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Autore: okioki    21/08/2013    0 recensioni
Guevsse, nella parte bassa della città si enala un tanfo che rende la vita impossibile. Il tempo passa ma il puzzo ristagna nell'aria, sempiterno, a ricordare il passato a un certo Signore dei Mari i cui occhi non sono più abituati a realtà del genere...
« Qual è il tuo più grande sogno? Raggiungere la città alta? È quello che vogliono tutti i miei figli, sebbene non capisco cosa ci troviate: non è poi tanto dissimile da quella bassa.»
2^ classificata al contest "A strange Fantasy" indetto da scrapheap_sama sul forum di EFP.
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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_RAGGIUNGERE LA CITTA' ALTA_

C'era un ragazzo appoggiato al muretto che fungeva da recinzione per i laghetti d'acqua calda in cui Esmera gli aveva detto d' incontrarsi. Brandiva una lunga stecca e aveva la pelle lattea che risplendeva alla luce del sole e i tratti somatici dei roicani del tempio, quando l'intravide Lyandro rimase un po' interdetto: era raro vedere qualcuno con una pelle del genere.
Lyandro avanzò vicino al muro ma quando fece per poggiarvi una mano,quello gli frappose la stecca davanti.
Esmera l'aveva avvertito del fatto che probabilmente gli altri Orfani avrebbero cercato d'importunarlo nei primi giorni, e anche se prima di allora nessuno l'aveva fatto, Lyandro aveva già avuto a che fare con i prepotenti di Guevsse, quindi riteneva che sarebbe stato abbastanza facile mettere in riga quel queceto.
«Cosa vuoi?» domandò brusco Lyandro, guardando il roicano dalla pelle lattea in modo minaccioso.
Il queceto scosse la testa dai boccoli riccioluti e bronzei, aprendosi in un sorriso a tutti denti. «Mi spiace, non puoi passare.»
Senza perdere tempo Lyandro agguanto la stecca, stringendoci attorno la mano a pugno. «No?» domandò inclinando la testa. « E perché?» In realtà non aveva alcun interesse a scavalcare il muretto, ma il comportamento da gradasso che aveva adottato quel ragazzo lo stava facendo irritare, gli ricordava Spaquosa. Fece pressione col braccio nel tentativo di piegare la stecca di metallo. Il roicano del tempio lo guardava con un aria un poco annoiata, una novità tanto per cambiare: tutti gli Orfani della Baia si mostravano in atteggiamenti altezzosi e di superiorità. Esmera l'aveva sbeffeggiato mentre Rael aveva addirittura evitato di parlargli direttamente ai loro primo incontri, ma il sorriso del roicano che aveva davanti era differente, leggermente cattivo;se avesse fatto qualche commento offensivo sulla sua pelle l'avrebbe ammazzato, decise Lyandro guardandolo torvo.
«Mi spiace, Rael si sta facendo il bagno...»
Lyandro rimase in silenzio, aspettandosi che avrebbe aggiunto altro, ma quando non lo fece scoppiò a ridere. «E allora?» domandò, non gli sembrava altro che una scusa per infastidirlo. Era Rael che aveva chiesto ad Esmera di dirgli che voleva parlargli.
«“E allora?” Cos'è il tuo primo giorno alla Baia? Non puoi passare» gli disse il ragazzo, il sorriso cattivo era scomparso dal suo volto. Poi lo scrutò attentamente. «Ah, ma tu sei quello nuovo, mi sembrava di non averti visto spesso... Mmm, pensavo che fossi abbastanza intimo con Rael, ma sarà che mi sbagliavo. Comunque io sono Alèhan e ...»
«E perché?» lo interruppe Lyandro, stizzito. Forse se lo era soltanto immaginato la nota allusiva di quel “abbastanza intimo”.
Alèhan strattonò la lunga stecca con forza in modo da strapparla dalla presa di Lyandro, . «Cos'è? Sei sordo o vieni da una terra valtahiriana con un cavallo bianco? Non puoi passare, e sarebbe meglio che ti facessi i cazzi tuoi» replicò spazientito quello, staccandosi dal muretto. « Rael non vuole che ci sia gente in giro quando fa il bagno e ringrazia che ci sono io a dirtelo gentilmente.»
«Quindi è vero che il vostro piccolo capo?» gli chiese Lyandro sorridendo. Ci aveva visto giusto giorni prima, quando aveva capito che tra Esmera e Rael quello con più influenza sull'altra era lui.
«Capo? Vedi di stare attento a come parli» Alèhan non gradì la domanda. «L'unica a cui da ordini qui dentro è Esmera. Rael è mio amico e tanto mi basta per non farti passare da qui se lui mi chiede come favore quello di non far passare nessuno...» Gli fece un cenno di sfida, facendo dondolare la stecca da una mano all'altra. «Ma se proprio vuoi, posso insegnarti io a farti i cazzi tuoi.»
