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Autore: Mana    27/02/2008    25 recensioni
Morgan viene abbordato in spiaggia da un affascinante sconosciuto che considera un po' grande per lui... e se le avventure estive non fossero fini a se stesse? Quante cose si nascondono dietro a ciò che ognuno di noi mostra agli altri ogni giorno?
[Se tu volessi fidarti di me...]
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note dell'autrice: Benvenuti alla terza parte del racconto. In verità non ho tanto da commentare, su questa terza parte, solo che è decisamente stata la più difficile delle tre, infatti ci ho messo una vita a completarla (ma è completa, per fortuna). Forse il problema è che sono tornata a finirla quando ero già molto distante da tutti i miei personaggi, che mi ricordano una me ancora fin troppo ingenua. E, nonostante tutto, di me c'è fin troppo anche in questa storia, a rileggerla (ma facciamo finta che la cosa non mi imbarazzi). Non vi annoio ulteriormente con le mie chiacchiere, vi chiedo solo clemenza per il mio abuso dei puntini di sospensione. Buona lettura.

Terza parte

Capitolo 35
Spiacevoli sensazioni (Alan)

Ventotto luglio, e se non erro, sabato.
Le cose vanno magnificamente. Stare insieme a Morgan è fantastico, unico, speciale, e terribilmente reale. Come spiegare la sensazione che provo? Sento intimamente che Morgan è la mia famiglia, la mia casa, il mio tutto, adesso. Ed ero io a dirgli che forse stavamo troppo appiccicati... no, d'accordo, forse era vero, e forse è vero. Ma non ha importanza, dopotutto.
Mi passo una mano tra i capelli, cercando di dar loro un minimo di ordine, se così si può dire. Ma è inutile, e ci rinuncio subito. Stringo più forte Morgan, ancora immerso nel mondo dei sogni, e sospiro. Già, perché ancora non gli ho parlato di quel che mi sta succedendo, in tutti i sensi. Adesso però, non voglio pensarci. Mi sembra di vivere in una sorta di limbo di felicità, dal quale non voglio in nessun caso riemergere.
Morgan si sta svegliando: me ne accorgo da come si muove e da come mi preme tutto il corpo contro.
«Ho freddo.»
«Siamo in piena estate... sicuro di aver freddo?»
«Sì... tienimi caldo... e stammi vicino.»
«Sì...»
Faccio come dice, contento di poterlo tenere tra le braccia. Quasi automaticamente comincio ad accarezzargli la schiena, passandoci poi lentamente le unghie, grattandola. Sono riuscito nel mio intento, perché Morgan ora sta facendo la stessa cosa, mordendomi nel frattempo delicatamente un orecchio.
«Mh... Alan...»
«Sì... ? Mi piace un sacco...»
«Aspetta, che vuoi dire?»
«Farmi grattare la schiena. Che hai capito?»
«Pensavo... oh, accidenti!»
«Dai... alziamoci.»
«Scemo!»
«Ma... Morgan? Lo sai che sei davvero buffo?»
«No! Non lo so!» dice tirandomi un cuscino.
Rispondo con uno sguardo molto, molto arrabbiato e minaccioso. È divertente dedicarsi alla classica lotta con i cuscini, lo ammetto. Però, bisogna anche tener conto del fatto che ha una certa rilevanza l'identità della persona con la quale la si fa...
«Andiamo in spiaggia, oggi?»
«Tu mi hai fatto stancare un sacco!»
«Come? Come?! Ma se l'altro giorno hai fatto stancare ben di più me, e poi mi hai costretto a trascinarti fuori con l'auto!»
«Beh, dai... dettagli...»
«... uhm... d'accordo. Ma quando torniamo, voglio la rivincita!»
---
Da un po' di giorni, ho una brutta sensazione. Impressione, okay. Forse è più appropriato spiacevole. È una sorta di sesto senso che mi avverte di un pericolo, credo, o più propriamente di qualcosa di diverso, che stona. Oppure sono semplicemente paranoico, e penso queste cose perché tutto mi sembra troppo perfetto.
Paul ha trovato un nuovo amante. È esattamente la parola che ha usato: amante. Certo, d'estate i rapporti tra esseri umani aumentano in maniera esponenziale, però pare che stiano insieme da quasi un mese. Ho provato a chiedergli se pensa che potrebbe diventare importante, ma ha sorriso senza rispondermi. Forse, solo il tempo darà una risposta alla mia domanda.
Sarei contento se si trovasse un uomo per bene, che lo ami come merita. Anche Nick dovrebbe farlo... eppure, quando gli ho chiesto se avesse avuto qualche storia importante, mi ha risposto che non poteva permettersi più di qualche avventura, data la situazione. Allora mi sono domandato quale fosse questa situazione...
No, è inutile rimuginare su queste cose. La sensazione spiacevole che avverto non va via, e scuoto la testa cercando di rilassarmi. Sono seduto ad un bar con Morgan, che ora sta bevendo una limonata ghiacciata. Approfitto della sua distrazione per osservarlo, e cerco di ricordare la prima volta che l'ho incontrato... è cresciuto tanto, sia fisicamente che spiritualmente. Sta diventando un uomo meraviglioso...
«Cos'è quell'espressione?»
«Quale?»
«Quell'espressione da padre che guarda con orgoglio il proprio figlio prendere la sua strada.»
«Come hai fatto a capirlo?»
«Boh... però l'ho capito. Mio padre non mi guarderebbe mai così.»
«... è solo che mi sento un po' triste.»
Triste. Che parola riduttiva, inutile. Ho con me Morgan, e credo sia tutto quello di cui ho bisogno adesso.
«Come se io mi stessi allontanando da te, ed è assurdo. Sei tu che ti vuoi allontanare, Alan...»
Mi concedo di posargli con naturalezza un braccio intorno ai fianchi, e gli poggio per un po' la testa su una spalla. Non sono certo di conoscerne il motivo, ma mi sento confuso, quasi... perso...
«Ho paura di perderti.»
«Scemo...»
«Non sto scherzando...»
«Scusa. Io... ehm, beh, ecco... neanche io voglio perderti.»
«Come proseguirà questa storia?»
«Beh... Alan, dipende da te. Io non ti voglio lasciare... ehm... insomma, mai... però tu dovresti parlarmi di alcune cose, lo sai...»
«Sì, lo so. Però è difficile.»
Mai?
«Io sto aspettando, come tu mi hai chiesto. No?»
Mi rialzo per guardare i suoi occhi, e vedo esattamente Morgan, così com'è, il ragazzo del quale mi sono innamorato...
«Ti amo, Morgan.» riesco a sussurrargli in un orecchio.
«Sì, anche io... ti prego, non qui... mi imbarazza un po'.» risponde un po' a disagio.
Sono riuscito a sorprenderlo, perché non se lo aspettava. Però...
«Scusa... è solo che ultimamente mi sento un po'... boh, non lo so neanche io.»
«Come? Prova a parlami, Alan...»
Vorrei tanto riuscirci, Morgan...
«Sono confuso... e non so cosa voglio fare...»
«Per colpa mia?»
«No, no... è colpa mia. Intendo... non so cosa voglio fare con la mia vita...»
Non so cosa fare della mia vita, sul serio. Non è assurdo? Ho ventisette anni, dovrei avere in mente cos'è la mia vita, e come procede... ma forse ho troppa paura di andare oltre certi limiti, perché ho timore di quel che vedrei... oppure non sono capace di vedere nulla, soltanto l'oblio, e il dolore...
Morgan mi consola come meglio può, me ne rendo conto. Ricordo quel che mi disse un giorno, quando mi sentivo triste, ancora più di allora, forse. Disse che potevo piangere, e che lui mi sarebbe stato vicino senza chiedermi nulla... stretto nel suo abbraccio, mi sono sentito al sicuro, bisognoso di protezione come un bambino.
«Andiamo a casa?»
Il ragazzo che vende le bibite, in effetti, ci sta guardando in modo un po' insofferente, e la cosa mi provoca davvero fastidio.
«Che cazzo guardi, eh?»
Morgan mi guarda con sorpresa, e sono un po' pentito di quel che ho detto, ma il ragazzo del bar balbetta delle scuse mentre decido che è arrivato il momento di andare, proprio come Morgan ha suggerito.
«Alan, che ti ha preso?»
«Scusa, Morgan, davvero... è solo che sono nervoso, e ho una strana sensazione...»
«Non devi... vedrai che è solo una tua impressione...»


Capitolo 36
Chi fa da sé... (John)

Ho notato subito che qualcosa non andava, così ho chiesto aiuto ad un amico. Non sono certo uno stupido, io. Quando vedi che tuo figlio adolescente ti nasconde qualcosa, dopotutto lo perdoni... ma se lo fa tua moglie, allora ti preoccupi. Ho provato a convincerla a parlarmi, ma...
«Britney, cos'è che non mi dici?»
«Ma niente... non capisco perché pensi che ti stia nascondendo qualcosa!»
«Sei nervosa, mi guardi con un'aria preoccupata e non fai che sospirare. Non devo forse preoccuparmi?»
«Niente, sul serio...»
«Senti, è qualcosa che riguarda Morgan?»
«...»
Sì, è certamente qualcosa che lo riguarda. La sua esitazione l'ha tradita.
«Dimmi.»
«Non... non è niente, davvero.»
«Niente? Non si direbbe, dato che sembri preoccupata.»
«Scusa, John... è solo... che ogni tanto mi manca, quand'è in vacanza!»
Ho fatto finta di crederci, e le ho detto che andavo a fare una passeggiata. Faceva piuttosto caldo, ma sapevo dove andare. A casa di un caro, vecchio amico.
«Che cosa ti serve, eh, John? Siamo in piena estate... e non vieni a trovarmi da secoli.»
«Il tuo aiuto. Anche Claude è in vacanza con mio figlio, no?»
«Sì, con mio fratello... perché?»
«Niente. Solo... ho l'impressione che mia moglie e mio figlio mi stiano nascondendo qualcosa.»
«Non vorrai che indaghi su di loro, no?! Chiedilo a mio fratello, che li tiene tutti nella sua casa adesso...»
«Già... ma non so se mi direbbe la verità.»
«Perché?»
«Perché... non lo so, è una sensazione. Dammi qualche consiglio, per favore.»
«Un consiglio?! Ma dai... vai a Sundale, e vedi un po' cosa sta facendo tuo figlio, no?»
Mi sono sentito uno sciocco. In fondo, cosa c'è di più naturale di un padre che va a trovare il proprio figlio in vacanza?
---
Ho aspettato che passasse qualche giorno, giusto per non insospettire mia moglie, poi ho preso la macchina e mi sono diretto a Sundale. A casa non ho trovato nessuno, ma del resto a quell'ora era normale che fossero tutti in spiaggia. Quindi eccomi qui, a prendere un po' di sole anche io, giusto perché chi mi vede non pensi che sono un tipo di città. Menomale che un po' di colore ce l'ho già, altrimenti sembrerei davvero color mozzarella, come certa gente che vedo in giro... saranno famiglie che fanno una settimana al mare e poi più niente...
Mi stiracchio leggermente, contento di questa inaspettata occasione di relax, e osservo il costume che ho indossato: ho dovuto comprarlo nuovo... non ricordo da quanto tempo non venivo sulla spiaggia: almeno dieci anni dall'ultima volta! Mi volto leggermente a destra e credo di vedere Morgan... possibile? Qui, proprio vicino a me?
Sì, è proprio lui, ma non è con Mark e Claude, come avrei pensato, ma con due uomini che non ho mai visto. Oppure sì? Hanno qualcosa di familiare, anche se da dove mi trovo non riesco a vederli bene. Sì, credo proprio di averli già visti insieme, ma dove? Ora arriva un altro tipo, dall'aspetto tranquillo, che fa segno a uno dei due che sta seduto con Morgan e insieme si allontanano verso il mare.
Certo, staranno andando a fare un bagno... osservo Morgan e quel tipo. Ha i capelli castano chiaro, piuttosto lunghi e disordinati, e sembra molto rilassato. Indosso il cappello, nella remota eventualità che decidano di guardare verso di me, dato che sono piuttosto lontano. Comunque, fa davvero caldo.
Riesco a vedere che mettono le loro cose in un'unica borsa... ma perché? Mi sfugge il motivo. Da lontano fanno un saluto agli altri due, e si dirigono verso il bar della spiaggia. Mi affretto verso di loro, cercando di non perderli di vista, e vedo che si siedono al bar, chiedendo qualcosa da bere. Mi avvicino il più possibile senza farmi scorgere, prendendo una bevanda fredda dal ragazzo del bar.
Rimango immobile, i rumori della spiaggia come sottofondo, ad osservare lo strano modo in cui quell'uomo guarda mio figlio, mentre beve una limonata ghiacciata... e mi accorgo che sono capace di sentire quello che si stanno dicendo...
«Cos'è quell'espressione?»
«Quale?»
«Quell'espressione da padre che guarda con orgoglio il proprio figlio prendere la sua strada.»
Padre?
«Come hai fatto a capirlo?»
«Boh... però l'ho capito. Mio padre non mi guarderebbe mai così.»
Io... non lo guarderei mai così?
«... è solo che mi sento un po' triste.»
«Come se io mi stessi allontanando da te, ed è assurdo. Sei tu che ti vuoi allontanare, Alan...»
Sento qualcosa contorcersi dentro di me mentre quell'uomo, Alan, gli posa un braccio intorno ai fianchi, e gli poggia la testa su una spalla. Sembra un gesto... così intimo...
«Ho paura di perderti.»
«Scemo...»
«Non sto scherzando...»
«Scusa. Io... ehm, beh, ecco... neanche io voglio perderti.»
«Come proseguirà questa storia?»
Quale storia?
«Beh... Alan, dipende da te. Io non ti voglio lasciare... ehm... insomma, mai... però tu dovresti parlarmi di alcune cose, lo sai...»
Lasciare? Mai? Possibile che... ?
«Sì, lo so. Però è difficile.»
«Io sto aspettando, come tu mi hai chiesto. No?»
Alan si rialza per guardarlo negli occhi, e si scambiano uno sguardo strano, uno sguardo che due uomini non dovrebbero mai scambiarsi... poi gli sussurra qualcosa all'orecchio, ma non riesco a sentire cosa sia. Vedo Morgan che risponde un po' a disagio... cosa si saranno detti? Ho quasi paura di pensarci...
«Scusa... è solo che ultimamente mi sento un po'... boh, non lo so neanche io.»
«Come? Prova a parlami, Alan...»
«Sono confuso... e non so cosa voglio fare...»
«Per colpa mia?»
«No, no... è colpa mia. Intendo... non so cosa voglio fare con la mia vita...»
Passano un po' di tempo senza parlare, mentre probabilmente riflettono entrambi... ed io, allora? Questa situazione è davvero... non lo so, davvero... assurda!
«Andiamo a casa?»
A casa?
«Che cazzo guardi, eh?» dice Alan al ragazzo del bar, che in effetti li stava guardando in modo abbastanza ostile...
Morgan sembra sorpreso, ma il ragazzo del bar balbetta delle scuse mentre entrambi cominciano ad andar via, senza dire più nient'altro.
Non li seguo, mi sento troppo scosso. Certo, pensavo che ci fosse qualcosa di strano, che Morgan mi nascondesse qualcosa... ma non questo! Ecco perché mia moglie non mi voleva parlare... perché probabilmente lo sa, e aspetta il momento buono, oppure... semplicemente non sa come dirmelo.
Ma adesso io so. Non mi sembra ancora vero, non mi sembra ancora possibile. Mio figlio, il sangue del mio sangue, in certi atteggiamenti con un tipo simile? Come due... due uomini che... non ci voglio neanche pensare! È assurdo!
Con la poca concentrazione che mi è rimasta, mi siedo dove prima erano loro, chiedendo anche io una bibita ghiacciata al ragazzo del bar.
«Ehi.» dico dopo un po'.
«Sì, signore?»
«Conosci quei due? Vengono qui spesso?»
Quello mi guarda con disappunto, poi riprende a sistemare la roba che ha dietro il banco. Allora cerco di riflettere in fretta, ma non mi viene nessun altra idea se non quella di dargli dei soldi.
«Beh, stanno spesso qui, a volte con altri amici. Ma non so niente di loro.»
Accidenti... allora è proprio così. Qualcuno dovrà darmi delle spiegazioni, e tra questi non soltanto Morgan...


