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Autore: Subutai Khan    20/08/2013    1 recensioni
Questa è l'idea più malata che mi sia mai venuta in testa, e chi mi segue conosce lo standard. Sì, è peggio di quella. E di quella. E pure di quell'altra.
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Shinichi Ono sta tornando a casa dopo una dura giornata scolastica. Per strada, in quel momento sgombra di altre forme di vita bipedi, incoccia contro un ragazzo che non ha mai visto prima.
Stringetevi per bene, saranno capriole.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akane Tendo, Genma Saotome, Nuovo personaggio, Ranma Saotome, Shan-pu
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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22 marzo 2009.
“Noooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo!”.
Schizzo in posizione eretta, sudata fradicia.
Frittata fatta. Per stanotte non si dorme più.
Ho sognato Akane dopo il suo combattimento.
Era da un bel po’ che non mi succedeva. Sin da quando la sua versione più giovane mi ha perdonata.
Da quel momento la sua ingombrante presenza onirica non si era fatta più viva, concedendomi delle notti tranquille. Fino ad oggi.
Mi strofino gli occhi e cerco di asciugarmi. Tanto vale alzarsi, di riprendere sonno non se ne parla. Anche se non lo sperimentavo sulla mia pelle da un anno e mezzo, oramai, ricordo bene le conseguenze: un sano pianto espiatorio, una camminata a vuoto per i tavoli del Nekohanten e l’alba che sopraggiunge.
Quasi quasi scendo di sotto per recuperare qualcosa da sgranocchiare.
E così hai deciso di tornare a infestare i miei pensieri quando sono in fase REM, eh? Mi piacerebbe chiederti il perché, credevo avessimo raggiunto una tregua in tal senso. Io ho fatto l’unica cosa concessami, cioè gettarmi in ginocchio a peso morto implorando pietà per le mie malefatte, e tu in cambio te ne saresti rimasta sulla tua nuvoletta di beatitudine senza infastidirmi più.
Cos’è cambiato ora?
Vabbè, inutile frignare su quel che è stato. Sei arrivata e, abilissima com’eri fino a qualche tempo fa, mi hai completamente privata di ogni possibilità di riposare decentemente.
Non che tu abbia di botto perso il diritto di poterlo fare. Continuo a non darmi pace fino in fondo per quel mio essere stata così appagata, così infame... così fottutamente stronza. L’assoluzione di Akiko, che chiamerò così per distinguervi, mi ha di sicuro alleggerita dal peso ma non l’ha portato via del tutto. Niente potrà mai riuscirci.
Solo la feccia trae godimento dalla morte di un’altra persona. E io l’ho fatto.
C’è qualcosa di marcio in me. Qualcosa che temo non se ne sia andato nonostante i proclami di pentimento, che comunque sono onesti e sentiti.
No ok, adesso basta veramente Shan-Pu. Girare il cacciavite nello squarcio che ti sei fatta da sola nel cuore non ti aiuta. A meno che, con la parola aiuto, tu non intenda escogitare un sistema rapido e possibilmente indolore per suicidarsi.
Non lo voglio, no.
Andiamo a prendere questo snack vampiresco, và.
Mi alzo, indosso la vestaglia, inforco le ciabatte e mi avvio.
Quando sono in cima alle scale, accingendomi a scenderle...
Uhm.
Qua qualcosa non va.
Percepisco... una presenza.
Cavolo, spero di sbagliarmi. Non sono nelle condizioni migliori per poter stendere qualcuno. Psicologicamente e, soprattutto, per come sono vestita.
Sto per urlare il più classico dei “Chi va là?”, ma poi decido che è poco prudente. Se davvero non sono sola meglio che non si accorga che io me ne sono accorta.
Preferisco far finta di niente, rizzare le antenne e tenermi pronta a ogni evenienza.
Vado verso il frigorifero della cucina. Lo apro e lo scruto alla ricerca di qualcosa di buono che possa farmi compagnia, perché si sa che a noi ragazze fa bene affogare i dispiaceri in una gigantesca vasca di gelato. Per fortuna, però, io non sono una mocciosa di una commediola americana e non tengo quelle bombe caloriche nel mio congelatore. Quindi mi sa che dovrò abbozzare.