Rimasero immobili per lungo tempo, ognuno dei due aspettando la mossa dell'altro, poi Lyandro fece un passo avanti lentamente. Le sue ferite non si erano ancora rimarginate e ogni tante era colpito da fitte terribili, tanto da essere stato costretto a chiedere altre foglie d'assenzio a Esmera, e dopo qualche giorno nella Baia aveva ripreso a dimagrire a velocità impressionante; ultimamente stando a contatto di Esmera e Rael aveva sviluppato una certa tolleranza di fronte ad alcune situazioni ma era sicuro che se avesse permesso a quel Alèhan di fargli prepotenza sarebbe stato presto preso di mira anche dagli altri. Alèhan si portò la stecca alla mano destra, stringendola con forza e sorridendo come a dire “te la sei voluta tu”; Lyandro decise che gli avrebbe spaccato il naso fino e piccolo, glielo avrebbe spappolato in modo da renderlo simile al suo. Sorrise, facendo un altro passo avanti: per prima cosa gli avrebbe sventolato velocemente una mano all'altezza degli occhi per distrarlo, mentre con l'altra glieli avrebbe infilzati. Accecato dal dolore agli occhi Alèhan non avrebbe potuto fare niente, era un ottima idea solo che faticava a ricordare da chi l'avesse presa.
«Ma che succede?» Una voce distrasse Lyandro dalle sue intenzioni, proveniva dall'alto. Era Rael che lentamente stava scavalcando il muro per poi ritrovarsi a terra con loro. Le vesti lo ricoprivano del tutto fino al collo, lasciando solo le mani scoperte, e aveva i capelli mossi ancora umidi. Lyandro trovò più facile distogliere lo sguardo anche se la sensazione di disagio che aveva ogni volta che lo guardava non si attutiva, guardando Rael l'impressione era quella di guardare qualcosa d'incompleto.
«Ah, hai finito» disse Alèhan rivolgendosi a il senza orecchie. «Per fortuna. Non avevo alcuna voglia di menar le mani, quindi pensaci tu a questo. Gli ho detto che non gradisci avere nessuno attorno mentre fai il bagno, ma insisteva per fare il guardone. È proprio il tipo di persona che detesti: sembra essere uscito da quelle fiabe occidentale, uno di quei tizi spaesati che invece di scappare fanno domande su domande.»
Rael gli fece un cenno. «Grazie, ma gli ho chiesto io di venire qui» spiegò lapidario.
«Esmera mi ha detto che volevi parlarmi, si tratta del debito che ho con voi? Appena mi rimetto ti prometto che vi darò tutti i soldi e andrò da solo a prendere le erbe per quel dottore.»
Rael scosse la testa. «Non è questo» sventolò la mano con flemmatico, sembrava infastidito. «Nessun debito, non l'ho fatto per te. Anzi, voglio chiederti un favore.»
Lyandro rimase sorpreso, non si aspettava che dicesse una cosa del genere.
Alèhan scoppio a ridere, dalla sua reazione doveva essere incredulo quanto Lyandro.
«Un favore? A questo qui Rael, sei sicuro? Un tempo avevi una cazzo di classe. Dal puzzo che emana e dalla sporcizia dei suoi vestiti deve venire dall'angolo più pulcioso della città bassa!» commentò tra le risa.
Lyandro indurì lo sguardo, era vero: aveva ancora addosso il puzzo di Guevsse e della palude e portava la stessa tunica macchiata di sangue da quando l'aveva accoltellato Spaquosa, ma quel queceto non avrebbe dovuto permettersi di prenderlo in giro. Alèhan, nonostante fosse abbastanza pulito, non era migliore di tanti altri ragazzi del basso volgo: lui invece aveva qualcosa che né gli Orfani né i malavitosi di Guevsse avrebbero mai avuto.
Stava per dirglielo, ma Rael parlò prima di lui lanciando al roicano del tempio un'occhiata gelida.
«Alèhan tutte queste cose non t'importano minimamente» gli disse.
Lyandro sorrise, certo che a quel punto Alèhan si sarebbe offeso. Ma il ragazzo scrollò le spalle con fare noncurante. «Certo che non m'interessa, volevo solo che t'incazzasti per una volta ma sono rimasto deluso» sorrise sornione. «Beh, visto che non ti servo più, io me ne vado» fece una riverenza beffarda a Lyandro, prima di andarsene.
Lyandro lo osservò mentre si dirigeva all'interno della Baia, certo del fatto che se fosse rimasto solo un altro poco lo avrebbe preso a calci per il deretano.
«Un favore?» domandò poi a Rael. L'altro Orfano, al contrario di Lyandro, non la smetteva di fissarlo, cosa che gli rendeva abbastanza difficile il non guardarlo a sua volta.
«Non so come altro chiamarlo, anche se non è così. Non farai niente per niente, avrai anche la tua parte» gli spiegò Rael. «Ho visto una cosa mentre facevi a pugni con Spaquosa, hai la mano dei deviati vero?»
Lyandrò aggrottò la fronte, guardandosi i palmi della mano, non gli era mai piaciuto quel termine ma non vedeva il perché dovesse mentire. «Sì, le so usare tutte e due» ammise, non capiva dove volesse arrivare.
« Ma in realtà sei più pratico ad usare la mano sinistra» disse Rael. Non era una domanda, era un affermazione.
Lyandro annuì, chiedendosi come avesse fatto a capire tutte quelle cose guardandolo battersi con Spaquosa.
« L'ho capito da come davi i pugni, con la destra eri sempre un po' incerto e ti tremava mentre con la sinistra eri sciolto, ma usavi più la destra» gli spiegò, come se gli avesse letto nel pensiero. Poi socchiuse gli occhi, toccandosi i riccioli ancora bagnati. « Tu stai con noi ma non sei come noi» disse in un primo momento. E, Lyandro non seppe come, forse il modo in cui Rael lo disse o la suggestione che egli stesso provava verso quel ragazzo dalla bellezza difettosa lo portarono a rabbrividire. Sembrava un'accusa. Lyandro lo guardò.