Capitolo 37
Guai per tutti (Mark)

«Oh... John, ciao. Che ci fai qui?»
Credo sia la prima volta che sento la voce di mio padre così titubante.
Siamo stati in spiaggia tutta la mattina, perché abbiamo deciso di passare la giornata tutti insieme. Ma come potevamo immaginare che una volta tornati a casa, avremmo trovato davanti a noi il padre di Morgan?
«Ero giusto venuto a trovarvi, e a vedere se vi divertivate. Credo che starò un po' in vacanza anche io, dopotutto...»
«Beh, accomodati...»
Nessuno fiata, tranne mia madre, che lo invita ad entrare contenta. Non può neanche immaginare quanto siamo nei guai, tutti quanti... e lei non sa nulla! Claude mi lancia uno sguardo interrogativo, perché neanche lui sa praticamente niente, ed io ricambio con un sorriso piuttosto tirato. Adesso che succederà? Ho l'impressione che il padre di Morgan non sia tanto comprensivo.
«Allora, dov'è Morgan?»
«...»
Già, dov'è? Ci guardiamo per un istante tutti quanti, senza parlare, incapaci di ragionare con calma, ma nessuno ha pensato all'eventualità che suo padre venisse a cercarlo, in piena estate. Morgan è a casa di Alan, suo ospite e coinquilino, all'incirca...
«Allora, qualcuno me lo dice?»
«Beh, è in spiaggia con alcuni suoi amici.» dice Claude con naturalezza.
Sembra davvero sincero. E in effetti forse lo è, nonostante tutto. Mia madre sta preparando qualcosa da mangiare, e io sento di avere fame, però ho una certa paura in questo momento, e non so se riuscirò a mettere in bocca qualcosa. Com'è possibile che il signor Chrisman sia qui? Per quale motivo ha deciso di venirci a trovare? No, la cosa non mi convince.
«Aspetterò che torni. Posso unirmi a voi, intanto?»
«Per pranzo? Certo, prego!» dice mia madre sorridendo, ma al mio sguardo attento, e ai miei occhi di figlio, appare alquanto tesa.
All'inizio mangiamo piuttosto silenziosamente, ma dopo un po', grazie al provvidenziale aiuto di Claude, conversiamo in maniera abbastanza rilassata. Come faccio a prendere il cellulare e a dire a Morgan di venire subito qui?
«Forse Morgan passerà tutta la giornata fuori, non credi?» mi dice Claude ad un certo punto.
Il padre di Morgan, però, focalizza subito la sua attenzione su di lui, e non so perché, ma ha un qualcosa di davvero spaventoso. Oppure è solo la situazione, ma non ne ho idea.
«Vorrà dire che aspetterò fino a stasera.»
«Potrebbe tornare tardi, se esce...»
«Non dovrà tornare per cambiarsi?»
Oh... merda. Giusta osservazione, certo. E adesso? Mi alzo cercando di apparire il più a mio agio possibile, e dico a tutti che devo andare in bagno. Dove sarà finito il mio cellulare?! Accidenti, nella borsa... come farò? L'ho poggiata in camera, e nel frattempo che cerco resto vicino alla porta per sentire cosa stanno dicendo gli altri.
«Beh, credo di sì...» ha risposto Claude, anche lui in difficoltà, a questo punto.
«Credo che qualcuno mi debba delle spiegazioni, qui.»
Oh cazzo, no! Possibile che le cose vadano già così male? Mi tremano le mani, e ho quasi il terrore di chiamare. Insomma, cosa dirà Morgan? E ancora peggio, io cosa gli dirò?
«Ma cosa dici, John?» interviene allora mio padre.
«Non penserete che la beva, vero? Voglio sapere dov'è mio figlio.»
Avanti, Morgan, rispondi, rispondi...
---
«Pronto?»
«Era ora.» gli soffio nel cellulare.
«Che c'è? Cos'è questo tono cospiratore?»
«Senti, non posso alzare la voce, non so come dirtelo, ma devo farlo.»
«Dimmi.»
«C'è tuo padre, qui da noi.»
«Come?!»
«Ti sta cercando, ti vuole vedere. E credo sappia qualcosa, perché è terribilmente poco incline a credere alle nostre già flebili giustificazioni.»
«Flebili?»
«Gli abbiamo detto che eri fuori per oggi... ma è intenzionato ad aspettare e sembra davvero che voglia spiegazioni dettagliate su dove ti trovi. Non è che tua madre... ?»
«Non lo può aver fatto! No, niente... scusa. Sì, con Mark...»
«Morgan?»
«Scusa... ehm, allora... vengo?»
«Salvaci. Devo chiudere. Ciao.»
«Okay.»
Chiudo il telefono e lo metto nella borsa, per pura abitudine, e mi stendo sul letto, sfinito. Quanto ci vorrà? Claude arriva dopo qualche minuto e mi osserva, forse cercando di capire cos'è che non va... anche se praticamente, niente sta andando come doveva... perché il padre di Morgan è qui? Ancora non ho capito cosa lo abbia spinto a venire qui...
«Sai dov'è?»
«... sì.»
Credo si riferisca a Morgan... ovviamente.
«Perché non glielo dici? Che sta combinando?»
«Niente di... terribile. Solo... lui, suo padre, non sarebbe molto d'accordo.»
«Io... posso saperlo?»
«Non... non so. Comunque, davvero, niente di terribile.»
«L'hai chiamato?»
«Sì, ha detto che stava arrivando.»
«Appena sei venuto qui in camera?»
«Sì, all'incirca. Non ti preoccupare, arriverà...»
«Speriamo.»
«Vado a vedere che succede di là, okay? Vieni anche tu?»
«Sì, anche se non ne sono molto contento...»
«Già...»
Ho un terribile mal di testa. Ma forse è soltanto tutta la situazione a starmi sui nervi. Non oso immaginare come si senta Morgan... e chissà cosa succederà adesso! Rabbrividisco al solo pensiero... non vorrei mai essere nei suoi panni, in questi prossimi momenti.
«Sta arrivando.» affermo nel bel mezzo di un silenzio carico di sguardi pesanti.
Credo che questa sia l'attesa più snervante che mia sia mai capitata, e non voglio neanche pensare a cosa stia provando mio padre... dopotutto, lui ha deciso di appoggiare Morgan, e in un certo senso, anche di coprirlo...
«Eccolo.» dice Claude sentendolo entrare.
«Ciao a tutti...» inizia con aria un po' dispiaciuta, poi abbassa il viso, senza incontrare però quello di suo padre, che ancora fissa il mio, mentre tace.
Si volta verso di me e stringo un po' le labbra, a mo' di scusa, anche se non c'è un vero motivo. Vorrei soltanto dirgli che non deve preoccuparsi di quello che suo padre gli dirà, perché io starò sempre vicino a lui e gli sarò sempre amico. Per me, è come un fratello...
«Morgan.»
Suo padre ha un tono molto serio. Lo vedo che si alza, e sembra quasi che tutto sia un po' rallentato, come se i secondi non si susseguissero alla velocità giusta. Ma è talmente assurdo! Morgan...
«Sì, eccomi.»
Accidenti, se cominci a rivolgerti a tuo padre già con quel tono colpevole e sottomesso, non riuscirai mai a fargli capire che sei abbastanza grande da non avere bisogno dei suoi ordini! Il signor Chrisman sta per parlare, ma poi richiude la bocca e con uno sguardo ci passa tutti, probabilmente giudicando noi doppiamente nemici. Certo che i suoi occhi riescono davvero a farti sentire inerme e insignificante... per fortuna mio padre è diverso!
«Credo che sia meglio se andiamo a parlare da un'altra parte, noi due da soli, non trovi?»
Vedo Morgan annuire stancamente, con rassegnazione, mentre già suo padre lo precede. Ci lancia un'ultima occhiata supplice, ma nessuno di noi può far niente per aiutarlo. Lo osserviamo tutti insieme mentre va via con suo padre, camminando poco distante da lui, leggermente più dietro.
«Papà, credi che si arrabbierà molto con Morgan?»
«Molto... credo di sì. Noi abbiamo fatto... quello che abbiamo potuto, quel che ci è parso più giusto. Ora è inutile preoccuparci... sicuramente suo padre non lo ucciderà. Quindi per adesso aspettiamo, e presto sapremo direttamente da Morgan... se lui ci permetterà di vederlo ancora.»
Sospiro, e scuoto la testa cercando di mettere insieme le idee, ma non ho molta voglia di pensare. Ha ragione mio padre: è inutile stare in pena. Mi stendo e cerco di dormire, ma non ci riesco, e rimango per un sacco di tempo a rigirarmi guardando il soffitto illuminato dalla luce pomeridiana di questo giorno dal cielo così terribilmente sereno...


Capitolo 38
Il principio dei miei guai (Morgan)

Quando Mark mi ha chiamato, ero seduto a tavola con Alan, a scambiarci sguardi ogni tanto e a sorriderci come ragazzini. Va beh, sì, io ho diciassette anni, lo so... però, è stato molto divertente e romantico. Appena ho visto chi era mi sono insospettito... perché mai Mark mi avrebbe dovuto chiamare a quell'ora?
«Ma... è Mark.»
«E rispondi, no?»
«Pronto?»
«Era ora.» mi ha aggredito con aria piuttosto seccata.
«Che c'è? Cos'è questo tono cospiratore?»
Avevo un brutto presentimento, e ho sentito il solito prurito dietro al collo...
«Senti, non posso alzare la voce, non so come dirtelo, ma devo farlo.»
Oh, accidenti... cosa?! La storia mi piaceva sempre meno.
«Dimmi.»
«C'è tuo padre, qui da noi.»
«Come?»
Non riuscivo a crederci, ma perché? Perché qui a Sundale?
«Ti sta cercando, ti vuole vedere. E credo sappia qualcosa, perché è terribilmente poco incline a credere alle nostre già flebili giustificazioni.»
«Flebili?» ho detto sentendomi mancare.
«Morgan? Che succede? Ma stai parlando con Mark?»
Accidenti, Alan...
«Gli abbiamo detto che eri fuori per oggi... ma è intenzionato ad aspettare e sembra davvero che voglia spiegazioni dettagliate su dove ti trovi. Non è che tua madre... ?»
«Non lo può aver fatto! No, niente... scusa. Sì, con Mark...»
«Morgan?»
«Scusa... ehm, allora... vengo?»
«Salvaci. Devo chiudere. Ciao.»
«Okay.»
Ho appoggiato il cellulare al tavolo, e mi sentivo un po' scosso. Mio padre, qui?! E per quale motivo? Non riuscivo a capire, davvero... Alan, intanto, mi guardava con aria interrogativa, e ho pensato a cosa gli avrei detto. La verità? E come avrebbe reagito?
«Mia madre non può aver parlato.»
«Oh... che è successo?»
«Mio padre è a casa dei Delozier. Devo andare a salvarli, perché non si è bevuto quel che si sono inventati.»
«Merda... vuoi che ti accompagni?» si è offerto subito lui.
«No, no... anzi... solo, non fino davanti casa, non vorrei che ci vedessero...»
«Okay.»
«Sono preoccupato.»
«Sì, si vede. Ma adesso calmati.» ha detto Alan abbracciandomi.
«Mi prometti che starai al mio fianco?»
«Sì, sempre... puoi contare su di me...»
---