Anzi, nemmeno. Non c’è nulla di minimamente stuzzicante qui.
Lo richiudo sbuffando.
...
Ancora. Ho sentito di nuovo quel flebile ki che si spostava.
Non riesco a impedirmi di non muovere un muscolo, potenzialmente facendogli capire che l’ho beccato.
E sia. Giochiamo a carte scoperte, che il ruolo della finta tonta non mi è mai piaciuto.
“Avanti, intruso. Mostra la tua brutta faccia”.
Nessuna risposta.
“Puoi venire fuori. Se lo fai ora ti prometto che te la caverai con solo quattro o cinque ossa rotte”.
Niente.
“Cos’è, hai voglia di giocare a nascondino? Alle quattro e mezza del mattino? Pensavo che voi malviventi aveste metodi migliori per passare il tempo”.
Non un suono.
Sono convinta di non essermi sbagliata, qui c’è qualcuno che mi sta osservando. E probabilmente sta ridendo di me.
“Feh. Il mio Umisenken non è più infallibile come una volta”.
Questa voce... Genma.
Mi rilasso. Per quanto non sia entusiasta di una sua intromissione, perlomeno so che non ho nessun combattimento di fronte a me. Anche perché, in tutta sincerità, sono parecchio arrugginita. Avrei faticato.
Mi appare davanti all’improvviso, una mano sulla nuca. E ha il buon gusto di mostrarsi imbarazzato.
“Come... come hai fatto?” chiedo stupita. Con gli occhi controllo che non indossi il mantello dell’invisibilità. E sì, penso proprio che la signora Rowling abbia tratto ispirazione da uno dei tantissimi oggetti dotati di poteri mistici che tengo in cantina. Ma no, non porta niente del genere.
“Umisenken. È una tecnica che ho elaborato molti anni fa. Permette di celare completamente la propria presenza. O almeno, lo faceva quando ero al meglio. A quanto pare non è più questo il caso”.
“In effetti no, mi sono accorta pressoché subito del fatto che c’era qualcuno a gironzolare per il ristorante”.
“Sono invecchiato e fuori forma”.
“La seconda vale anche per me, sappilo”.
“Oh dai, sei ancora nel pieno delle forze e...”.
“Genma, cosa ci fai qui a quest’ora? E perché non volevi farti vedere?”.
“Uff. Ti scoccia se ci sediamo?”.
“Prego”.
In pochi istanti ci siamo accomodati.
“Bene Genma, cosa ti ha portato a calarti nel ruolo del topo d’appartamento?”. Cerco di nascondere l’irritazione, perché mi sembra logico che il trovarmelo qui non mi riempia di felicità.
“Faccio che togliermi il dente: mi sono introdotto furtivamente in casa tua per...”.
Si interrompe. Pare cercare le parole più adatte.
Fai con comodo, tanto non ho fretta. Non vado da nessuna parte, men che meno a letto. Zero voglia di osservare il soffitto.
“Mi vergogno come il peggiore degli scassinatori di periferia”.
“Cosa che, in questo momento, in realtà sei”.
“Incasso la frecciata, non posso negarlo. Volevo... volevo prendere l’Artiglio”.
L’Artiglio della Chimera? L’artefatto che concede qualunque desiderio gli venga chiesto al prezzo di una parte di sé e di un ulteriore pagamento non ben identificato ma che è sicuramente qualcosa di molto poco gradevole? Lo stesso artefatto per cui sei senza occhi? Ti si è fuso il cervello, nonno.
“Per cosa?”. Metto più durezza del dovuto nella voce. Non mi piace che si scherzi su queste cose.
Si distende all’indietro sulla sedia prima di rispondermi: “Shan-Pu, al contrario di Akane ed Akira io non posso restare qui. Conosci il motivo. Ho perso quindici mesi bloccato in questo mondo. Il sistema del maestro Happosai è troppo aleatorio, troppo impreciso. Se ti ricordi il discorso che abbiamo avuto a casa Ono non mentivo quando ho detto che ero d’accordo col punto di vista di Akane. Però ero, sono talmente disperato che mi è balenata in testa quest’idea. Alla quale, nonostante tutto, non ho rinunciato. Solo che ora sono messo nella posizione di dovertelo chiedere, invece di poter fare da me”.