«Tu hai dei genitori» continuò Rael piegando la testa, negli occhi una strana luce. «E loro ti hanno insegnato o costretto ad usare la mano destra, perché la mano sinistra è sintomo di devianza. E di sicuro sarà anche da loro che avrai preso quei principi di merda da occidentale . Ma questo a me non interessa, anche se è vero.»
Lyandro rimase in silenzio, teso come un arco, sentiva la mano sinistra tremargli impercettibilmente ed era sicuro che Rael, con la vista da falco che aveva dimostrato avere, se ne era accorto. Ma se era questo il suo modo di chiedere favori – supponendo e alludendo – avrebbe dovuto imparare a vederseli rifiutati. «E allora? Cosa c'entra con quello che mi vuoi dire?» domandò acido, sperando che la voce non gli tremasse come ogni volta che si ritrovava a parlare dei suoi genitori. Aveva fatto un gran lavoro in quei due anni per rimuovere dalla mente i ricordi spiacevoli che si portava dietro, capendo che vivere alla giornata era il modo migliore per non pensare a certi avvenimenti sgradevoli, ma avvolte bastava un suono, un odore, una parola per ricordagli cose che aveva messo in un angolo buio della memoria.
« Niente... ma è vero» ribadì Rael, la sua voce sembrava la cantilena di un serpente di palude. « Ho bisogno del tuo aiuto, in cambio tu potrai ripagare il torto subito da Spaquosa.»
«Io posso ripagarlo del torto anche da me stesso» gracchiò Lyandro in risposta.
«Ma finiresti ammazzato. Mentre io riesco a battere Quan facilmente da anni, tanto che ogni volta che mi vede si caca talmente tanto addosso che ormai ho la vittoria assicurata. Tu sei agile... ma hai quel problema con le mani. Posso aiutarti.»
«Che fine ha fatto quel “Non si fa niente per niente?”» domandò Lyandro, aveva ripreso il controllo di se stesso, riassumendo il suo tipico scetticismo.
« A me servi» gli disse Rael, nel suo sguardo a Lyandro sembrò di leggere del sarcasmo. «E questo lo faccio per me. Accetti?»
Era uno strano modo per cercare di convincere qualcuno ad aiutarlo,” meditò Lyandro infastidito, “quello di fargli notare le sue debolezze”. Poteva anche essere vero quello che gli diceva Rael, ma non vedeva in che modo avrebbe potuto aiutarlo a risolvere il problema.
« In che modo potresti aiutarmi?» gli domandò . «E inoltre ti servo a fare cosa?»
« Domande: anche se ti sei mischiato bene con noi, non hai ancora imparato come e quante farle. Anch'io so usare tutte e due le mani, posso insegnarti a usare bene la destra e a riabituarti con la sinistra, è una cazzata. A me serve un mancino» gli spiegò Rael. «Devo arrivare a qualcuno, lì a Guevsse. E intorno a lui ci sono solo persone che combattano con lo stile degli occidentali.»
« E allora?» chiese ancora Lyandro, credendo che Rael avrebbe perso la pazienza e si sarebbe infastidito.
Invece il ragazzo chinò soltanto il capo in avanti, facendosi più scuro e cupo. «Lì, oltre il mare, non sono abituati a combattere con la sinistra, e questo mi faciliterebbe molte le cose. Non avrei altro modo di batterli, gli occidentali ci vanno giù pesante con cose del tipo subito via la testa degli avversari, con le loro spade lunghe. Non tagliano i tendini o rendono innocuo un avversario, lo ammazzano subito. Sia io che Esmera sappiamo combattere con la sinistra, ma ci serve qualcun altro.»
«Fammi indovinare.» Lyandro aprì e chiuse il palmo della mano sinistra, pregustandosi l'espressione sorpresa che sarebbe riuscito a strappare a Rael. Anche lui sapeva osservare e intendere. «Lo Smaltitore.»
Rael rimase in silenzio, per niente turbato, come se Lyandro avesse detto una cosa che sapevano perfino i bimbi piccoli.
«Che offesa devi rendergli?» continuò Lyandro, arreso ormai davanti al fatto che l'avrebbe aiutato. Forse erano simili, forse anche Rael doveva ripagare un torto simile a quello che aveva subito lui.
Rael da immobile che era, fece qualche passo avanti, circondandogli le spalle con un braccio. Socchiuse le labbra, assumendo un'espressione vacua sul viso, adesso pericolosamente vicino al suo. Lyandro distolse lo sguardo.
«Tu, provi qualcosa di simile al ribrezzo guardandomi. O forse è pietà. Potrebbe essere qualunque delle due, ma se ti devo insegnare devi guardarmi» lo lasciò andare ancora prima che Lyandro potesse alzare lo sguardo su di lui per dimostrargli che se voleva poteva guardarlo.
«Che offesa dovevi rendergli?» ripeté Lyandro, guardandolo dritto negli occhi. Lì sembravano tutti fraintendere le sue intenzioni: non era compassione o ribrezzo, aveva solo pensato che guardandolo forse gli avrebbe dato qualche fastidio.