Eccomi, di fianco a mio padre. Adesso cosa mi dirà? Non sembra affatto avere un'aria comprensiva. Anzi, tutto il contrario. Dai Delozier non mi ha detto niente perché probabilmente vuole parlare in privato, e lo capisco... neanche a me va di litigare con lui davanti a qualcuno. Beh, magari con Alan, così mi aiuta...
«Dove andiamo?»
Che faccio, lo porto da Alan? Ha detto che posso...
«Dimmi, dove sei stato finora?»
«Beh... ehm...»
«Se fossi in te, starei molto attento a quel che dico, Morgan.»
Ma cosa sa?
«Da una persona.»
«So chi è?»
«No, ma...» ... dovresti saperlo.
«Stamattina... io... ti ho visto. Con... con quel tipo.»
Quando? Con chi?
«Eh?»
«Sì, in spiaggia... e a quel bar... con quel... Alan...»
No, con Alan! ... che faccio? Non devo farmi prendere dal panico...
«Andiamo... andiamo da lui?»
«Che?!»
«Sì, insomma... vieni a conoscerlo.»
«Starai scherzando, spero!»
«No! Non capisco cosa ci sia di strano...»
«Non capisci?! Quello è un uomo!»
«Lo so benissimo!» dico infervorato.
Lui mi segue, mentre lo conduco a casa di Alan. Sembra un po' simile alla situazione in cui ho portato il padre di Mark da Alan... ma era molto diverso, perché lui non sapeva nulla, e neanche Alan era consapevole di quello che stavo per fare. Respiro con calma cercando di non arrabbiarmi, perché dopotutto mio padre non sta gridando come un pazzo quanto non mi sopporta... spero solo che non creda di potermi cambiare.
Cosa starà pensando in questo momento? Non gli sono mai piaciuto, neanche prima... e adesso... cosa pensa di me? Sbuffo per scacciare questi pensieri, anche se è praticamente impossibile. Arriviamo davanti casa di Alan dopo un po', e mio padre mi guarda, aspettando una mia mossa.
«Beh?»
«Ehm... abita qui.»
Anche se in realtà, ci abitiamo insieme, d'estate...
«Ci stai sempre?»
«Come?!»
«Intendo... fin dall'inizio dell'estate, tu...»
«Ah... sì, certo.»
Respiro profondamente, senza però abbassare lo sguardo. Non c'è niente di sbagliato in quello che faccio. Noto che mio padre è piuttosto nervoso, e si gratta il collo senza più guardarmi. Almeno in questo, siamo simili, e mi viene una specie di sorriso, anche se credo sia più una smorfia. Non è che ci sia molto da sorridere.
«Che c'è?»
«Niente. Allora, entriamo?»
Lui mi guarda sospettoso, quasi lo stessi attirando in una trappola. Poi mi segue ed entriamo, dato che Alan mi ha dato, anche di questa casa, una copia delle chiavi.
«Sapevi di portarmi qui?»
«Lo sospettavo.»
«Le chiavi... ?»
«Sono mie.» gli spiego rimettendole in tasca. «Alan?»
«Sì, eccomi. Salve... il padre di Morgan, presumo.»
Mio padre lo ha squadrato per bene, come non gli ho visto mai fare con nessuno. Solo mentre lo guardava in faccia ho visto che era teso. Prima non me ne ero accorto. Alan lo osserva più discretamente, senza la minima traccia di imbarazzo. Io non riuscirei mai a rimanere impassibile, se una persona mi guardasse a quel modo.
«Sì, esatto, sono io. John Chrisman.»
«Alan Steele.»
«Steele?»
Oh, speriamo che non lo sappia. Insomma, può darsi che mia madre gli abbia parlato di lui... per il semplice motivo che lo ha trovato esaurientemente lodante nei miei confronti, durante questi due anni. E se lo sapesse già?
«Sì.»
«Ci conosciamo già, per caso?»
«No.»
Certo, dopotutto, è la verità.
«Quanti anni hai?»
«... ventisette.»
Vedo mio padre un po' stupito, perché forse pensava che fosse più giovane. Insomma, è vero che ci togliamo dieci anni, ma non è forse vero che l'amore non ha età? Sarà una cosa che si dice così, ma... è la realtà. Ci sono coppie di tutti i tipi in giro, e non c'è niente di strano. Ci mette un po' a riprendere a parlare, probabilmente perché deve ancora realizzare quello che Alan gli ha detto.
«Vivi qui?»
«No... a Hipyon. Scusi, ma... forse dovremmo sederci.»
«Già.»
«Prego, si accomodi.»
Alan e mio padre si siedono, e dopo un attimo di esitazione, lo faccio anche io, mettendomi abbastanza vicino ad Alan, anche se in modo da poter guardare sia lui che mio padre. E li guardo... Alan è teso, ma sa come non dimostrarlo. Ma io lo conosco bene, e me ne sono accorto. Mio padre, invece, sembra senza parole, ed è chiaramente a disagio. Possibile che non sappia cosa dire? Eppure sembrava pronto a dirne di tutti i colori... e poi, all'uomo che sta con suo figlio...
Accidenti, perché non può essere più semplice? Basterebbe dire le cose come stanno: questo è il mio fidanzato, e siamo innamorati, senza che l'età o la diversità delle nostre situazioni condizioni il nostro rapporto... siamo due esseri umani che si amano. Cosa c'è di difficile da capire? Eppure, pare che per i genitori sia molto complicato accettare il fatto che un figlio faccia quello che vuole... soprattutto quando quello che vuole fare si discosta da quello che loro desiderano che faccia...
 
Capitolo 39
Separazione (Morgan)

«Senti, sarà meglio parlare chiaro.»
«Certo. Dica pure.»
«Non ho nessuna intenzione di permettere che questa cosa vada avanti.»
«No!» scatto subito io.
Poi vedo l'espressione di mio padre, e anche quella di Alan, e mi risiedo. Devo mantenere la calma, lo so...
«Calmati, Morgan. Per piacere, signor Chrisman, cerchiamo di parlare civilmente.»
«Credo che sia tutto abbastanza chiaro. Se ti avvicini di nuovo a mio figlio, sono pronto a denunciarti.»
«Ma cosa dici, papà?!»
«Non ti agitare, Morgan... non potremmo trovare una soluzione?»
«Non credo che ce ne sia un'altra.»
Mio padre è agitato e assolutamente privo della voglia di capire la situazione. La rifiuta completamente, senza neanche provare a conoscerla meglio. È pieno di pregiudizi, e non credevo che ci avrebbe messo davanti un muro così alto... o forse, vuol mettere un muro tra me e Alan. Ma io non posso permetterlo in questo mondo, perché Alan per me è troppo importante.
«Senta...»
«Non credo di aver bisogno di sentire altro.» lo interrompe bruscamente mio padre. «Forza, andiamo.»
«Io non mi muovo di qui!» gli rispondo con tono di sfida.
«Morgan!»
Guardo Alan, sperando che mi aiuti, ma lui sembra pensare ad altro. Mi osserva con calma. Ma come fa?!
«Alan...» tento in un ultimo disperato tentativo, ma lui è irremovibile, seppur gentile.
«Morgan, obbedisci a tuo padre.»
Mi sento morire quando Alan mi fa cenno di sì con la testa, a significare definitivamente che in questo momento devo andare via. Allo stesso tempo, capisco che non c'è poi molto da fare, quindi seguo mio padre, senza fiatare, mentre sento la rabbia che cresce dentro di me ad ogni passo.
«Papà...»
«Non adesso, ne riparliamo a casa.»
Taccio a malincuore, sentendo un terribile impulso di andare il più lontano possibile da lui. Cosa starà pensando? Non sopporto il suo modo di fare... crede di sapere tutto, di sapere qual è la cosa giusta da fare, e non gli importa nulla di quel che penso e dei miei sentimenti. Non gli è mai importato nulla... questo lo so, fin da quando ero bambino. Perché mio padre dev'essere così?
Mi sta riportando a casa... e ora, lo so, non si fiderà più neanche dei Delozier, di Mark e di suo padre... e tutto per colpa mia. Mentre siamo in macchina, mio padre mi ignora completamente, probabilmente per non innervosirsi più di quanto non lo sia già! Chissà cosa dirà mia madre... ma non devo aspettare troppo per saperlo.
«Morgan?! John? Che succede?»
«Succede che Morgan non si muoverà mai più di casa con i nostri cari amici Delozier, né si vedrà con Mark al di fuori della scuola.»
«Ma... perché? Che è successo?»
«Io...»
«Tuo figlio, cara, non era dai Delozier, ma da un uomo che ha dieci anni più di lui...»
«Come?!»
«Mamma, io...»
«E non oso immaginare da quanto vada avanti questa situazione!»
«Con chi?!»
«Cazzo, fatemi parlare!»
«Alan... Alan Steele.»
Oh cazzo.
«Mamma... senti, io...»
«No, aspetta un attimo. Quell'Alan Steele che conosco anche io?»
«Quale?» chiede mio padre incuriosito.
«L'unico che conosci.» rispondo io ignorando la sua perplessità.
Vedo mia madre sedersi, esausta e ancora incredula. Lo so che non è esattamente quello che si aspettava, e, soprattutto, venirlo a sapere così...
«Insomma, volete spiegarmi chi è?»
«...»
Nessuna risposta. Ed io non riesco a guardare nessuno dei due.
«Tu sapevi già tutto, vero?» dice rivolgendosi a mia madre.
«No, no! Non sapevo nulla!»
«Ti comportavi in modo strano...»
«Ma non per questo... !»
Accidenti, perché doveva succedere tutto questo? Proprio adesso che le cose con Alan stavano andando così bene...
«E per cosa?»
Vedo mia madre esitare, per poi guardarmi. Cosa dovrei fare, io?
«Soltanto perché le avevo detto... che io sono...»
«Non osare pronunciare quella parola in casa mia.» dice mio padre con la voce bassa e un tono terribilmente serio, e mi sento morire in gola le parole, così come sento svanire ogni traccia di coraggio.
Senza dire nulla e senza rivolgergli più un solo sguardo, mi chiudo nella mia stanza, stanco nonostante non abbia fatto nulla. Ora che ho un attimo per pensare, sento il cuore che batte all'impazzata, e la testa più leggera, come se avessi bevuto. Non ho neanche le mie cose, dato che le ho lasciate a casa di Alan... scuoto la testa per scacciare i pensieri, ma non ce n'è motivo. Sento le voci dei miei genitori attraverso la porta, e stanno litigando.
«John...»
«Con Morgan parlerò dopo. Ma tu?! Perché non me l'hai detto? Perché non me ne hai parlato?!»
«Io avevo promesso, e non credevo che...»
«Che cosa?!»
«Tu sei sempre così... e non ti dai un po' di tempo...»
«Tempo per cosa?»
«Per capire che...»
«Non c'è niente da capire! Non va bene e basta. È così. E anche tu mi hai mentito...»
«Ma John... l'ho fatto per non tradire la fiducia di Morgan, e non credevo...»
«Cosa, ma cosa?! Che un figlio di quel tipo mi sarebbe andato a genio? Infatti è così!»
Mi scosto, incapace di ascoltare altro, e mi stendo sul letto. Sento gli occhi che mi pungono per le lacrime che li stanno riempiendo, e mi odio per il semplice fatto che lui riesca sempre a ferirmi, senza alcun riguardo né gentilezza. Poi il cellulare vibra, e mi siedo sorpreso. Un messaggio di Alan!
«Morgan, mi dispiace... come va? Quando puoi fammi sapere. Spero tu abbia ancora il cellulare.»
«Sì, ce l'ho.» rispondo in fretta. «I miei genitori stanno litigando, a causa mia...»
«Non ti preoccupare, Morgan...»
Sto per scrivergli un altro messaggio, quando il cellulare comincia a vibrare continuamente, perché mi sta chiamando. Che faccio, rispondo? Potrebbero anche sentirmi... ma starò attento, e poi ora sono troppo impegnati a discutere tra loro.
«Morgan?»
«Alan, non posso parlare ad alta voce, temo che mi sentano.»
«Capisco...»
«Cosa devo fare, secondo te?»
«Non lo so...»
«Tu cosa facesti, quando ti scoprirono?»
«Niente. Non fu così terribile... almeno all'apparenza. Ti consiglio di non cedere, se ne hai la forza. Altrimenti, resisti dentro di te, perché presto ci vedremo a scuola...»
«Mio padre potrebbe impedirmelo. Mia madre ha capito chi sei... ma ancora mio padre non lo sa...»
«Ora stai tranquillo, Morgan. Nascondi il cellulare, e quando sei solo in stanza chiamami pure, oppure mandami un messaggio, così potremo parlare. Ma cerca di non fartelo togliere, altrimenti non potremo sentirci per un bel po'...»
«Okay, grazie.»
«Ti sono vicino, Morgan... ti amo.»
«Anche io ti amo... e non cederò!» dico con più decisione.
Chiudiamo e mi sento più calmo, anche se sono pur sempre molto agitato. Ma la conversazione con Alan mi ha dato nuova forza. Non posso cedere, devo difendere il nostro amore. E devo essere capace di farlo da solo, contro chiunque.
 