Akane... sbaglio a considerarti una specie di angelo custode? Perché adesso la tua venuta nei miei incubi ha improvvisamente assunto un senso.
Sono stata la peggiore testimone possibile e tu mi aiuti lo stesso, se quel che penso è vero? Grazie. Non ti merito.
“Per favore, dimmi che è solo frutto di una settimana in cui non hai mangiato né bevuto nulla. Non posso credere che tu voglia davvero sottoporti per la seconda volta a una simile idiozia”.
“No, a dire il vero è il frutto di una settimana in cui non ho fatto altro che rivedere le facce dei miei parenti subito dopo il loro assassinio. Ovunque mi girassi c’erano ad accogliermi Nodoka affogata nel laghetto, Kasumi eviscerata sul tavolo, Soun col collo piegato di novanta gradi, Nabiki e la sua testa che avevano creato una scultura d’arte moderna assieme al corrimano delle scale, Akane che aveva ben altri graffi e tagli rispetto a quello che porta adesso con orgoglio, Ranma con una spada nel petto. Santi kami....”.
Se non fossi a stomaco vuoto vomiterei.
Non credo a quanto ho appena sentito. Non ci credo. Non posso crederci. Non voglio crederci.
Da una parte penso che dovrei farmi toccare di meno da questo racconto degno dello Zio Tibia, io sono quella che ha visto alcuni di loro morti ai suoi piedi. Ma non così. E poi loro erano consapevoli, avevano deciso di propria volontà. Di certo non si può dire lo stesso di quelli a cui si riferisce lui.
“Io ho paura, Shan-Pu. Quelle immagini hanno preso ad ossessionarmi, da un po’ di giorni a questa parte. È come se il mio subconscio mi spronasse a tornare dove dovrei essere, cioè nel mio 1989, per poter cancellare quest’orrore dalla storia e soprattutto dalla mia testa. Per questo ho assoluto bisogno di quell’oggetto. Devo poter essere sicuro del punto di atterraggio”.
Gli scosto una lacrima da sotto gli occhiali. Pare non essersi nemmeno accorto di aver cominciato a piangere. E non chiedetemi come possa farlo, non so rispondervi e nemmeno ci tengo a scoprirlo.
Tanta determinazione e tanta angoscia mi fanno vacillare. Razionalmente so benissimo che l’Artiglio andrebbe sigillato e buttato in fondo all’oceano, dove non può nuocere a nessuno; emotivamente, invece, capisco il dilemma di quest’uomo e non oso immaginare cosa vorrebbe dire trovarsi al suo posto.
Dentro di me si scatena un conflitto termonucleare.
La mia parte razionale dice: “Genma, non ti posso permettere di gettarti via in questo modo scriteriato. Che cosa puoi ottenere se ti ripresenti al dojo Tendo del tuo 1989 senza un braccio e, per ipotesi, l’incapacità di poter spiccicare un discorso sensato? Come pretendi di evitare quell’immane tragedia se non siamo neanche sicuri che sarai abbastanza in te da poterlo fare?”.
Senza preavviso prende le mie mani fra le sue e mi fissa dritto negli occhi. Fortunella me che li ho.
“Conto sul tuo buon cuore. Fra tutti coloro che sanno di noi tu sei quella che può capirmi meglio, visto che hai vissuto in prima persona un altro evento atroce come il Torneo. Sai cosa vuol dire toccare il cadavere di una persona cara, sentirne il polso freddo e senza battito, vederne gli occhi vitrei, annusare l’odore della vita che evapora lentamente di fronte a te. Ma io posso rimediare perché il loro momento non era ancora giunto. La mia famiglia non doveva morire in quel modo. So che le due situazioni hanno le loro differenze, ma non puoi negare che abbiano anche parecchie similitudini. Solo io e te, nella nostra cerchia, conosciamo davvero il significato di queste mie parole. Le tue pupille riflettono la comprensione che alberga in te. Ed è su quella che faccio leva per ottenere ciò che desidero. Quello di cui ho più necessità dell’aria. L’Artiglio della Chimera, l’unica cosa che può darmelo con certezza”.