«Un' offesa? No, è solo un conto che devo regolare per la mia personale ambizione: raggiungere la città alta» disse Rael, scrollando le spalle. Eppure nelle sue parole Lyandro sembrò leggere una specie di giustificazione.
«È impossibile» disse Lyandro. Non avrebbe voluto dirlo ma era ormai diventata un'abitudine ogni volta che sentiva qualche folle dichiarare qualcosa del genere, e di solito poi le cose terminavano in una rissa.
Ma Rael non parve offeso. «Puoi pensare quello che vuoi, non m'importa. Io lo farò.» La sua voce aveva assunto una sfumatura quasi minacciosa.
Lyandro sorrise di tutta quella composta determinazione. «Ho sentito solo i pazzi dire cose del genere ad alta voce, anche se è quello che tutti in realtà vogliono. Sai che la Madre ci è stata? Ha detto che non è poi così dissimile dalla città bassa di Guevsse.»
«Anch'io ci sono stato» rispose Rael. «Non è dissimile, come dicono i saggi, in effetti.»
«Allora perché vuoi andarci?» Prima di allora non aveva mai incontrato qualcuno che ci fosse stato, e se poteva credere alle parole della Madre perché era infischiata con gente degli alti borghi, dubitava abbastanza dell'affermazione di Rael.
«Non fraintendere, a me piace vivere ad alte elevazioni dove non si sentono strani odori, non c'è altro, sono solo stufo di sentire quel tanfo ogni volta che entro a Guevsse o attraverso le paludi. Non sono come quello schifoso Smaltitore e quelli della sua specie, che vogliono quello che non possono avere e pretendono di essere migliori di quello che sono in modo da sembrare patetici. Rimanendo me stesso posso ottenere ugualmente tutto quello che voglio.»
«Nemmeno io sono come loro. Non m'interessa vivere nella città alta: voglio solo lasciare questo dannato posto e andare per mari» gli rivelò Lyandro. «Qualcuno sentendoci penserebbe che siamo due pazzi.» Ridacchiò, i suoi toni si erano fatti meno arcigni, addolcendosi perché aveva scoperto in Rael un compagno, un'anima quasi affine alla sua.
Rael rimase impassibile.
«Parli ancora con orgoglio, anche se ti lasci comandare dalle passioni. Quello che ti ha detto Esmera è vero, non puoi pretendere che tutto segua la tua “morale”. Che poi è una morale occidentale che non si adatta per niente a La Roica.»
«Io credo a quello che voglio credere» ribatté duramente Lyandro. «Ma dimmi, tu non ridi mai?» Non che gli dispiacesse in fondo: Esmera rideva anche fin troppo e per questo Lyandro non riusciva quasi mai a parlare con lei senza innervosirsi.
«Solo le puttane e gli stupidi ridono» gli rispose Rael.
Lyandro aggrottò la fronte, c'era qualcosa che gli sfuggiva: non ricordava bene, eppure gli era parso di vederlo almeno sorridere...


Aprì e richiuse varie volte il palmo della mano sinistra, per non lasciarla intorpidire.
I suoi passi risuonavano nel silenzio della notte per i corridoi deserti della Baia, complici della sua irrequietezza. Erano notti che non riusciva a dormire, strani e ansiosi pensieri gli s'infiltravano nella mente e molto spesso si ritrovava a camminare come un sonnambulo.
Erano state le parole della Madre, qualche giorno prima, a sortirgli quell'effetto. L'aveva convocato nella sua stanza perché ultimamente l'aveva notato spesso in compagnia di Rael.
«Figlio Lyandro, c'è un sentimento d'amicizia fra voi» gli aveva detto la madre dolcemente, mentre dava da allattare a un infante. «Ma sta attento, non trasformare i tuoi sogni in polvere. Tu vuoi andare per mari, mi dissi una volta. Ma qualcuno ha piegato la tua volontà, tu ami i tuoi fratelli ma non puoi sprofondare con loro. Da tempo ho detto a tuo fratello Rael di lasciar perdere la sua vendetta, convinta che ci porterà alla rovina, ma ormai è cresciuto e l'influenza che avevo in lui è scemata. Ma tu devi partire, partirai da qui a poco.» E gli aveva detto altro, dato avvertimenti su la natura di Rael.
Le sue mani erano ricoperte di calli e dure come il cuoio battuto ormai.
La mano sinistra non gli tremava più quando con il coltello sferrava i fendenti rapidi, aveva detto a Rael quella mattina quando si erano incontrati per allenarsi.
L'amico, come al solito, era coperto di tutto punto nonostante ci fosse un'afa opprimente e una corrente d'aria calda che proveniva dal mare rendesse il solo muoversi insopportabile.
Rael lo aveva guardato con la sua espressività un poco criptica, ma Lyandro lo conosceva ormai da tempo e aveva imparato a decifrare le emozioni di Rael da piccoli dettagli. Era parso compiaciuto in quel momento. «Manca poco Lyandro e avrai la tua vendetta» gli aveva detto quello, piegando le labbra nel fugace moto di un sorriso senza gioia.
Lyandro aveva annuito, anche se sapeva che Rael pensava a tutt'altro, alle sue ambizioni.