Capitolo 40
Separazione (Alan)

Ormai è più di una settimana che non vedo Morgan. Per i primi giorni abbiamo continuato a sentirci, ma poi... è da quasi tre giorni che non ci sentiamo. Forse non avrei dovuto permettere che accadesse tutto questo, ma non so proprio come avrei dovuto comportarmi. Non so se le parole del padre di Morgan fossero serie oppure dettate dal momento, tuttavia... ho provato anche qualcos'altro, qualcosa che prima non avevo compreso appieno. Questa potrebbe essere l'occasione per lasciare Morgan.
In fondo, anche se ora lo amo, so bene come stanno le cose... e non voglio che soffra.
«Allora, perché mi hai chiamato?»
Paul. In questo momento, non potevo pensare a nessun altro con cui parlare.
«È... è successa una cosa grave.»
«Oh cielo, cosa?!»
«Morgan...»
«Già... dov'è?»
«Suo padre, te lo ricordi? Non so come, ha scoperto di me e Morgan... praticamente, è venuto a prenderlo.»
«Accidenti... quand'è stato?»
«La settimana scorsa.»
«È per questo che non sei venuto più in spiaggia?»
«Non ne avevo voglia.»
«Cosa hai intenzione di fare?»
«Suo padre sembrava abbastanza irremovibile... e forse io... dovrei...»
«Non puoi dire sul serio!»
«Invece sì... ci ho pensato, in questi giorni.»
«E lui non ne sa niente.»
«Non mi sento molto bene, ultimamente... e presto vedrò Nick. Riguardo Morgan, in questo momento non siamo in grado di comunicare.»
«E quel suo amico... ?»
«No, niente da fare. Suo padre sa tutto.»
«Accidenti... capisco. Beh, comunque, sappi che io ti sarò vicino...»
«Grazie, Paul. Senza di te, non so come farei!»
«Eh, lo so! Però... secondo me fai male a lasciare Morgan.»
«Dipenderà da quello che dirà Nick... e dal padre di Morgan...»
«Sì, certo... ma in realtà dipende da te. Sei tu a decidere.»
«Insomma...»
«Dai, Alan! Non cercare scuse.»
«D'accordo, hai ragione! È questo che vuoi sentirmi dire? Lo voglio lasciare, perché penso che sia la cosa migliore per entrambi...»
«Non era questo che volevo sentirti dire... dico solo che dovresti essere più sincero con te stesso.»
«Pensi che sia un codardo?»
«No.»
«Scusa.» dico rendendomi conto di quanto sbaglio a prendermela con lui.
«Non devi scusarti.»
Respiro profondamente lasciandomi andare su una sua spalla, senza piangere. Semplicemente, la sua vicinanza, in questo momento, mi fa sentire meno solo. È naturale che io non voglia lasciare Morgan, dato quello che ci lega... ma è ovvio anche che io pensi al futuro.
«Grazie.»
«Di nulla... però, dunque... vorrei che ci riflettessi davvero bene su questa cosa, okay?» mi risponde lui cercando di aiutarmi.
«Okay, te lo prometto...»
---
«È così che stanno le cose?»
«Sì... tu che ne pensi, Nick?»
«Penso che... sei libero di fare quel che vuoi. Ma se continui a fuggire per tutta la vita, non avrai mai nulla.»
«Fuggire...»
«Hai detto a Morgan che gli saresti stato vicino, no?»
«Sì.»
«Beh... se lo abbandoni adesso, non ti perdonerà.»
È proprio questo il motivo della mia indecisione... sono sicuro di volerlo perdere per sempre?
«La mia vita è... senza senso.»
«Non è vero...»
«... posso venire a casa tua?»
«... beh... okay...»
Andiamo a casa sua, dove stranamente c'è mia madre... possibile che io sia sempre così sfortunato?! In questo momento la famiglia è proprio quello di cui ho meno bisogno. Accidentalmente Nick mi vede voltare la testa dall'altra parte con aria affranta, e sembra dispiaciuto.
«Potevi dirmelo...» gli sussurro vicino.
«Scusa.»
«Oh... Alan! Ciao, caro...»
«Ciao, mamma...»
«Come mai qui? Oh, ma dai, venite, che aggiungo un piatto anche per te, Alan...»
Mia madre sembra studiarmi per tutta la cena; allo stesso tempo, trova il tempo per conversare senza sosta con Nick, mentre io vorrei soltanto potermi eclissare completamente, tanto mi sento a disagio. Ho voglia di stare solo... perché, dannazione, perché ho chiesto a Nick di venire a casa sua?! Ma è troppo tardi per pensarci...
«... Alan?!»
«Sì, mamma?»
Non ho sentito... Nick si è allontanato con i piatti vuoti. Accidenti a lui.
«Ti ho chiesto come vanno le cose in amore...»
«Ah...» rispondo abbassando la testa. «Niente, diciamo... non lo so neanche io.»
«Come? Che vuol dire che non lo sai?»
«Forse in questo periodo sono un po' confuso.»
«E vuoi tirartene fuori?»
«Fuori da cosa?! Uff... non si può parlare con te.»
«Ma, scusa, Alan...»
«Ehi, ehi! Mi intrometto io!» dice Nick tornando finalmente a tavola. «Secondo me non ti stai comportando nel modo giusto, Alan. Anche se poi, alla fine, sei tu che decidi...»
«Non so... solo... boh...»
«Sì, forse hai bisogno di riflettere, di mettere un po' di ordine dentro di te, ma... stai attento a quello che fai...»
«Mh...»
Mi pare quasi di sentire dentro di me la fine della sua frase... che potrei perdere per sempre una persona importante...
Mia madre finalmente se ne va, lasciandoci soli. La mia domanda è implicita, e so che Nick la capisce da come lo guardo.
«Okay, resta qui, per stanotte...»
---
«Ciao...»
«Ciao, Morgan.»
Siamo nel cortile dietro la scuola, a ricreazione. Non ci vediamo né sentiamo da un mucchio di tempo... del quale ormai ho perso il conto. Non ho fatto altro che chiedermi cosa gli avrei detto, eppure... ora tutta la mia decisione sembra venir meno, e respiro a fondo per trovare la forza di parlare in modo chiaro.
«Come... come stai?»
«Io bene. Tu invece mi sembri stanco... e debole.»
«Sì... mi sono stancato. Mi sei mancato molto.»
«...»
«Non mi dici niente?»
«Cosa vuoi che ti dica? Ho le mani legate, lo sai.»
Ed è vero. Ma sì, lo so che non mi sto comportando come dovrei, ma non ci riesco, non in questo momento. Anche se sono consapevole del fatto che Morgan ha tremendamente bisogno di me, adesso più che mai.
«Ci vediamo domani? Io sono praticamente quasi rinchiuso in casa, da quel giorno...»
«... non possiamo vederci.»
«Ma Alan...»
«Smettila, Morgan... ho mal di testa.»
Non mi volto a guardarlo, per non vedere la sua espressione, anche se la immagino perfettamente.
«Non so cosa fare, senza di te...»
«Cielo, non uscirtene con queste cose.» dico con tutta l'insofferenza possibile. E dato che ne ho tanta, non è poi tanto difficile. Ma sono cazzate. «Forse, sarebbe meglio se non ci vedessimo più...»
 
Capitolo 41
Un piccolo compromesso (Alan)

È più di una settimana che Morgan non viene a scuola. Dato che oggi ho la giornata libera, decido di arrischiarmi a fare un salto a casa sua. Non mi domando cosa farà suo padre... mi sento in colpa per ciò che ho fatto io. Il cellulare è sempre spento, e neanche Mark sa cosa stia succedendo nella famiglia Chrisman. Guardo l'orologio: sono le nove e mezza. Spero che Morgan non sia arrabbiato con me. Come cazzo mi è saltato in mente di dirgli quelle cose?! Avevano ragione Paul e Nick... sono stato un completo idiota.
Mi ritrovo qui, con i miei ventisette anni, a sentirmi ancora come un ragazzino. Morgan ha questo effetto su di me. E forse provo queste cose anche perché i miei genitori non mi hanno mai appoggiato in questo, nell'amore. Nel modo in cui io vivo me stesso. È proprio vero che è difficile essere decisi nelle proprie convinzioni. Ma se la società è fatta così... sì, insomma, ci sono certe regole, scritte e non, che tutti quanti seguono. Passivamente, senza pensarci.
Suono alla porta, lievemente nervoso. Ad aprirmi, come mi aspettavo, la madre di Morgan. È davvero stupita, e mi guarda con diffidenza, anche se mi pare di intravedere una punta di indecisione. Non sa cosa dirmi? Si sente in imbarazzo?
«Mi scusi il disturbo, signora...»
«No, ecco, io... si figuri...» risponde a bassa voce.
«Volevo solo sapere se lui sta bene, visto che sono tanti giorni che non viene a scuola...»
La donna abbassa lo sguardo, poi si volta a destra e a sinistra, quasi a controllare che non ci sia nessuno con me. O forse, semplicemente che non ci sia nessuno...
Poi mi prende con gentilezza il braccio, invitandomi dentro. Finalmente si lascia andare.
«Sta male, non riesco più a capire cosa devo fare...»
«...»
Vorrei dirle che voglio vederlo, che probabilmente è tutta colpa mia se ora lui sta così, ma... non ne ho il coraggio. Almeno questo lo riconosco. Ma la guardo intensamente, e lei stringe le labbra, poi si riavvia con nervosismo i capelli, poggiando infine le braccia su un tavolo, mentre si lascia andare su una sedia con stanchezza.
«... se lei... potesse...»
«Suo marito...»
«Lo so!» mi interrompe lei. «Ma... ora lui non c'è. Se gli parlasse...»
«Va bene.» dico cercando di non apparire troppo emozionato, e credo di riuscirci abbastanza bene.
Lei lo chiama. Era ancora a letto... e mi sembra impossibile quello che vedo. Trattengo il fiato: Morgan sembra una pallida ombra di se stesso. Sembra un'altra persona. Ma quando mi vede accenna un sorriso, poi viene colto dallo stupore. Mi avvicino lentamente, senza che nessun rumore disturbi il suono dei miei passi, che sembrano rimbombare nel mio cervello assieme al cuore.
Mi fermo a poca distanza da lui, esitando. Osservo sua madre, cercando un segno delle sue emozioni nei suoi occhi. Ma lei stringe le labbra, e non sembra intenzionata a dire nulla, così rivolgo nuovamente la mia attenzione a Morgan. Gli accarezzo gentilmente una guancia, con l'anima che freme di gioia e la testa che comincia a non ragionare più come dovrebbe. Lui mi guarda con degli occhi... e quell'espressione, così incredibile, smarrita, indecisa, triste e vagamente speranzosa, e finalmente mi avvicino a lui e lo abbraccio.
Lui, dopo un istante, si rilassa un po' abbracciandomi a sua volta, anche se è ancora nervoso. Lo percepisco, perché lo conosco piuttosto bene, a questo punto. Mi concedo di dargli qualche bacio in fronte e su una guancia, mentre sento che lui ha cominciato a piangere silenziosamente. Ci guardiamo, e lui mi studia, e temo stia pensando a quello che gli ho detto quel giorno...
«Mi dispiace.» dico semplicemente, e spero che basti, perché non mi viene in mente nient'altro da dire.
Vedo con la coda dell'occhio che la madre di Morgan si sposta in cucina, lasciandoci soli. Prendo il mio ragazzo per mano e lo spingo a sedersi insieme a me al tavolo, ma lui mi fa segno di andare in salotto. Ci sediamo su un divano, vicini ma non troppo, e sento una certa tensione.
«Sto male.» dice lui perentorio.
«Lo vedo.»
«È per questo che ti dispiace?! Faccio pena?»
«No, no... lo sai. Ho sbagliato a dirti quelle cose, a trattarti in quel modo...»
«Va bene, non sono arrabbiato. Solo... mi sono sentito male. Davvero.»
«Lo so...» dico prendendogli una mano.
Lui sorride un po', poi sua madre ricompare portandogli la colazione.
«Morgan, hai fame?»
---
Io e Morgan abbiamo ripreso a vederci... naturalmente, con discrezione. Non che prima andassimo in giro come se nulla fosse.
Sua madre mi ha spiegato cos'è successo, dal suo punto di vista: Morgan ha avuto varie discussioni con il padre, che ovviamente non ha ancora idea di chi io sia realmente, e alla fine ha rifiutato di rispondergli ancora. In seguito si è comportato in modo da risultare quasi non presente, e ha cominciato a mangiare di meno, evitando la compagnia di suo padre.
Ora è a casa mia. Grazie a sua madre, che però ha posto delle regole ben precise: possiamo stare insieme solo tre ore al giorno... certo, questo senza contare le ore che trascorriamo insieme a scuola. Ma quelle non sono molto rilevanti...
«Mi ha fatto arrabbiare un casino!»
Questo il punto di vista di Morgan.
«Lo immagino. Ma... cosa ti ha detto?»
«Voleva sapere chi eri, e si è arrabbiato molto anche con mia madre. Non sapevo cosa fare! Così gli ho promesso che non ti avrei più rivisto, se lui avesse smesso di cercarti.»
«Accidenti...»
«Però, quando poi sono tornato a scuola e mi hai detto quelle cose, dopo tutto il tempo che ho sopportato quella situazione...»
«Dev'esserti sembrato un periodo lunghissimo...»
«Infatti. Ma pensavo alle tue parole, e mi sentivo coraggioso.»
Stiamo in silenzio per un po', apprezzando semplicemente il solo poter stare insieme così, accoccolati uno vicino all'altro, mentre riflettiamo sulla nostra situazione, cercando una soluzione...
«Che cosa dovremmo fare?»
«Tu non hai nessuna idea, Alan?»
«Per ora va bene così... all'incirca.»
«Non va bene...»
«Io non... insomma, lo sai quello che provo per te, ma allo stesso tempo forse dovremmo provare a stare lontani per un po'...»
«Non l'abbiamo già fatto abbastanza?!»
«Lo so, lo so...»
Guardo Morgan, mentre lui imbronciato non dice nulla. Ora che mi soffermo meglio ad osservarlo, mi pare che sia un po' cresciuto. Comunque, forse, semplicemente, quell'aria un poco infantile sta progressivamente svanendo dai suoi lineamenti. Non dai suoi occhi. Accosto istintivamente il viso al suo, sfiorandogli la guancia sinistra col naso, e chiudo gli occhi mentre mi spingo sul collo a sentire il suo profumo.
Il suo odore.
Era da tanto tempo che non lo sentivo, e provo un'emozione bellissima in questo momento... mi sento così commosso che credo potrei piangere di gioia.
«Alan?»
Dentro di me, ovviamente.
«Hai idea da quanto tempo è passato dall'ultima volta che abbiamo fatto l'amore?»
Lui ride, poi mi abbraccia. E mi accorgo sempre più che ogni suo più piccolo gesto mi è mancato come l'aria che respiro, ma...
«Bastava dirlo...»
 