Maledetto farabutto. Non è corretto premere quei pulsanti.
Non voglio essere complice di questo azzardo. E nel contempo voglio, o quantomeno sono disposta a girarmi dall’altra parte e augurargli tutta la buona fortuna di questo e degli altri mondi.
Suggeritemi l’azione migliore. Da me non sono in grado di deciderla. Entrambe le opzioni hanno i loro punti di forza che premono nella mia scatola cranica, urlando e strepitando. Mi farete venire un mal di testa colossale, bastardi.
Più lo guardo in faccia e più la mia corazza di logica si incrina, si piega, si deforma. Quell’espressione miserabile saprebbe perforare una lastra d’acciaio e io, anche se mi piace atteggiarmi, sono più fragile. Parecchio più fragile. Specialmente stanotte.
Butto lì qualche altro ammonimento generico sempre meno convinto e lui risponde con la stessa tiritera, che sarà poco varia ma non perde di certo in efficacia.
Mi sta convincendo. E una parte di me ancora abbastanza forte cerca di opporsi come può, ottenendo qualche risultato. Perché riesco, con l’ultimo barlume di lucidità ancora in mio possesso, a posticipare di un giorno. Non ventiquattr’ore esatte, vorrei riuscire a riposare più di otto minuti in due giorni.
Domani sera ci ritroveremo qui e gli saprò dare la mia risposta. Spero.
“Dimmi almeno che ne parlerai con Kasumi e gli altri, ti prego. Non farti carico di questa cosa tutto da solo, ti schiaccerebbe” gli dico, nella debole speranza che loro sappiano convincerlo a ripensarci. Riuscendo dove io adesso ho clamorosamente fallito.
“Qualcosa dovrò pur riferire se poi, come auspico, tornerò da dove provengo. Non me la sento di sparire così, da un giorno all’altro, senza il minimo preavviso. Anzi, se non fosse così tardi telefonerei seduta stante”.
“Ecco, è tardi. Perché non te ne torni a letto pure tu?”.
Pure tu? Non hai l’aria di una che ha dormito bene, cara mia”.
“Niente che ti riguardi. E ora su, smamma. Hai disturbato abbastanza”.
“Ne convengo. Ti chiedo ancora scusa per l’intrusione”.
“Sì sì, va bene. Buonanotte, Genma”.
“Buonanotte, Shan-Pu, e cerca di recuperare almeno un paio d’ore di sonno”.
“Non accadrà”.
“Come mai?”.
“Akane è passata a trovarmi. La... mia Akane”.
“Oh”.
“Eh. E quando succede significa nottata in bianco”.
“Mi... mi spiace”.
“Dillo a me”.

*

Mi appoggio al bancone, sfiancata. È stata una giornata terrificante. Un’orda di clienti come non se ne vedevano da tempo.
Ci sono rumori vari, dalle ultime persone che se ne vanno chiacchierando ai miei camerieri che cominciano a riordinare. Cosa credevate, che tenessi un ristorante così grande da sola? Non ho tutta questa voglia di morire di stanchezza a meno di quarant’anni. Perché poi, se me li posso tranquillamente permettere e danno una grossa mano?
Qualcuno mi tocca il lobo dell’orecchio sinistro.
Se non fossi ridotta così ti spezzerei le braccia e te le farei ingoiare, Shinji.
“Quante volte ti ho detto di non farlo?” ringhio con la poca forza rimastami.
“Eddai Shan-Pu, mi diverto troppo a infastidirti. Specie quando sei sciolta dalla fatica e non puoi contrattaccare neanche volendo”.
Non mi muovo nemmeno, ma so bene che adesso lo stronzetto sta sorridendo.
“Ringrazia che mi servi e che nonostante tutto mi sei simpatico, altrimenti un bel calcio nel deretano non te l’avrebbe risparmiato nessuno”.
“Me la faccio proprio sotto, guarda. In queste condizioni non faresti paura nemmeno a degli gnomi pacifisti”.
“Va bene. Domani non presentarti a lavoro, sei licenziato”.
“Farò comunque lo sforzo. Voglio che mi sbatti la lettera in faccia”.
Pfff. Non riesco nemmeno a spaventare un dipendente con una minaccia farlocca. Sto veramente messa male.