Poi non aveva avuto più tempo per pensare ad altro, Rael gli aveva dato una spada lunga e pesante, dicendogli che da quel momento in poi si sarebbero allenati nello stile degli occidentali, fatto di affondi e fendenti. La mano gli doleva, la spada valeva tutto il suo peso, ora che camminava per i corridoi della Baia. In realtà era molto tempo che non pensava in modo così ossessivo alla sua vendetta, lì alla Baia aveva trovato dei compagni, un fratello. Aveva imparato ad amare Rael, lo aveva capito e aveva cominciato ad ammirarlo, per le sue ambizioni, per il suo sangue freddo. E la prospettiva di andarsene per mari non era più allettante come la era stata un anno prima.
Rimase immobile per un tempo indefinito, la luce soffusa della luna entrava dalle finestre tracciando lame oblique e argentate sul pavimento e sulle pareti. Leccandosi le labbra Lyandro si decise a tornare indietro. Doveva andarsene: andarsene da Guevsse era tutto ciò che aveva voluto prima di avere un amico.
Mentre tornava indietro gli parve di udire un singhiozzo, e un gemito strozzato. Veniva dalla stanza di Esmera, che era quasi attigua alla sua, dove avevano passato tante notti a parlare. Si avvicinò furtivamente e socchiuse piano la porta. Guardò dentro la stanza.
Esmera era distesa sul letto, e Rael grugniva incuneato fra le sue gambe spalancate. Lyandro si sentì mancare il respiro e guardò Esmera che teneva i denti affondati nel labbro inferiore. Aveva sempre sospettato che tra i due ci fosse qualcosa del genere, ma in quel momento la scena gli sembrava compromettente, sporca. Esmera tranne per le lacrime che le scorrevano sul viso e i lievi pigolii che venivano da qualche parte nella sua gola, aveva il viso del tutto passibile. Non l'aveva mai vista piangere, l'aveva solo vista prodigarsi in sorrisi e risate per tutto il tempo che l'aveva conosciuta, non immaginava nemmeno che Esmera sapesse cosa fossero le lacrime.
Gli sembrò di udire delle parole sommesse, dette a bassa voce, atone.
« Perché mi fai questo? Avevi detto che avresti smesso.»
Un verso per farla azzittire, una mano color fango sul viso rigato di lacrime. «Sei l'unica che sia disposta ad amarmi nonostante tutto...» Rael aveva il volto piegato in un sorriso di piacere mischio a dolore.
Un improvviso odio e disgusto riempirono la testa di Lyandro, lasciandogli un sapore amaro in bocca. Ma oltre la voglia di vomitare provò qualcos'altro, una sensazione gli serpeggiò per tutto il corpo, e benché da una parte avesse voglia di precipitarsi dentro e urlare contro Rael, di cacciarlo via e picchiarlo fino a ridurlo in poltiglia, dall'altra avrebbe preferito fingere di non vedere, dimenticare – era bravo in queste cose infondo – per continuare a conservare dell'amico l'opinione che aveva. Aveva cominciato a volergli bene, e non riusciva ad odiarlo, odiava ciò che vedeva ma non odiava lui. Rimase a guardare un altro poco, respirando a scatti, poi chiuse la porta e se ne andò.
Sentiva la testa pesante, non ce la fece ad arrivare nella sua stanza, si fermò vicino alla latrina. Gli odori sgradevoli gli arrivarono al naso, facendolo grugnire, non era più abituato alla puzza che si respirava in città. Andava a Guevsse di rado ormai, svolgendo più che altro lavori al porto, ma in quel caso quello gli sembrò l'odore giusto per quella situazione: la Baia non era meno marcia di Guevsse. Chiuse gli occhi, cercando di dimenticarsi velocemente quello che aveva appena visto. Nulla doveva cambiare, non era successo nulla, lui non aveva visto nulla. Non poteva lasciarsi governare dalle proprie passioni, non poteva odiare Rael.
Fu lì, inginocchiato vicino al muro che Alèhan lo trovo.
«Ma che succede?» domandò il roicano del tempio sorpreso. «Volevo andare a pisciare e guarda chi mi trovo qui. Hai una faccia che spaventerebbe pure i morti...»
Lyandro non aveva voglia di parlare, non aveva voglia di niente in particolare in quei giorni.
«Niente» mormorò, sfuggendo allo sguardo indagatore del queceto.
«A vederti non sembra niente.»
Esasperato Lyandro glielo disse, a bassa voce, la mano sinistra gli tremava un poco.
Quando ebbe finito Alèhan aveva perso il sorriso, facendosi scuro in volto. Ma non sembrava molto sorpreso. «Ah» disse, anche la sua voce si era ridotto ad un sussurro. «Quello.»
Lyandro aspettò che aggiungesse qualcos'altro, ma non lo fece. « Tu lo sapevi» disse con tono accusatorio. Avrebbe voluto aggredirlo sdegnosamente, ma non ne aveva la forza.
Alèhan scrollo le spalle. «Non possiamo fare niente, sono caz... sono cose che riguardano solo loro.»
«Dovremmo aiutarla.»
Alèhan gli scoccò un'occhiata in tralice. «Quelli come te mi stanno proprio sulle palle. Chi sei, il giustiziere del mondo, che devi salvare tutti quelli in affanno?»
Lyandro sentendosi attaccato assunse una faccia impassibile. «Lei mi ha aiutato» disse sulla difensiva. Quando li aveva conosciuti, Rael ed Esmera gli avevano detto qualcosa di molto simile, lo avevano attaccato allo stesso modo, solo perché cercava di aiutare qualcuno in difficoltà.