Capitolo 42
Un'iniziativa importante (Morgan)

Alla fine Alan ha deciso che è meglio restare separati per un po'. In realtà non ne vedo motivo: cosa mai potrebbe cambiare?!
«Ci sono altre cose, lo sai... e credo che questa sia la soluzione migliore.» mi ha detto.
Ma non è una soluzione...
Comunque, non gli ho detto nulla. Sono andato dai Delozier, senza dire a mia madre che non stavo andando da Alan... al quale ho persino restituito le chiavi di casa. Temporaneamente. Ma io ho avuto un'idea, e sono andato da Mark e da suo padre proprio per questo. È una cosa alla quale non avevo mai pensato, ma tutto sommato non è poi totalmente insensata. Oppure lo è, ma in questo momento non posso pensarci.
Perché ho deciso di chiedere aiuto al padre di Mark? Beh, non posso mica chiedere aiuto ad Alan... dopotutto, è di lui che si tratta.
«Scusa?! Cos'è che vuoi esattamente?»
«Sì, lo so che è una richiesta un po' bizzarra...»
«Ovviamente lui non lo sa...»
«Senta, lo so che non è esattamente corretto... ma io ho bisogno di sapere.»
«Sapere cosa?»
«Quello che... insomma, penso che incontrare la sua famiglia sia una cosa importante...»
«Va bene, Morgan. Ma dovrai avere un po' di pazienza...»
«Ho tutto il tempo!»
E quindi ora pazienza. I giorni passano lenti e pesanti, ed io mi comporto in modo normale: mamma è contenta. Con papà le cose sono sempre uguali, perché ci evitiamo a vicenda. Ovviamente, ho dovuto ricominciare ad andare a scuola... e quelli sono gli unici momenti in cui vedo Alan. Naturalmente ho parlato con Mark, dato che pure lui era piuttosto preoccupato. Ma da quando vado di nuovo a casa sua, è tutto a posto.
In questo momento sono a scuola. Dalla mia postazione al secondo banco riesco a vedere perfettamente Alan. No, voglio dire, il professor Steele! Sta scrivendo degli assurdi limiti alla lavagna, ed io non ho proprio voglia di stare attento, anche se so che devo. Butto uno sguardo a Mark, ma lui sta diligentemente seguendo, anche se ogni tanto si consente un piccolo scarabocchio ai lati del foglio. Faccio un piccolo sorriso e guardo Alan. È così maledettamente sensuale! E menomale che a scuola si veste normalmente. Sbuffo cercando di non pensare a niente, se non proprio a quello che stiamo facendo.
«Morgan?»
Ora ha preso a chiamarmi per nome anche durante le lezioni. Perché cazzo tutti stanno attenti?!
«Sì, mi scusi...»
D'accordo, per una volta si può fare, no? Gli lancio uno sguardo di sfida che lui non riesce ad interpretare, ma subito è costretto a voltarsi... Alan, non sai cos'ho in mente!
---
Ottobre.
Credevo di non resistere più, perché ogni singola giornata è stata pesante, pesantissima. E poi quest'anno dovrò anche sostenere gli esami di maturità, e io e Mark già ci sentiamo completamente agitati. Beh, più o meno. Il padre di Mark mi ha aiutato. Ha trovato le informazioni che mi servivano, ed è stato molto gentile da parte sua appoggiarmi; insomma, sono davvero una seccatura, talvolta. Per me, però, è un po' lui il mio vero padre...
E così eccomi qui. Non ho idea di come ho fatto ad arrivare in questo posto, anche se probabilmente è successo tutto grazie alla mia volontà. Leggo nuovamente le indicazioni che il signor Delozier mi ha gentilmente scritto, e mi guardo intorno. Possibile che sia questa?! Mi sento un po' insicuro... ma dopo tutto quello che ho fatto per arrivare fin qui, non posso tornare indietro.
Sono partito stamattina presto. Naturalmente ho saltato la scuola, mentre Mark, eventualmente, mi coprirà con mia madre. Dato che mio padre non torna a casa per pranzo, le ho chiesto, almeno per oggi, di poter mangiare da Mark e di starci un po' più del solito. Per fortuna ha accettato: sin dal primo momento in cui sono uscito di casa, sapevo già cosa dovevo fare precisamente. Certo, non perfettamente, perché non avevo mai fatto una cosa così avventata per Alan.
Esatto, lo sto facendo per Alan. Coraggio, Morgan, ce la puoi fare. Perché ti ritrovi qui davanti a questa casa, a questa enorme casa, se non per Alan?
Suono alla porta, con il cuore che batte fortissimo. E se non mi facessero entrare? Non saprò mai nulla, e tutto questo sarà stato inutile... non posso mollare. Nessuna voce mi chiede chi io sia, semplicemente un uomo mi apre la porta, e ha tutto meno che la capacità di accogliere le persone: non mi rivolge la parola per quasi un intero minuto.
«Sì, desidera?» dice alla fine squadrandomi dalla testa ai piedi, e sembra che mi stia implicitamente facendo capire che gli faccio perdere tempo.
«Vorrei parlare con i signori Steele, se possibile...»
Lui mi studia, cercando di valutarmi, e non so proprio cosa pensi, solo che alla fine decide di farmi accomodare in un salotto. Un enorme salotto che mi mette piuttosto in soggezione.
«Salve.»
«Buongiorno, signora.»
È una donna: la madre di Alan? Un po' gli assomiglia... anche se non mi soffermo più di troppo su questo. È ben vestita e posata, e mi guarda con aria di sufficienza, quasi fossi un insetto. Ma la sua voce non è cattiva, solo leggermente seccata.
«Allora? Tu chi saresti? Non capisco perché Sam ti abbia fatto entrare...»
«Mi scusi tanto se la disturbo a quest'ora, signora.» dico dispiaciuto.
Sono le undici.
«Spero sia qualcosa di importante, almeno.»
«Beh, sì, penso che lo sia.»
«Allora, chi sei?»
Coraggio.
«... io... mi chiamo Morgan e...»
«Morgan?»
Ora sembra improvvisamente più attenta. Si siede accanto a me e mi osserva intensamente.
«Ecco, io... signora...»
«Sì, dimmi.»
«Il fatto è che... ci sono alcune cose che io volevo chiederle... riguardo Alan...»
Mi gratto il collo, cercando di mantenere la calma. In fondo, non sto facendo proprio niente di male.
«Sei il suo ragazzo?»
«Sì...»
Lei sospira, poi ritorna a guardarmi.
«Allora, cosa vuoi sapere?»
«Vorrei sapere perché Alan è sempre così... voglio dire, cos'è che non dice mai.»
«... scusa?! Di che parli?»
Possibile che non lo sappia? Forse è qualche stupidaggine troppo intima perché un genitore lo possa sapere...
«Parlo di... cioè, non so di che parlo! Ma Alan sembra soffrirne parecchio...»
Ma sua madre è sinceramente perplessa, e mi guarda senza sapere cosa dire.
«Senti, tesoro, non so a cosa ti riferisci... come faccio a dirti io qualcosa che non sai?»
Accidenti, ha ragione. Ma ora cosa posso fare?!
«E ora come faccio?»
«Sta' tranquillo... dunque, vediamo... puoi... potresti... mh...»
«Potrei parlare con i suoi conoscenti. Cioè, con i suoi vecchi amici.»
«Ah... sì, certo, potresti.»
«Senta... sa per caso dove posso trovare un certo Nick?»
«Nick? Certo... puoi andare a casa sua, oppure puoi andarlo a trovare al lavoro...»
 
Capitolo 43
Quello che ho sempre voluto sapere (Morgan)

Sono in ospedale.
Non sapevo che Nick fosse un dottore, e non ho capito bene qual è il suo campo specialistico... ma non importa. Ho chiesto di vederlo, e lui mi ha ricevuto il prima possibile: cioè, circa dopo mezz'ora.
«Ciao, scusa ma avevo un po' da fare.»
«Ciao... figurati.»
«Allora... cosa ci fai tu qui?»
«Senti Nick... non vorrei seccarti, davvero, è solo che sono un po' stanco di cercare di capire cos'ha Alan... e visto che tu lo conosci da tanto tempo, ho pensato che probabilmente lo sapevi...»
Nick mi guarda con rassegnazione, stringe le labbra e alla fine sospira. Si siede.
«Alan non potrebbe mai dirtelo. Ma io non so se posso...»
«Ti prego!»
«Come hai fatto a trovarmi?»
«Sua madre mi ha detto che eri qui.»
«Ah... beh, senti, perché non vieni a pranzo a casa mia? Anche la signora Steele viene a mangiare da me... mi prepara il pranzo.»
Respiro profondamente. Non devo spazientirmi.
«Non sembra una donna che cucina...»
«Già. Ma tu probabilmente ti sei fatto ingannare dal suo aspetto. In realtà, quando può, le piace molto cucinare. Solo che a casa sua è sempre sola... soprattutto da quando non lavora.»
«E viene da te?»
«Beh... credo che mi consideri come una sorta di secondo figlio. Anche se sono un po' troppo grande per esserlo. C'era un periodo in cui eravamo tutti molto vicini... io, Alan e lei... capisci?»
«Ma... ma lei sa che voi...»
«No. Non l'ha mai saputo. Non so cosa direbbe. Però... insomma, mi vuole bene, e io mi sento meno solo quando la trovo a casa, quando torno.»
«... scusa, ma come fai se ti trovi qualcuno?»
Nick sospira di nuovo, e mi guarda con occhi tristi, ma anche dolci.
«Non ci può essere più nessuno, dopo Alan...»
Mi sento arrossire al pensiero che Nick gli voglia così bene. O che lo ami ancora, non lo so...
«Ma perché?»
«Forse, quando ti spiegherò, capirai...»
«E allora spiegami!»
«Aspetta che mi prendo una pausa...»
Aspetto pazientemente, anche se non mi sento più tanto sicuro di quello che sto facendo, nel senso che non sono certo di riuscire a rispettare i tempi che mi ero prestabilito. Per fortuna stavolta Nick non mi fa aspettare troppo, e mi invita ad andare con lui. Prima è stata la madre di Alan a portarmi qui... è stata gentile.
---
C'è anche la madre di Alan. Mi è venuto in mente che probabilmente si è incuriosita anche lei adesso, e vuol sapere quello che anche io voglio sapere... anche se non sa cosa sia più di quanto non lo sappia io. Nick mi è sembrato un po' in difficoltà, e spero che non si tiri indietro alla fine, perché io ho bisogno di sapere cosa succede. Cos'è che da tanto tempo tormenta Alan.
«Grazie, signora.»
«Figurati, Nick... è un piacere darti una mano.»
Mentre la madre di Alan cucina, finalmente Nick mi prende in disparte e mi guarda.
«Alan mi ucciderà.»
«Dai, parlami.»
«Sua madre non lo sa.»
«E dai! Ho capito, ma parla.»
Ora sì che mi sto innervosendo...
«Non ti arrabbiare... e abbassa la voce.»
«D'accordo. Ma tu parla...»
«Okay... ma ti racconterò tutto dall'inizio. Sai che Alan stava con un ragazzo, prima di me?»
«Sì, mi pare... Patrick?»
«Sì. Io allora lo conoscevo solo perché ero amico del suo medico. Dopo un po' di tempo, però, mi presentò anche Patrick. E quando smisero di vedersi, per via della sua famiglia, Alan venne da me a sfogarsi. Te ne ha parlato?»
«No... so di Patrick, ma... non sapevo che tu...»
Trattengo il respiro e le domande che mi vengono in mente e aspetto che Nick riprenda a parlare, anche se non capisco ancora l'attinenza di questo con ciò che voglio sapere.
«Beh, comunque... alla fine, successe così, cioè, non ricordo bene come, ma un giorno eravamo a casa mia ed è successo. Io piacevo già a sua madre. E non ti ho detto che i nostri genitori sono amici... comunque, Alan era contento, e anche io, così ci siamo messi insieme. Eravamo abbastanza felici. Andavo anche a casa di Alan, perché sua madre ne era contenta. Sembrava che andasse tutto bene. Alan stava pensando di parlare di noi a sua madre...»
«Ma?»
«Alan non stava bene. Era sempre stanco senza motivo. Me lo diceva lui in continuazione e anch'io me n'ero accorto, ma non capivo che avesse, perché quando glielo chiedevo, diceva che non lo sapeva neanche lui. Ma sono sicuro che già allora mi nascondesse qualcosa. Forse andava da un altro medico, non so... ma già allora si stava allontanando da me... stava succedendo qualcosa di cui io non ero al corrente...»
«Nick, Morgan, è pronto in tavola!»
La madre di Alan ci chiama. E io sto sudando.
«Oh mio Dio, dimmi! Cos'ha?»
«Sì, un attimo, signora! Morgan... sta' calmo, okay? Ci sto arrivando...»
«E allora arrivaci.» dico più tranquillo; ma mentre Nick raccontava, mi sono fatto prendere dall'ansia.
«Cominciai a suggerirgli ogni tipo di analisi che mi veniva in mente. Praticamente lo costrinsi. Beh... non ero certo di nulla. In un certo senso mi informai senza farlo sapere al suo medico. Non sapevo come gliene avrei parlato. Mi sentivo sconvolto... Alan ha la leucemia asintomatica.»
«La... la leucemia?»
«È una malattia particolare, la sua. Si chiama leucemia linfatica cronica, ed è un po' diversa dalla leucemia come te la stai immaginando.»
«Che vuoi dire? E poi... com'è successo?»
«Non chiederlo a me. Ti puoi solo immaginare lo stato in cui era Alan. E lo stato in cui ero io.»
«E lui... non ha detto niente alla sua famiglia?!»
«No. Disse che era stanco di doverli sopportare e per questo andava a vivere altrove. Ma non credo che abbia detto esattamente così ai suoi genitori... comunque, continuammo a sentirci. Per quasi un anno sono riuscito a convincerlo fare dei controlli da me... ma quando si è sentito abbastanza indipendente, mi ha detto che voleva stare un po' da solo, e che non voleva più che ci sentissimo.»
«Cioè... ora... come fa?»
«Nick, Morgan! La cena si sta raffreddando!»
«Credo che ogni tanto prenda delle medicine... te ne parlerò poi, se vuoi. Adesso andiamo.»
Ho la testa che mi gira. Vedo la signora Steele abbastanza allegra, e mi chiedo come faccia a non sapere. Mi chiedo come faccia Nick a non dirglielo... e penso a quanto dev'essere stato doloroso per lui... e soprattutto per Alan. Mi ritornano in mente le sue parole.
«... lo stesso motivo per cui, alla fine, lascio tutti...»
Non voglio che sia così. Vedo Nick che mangia, anche se non sembra averne molta voglia. Il mio stomaco ha fame, ma io mi sento sconvolto. Cosa devo fare, adesso?
«Morgan?»
«Sì, signora, mi scusi.»
Se non altro devo mangiare qualcosa, per educazione. Mi stupisco di quanto il cibo sia buono e allo stesso terribilmente pesante, e mi sento le lacrime agli occhi. Nick e la madre di Alan non dicono niente, ed io ho quasi paura di emettere dei suoni. Temo di mettermi a piangere in modo troppo esagerato. Alan, il mio Alan, malato? Leucemia? L'ho studiata, e non ricordo neanche bene cosa sia. Non ne so abbastanza!
«Morgan, tutto bene... ?»
«Sì, mi scusi. Scusatemi...»
Quando finiamo di mangiare, Nick mi consola un po', senza parlare, con un semplice abbraccio, e io gliene sono grato. Alla fine, appena mi calmo un poco, chiedo alla madre di Alan di andare a casa sua, anche se dovrei tornare alla mia, di casa... ma come posso farlo, in questo momento?
«Certo, caro. Vieni pure.»
Lei deve sapere. Vedo Nick che mi guarda con preoccupazione mentre andiamo via, ma non posso tenere questo segreto con lei. E suo padre? Devo ancora conoscerlo... e spero che sia migliore del mio. Inoltre, la signora Steele ha capito che Nick mi ha detto qualcosa, e certamente qualcosa le dovrò dire...
 