“Che fai, Shan-Pu? Flirti con un ragazzotto?”.
...
“Non ti facevo pseudo-pedofila, considerata la sua età”.
...
...
“Quanti anni avrà? Meno di venti?”.
...
...
...
...
Peggio di quanto pensassi.
Devo essere sul punto di svenire. Ho le allucinazioni uditive e sento Mu-Si che mi parla.
“Alza la testa invece di fare la miscredente”.
Allucinazioni che continuano. E mi danno ordini.
E alziamo ‘sta testa. Cos’ho da perdere, sanità mentale a parte?
...
...
...
...
“Ciao Shan-Pu. È da un bel po’ che non ci si vede”.
Non... non... non...
Una mano sulla mia spalla. Di carne, ossa e sangue.
“Tutto bene, Shan-Pu?”.
“Shinji... per favore, lasciami sola...”.
“Sicura? Ti vedo...”.
“Vai”.
“Cooooooooome vuoi”.
Attendo che il locale sia deserto.
Non muovo un muscolo. Esausta e scioccata come sono sarebbe un’impresa impossibile.
Senza staccargli gli occhi di dosso un solo momento. E lui ricambia sorridendo, uno di quei sorrisi leggeri e senza preoccupazioni.
Ci vogliono circa dieci minuti prima che tutti sbaracchino. Shinji mi estorce la promessa di farmi una lunga e rigenerante dormita che domani, nonostante gli abbia intimato di non tornare, non vuole vedermi così fragile.
Fosse solo la carenza di sonno, piccolo.
“Va bene, adesso non c’è nessuno che può prenderti per pazza. Possiamo parlare”. Si avvicina e poggia le sue braccia quasi invisibili sul bancone, usandole per reggersi la testa.
“Mu-Si... io... non credo a quanto vedo...”.
“Credici. D’accordo che in vent’anni è la prima volta che mi è concesso di venire a farti visita, però è molto difficile ottenere un permesso. Sanno essere parecchio testardi”.
“Un... un permesso?”.
“L’aldilà è più complesso e meno piacevole di quanto potresti immaginarti. Ma non sono qui per parlare dei miei fastidi burocratici, che oltre ad essere fuori luogo ti annoierebbero. Sono qui per ben altro motivo. Però lasciami dire che mi aspettavo un’altra reazione e sono un po’ deluso”.
“Pensavi mi sarei messa ad urlare, spaventata a morte dalla tua improvvisa apparizione? Ingenuo. Ok, non me lo aspettavo e lo shock mi ha colpita forte, ma ho visto abbastanza cose strane per non lasciarmi sconvolgere più di tanto. A cominciare dal Torneo fino al nostro problema attuale”.
“Akane, Akira e Genma vero?”.
“Deduco che lassù abbiate un’eccellente visibilità”.
“Chi ti dice che vengo da sopra?”.
“Mu-Si...”.
“Scherzavo, scherzavo. Ma sì, non ci possiamo lamentare del segnale e dell’ampio bouquet di canali. Ed era proprio a loro tre che mi riferivo prima, in special modo all’anziano signore senza occhi”.
“E alla questione dell’Artiglio, presumo”.
“Uffa. Non sei per nulla divertente, te l’ha mai detto nessuno? Non posso neanche atteggiarmi a misterioso fantasma che torna nel mondo dei vivi con un messaggio criptico da comunicare”.
“Sono troppo vecchia per queste buffonate. E ho troppa esperienza per cadere in un simile, patetico cliché. E in questo momento sono troppo stanca per darti corda. Piuttosto, perché sei davvero qui? A voi morti cosa frega di quel che succede da questa parte?”.
“Quanta rudezza da parte tua. Potresti anche mostrare un po’ più di entusiasmo nel rivedermi dopo tutti questi anni”.
“Potrei. Non lo farò. Ho già abbastanza pensieri per la testa senza stare a preoccuparmi della sindrome dei sentimenti offesi di uno spirito”.
“Sempre la solita stronza”.
“Se lo dici sorridendo non ci fai una gran bella figura, Mu-Si”.
“Sai com’è, essere fatto di pura aria ti concede una tranquillità... ultraterrena”.