Ricevette un'occhiata frustrata in cambio. «Sbagli, Rael ti ha aiutato. Da quello che mi hai detto Esmera si è solo approfittata di te» lo corresse Alèhan, innervosito. « Ma dove li hai visti poi? Qui vicino? Allontaniamoci da qui, prima che qualcuno ci senta...» Visto che Lyandro non accennava a muoversi lo prese di peso, sorreggendolo. Arrancarono lentamente, allontanandosi un poco dalle latrine.
Alèhan lo inchiodò al muro con un braccio. «I tuoi occhi non sono fatti per vivere in una città come questa...» borbottò sbuffando. Lyandro non rispose, aveva lo sguardo vacuo, anche se aveva notato che anche Alèhan appariva un poco turbato, forse si sentiva in colpa.
Il giovane si passò una mano fra i capelli bronzei. «Non giudicare Rael male. Sono cose loro, noi non ne possiamo sapere niente. Sono sempre stati degli strani fratelli, tu non puoi nemmeno immaginare, mentre io non voglio proprio, quello che ha passato Rael.»
Lyandro chinò il capo, avvolte gli era parso che Rael gli nascondesse i suoi veri desideri, ma a questo non pensava quasi mai.
«Dimmelo tu, quello che ha passato.» Ammiccò.
Alèhan sembrava sempre più a disagio. «Non mi piacciono queste cose, ma te lo dico... ma tu non fare parola con nessuno di quello che hai visto va bene? Né Rael né Esmera gradirebbero.» Aspettò che Lyandro annuisse prima di continuare. «Avrai già notato che Rael non ha le orecchie no?»
Lyandro annuì di nuovo. Certo che l'aveva notato, si era ormai imposto di guardarlo sempre sul volto ma nonostante ciò incappava ancora nel disagio.
«Si, ma non gli ho mai chiesto il perché.» E come poteva d'altronde? Si domandò Lyandro. Rael da quando si erano conosciuti non aveva fatto altro che rimbrottarlo per il suo troppo domandare.
«Ma non so se hai notato che Esmera ha i seni recisi» continuò Alèhan.
Lyandro sbatté le palpebre un paio di volte. «I seni... recisi?» domandò, non riusciva a crederci. Aveva notato che Esmera era alquanto piatta, ma questo pensava fosse dovuto all'allenamento mascolino a cui si sottoponeva tutti i giorni e un po' alla costituzione magra.
Alèhan lo guardò dritto negli occhi, annuendo. «Non vorrei dirti niente di questo, non sono cazzi mie...»
«Perché,»lo interruppe Lyandro, meditabondo, non riusciva a venirne a capo, « perché hanno queste... storpiature?» Non sapeva in che altro modo dirlo, tutto ciò lo inquietava un poco.
Alèhan chiuse gli occhi, la voce gli si fece sommessa.
«Non so, da quando li conosco sono sempre stati così. Li trovammo depositati vicino alle fogne, Emera con i seni appena pronunciati recisi e ancora sanguinante... Rael nudo e ricoperto d'orribilità in tutto il corpo e in parte evirato» lo vide inghiottire saliva. «Chiunque abbia fatto quello che gli ha fatto doveva essere veramente sadico... Era uno spettacolo davvero impressionante, e te lo dice uno che per tutta l'infanzia a vissuto nei bassifondi di Guevsse, credo che mi abbia segnato per tutto il resto dell'infanzia. Perfino nostra madre rimase impressionata. Erano dei bambini, li avevano seviziati e li avevano lasciati lì a morire tra la merda e il piscio, era un lavoro fatto in maniera molto accurata: li avevano torturati nei modi peggiori, ma non desideravano ucciderli. Quando chiesi il perché non gli avessero fatto niente agli occhi, la Madre mi rispose che probabilmente li facevano guardare l'un l'altro mentre li torturavano a vicenda. Esmera era stata seviziata ma Rael... Rael si porterà per tutta la vita quelle cicatrici, è ovvio che dopo quello che gli è successo sia diventato così.»
Lyandro annuì, lentamente. Era una storia lasciata talmente tanto sul vago che quasi faticava a crederci. Perché qualcuno avrebbe dovuto torturare dei bambini? Ma poi si ricordò che a Guevsse ad una domanda del genere potevano esserci mille risposte. Capiva ciò che Alèhan cercava di dirgli: doveva lasciare in pace Rael senza giudicarlo, ne aveva passate troppe. Ma Esmera? Forse era vero che all'inizio aveva approfittato un poco di lui, ma era stata gentile nonostante tutti gli sbeffeggiamenti e le minacce, inoltre dopo che aveva cominciato ad allenarsi con Rael aveva smesso d'assillarlo con richieste di pagamento dei debiti. Ma dall'altra parte c'era Rael e lui non riusciva proprio a odiarlo. Forse, si disse, se Esmera gli avesse chiesto di difenderla sarebbe riuscito a fare ciò che riteneva giusto. La paura di rovinare tutto rimaneva, ma non voleva far credere ad Alèhan che avrebbe rinunciato. «Esmera è mia amica» gli disse teso.
Il roicano della Baia sospirò, scuotendo la testa.«Credo che tu sia la persona più egoista che abbia mai incontrato. Tu non vuoi aiutare Esmera, vuoi solo fare l'eroe.»