Capitolo 44
Zucchero e fiele (Alan)

Ottobre.
Questo dev'essere il primo giorno in cui Morgan è assente, da quando siamo tornati insieme. Più o meno. Non so perché ho una strana sensazione... anche perché noto che Mark ha un'aria strana. Cosa sta succedendo? Non dovrei insospettirmi, eppure... qualcosa mi dice che farei bene a chiedere informazioni a Mark. Ed è quello che faccio alla ricreazione.
«Mark, sta succedendo qualcosa?»
«Perché me lo chiede, professore?» risponde lui accigliato e mi sembra lievemente teso.
«Sai per caso come mai Morgan oggi non è venuto a scuola?»
Lui sospira e distoglie lo sguardo. Sembra a disagio.
«No.»
«Non sei molto convincente.»
«Oh, dannazione! È un segreto.»
«Che segreto?»
Ma non lo lascio rispondere che mi alzo per andare a casa. Non mi sento molto bene oggi. Il cellulare di Morgan non è raggiungibile, e dopo qualche tentativo rinuncio. Ma dove è andato a finire? Come se non bastasse sua madre si presenta a casa mia. Sento che potrei avere un attacco di panico, o non so cos'altro. So solo che mi gira la testa e stanotte ho dormito pochissimo.
«Posso entrare, professore?»
«Certo.»
«Non si sente bene?»
Anche se un po' riluttante mi faccio aiutare dalla signora Chrisman, che gentilmente mi chiede il permesso di andare in cucina.
«Cosa vuole fare?» domando allora.
«Zucchero. Credo che lei abbia un calo di zuccheri, tutto qui...»
«Grazie... è gentile da parte sua.» rispondo sorpreso.
«Possiamo darci del tu?»
«Certo. Io sono Alan.»
«Britney.»
«Morgan non è venuto a scuola.»
«Lo so, ho chiamato a scuola poco fa.»
«È per questo che sei qui?»
«Beh... sì.»
«Non so dove sia... ma credo che Mark lo sappia.»
«In questi giorni ho parlato un po' con mio marito...»
«Davvero?»
«Sì. Beh, ecco, non è che le cose stiano bene, ma certamente qualcosa è cambiato...»
«Per esempio? Ha smesso di odiare Morgan?» le sibilo contro senza riuscire a trattenermi... e me ne pento l'istante successivo. «Scusa.»
«Non importa. Comunque John non lo odia affatto. Cerca di capire che per lui certe idee sono difficili da accettare.»
«Scusa, ma non credo che l'omosessualità sia un'idea.»
Mi sembra di sentire mia madre... e ho anche risposto allo stesso modo di allora. Che ironia.
«Ti prometto che entro l'anno prossimo avrà accettato l'idea.»
Non è quello che disse mia madre...
«Come puoi esserne certa?»
«...»
«Comunque, grazie. Mia madre non ha mai cercato di far accettare la mia omosessualità a mio padre.»
«Tu parli ancora con tua madre?»
«Sì, ma non abbiamo un vero e proprio rapporto.»
Non ci posso credere, mi sto confidando con la madre del mio ragazzo? Eppure in questo momento non c'è nessun altro, e mai nessuno c'è stato... perché in realtà è come se in questo modo parlassi con mia madre... più o meno...
Ed è ancora più incredibile che lei mi accarezzi lentamente il viso... sento un nodo alla gola e trattengo il fiato. Lei non dice qualche sciocchezza inutile sul fatto che le dispiaccia, mi guarda semplicemente in modo comprensivo, facendomi addirittura salire un batticuore inaspettato... ma poi suona il cellulare, e l'incanto si spezza in un istante. Mi alzo per rispondere.
«Pronto?»
«Alan. Sono Nick.»
«Nick... ciao.»
«Senti, volevo soltanto dirti che Morgan è stato a casa mia...»
«Morgan è lì?»
Impossibile. Perché?
«No, non più. È appena andato via con tua madre.»
«Come? È con mia madre?!»
«Mi dispiace, ma ho parlato con Morgan.»
«Non puoi averglielo detto!»
«Sarebbe ora che tu crescessi un po' Alan, e la smettessi di comportarti come un malato irrecuperabile. Ciao.»
Ha attaccato. Non può essere... Morgan è... cioè, è andato a casa mia? Da Nick? Da mia madre e mio padre? Ma perché? Come?
«Cosa succede? Morgan è... ?»
Mi ero quasi scordato della madre di Morgan.
«Credo sia a casa dei miei genitori.»
«E ora?»
«Vado a prenderlo.» dichiaro mettendo il cappotto mentre cerco con lo sguardo le chiavi. «Tu non ti preoccupare.»
«Va bene. A dopo.» fa lei un po' preoccupata mentre esce da casa mia.
Resto fermo un attimo nell'indecisione, poi scuoto la testa e parlo.
«Aspetta.»
Lei si è voltata. Abbasso un po' lo sguardo e la voce e dico semplicemente: «Grazie per oggi.»
«Di nulla!» sorride lei, e per un attimo mi sembra di vedere mia madre al suo posto.
Quando salgo in macchina ho una sensazione di incredibile calma, nonostante tutto, e questo è molto strano. Poi però torno a concentrarmi su ciò che devo fare ora: devo andare a prendere Morgan. Dev'essere sicuramente andato con il treno, perché non penso che qualcun altro abbia potuto accompagnarlo... ma come ha fatto a sapere dove abitava la mia famiglia?
Cerco le chiavi, ma non trovandole da nessuna parte mi sono quasi rassegnato a scendere e suonare il campanello, poi però le trovo. Mi sento estremamente nervoso. Incredibilmente ad aprirmi è proprio mia madre, che appena mi raggiunge mi stritola come se non ci vedessimo da secoli.
«Alan, tesoro...» dice affettuosa.
Un po' inquieto la allontano da me.
«Sto cercando Morgan, in realtà. Sua madre è preoccupata e Nick mi ha detto che poteva essere qui.»
Lei sembra perplessa, oppure indecisa, non ne sono sicuro. Poi però sospira e mi invita ad entrare.
«Morgan...» dico vedendolo.
«Ciao, Alan.» fa lui con aria un po' colpevole.
«Supponevo che fossi qui... tua madre era preoccupatissima! Ma come ti viene in mente di fare sciocchezze simili?»
«Io...»
«Non credo che tu abbia il diritto di rimproverarlo.» si intromette mia madre.
Bene, adesso mia madre si è anche alleata con Morgan; sono tutti e due contro di me.
«Mamma, lui è minorenne!»
«Ancora per pochi mesi!»
«Volete smetterla di urlare?!»
Mi rimetto immediatamente in bocca le parole che già stavo per dire, e così sembra fare anche Morgan, imbronciato e arrabbiato almeno quanto me.
«Si può anche parlare civilmente ora. Alan... devi sapere che noi abbiamo parlato con Nick...»
«No...»
«Sta' calmo. Insomma, sono tua madre. E anche Morgan doveva sapere una cosa simile.»
«Mi vedete?! Io sto bene! Ho una vita normalissima, è come se fossi sano.»
«Ma non lo sei.»
Sento il dolore nelle sue parole e vorrei rispondere ancora più aspramente, ma non ne ho la forza. Morgan si limita a guardarmi, anche lui ferito e forse anche un po' deluso. Poi vede come lo guardo e sospira.
«Io volevo solo sapere la verità... volevo solo...»
«Non voglio sentire.»
«Se tu volessi fidarti di me... se tu ti fossi fidato di me...»
«Smettila!» gli urlo contro esasperato.
Ma lui non demorde.
«Alan, tu devi ascoltarmi. Se hai una vita così normale perché non me l'hai detto?»
Io apro la bocca per parlare ma non so cosa dire. In un istante vedo mia madre e Morgan che trattengono il respiro, e so che devo rispondere, che ormai è il momento di dire la verità.
«Perché, io...» comincio sentendo già un nodo alla gola.
«Sì?» fa lentamente Morgan avvicinandosi a me e prendendomi una mano. «Sì, dimmi.»
Anche mia madre si è avvicinata, così cerco di prendere un po' di tempo parlando prima con lei.
«Non potevo dirtelo così come non potevo dirti che ero fidanzato con Nick.»
La vedo sobbalzare leggermente per lo stupore, poi distoglie lo sguardo ripensando a tutto ciò che, probabilmente, in mancanza di me, suo figlio, ha riversato su Nick.
«Alan.» mi richiama Morgan. «Parlami.»
Mi volto e quello che vedo mi fa male.
 
Capitolo 45
La nostra promessa (Alan)