“Se tu potessi farlo, adesso ti chiederei di abbracciarmi”.
“Mi getterei su di te come un bambino che ritrova la mamma dopo essersi perso per un giorno intero”.
“Lo so. Hai sempre la stessa faccia da anatroccolo innamorato”.
“Io vorrei essere incazzato con te, Shan-Pu. Seriamente. Ci ho provato. Ma non ci riesco, neanche a distanza di vent’anni. Dicono che il tempo sedimenti ciò che passa sotto di sé e nel mio caso è vero, perché nonostante il tuo comportamento nei nostri confronti durante il Torneo io non posso fare a meno di sentirmi come uno scolaretto che sospira dietro alla ragazza più carina della classe. Bada però, questo non toglie che mi renda pienamente conto di quanto poco simpatica sei stata in quei frangenti. Il solo fatto che non possa e non voglia fartela pagare non vuol dire che non lo sappia”.
“Se hai aspettato due decenni per farmi la paternale hai proprio sprecato il tuo tempo. Sono tutte cose che so, meglio di quanto credi. Inoltre, non eravate voi che avevate un gran bel segnale?”.
“Sì, so che tu sai che io so. Volevo solo sottolinearlo una volta di più”.
“Lezione recepita. E ora, potresti gentilmente spiegarti per bene? Non ho ancora capito cosa ci fai qui, esattamente”.
“Certe cose non cambiano neanche quando schiatti, tipo tu che mi bistratti. Mi fai salir la voglia di infilarti una mano nel petto e stringerti il cuore”.
“Sì sì, va bene. Nel caso non te ne fossi accorto sono leggermente stressata e indebolita, quindi prima ce la sbrighiamo qui e meglio è per tutti”.
“Ok, ok. Quanta fretta. Lasciami rimirarti un po’, diamine. Comunque, cercando di essere seri... il motivo della mia venuta è piuttosto semplice. Volevo solo consigliarti di permettere a Genma di usare l’Artiglio”.
Ecco, ci mancava il parere di un pazzo furioso trasparente.
“Cosa ti salta in testa, è lecito saperlo?”.
“Non mi salta in testa niente, è solo ciò che penso onestamente”.
“E sentiamo, perché secondo te dovrei far così?”.
“Quell’uomo ha fatto la sua scelta. Sei libera di non essere d’accordo, ci mancherebbe, ma non hai nessun diritto di importi fino ad ostacolarlo attivamente”.
Sono circondata da squilibrati, vivi o morti che siano.
“Si dà il caso, caro mio, che l’Artiglio non sia di sua proprietà. E io ho l’ultima parola per un suo eventuale uso”.
“Vero. Per questo sto cercando di convincerti a farti da parte”.
“Non vedo la minima logica in quel che dici. Ma lo sai o no cosa potrebbe succedergli?”.
“Potrai non vederci logica, ma ci vedi del senso. Noi cari estinti possiamo manifestarci solo dopo lunghe code e un sacco di mal di gambe per il troppo stare in piedi, ma ti assicuro che se vogliamo non ci sfugge neanche un pensiero di quanto accade da queste parti. E io ti ho vista stanotte. Ho visto il tuo tormento interiore. Ho visto che, a un livello più profondo, comprendevi la sua pena fin troppo bene”.
“Essere empatici con qualcuno non significa dargli carta bianca per suicidarsi”.
“Non è così e lo sai. È vero, con l’Artiglio rischia moltissimo e probabilmente non sarà mai più lo stesso. Potrebbe persino morire. Ma dimmi, questo non ti ricorda nulla?”.
Piccolo bastardo immateriale...
“Parli... di voi sette?”. La mia voce è molto meno salda di quanto mi piace.
“Proprio di noi sette. Proprio come lui noi abbiamo deciso di nostra sponte e abbiamo portato fino in fondo le conseguenze delle nostre azioni. E anzi, rispetto a noi lui non è automaticamente, totalmente condannato. Potrebbe riuscire a scamparsela in qualche modo, o forse trovare un rimedio o che ne so io. Resta il fatto che Genma non era bugiardo quando ha detto che ci sono molti parallelismi fra la nostra situazione all’epoca e la sua attuale, perché è così. Li vede lui e li vedo anch’io, e non sono il solo nel nostro gruppetto. I miei compagni la pensano esattamente allo stesso modo. Specialmente Akane”.