Infastidito dalle sue parole Lyandro gli fece un cenno, e s'allontanò. Non aveva la forza di ribattere, aveva capito cosa doveva fare.
Più tardi, quasi al sorgere dell'alba, quando Rael se ne fu andato , Lyandro scivolò nella stanza di Esmera. Era raggomitolata nel letto in posizione fetale, in una mano stringeva un lembo di stoffa, le lacrime gli rigavano ancora il viso e la gamba sinistra le tremava forte. Aveva il respiro sommesso, segno che stava dormendo. Lyandro, titubante la scosse leggermente. Quando Esmera stropicciandosi gli occhi alzò lo sguardo su di lui, Lyandro si sentì contorcere le viscere da un profondo senza di colpa. Quella che stava facendo, era una cosa da vigliacchi.
Esmera sbatté gli occhi un paio di volte, asciugandosi immediatamente le lacrime. Sorrise poi. «Lyandro, mi hai spaventato. Credo di aver fatto un brutto sogno» gli spiegò la ragazza, ridacchiando incerta.
Lyandro si sedette nel letto, accanto a lei, la faccia girata dall'altra parte, timoroso di guardarla.
«Cosa ci fai qui, comunque? Vuoi confessarmi che ti piaccio? Oh, ma questo lo sapevo già.» Continuò la ragazza, ma vedendo che non raccoglieva gli pose la mano sulla schiena seguendo la colonna vertebrale. Appoggiò il viso sulla sua spalla, scrutandolo con un sorriso sghembo.
«M- mi dispiace» disse allora Lyando, la voce che gli tremava un poco. Sentì gli occhi umidi mentre ricambiava il suo sguardo. «Ho visto.» Non aggiunse altro, ma Esmera sembrò capire.
In un primo momento s'irrigidì, ritraendosi di scatto, nel viso un'espressione cattiva. « Cosa cazzo vuoi Lyandro? Mostrarti compassionevole? Tu non impari proprio mai... io non so che farmene delle tue scuse. Perché sei venu...»
«Voglio portarti con me» l'interruppe Lyandro, conoscendola si era aspettato che reagisse in quel modo violento.
Esmera socchiuse la bocca per un momento. « Tu non capisci Lyandro, non puoi proprio evitarti di fare l'eroe...» gli disse, con un sorrisetto stanco.
Si era aspettato anche quello. «Non sto facendo l'eroe» ribatté prendendole le mani. Lei all'inizio cercò di svicolarsi dalla presa, ma Lyandro le tenne strette. «Se la mettiamo così, anche tu, quando mi hai incontrato l'hai fatto. Ti sto solo dando una possibiltà...»
«Rael, non posso... io ho paura» gli rivelò lei in un sussurro. Si muoveva cercando di farsi lasciare le mani, era a disagio.
« Se è questo, anch'io non avevo intenzione di dirgli nulla» ammise Lyandro. Non avrebbe voluto perdere l'amicizia di suo fratello, ma non poteva lasciare Esmera tra le sue mani. Non era giusto. «Non deve saperlo adesso.»
Esmera scosse la testa, liberandosi finalmente dalla sua stretta. «Tu non capisci» gli si rivolse in un sorriso indulgente, come se lo stesse sopportando. «Vorrei tanto venire con te, vorrei davvero averne le palle. Ma lui, se non ci sono io a guardarlo, cosa farebbe? … Non posso lasciarlo a sé stesso... non posso» ripeté, come per convincersi.
«Mi dispiace» ripeté Lyandro, una lacrima gli scivolò sul mento. Stava sorgendo l'alba.
Esmera sembrò sorpresa da quella reazione e sorridendo stancamente allungò una mano incerta su di lui, attirandolo in un abbraccio goffo. «Tu forse non devi lasciarti prendere da questo» gli disse. Poi aggiunse con voce quasi divertita, come se fosse un loro piccolo segreto: « So che ami molto mio fratello.»

Il tanfo di fogna gli era salito fino alle narici, ora ricordava.
«Ora ricordo» sussurrò il Signore dei Mari. « Ma non capisco.»
Lo Smaltitore lo lasciò andare, ritornandosi a sedere. «Avrei voluto non rivederti mai più Lyandro. Perché sei tornato? Qualunque cosa tu dica sterminerò tutti i ragazzini della Baia.»
Lyandro lo guardò addolorato, prima di andarsene avrebbe voluto almeno riconciliarsi con il vecchio amico. Ma non era possibile. «Non andrà così: io lì salverò.»
Lo Smaltitore lo derise con lo sguardo, sbriciolando il suo pane azzimo.
«Ah sì. Vuoi sarvarli? Ma se ai nostri tempi non sei riuscito nemmeno a “salvare” tua sorella. E poi hai il coraggio di dire che non vuoi fare l'eroe.»
Lyandro lo ignorò.
«Mi spiace. Rincontrarci in queste circostanze Rael... nessuno di noi due se lo sarebbe aspettato» gli disse invece. “Ti prego, non odiarmi già più di quanto tu faccia” pensò Lyandro, mentre il suo sguardo azzurro si incupiva.
«In realtà io mi aspettavo che facessi proprio quello che hai fatto» gli rispose Rael. «Non importa qualunque cosa tu abbia fatto ai tuoi occhi: sei solo un ragazzino cieco. Ci sono un sacco di cose che non hai mai capito.»
