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Autore: Yoi yoru    22/08/2013    1 recensioni
Il mondo ha già conosciuto tutta la violenza che si potesse immaginare, ma non sembra abbastanza per la mente umana. L'oggetto principale di un'esperimento segreto è un ragazzo, che si ritrova inconsapevolmente a dover scegliere tra il bene e il male. Tutto però cambia quando, nel cuore della notte, un uomo lo guida fuori dall'inferno. E' quello il momento in cui tutto ha inizio, anche la fine.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Not now
 
La mattina dopo, quando aprii gli occhi, mi ritrovai i suoi davanti, che mi osservavano pieni di felicità, luminosi come non mai. Il suo bel viso, con la barba ormai lunga, era la cosa più piacevole che potessi vedere appena sveglio. Gli sorrisi e subito dopo sbadigliai, coprendomi la bocca con una mano e girandomi steso sulla schiena.
-Come stai?- Mi chiese, con una nota di apprensione nella voce.
-Non sono mai stato meglio.- Allungai una mano fino ad accarezzarlo.
Dopo che lo ebbi sfiorato, mi bloccò il polso e avvicinò la mano alle sue labbra. La baciò quasi impercettibilmente, ad occhi chiusi, e inspirò aria dal naso.
-Seb, devi perdonarmi se ti ho mai ferito in alcun modo...- prima che potesse finire la frase, però, lo fermai, prendendogli il braccio e osservando i segni che aveva sulla pelle.
-No Allen, guarda...- Erano lividi. I segni avevano chiaramente la forma di cinque dita, e c'erano anche piccoli graffi ad assicurarne la provenienza. Un freddo vuoto mi piombò nello stomaco, portando con sé tutto il senso di colpa che potevo provare. Lasciandogli andare il braccio, lo guardai con gli occhi lucidi. -Oh mio dio Allen...mi dispiace così tanto!- Sentii le lacrime scorrermi sul viso, così lo affondai nel lenzuolo, un po' per nascondermi, un po' per asciugarmi.
-Seb! Non piangere, non mi fa male.- Iniziò ad accarezzarmi la testa come faceva sempre, sapendo che mi piaceva moltissimo.
Attutiti dalla stoffa, sentii i miei singhiozzi, mentre mi rannicchiavo ancora di più.
Non ero umano, la mia forza era innaturale. Ero solo un mostro che non sarebbe mai dovuto esistere, questa era la verità.
Quel pensiero, la consapevolezza di ciò che ero, mi fece stare così male che non volli più alzare la testa, nonostante le sue carezze e le molte parole di conforto che non si stancò mai di ripetermi. Quando però si alzò per andarsi a vestire, vidi chiaramente che i lividi non erano solo sul suo braccio, bensì in molte altre parti del corpo…quasi dovunque. Sentii nuovamente un vuoto sprofondarmi dentro, e non riuscii a trattenere un gemito.
Allen parve rendersi conto di ciò che avevo visto, ma per tutta risposta fece finta di niente e si vestì scegliendo con cura gli abiti che lo coprivano di più.
Si avvicinò di nuovo verso il letto e si piegò su di me. Con un dolce sorriso scostò il lembo di lenzuolo che mi copriva la faccia e si abbassò fino a baciarmi, indugiando molto sulle mie labbra prima di decidersi ad alzarsi. Non potei non ricambiare, eppure ero sicuro che, almeno per quel giorno, non lo avrei più toccato.
Dopo parecchi minuti di silenzio mi decisi a scendere dal letto, ma il malessere generato dal senso di colpa e dall'odio profondo verso me stesso continuò a peggiorare sempre di più il mio stato d'animo. Allen gestì la situazione facendo finta di niente, dando chiaramente a vedere che non soffriva e che per lui le tumefazioni sul suo corpo non erano nulla di che. Iniziò tranquillamente a giocare ai videogiochi, con la bottiglia di birra della sera prima in mano. La cena l'avevamo del tutto dimenticata. Ora giacevano lì, sul tavolino, il pollo ormai freddo e le patate. A quella vista il mio stomaco diede un gorgoglio, così decisi che valeva la pena consumare il pasto in quel momento. Ero abbastanza sicuro che fossero le otto meno dieci, quindi Joe non si era ancora svegliato dopo il lavoro notturno come buttafuori. La colazione sarebbe stata quella.