Il solo citare quel nome mi rende le ginocchia di pastafrolla. Dopo stanotte non potrebbe essere diversamente.
“Oh Shan-Pu, non fare così. Lei ti ha perdonata. Del tutto. Non ti porta il minimo rancore per quanto è successo. Certo, quando è arrivata era un pochino alterata...”.
“Perché la cosa non mi stupisce?”.
“Perché la conoscevi. E ti sei resa conto che, vostri motivi di contrasto a parte, non era poi una così pessima persona. Era capace di saper superare i difetti, propri ed altrui. Se lo aveste voluto sareste potute essere non dico amiche, ma civili a sufficienza da non spaccarvi i tavoli in testa. Ma non farmi divagare, che il tempo a mia disposizione comincia ad essere pochino”.
“Ah, avete anche le scadenze?”.
“Cavolo se ce le abbiamo. E non mi va proprio di farmi prendere per le orecchie da Arnold e farmi sbatacchiare come un bambolotto di peluche”.
“Arnold?”.
“Il nostro funzionario di quartiere. Un tizio poco raccomandabile”.
“... non voglio sapere. Prosegui, dai”.
“Quel che avevo da dire in realtà l’ho detto. Se però vuoi posso alzare il tiro ed essere brutale”.
“Morire ti è servito a qualcosa. Ti ha fatto crescere della spina dorsale”.
“Ah ah ah ah ah. Spiritosa. Allora lo sarò senza neanche chiederti il permesso: tu non sei nessuno per impicciarti di fatti non tuoi. Si tratta del suo mondo, della sua vita e della sua famiglia. Se ha davvero deciso di gettarsi nel cesso pur di avere anche solo una vaga speranza di scongiurare quell’evento luttuoso non puoi, proprio non puoi mettergli i bastoni fra le ruote. È un problema suo e solo suo che, purtroppo, richiede una soluzione estrema. E visto che non siete arrivati a nulla di meglio, pur dopo un anno e mezzo di studio matto e disperatissimo, le sue alternative si sono ridotte o a morire qui di vecchiaia, o di tornare a casa sua usando quel diabolico aggeggio. L’ipotesi marchiata Happosai credo sia saggio lasciarla lì dov’è, c’è troppa disparità fra risultato e cose che potrebbero andare storte. Sappiamo tutti che è un rischio enorme, eppure ha deciso di non farsi toccare dalla cosa e sta puntando all’obiettivo. Se hai un briciolo di buon cuore, per mancanza di un’espressione migliore, ti scosterai e gli darai l’Artiglio. E io so che ce l’hai, ben più di un briciolo”.
“Ma voialtri almeno capite perché resisto così strenuamente?”. Meno male che l’ultima volta ho pianto all’arrivo di Akane, più tempo passa fra un episodio e l’altro e meglio sto. Ho ancora la mentalità amazzone, dopotutto.
“Certo. Non siamo stupidi. Ti sei affezionata a lui. E ad Akira. E ad Akane. Specialmente ad Akane. Quindi, dal tuo punto di vista, posso dire di capire perché ti opponi. Ma così facendo agisci per il tuo vantaggio, non per il suo. Che poi il vantaggio, nella situazione particolare, sia relativo è un altro discorso che non c’entra e non dipende da nessuno dei coinvolti. Lo fai perché... non so, non vuoi che esca dalla tua vita?”.
“E-esatto...”.
“Lui non è di queste parti, però. Dai, non sei una bambina dislessica a cui bisogna spiegare con le dita come si fanno le addizioni. Ci arrivi da sola, anche senza il mio tutoring”.
“Tralasciando che la dislessia è tutt’altro... sì, il tuo paragone è chiaro. Quel Genma Saotome non appartiene a questo mondo, non l’hai mai fatto e non lo farà”.
“Eggià. Io non credevo che fossi arrivata a un tale punto di solitudine, Shan-Pu...”.
“No, non sono così tanto disperata. Cioè, è vero che non voglio che se ne vada ma non per quel motivo. Non solo. Ho davvero timore di quello che potrebbe succedergli. Due usi consecutivi dell’Artiglio sono inauditi, il più delle volte uno basta e avanza per mandarti agli antenati”.