«Ad esempio?» domandò il Signore dei Mari. Gli parve per un momento di essere tornato un ragazzino, che domandava sempre troppo e a sproposito.
«Me. La Madre. Guevsse. La vita» sospirò lo Smaltitore con aria esausta. «Torna un'altra volta con la tua morale Lyandro, oggi non ce la faccio a non infastidirmi.» Rael si disinteressò a lui.
Lyandro si allontanò, non sarebbe più tornato.


Note_Sono pessima ç.ç, come detto all'inizio non sono per niente soddisfatta... visto che poi mi sono anche ammazzata di lavoro per riuscire a finirla gli ultimi giorni. I personaggi sono pochi... dovevano essere un poco di più e avrei voluto avere più tempo per dare più attenzione agli altri en non un singolo paragrafo (dottore Andrys *di cui poi non ho nemmeno detto il nome nel racconto*, Esmera, Quan il Spaquosa, Madre, Alèhan e tutti gli altri orfani di cui avrei voluto mettere... sigh... perdonatemi!) e non ho messo un pezzo nell'ultima parte che avrebbe aiutato a comprendere maggiormente Rael. In realtà l'orfano che parla con Lyandro dopo che ha visto Rael ed Esmera in rapporti intimi dovrebbe essere un altro, visto che lui non sopporta Alèhan, ma per adattarlo alla trama e tanto per dire qualcos'altro su di lui ce l'ho messo.


I grandi sapienti o Signori bevono assenzio”_ è un detto antichissimo noto un po' per tutto il mondo conosciuto  e che appartiene ai Signori della Guerra di Zernes, conosciuti anche come grandi sapienti nell'Arte della Guerra. In pratica vuol dire che i grandi saggi non si dissociano tanto dai pazzi.


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SECONDA CLASSIFICATA e VINCITRICE DEL PEMIO “MIGLIOR AMBIENTAZIONE”: Raggiungere la città alta di rebeccuori
Grammatica e sintassi: 4/5
Stile: 4.5/5
Caratterizzazione personaggi: 9/10
Descrizione ambientazioni: 10/10
Trama: svolgimento e contenuto: (6.5/10, 9/10) 7.75/10
Originalità: 8/10

43.25/10

Sul fronte grammatica e sintassi, c’è qualche distrazione di battitura e un paio di virgole su cui sono dubbiosa, ma nulla di allarmante. Lo stile che scegli è sicuramente adatto alla storia, adatto a raccontare dell’abbietta Guevsse e dei suoi degni abitanti.
Nei discorsi diretti, però, ho trovato un certo squilibrio di forma, alcuni personaggi passano dalla scurrilità, perfettamente comprensibile nel contesto, a discorsi un po’ troppo ridondanti ed elaborati per un comune parlato e a questo è dovuto quel mezzo punto tolto allo stile.
La caratterizzazione dei personaggi è sicuramente molto buona, anche se -stranamente- alla fine del racconto mi pareva di conoscere meglio Rael del protagonista. Lyandro ragazzino è sviluppato davvero bene, ma il Lyandro adulto che ritroviamo all’inizio e alla fine della storia ha alcuni punti oscuri. Non mi è chiaro, ad esempio, l’esatto motivo per cui è tornato a Guevsse, né comprendo la sua ostinata pacatezza nei riguardi di Rael-Smaltitore. Quest’ultimo è l’innegabile cardine (assieme alla straordinaria e straziante Guevsse) di questa storia. Sicuramente affascinante per l’aura misteriosa e oscura di cui è ammantato, si rivelerà tanto grottesco quanto la città che abita (città di cui sembra incarnare l’essenza). Eppure, nonostante la sua grettezza sia palese, è impossibile vederlo come vero e proprio antagonista, perché la sua negatività viene filtrata dallo sguardo di Lyandro. E questa è una delle cose che più apprezzato.
Nel complesso sono davvero rimasta affascinata dai personaggi di questa storia, fossero essi protagonisti o personaggi terziari. La loro natura cruda e smaliziata, forgiata dalla mostruosità del luogo in cui vivono si armonizza perfettamente con il contesto. Un mondo-città che è il vero nucleo della storia. Sai? Mentre leggevo mi sembrava di essere a sguazzare nei suoi viottoli fangosi, di sentire il tanfo e vedere il mare della Baia. Ma sei andata oltre a questo, hai lasciato che Guevsse e l’atmosfera turpe di cui è impregnata si facesse reale, soffocante. Hai utilizzato i personaggi affinché la esaltassero sotto ogni punto di vista e ne hai fatto la tua vera protagonista.
Per quel che riguarda la trama, ho davvero apprezzato il lungo flash-back (che poi costituisce il filone principale della vicenda) di Lyandro. I temi che tratti non potrebbero avere più spessore e anche qui, la tua bravura sta nel fatto di averli riadattati alla realtà di Guevsse, un’invenzione assolutamente originale e conturbante.
L’unico problema è sorto nel finale: mi è parso che la storia si concludesse senza portare da alcuna parte. Anzi, non credo neanche che possa dirsi finita, perché si avverte chiaramente la mancanza di troppi elementi, di troppe cose non dette. Ti invito, quindi, a riconsiderare il finale, a non lasciare nulla in sospeso ed ampliare questa storia dal potenziale gigantesco.
  
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