Mi sono finalmente deciso a parlare. O meglio, sono stato costretto dalla situazione, da Morgan e da mia madre, a farlo. Non riesco a non cedere di fronte alle lacrime di Morgan, il mio Morgan...
«Non volevo farti preoccupare per me... mi sento così... inutile...»
Morgan mi abbraccia, mi stringe forte, e lo sento singhiozzare.
«Non sei inutile. Sei solo uno stupido...» mi dice mentre nascondo il viso contro di lui.
Mia madre mi accarezza i capelli, unendosi per qualche istante al nostro abbraccio.
«Devi curarti.» afferma sicura.
«Non cominciare a...»
«Alan!» mi rimprovera Morgan. «Ha ragione tua madre.» dice asciugandosi le lacrime.
Io sospiro. Non ho nessuna voglia di starli a sentire, ma... se Morgan mi guarda così...
«Sono sempre stato un uomo senza scopo finché non ti ho incontrato...» riesco a sussurrare. «Mi farò curare seriamente... ma solo dopo la fine di quest'anno.»
«No! Perché?» si oppone subito lui.
«Voglio esserci mentre ti diplomi. Ci stai?»
Morgan si morde le labbra pensieroso, mentre mia madre gli lancia uno sguardo, e poi tutti e due guardano me.
«Non so... me lo prometti?»
«Te lo prometto. Te lo giuro. Ma tu devi essere il migliore.»
Mi sorride. È così bello, nonostante l'espressione sofferente.
«Contaci. Ti amo.»
E quel calore che provo quando mi dice ciò che prova mi cresce dentro ad ogni respiro.
«Anche io...» rispondo in un soffio. «Ma tua madre è preoccupata per te...» aggiungo.
«D'accordo. Allora, mi accompagni tu a casa?» fa quasi con timidezza.
Io annuisco, salutando mia madre, ancora un po' scossa ma non agitata, e portando Morgan con me in auto. Per tutto il percorso di ritorno non parliamo, e ho l'impressione che Morgan sia quasi più spaventato di me.
«Hai paura?»
«Sto male.»
«Non sto morendo...» dico cercando di rassicurarlo un po'.
«Lo so! Ma... non sono tranquillo.»
Riaccompagno Morgan a casa, ma lui insiste per restare un altro po' con me, così lo porto a casa mia, dove passiamo un po' di tempo insieme... in silenzio. Semplicemente, lui mi osserva, mi guarda con degli occhi enormi quasi aspettandosi che io svenga ad un momento all'altro.
«Non essere così teso.» cerco di calmarlo, dato che ora la cosa comincia un po' a irritarmi. «Non voglio che mi guardi così... capisci? È per questo che non volevo dirtelo...»
«Alan...»
Rancore. Verso me stesso, verso Nick... verso tutto, forse.
«Scusami.» mormoro un po' pentito. «Nick dice sempre che mi comporto come un malato, ma... non vorrei che tu mi trattassi come se lo fossi. Neppure lui lo fa, in fondo... mi tratta come un amico. Come mi ha sempre trattato...»
Morgan mi abbraccia, scusandosi. Poi mi dice che, effettivamente, deve tornare a casa, e mi lascia solo. Dopo un po' mi squilla il telefono, ed è sua madre.
«Britney, ciao.»
«Grazie per aver riportato Morgan a casa.» mi dice subito.
«Figurati...»
«Mi ha raccontato tutto.» fa poi abbassando un po' la voce.
Me lo stavo giusto chiedendo, ed ecco la conferma. Non mi va che tutti sappiano le mie condizioni di salute... anche se non credo che Nick abbia raccontato i dettagli.
«Sto bene.» affermo deciso, cercando di convincermene un po' io stesso.
«Riguardati. Ciao.»
«Ciao...»
Rimango di nuovo solo, io, nel silenzio della mia casa. Non so cosa fare. Mi sento strano, quasi un po' svuotato. Non devo più mentire a Morgan. Non c'è più quell'enorme peso dentro di me... eppure, sento che ci saranno ancora altre prove da superare. In fondo, il signor Chrisman ancora non ha accettato la nostra relazione, e poi c'è sempre mio padre che si disinteressa totalmente di me.
Chiamo Paul, spiegandogli un po' la situazione e cos'è successo, poi parlo un po' anche con me stesso, mettendomi davanti allo specchio e improvvisando conversazioni con Morgan o con Nick.
Nick. Ecco chi devo chiamare. Lui mi saluta calorosamente, e io gli rispondo pacatamente, anche se sono ancora un po' arrabbiato perché ha detto tutto a Morgan senza avvisarmi. Però non ce l'ho con lui. Mi racconta come gli vanno le cose in generale, e parliamo del più e del meno: così mi sta bene. Non è certo colpa sua se la situazione è quella che è. Poi mi lascio sfuggire della promessa, e sento il suo sorriso anche da qui... ma certo non immaginavo che l'avrei visto così presto!
Alla porta, infatti, c'è lui che ha appena suonato. Mi mordo le labbra, un po' intimidito dalla sua presenza in questo momento, ma lui chiude il telefonino e mi abbraccia, e allora mi lascio andare. Nick. Come ho fatto ad allontanarmi tanto da lui? Chiudo la porta e lo faccio accomodare, poi ci mettiamo a ricordare i vecchi tempi.
«Ti ricordi il nostro ultimo anniversario insieme?»
«Sì.»
«Eri così carino con quelle treccine...» ridacchia ricordandomi com'erano i miei capelli.
«Non prendermi in giro!»
Mi sento leggermente arrossire, ma Nick mi guarda con un'espressione così disarmante che non posso fare a meno di sorridere, anche se con un po' di tristezza, e un pizzico di nostalgia.
«Ho promesso a Morgan che andrò in cura, se sarà necessario... o comunque, farò quello che mi consiglierai tu...»
Oggi parliamo tutti a bassa voce, quando si tratta di questioni delicate.
«Era ora! Allora è così...»
«Come?» chiedo non capendo.
«Beh, sì... è proprio la persona giusta per te... il tuo Morgan...»
Il mio Morgan...
«Credo di sì.» borbotto sentendomi incredibilmente vulnerabile.
Nick è stato il mio primo e vero amico. E, probabilmente, anche il primo vero amore... sentirgli dire certe cose mi rassicura, mi fa stare bene. Lui si avvicina di più a me, abbracciandomi dolcemente.
«Sono contento di vederti così umano, finalmente.» sussurra facendomi sentire ancora peggio.
Nel senso che sono veramente, veramente vulnerabile in questo momento.
«Capisco.» dico; in realtà, non so cosa dire.
«Scusa se ho detto tutto a Morgan... in fondo, era tuo il compito di dirglielo, diciamo così. Ma per me, è stato come un dovere... verso di te, intendo. Oltre che verso di lui, naturalmente. Non so se hai capito...»
«Grazie.»
Mi sono voltato, ma ho trovato il suo viso vicino al mio. Ci siamo praticamente accoccolati sul divano, ora fin troppo appiccicati, ed io... non so come, ma mi ritrovo con le labbra sulle sue. O è lui che mi ha baciato? Mi ricordo ancora che è successo l'ultima volta che sono stato a casa sua, qualche mese fa...
«Non dovremmo, vero?» fa lui continuando a baciarmi il volto.
«Adesso ho bisogno di te...»
«Ti ho sempre amato, Alan... ma non voglio approfittarmi di te.»
«Nick...» lo prego.
«So che per te è un momento difficile, ma... potresti anche appoggiarti a Morgan, no?»
«È l'ultima volta... dico sul serio... per favore...» sussurro.
Nick annuisce, un po' comunque incerto. È vero che adesso Morgan sa la verità, ma non me la sento di spingere ulteriormente le cose: ho paura di spezzare qualcosa... anche se so già che, così, sono io a sfruttare Nick.
«Alan...»
«Resti qui, stanotte?»
«Sono di turno domattina presto... ma resto volentieri.»
«Scusa...»
 
Capitolo 46
Ospiti imprevisti dopo cena (Morgan)

Ormai è novembre. Da quando so la verità su Alan, credo di essere maturato un po'. E non lo penso solo perché sto per prendere la mia maturità. Se mi fossi lasciato andare a certi pensieri, e di quelli che Alan non vorrebbe che facessi, mi sarei sicuramente disinteressato dello studio; ora capisco il motivo della promessa che Alan ha voluto che facessi.
Ho fatto del mio meglio per stargli vicino, ma senza soffocarlo. Non ho parlato con nessuno della sua malattia, soltanto con mia madre. Se l'avessi detto a Mark, sicuramente il suo atteggiamento avrebbe potuto tradirlo; inoltre, Alan mi ha chiesto espressamente di tenere la cosa per me. Ed io non voglio assolutamente creare altri motivi di litigio fra noi. Non adesso che sento quest'enorme responsabilità verso di lui.
Lo so, è strano, ma non posso farci nulla. Sento come se tutto dipendesse dal mio comportamento, dalla mia capacità di essere la sua roccia, il suo punto fermo. È dolcissimo quando, la domenica mattina, mi viene ad aprire con quel suo pigiama a righe bianche e azzurre. Ogni volta lo prendo in giro perché sembra un carcerato, e lui per tutta risposta cerca di colpirmi per gioco.
Ci sono stati cambiamenti anche in famiglia. Non so come, ma adesso mio padre cerca un dialogo con me. È incredibile! Dev'essere frutto di qualche stregoneria fatta da mia madre, perché non lo so spiegare in nessun altro modo. In un certo senso, è tenero. È mio padre, sì: burbero, un po' pieno di pregiudizi e di certe idee sull'omosessualità, sì, ma... è impacciato nei suoi tentativi di comunicare.
«Come va con Alan?» mi ha chiesto quella sera, il mese scorso.
«Eh?» sono caduto dalle nuvole io, profondamente concentrato sulla cena e su Alan.
«Ti ho chiesto...»
«Ho sentito.» ho risposto un po' stupito, guardandolo sinceramente curioso.
Non mi aveva mai guardato così, con quell'espressione dispiaciuta e forse veramente interessata a sapere qualcosa di me.
«Mi dispiace.»
È incredibile, ma si è persino scusato. Da allora le cose hanno cominciato ad andare un po' meglio, e quando ho provato a chiedere spiegazioni a mia madre, lei mi ha fatto l'occhiolino, per poi svignarsela evitando il discorso. Che gli avrà mai detto? L'avrà rimesso in riga da perfetta moglie comanda marito? Quella volta sono corso a dirlo ad Alan, che mi ha sorriso in modo dolcissimo. Sembrava stare bene, ed ero felice.
Adesso sono da Alan, costretto a starmene seduto mentre lui prepara la cena. Non ne ha voluto sapere di farsi aiutare; mi ha relegato qui come chissà quale ospite speciale! Ma non ho nessuna voglia di non ostacolarlo, e quindi vado in cucina, arrivandogli alle spalle.
«Non penserai davvero che ti lasci fare tutto da solo, no?» chiedo sbirciando in giro.
«Tanto ormai ho quasi finito.»
«Cosa stai... ?»
«Pane e acqua!» dice spingendomi fuori dalla cucina. vE adesso siediti.»
Io sbuffo, ma lo accontento. Guardo il cellulare che lampeggia; lo avevo lasciato sul tavolo. Mi è arrivato un messaggio di Mark: mi informa sul fatto che il suo appuntamento con una certa Rose sta andando a gonfie vele. Gli rispondo in fretta e furia di non lasciarsela scappare, e specifico che sto aspettando che Alan mi faccia mangiare qualcosa di veramente delizioso.
«Non stavo scherzando.» mi arriva la voce di Alan, che porta un piatto con del pane.
«Ma...» tento di replicare notando invece quanto sia serio.
«Ovvio che sto scherzando!» mi prende in giro lui, arruffandomi i capelli.
«Ehi! Ci ho messo un'ora a sistemarmi...»
«Non devi farti bello per me.» abbassa la voce lui, posando il piatto.
---
«Ho detto a mia madre che sarei tornato presto.» mormoro un po' sconsolato, ma con lo stomaco decisamente pieno.
«Hai gradito?» chiede Alan, accarezzandomi con gli occhi.
È bello sentirsi così coccolati e amati, ma sento che dovrei essere io quello a farlo. Alla fine mi alzo, abbracciandolo.
«Tutto bene?»
«Devi smetterla di preoccuparti così tanto per me.» gli dico, deciso. «Non sono fragile come pensi!»
«Sei un moccioso...» sussurra lui con dolcezza.
«Non sottovalutarmi. Potrei sorprenderti, sai?»
Alan sorride, poi mi bacia, mentre le nostre mani s'intrecciano quasi automaticamente. Mi rilasso all'istante, ma dopo poco mi stacco.
«Devo andare a casa...»
«Lo so. Salutami Britney.»
«Ti amo.» è l'ultima cosa che dico prima di lasciare la sua casa.
Il cielo è pieno di stelle; non ci sono nuvole. Ed io mi sento in colpa per aver lasciato Alan da solo a lavare i piatti e a sistemare i resti della cena. Mi volto per un attimo, e vedo qualcuno davanti casa sua, ma sono troppo lontano per capire di chi si tratti. Incuriosito torno sui miei passi, aspettando qualche istante. Per fortuna ho le chiavi di casa, così entro silenziosamente. Con il rumore delle posate e dei piatti, poi, non credo che Alan mi avrebbe sentito.
Mi avvicino alla cucina, lentamente. Provo anche a buttare un occhio alla stanza, ma l'uomo è di spalle, quindi non riesco ancora a capire chi sia. E non voglio rischiare di farmi beccare a spiare, proprio ora che la curiosità è cresciuta. Respiro profondamente e tendo le orecchie.
«Non dovresti essere qui.»
È stato Alan il primo a parlare, a meno che io non mi sia perso qualcosa prima.
«Sono qui per un buon motivo, Alan. E tu lo sai bene qual è.»
L'uomo parla a voce bassa, e non saprei dire se lo conosco. Un medico? O un suo amico? Mi mordo le labbra, impaziente. Perché è arrivato proprio dopo che io sono andato via?
«Non so di che parli.» continua Alan.
«Il tuo amico ha parlato con me.»
«Perché?» fa Alan dopo essersi schiarito la gola.
«Era ubriaco. L'ho incontrato per puro caso. Ma indovina un po' cosa mi ha raccontato?»
«Non sono comunque affari tuoi.» risponde un po' nervoso il mio Alan.
«Hai ragione, Alan. Ma stai camminando su sentieri pericolosi, e dato che sono tuo amico mi sento in dovere di avvisarti quando penso che tu stia commettendo degli errori...»
«Quanto sei filosofico!» si arrabbia, evidentemente abbandonando l'idea di una discussione civile. «In questo periodo tutti si sentono in dovere di dirmi cosa devo fare e quale sia la cosa giusta da fare, ma da te proprio non me lo sarei aspettato.»
«Sono tuo amico...»
«Allora dovresti starne fuori, questa volta.»
«È quello che hai detto a Morgan?»
Io trattengo il fiato, sentendo Alan sospirare. Ho voglia di guardare la sua espressione, ma mi sento paralizzato. Come se all'improvviso le gambe fossero pesantissime, e mi ancorassero al suolo in maniera irreversibile. Se potessi ridere di questa situazione, lo farei, ma per adesso sto semplicemente cominciando a sudare, preda di una certa inquietudine anche io.
«No...» ha risposto intanto Alan, dopo infiniti attimi di silenzio.
«Immagino che non ne sappia nulla.»
«Per favore...» bisbiglia Alan, e a stento riesco a percepire la sua voce.
Io riesco finalmente a vincere la mia immobilità, ed esco allo scoperto. Alan mi guarda stupito, mentre il suo interlocutore finalmente si volta verso di me.
«Oh cazzo...»
 