“L’età ti ha proprio ammorbidita. Ti guardo e in te c’è davvero poco della ragazzina testarda, orgogliosa e non disposta a scendere a compromessi. Non che sia un male”.
“Nella prossima vita cercherò di non maturare man mano che cresco, allora”.
“Scema”.
“Scemo tu”.
“Ehi, che fai? Perché...”.
“Taci, papero!”.
Cala il silenzio.
Del tutto sovrappensiero ho afferrato un bicchiere d’acqua che stava a pochi centimetri da me e gliel’ho scagliato addosso. Ovviamente gli è passato attraverso andando a rompersi per terra.
In quei venti secondi non avevo trentasei anni, bensì sedici. E ho pensato che Mousse fosse vivo.
I fatti parlano chiaro e dicono molte cose interessanti: ogni tanto si agisce senza riflettere; Mu-Si è rimasto un idiota uguale a se stesso; loro sette, tutti e sette, anche quelli che in vita sopportavo poco e male, mi mancano. Molto più di quanto sospettassi. E a distanza di vent’anni la cosa assume ombre preoccupanti.
Ci penserò poi.
“Cacchio, è già ora. Il mio tempo è quasi scaduto” dice, facendo palesemente finta che con l’acqua non sia successo nulla. Fai l’imbarazzato da morto? Sul serio?
“Di già? Quanto sei stato qui, cinque minuti?”.
“Non so che dirti. A parte ribadire che stasera, se la mia fiducia in te è ben riposta, gli lascerai usare l’Artiglio”.
“Vedrò. Mu-Si...”.
“Dimmi. Ma in fretta”.
“Ringraziala per stanotte”.
“Oh. Lo farò, non temere. Certo che...”.
“Che?”.
“Non posso fare a meno di rimanerci male vedendo come il centro della tua vita sia sempre qualcun altro. In vita era Ranma, in morte è Akane. Mai io”.
“Mi... mi spiace... dev’essere perché lei è stata l’ultima e si è impressa con maggior forza nella mia mente... ma ora che mi ci fai pensare... se è d’accordo con Genma perché mi ha svegliata?”.
“Credo perché, anche se la pensa allo stesso modo, non voleva fargli commettere impunemente una delle sue solite azioni da vigliacco. Vuoi usare l’Artiglio? Bene, capisco il perché e approvo. Però lo fai alla luce del sole, parlandone con la proprietaria, e non nascondendoti nelle ombre come il più spregevole dei ladri. Penso ci abbia messo mano anche Ranma ma non ne sono del tutto sicuro. Cazzo, è proprio ora. Ti devo salutare, Shan-Pu”.
Muove la mano nel più classico dei gesti di arrivederci. Sorride.
Pare sereno. D’altronde è lui quello morto, che preoccupazioni può avere?
“Ci sottovaluti, cara mia”.
Uh?
“Te l’avevo detto che possiamo leggere anche i pensieri dei vivi”.
“Sareste delle spie ineguagliabili”.
“Eh sì, lo saremmo. Addio”.
“Addio? Non... non tornerai più?”.
“Difficile. Ma mai dire mai. E comunque si tratta solo di una manifestazione più o meno fisica. Noi in realtà siamo sempre nei paraggi”.
Pian piano i suoi contorni si fanno sempre più labili fino a che, inevitabilmente, svanisce.
Lascio cadere la testa sul bancone.

*

“So che me ne pentirò, fra qualche tempo. Lo so benissimo” mormoro a mezza voce mentre consegno l’Artiglio a Genma. Mezza voce ma non abbastanza bassa perché lui non senta.
E difatti risponde: “Non sei tu quella che deve pentirsene, in caso. Ti ho solo chiesto un piacere e tu sei stata abbastanza gentile da esaudirlo”.
“Taci e fai quel che devi”.
Mi giro, non voglio vedere. Scusa.
Dopo circa un minuto sento un tonfo. È l’Artiglio, caduto per terra.
Andato.
Uno dei tre vagabondi è tornato a casa sua. È una bella notizia.
Allora perché mi sento così... così...
‘Fanculo.

   
 
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