Per tutto il tempo, fino all'ora di pranzo, rimasi seduto in un angolo della stanza, nascosto dietro un libro che avevo già letto, a pensare.
Mi ricordava tanto le settimane che avevo passato nella mia cella, steso sulla candida branda, ad osservare il candido soffitto illuminato da un unico pallido neon, che costituiva uno dei pochi componenti d'arredo di quell'ambiente. Ma mi sentivo molto diverso da allora, seppure fossero passati solo pochi giorni. Ora tutte quelle informazioni che mi erano state riversate dentro sembravano chiuse in un cassetto della mia mente, riposte lì come per sicurezza. Sapevo benissimo che c'erano (al momento opportuno sapevo anche tirarle fuori) tanto che tutti i libri che leggevo non erano altro che un modo per confrontare ciò che già sapevo con ciò che vi era scritto. Ovviamente era per il solo gusto di metterli alla prova, perché non troppo raramente mi era capitato di trovare errori e incongruenze con i testi scolastici. Cose che capitavano, pensai, ed ero più che sicuro della veridicità delle mie conoscenze, che sarei stato benissimo in grado di dimostrare. Questo meccanismo mi portò a capire che dal momento della mia nascita e dei successivi giorni passati al laboratorio, il mio cervello aveva sviluppato un modo per tenere a bada tutti i dati e gestirli all'occorrenza nel modo corretto. Mi ero reso anche conto che, come mi aveva fatto notare Al, da quando eravamo scappati non avevo più avuto incubi notturni né visioni. Ciò lo associavo al fatto che quando mi venivano procurate quelle scariche elettriche, durante gli interrogatori, sentivo di nuovo il mare di informazioni riversarsi nella mia mente, e quell'insopportabile sensazione di soffocamento che però, col passare dei giorni, era diminuita sempre di più. Fino a che Allen non mi aveva salvato…giorno dal quale non ero più stato torturato e quindi i dati erano diligentemente rimasti chiusi nel "cassetto".
Tutto grazie a lui, il ragazzo dai lunghi e neri capelli, ora corti, gli occhi azzurro cielo, contornati da scure occhiaie, il suo corpo…
Ogni cosa era colpa mia.
Iniziai a tirarmi i capelli mentre la rabbia mi implodeva dentro come lava rovente. Il mio respiro accelerò e si fece pesante, il battito cardiaco aumentò fino a farmi male. La testa mi scoppiava, le orecchie non sentivano più nulla se non il pulsare incessante del mio sangue.
Non mi accorsi neanche che Allen mi si avvicinava. Sobbalzai quando mi posò una mano sulla spalla e, guardandomi con l'espressione più preoccupata che gli avessi mai visto, mi chiese se stavo bene.
-Seb, che ti prende? Hai di nuovo quelle visioni? Stai male? Seb?! Sebastian!-
Davanti ai miei occhi cadde il nero più totale. Non sentii di averli chiusi, infatti ero quasi certo che stessi ancora fissando lo spazio dinanzi a me. Eppure ciò che vedevo, o almeno, ciò che credevo di vedere, non era quello che mi aspettavo.
Il suono che mi accompagnò in quella dimensione era lo stesso che avevo già sentito una volta: un lungo e penetrante fischio, simile alle note più acute di tutti gli strumenti musicali del mondo messi insieme. Il luogo dove mi trovavo in quel momento era fatto del nulla più totale. No, non era fatto di niente. Era solo…nulla. Buio, vuoto, terrificante e spaventoso nulla. Quella sensazione che aveva sempre accompagnato i miei incubi, a differenza che in quel momento ero più che sicuro di essere sveglio. Ma ogni cosa in quel luogo perdeva di significato, anche la convinzione più fondata poteva dissolversi come nebbia in una giornata di sole.
   
 
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