima. "Tutte puttane." mormorò, sorridendo sinistramente. Sapeva che la sua giornata non era ancora terminata. Aveva lasciato una cosa molto importante in sospeso.

  
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