Capitolo 47
Spiegazioni e... in attesa del Natale (Morgan)

«Credo che vi lascerò soli.» dice seriamente Paul, con un'ultimo sguardo verso Alan.
Sembra in difficoltà.
«Che è successo?» gli chiedo appena siamo soli.
«Morgan...»
«Dimmelo! Accidenti, mi sta salendo un'ansia, Alan! Per favore...» insisto sentendomi veramente male.
Mi gira la testa e ho la certezza che, qualsiasi cosa sia, non sarà bella. Se Alan stesse male?
«Morgan, io...» comincia senza riuscire a finire.
«Ti prego, dimmi cos'hai... stai male?» chiedo preoccupato.
«No.»
«E cosa, allora?»
«Non sarai felice di saperlo.»
«Dimmelo lo stesso.»
«Ti ho... tradito.»
«Tradito?» ripeto senza riuscire a capire.
«Con Nick.» dice, poi sospira. «Sapevo che era sbagliato, ma nonostante questo l'ho fatto. E certamente ti capirò se adesso ti arrabbierai.»
Io mi siedo lentamente, cercando di assimilare la notizia. Sento gli occhi pungere per le lacrime che vogliono venire, ma scuoto la testa, cercando di capire perché mai Alan mi ha tradito. Mi sembra impossibile pensare che lo abbia fatto; dopotutto, non siamo stati così male nell'ultimo periodo.
«Perché lo hai fatto?» gli chiedo allora.
«Perché sono debole. Sono umano, e ho sbagliato.» ammette sedendosi accanto a me.
Ancora non riesco a guardarlo, ma vorrei tanto che mi toccasse, rassicurandomi.
«Sei stressato, è un brutto periodo per te...» aggiungo cercando di giustificarlo.
«Sì, ma nonostante tutto non avrei dovuto. Ti chiedo scusa, Morgan.»
«Oh, Alan...»
Lo abbraccio, non resisto più. Non mi importa cos'ha fatto, perché lo amo e so che si sta impegnando al massimo. Devo soltanto accettare la cosa, e perdonarlo. Lui mi stringe a sua volta, chiedendomi di restare con lui, e annuisco, anche se non dovrei.
«Va bene, stanotte resto qui.»
Alla fine rimaniamo accoccolati sul divano a parlare per un bel po' di tempo.
«In realtà mi sento libero da un peso, ora che lo sai...»
«Alan, tu puoi contare su di me! Non so perché ancora non ne sei convinto... ti amo, questo lo sai, e farei qualsiasi cosa per te, e so che hai fiducia in me ma... forse non abbastanza, non lo so! Devi solo fidarti di me. Sono abbastanza forte per starti accanto, credimi...» butto giù tutto d'un fiato le mie emozioni, con serietà.
Alan mi guarda con uno sguardo da uomo sperduto, poi si abbarbica a me.
«Non volevo fartelo pesare così tanto...»
«Cosa? Cosa non volevi farmi pesare?» gli chiedo accarezzandogli la schiena.
«... me.»
«Eh?»
«Me stesso. Tutto quello che sono.»
Io sospiro. Possibile che ancora dopo tutto questo tempo... Alan abbia tutte queste insicurezze? O è solo da quando so della sua malattia? Comunque sono contento di averlo saputo, perché in questo modo siamo stati in grado di chiarirci. Voglio essere io a stargli vicino; ne sono più che capace. Sarò forte abbastanza.
---
Dicembre.
Per fortuna mia madre quella volta non si è arrabbiata per il fatto che ho dormito da Alan, e mio padre non ha neppure commentato.
Io e Alan ci vediamo il più possibile, ma allo stesso tempo cerco di impegnarmi al massimo nello studio, sia perché voglio rendere Alan orgoglioso di me, sia per via della nostra promessa. Non riesco a pensare a quando finalmente potremo stare insieme un po' più liberamente, dato che finalmente divento maggiorenne e mio padre non potrà metterci più nessun ostacolo. Ho detto a Mark questa cosa ed è veramente contento per me, anche se non sospetta nulla.
Alan, da quando abbiamo chiarito le cose, mi ha assicurato che avrebbe spiegato tutto anche a Nick. Gli ho creduto. Adesso sono davvero molto concentrato sulle milioni di cose che devo studiare per i compiti in classe di questo periodo. Però devo anche pensare a cosa potrò regalare ad Alan per il suo compleanno quest'anno. Ma, prima ancora di questo, ci sarà il Natale.
Lo so che è incredibile, ma mio padre ha proposto di invitare Alan! È la cosa più sconvolgente che gli abbia sentito dire.
Eravamo a tavola, una sera, e mia madre parlava di decorazioni, dei regali che deve fare e delle previsioni del tempo, mentre io cercavo un modo di farle capire che avrei tanto voluto passare il Natale con Alan.
«Ehm...» avevo cominciato per la centesima volta, per poi essere subito interrotto.
«Ah, e quelle luci intermittenti invece...»
«Insomma, Britney, vuoi smetterla?» si era messo in mezzo allora mio padre, sorprendendo sia me che mia madre. «Morgan sta cercando di dire qualcosa.»
A quel punto ero caduto nell'imbarazzo più totale: sì, avevo la loro piena attenzione e non sapevo più cosa dire.
«Cosa volevi dirmi, tesoro?» mi incoraggiava mia madre.
«Forse volevi inserire Alan nel discorso natalizio?»
«Sì.» mi ero lasciato sfuggire allora, senza però riuscire ad aggiungere altro.
«Perché non lo inviti qui da noi? Per una cena in famiglia. Durante la vigilia intendo. O potremmo pranzare insieme proprio a Natale...»
Era stata proprio una bella sorpresa. Alan, quando glielo avevo detto, dopo i primi momenti di smarrimento aveva accettato entusiasta, commentando il fatto che se sua madre fosse stata almeno un po' più simile alla mia, magari anche suo padre avrebbe trovato il modo di venirgli incontro.
E così adesso sono qui, a scervellarmi su cosa posso regalare al mio Alan quest'anno. È difficile sia perché sono due regali, sia perché per me è già bello semplicemente stare insieme a lui. Ho provato a chiedere consiglio a Mark, ma non mi è stato di grande aiuto.
«Secondo te io dovrei sapere cosa puoi regalare a quell'uomo?» ha esclamato fingendosi più che indignato, anche se si vedeva perfettamente che stava fingendo.
«Uffa, Mark...»
«Non è colpa mia! Sei tu quello che lo conosce meglio, no? Prendi la prima cosa che ti ispira, e vedrai che andrà bene.» aveva poi chiuso il discorso dandomi una pacca sulla spalla.
Come al solito, dovrò fare da solo.
 
Capitolo 48
Inviti e... in attesa del Natale (Alan)

Quando Morgan mi ha detto che suo padre ha proposto di invitarmi a Natale da loro, sono rimasto a dir poco allibito. Morgan cercava di non sorridere mentre mi comunicava quest'interessante sviluppo, poi si è fatto serio e mi ha suggerito di invitare anche i miei genitori, ma sarebbe una follia. Follia pura! Però, ripensandoci su, ho capito che avrei anche potuto provare a invitarli. Mia madre, ansiosa com'è, mi chiamava spesso e avrebbe voluto che andassi a trovarla più spesso. E quindi mi sono deciso a fare una visita a casa il venti dicembre, trovando, fortunatamente o sfortunatamente, anche mio padre.
«Come mai qui?» mi ha chiesto incerto; era un po' stupito.
Un incontro dopo non so quanti anni, e lui mi accoglieva così... stavo ancora pensando a come rispondergli quand'è sparito, ed io l'ho seguito... così ho raggiunto il primo punto del piano che mi ero prefisso. Beh, non è che fosse proprio qualcosa di complicato: il primo punto consisteva nel trovare entrambi i miei genitori ed avere l'occasione di parlare; il secondo, invece, consisteva nell'invitarli alla famosa cena di Natale.
«Alan, tesoro, stai bene?» mi ha domandato mia madre titubante.
«Sì.» ho risposto lottando per mantenere la voce ferma. «Avete programmi per Natale?»
«Non proprio... tuo padre come al solito vuole portarmi in un noioso e costoso ristorante che...»
«Cosa vuoi?» ha tagliato corto lui.
Probabilmente si era innervosito, ma non ne sarei certo. Mi sono concesso ancora un altro respiro, poi ho preso coraggio e ho spiegato cos'avessi in mente.
«Morgan mi ha invitato dai suoi, questo Natale. E siete invitati anche voi.»
Mia madre ha sorriso, annuendo contenta, mettendosi poi però a fissare mio padre.
«Chi è Morgan?» si è lasciato sfuggire con l'ennesima domanda inutile ed inopportuna.
«Il mio ragazzo.» ho risposto fingendomi tranquillo; in realtà ero agitato e per me arrivare alla mia età e avere ancora questi problemi è davvero qualcosa di insopportabile. «Venite o no?»
«Certo!» ha finalmente lasciato andare mia madre, che aspettava l'occasione giusta per scaricare il noioso e costoso ristorante, insieme al probabilmente noioso marito.
No, forse ero stato troppo severo. Forse. Perché mio padre non è riuscito ad aprir bocca, dato che mia madre è partita con un fiume di parole che neppure riesco a ricordare, cacciandomi via nel frattempo, non prima di avermi lanciato un occhiolino piuttosto eloquente: mi avrebbe chiamato più tardi per i dettagli.
---
E adesso sono qui, data ventidue dicembre, ancora in cerca di un regalo per Morgan. La cosa è vergognosa, ma, con tutti gli impegni e lo stress del periodo, mi sono ridotto all'ultimo momento. Vorrei scegliere qualcosa di speciale, visto che è il nostro terzo anno insieme. Inspiegabilmente, al pensiero di questi tre anni, sento il cuore sussultare. Possibile che Morgan mi faccia ancora questo effetto? Che io sia così terribilmente innamorato di lui da perdermi in quelle che fino a poco tempo fa avrei considerato sciocchezze?
Quando ho detto a Morgan di Nick, non ero affatto sicuro che mi avrebbe perdonato. E invece lo ha fatto. Ha continuato a starmi vicino, così come ha sempre fatto, e finalmente gliel'ho permesso. Perché Morgan, quello che tre anni fa era un ragazzino di quindici anni conosciuto sulla spiaggia, adesso è il bellissimo giovane uomo di cui sono innamorato. Scuoto la testa, scacciando questi pensieri sdolcinati. Insomma, sono io l'adulto, comunque! Secondo Nick, la salute è a posto, quindi per il momento posso permettermi questo tipo di divagazioni mentali.
Ecco. Cosa c'è di meglio di un cellulare nuovo per Morgan? Forse però dovrei regalarglielo per il compleanno? Non ne ho idea. Ma il negozio di elettronica, inspiegabilmente, mi attrae come una calamita, e quando esco ho ben due regali: uno per il compleanno e uno, ovviamente, per Natale. Non è che mi dispiaccia una cena in famiglia, anche se forse il fatto di invitare i miei è un po' come... beh, sì, insomma, come una specie di ufficializzazione della cosa...
«Regali per Morgan?»
«Mi hai spaventato, Paul!»
«Scusa, Alan... eri così assorto. A che pensavi?»
«Ah...»
«Uh... scusa, ti ho messo in imbarazzo, eh? Quindi era proprio Morgan...» abbassa la voce mentre parla. «Tutto bene?»
Capisco subito che si riferisce alla mia salute e annuisco contento.
---
Ventiquattro dicembre, la vigilia. Dato che domani ci sarà praticamente quello che io definirei uno strano esperimento di pranzo natalizio, io e Morgan abbiamo deciso di passare almeno tutta la vigilia insieme. O, meglio, io ho insistito su questo punto. Morgan era quasi più stupito di me quando ha saputo che mio padre ha accettato, anche se sarebbe più corretto dire che è stato praticamente costretto da mia madre. Non so cosa lei gli abbia detto, ma mi ha chiamato per confermare che ci saranno entrambi, e che porterà qualcosa da mangiare.
«Hai la testa tra le nuvole?»
«Tutto a posto.» rassicuro Morgan. «Piaciuta la cena?»
«Molto buona, grazie. Come sempre, sei un ottimo cuoco.»
Mi sorride.
«Ti va di scambiarceli adesso, i regali?» gli chiedo.
«Perché?»
«Sarebbe imbarazzante, davanti ai nostri genitori... non credi?»
«Mh... sì, probabilmente sì! In realtà ci avevo pensato anch'io, quindi li ho portati qui con me...»
«Bene.» annuisco andando a prendere il primo regalo di Morgan.
Lui non mi segue, per fortuna. Non voglio che scopra che ho già comprato l'altro regalo, o potrebbe diventare troppo curioso. Tra le mani ha il regalo per me.
«Prima tu.» mi fa contento.
Devo avere più o meno la stessa espressione quando apro la busta: dentro ci sono un paio di guanti, un cappello e una sciarpa di lana coordinati tra loro, di un bel colore viola scuro, che subito provo ad indossare.
«Grazie, Morgan. È stupendo. Sto praticamente annegando nella morbidezza!» rido, guardando poi eloquentemente il pacchetto ancora chiuso tra le sue mani.
«Mh... è piuttosto piccolo, no?»
«Non conta la grandezza, Morgan... ti decidi ad aprirlo?»
«Cavoli, è stupendo!» sorride tenendo tra le mani la confezione dell'i-pod.
Poi, finalmente, mi bacia. Durante lo scarto dei regali ci siamo trattenuti un po' senza motivo, ma adesso ho voglia di fare l'amore per tutta la notte. Distrattamente butto uno sguardo all'orologio: ancora non è mezzanotte precisa, ma non me ne importa nulla.
«Sai che non ti lascerò dormire, stanotte, vero?»
«Sì...» mi risponde Morgan, in un sussurro.
«Buon Natale, Morgan.»
«Buon Natale, Alan. Ti amo.»
 
Capitolo 49
Cena natalizia (Alan)

Venticinque dicembre. Alle sette in punto mi presento a casa di Morgan, deciso a trascorrere un po' di tempo con lui e con la sua famiglia. Del resto, sono stati veramente gentili ad invitarmi, specie dopo tutto ciò che è accaduto. La madre di Morgan, Britney, mi accoglie con un sorriso, invitandomi a posare il mio soprabito. Mi saluta con un certo imbarazzo anche il padre di Morgan, senza però riuscire a guardarmi negli occhi per più di qualche istante.
Capisco il suo imbarazzo. In fondo, sono un po' imbarazzato anche io da questa situazione. Poi vedo Morgan che mi viene incontro.
«Ciao! Finalmente sei arrivato. Non vedevo l'ora!» dice tutto allegro, e mi dà un lieve bacio a fior di labbra, allacciandomi le braccia dietro il collo, creandomi ancora più imbarazzo.
«Buonasera a te, Morgan.» dico, mantenendo un certo contegno.
«Buonasera? Cosa sono queste formalità? Dai, vieni in salotto, che ho una sorpresina per te.»
Mi fa l'occhiolino e lo seguo curioso. Cosa sarà? I regali ce li siamo già scambiati, quindi non potrà essere qualcosa del genere... Rimango abbastanza basito nel trovare entrambi i miei genitori seduti sul divano del salotto, a casa del mio ragazzo. Sono già qui! Non credevo che si sarebbero presentati anche loro con tanto anticipo.
«Ciao tesoro.» fa mia madre, correndo ad abbracciarmi forte. «Buon Natale.»
Ricambio l'abbraccio ancora un po' stordito, senza interrompere neanche per un istante il contatto visivo con mio padre. Mi guarda da quando sono entrato, con un'espressione che non saprei definire. Sembra incerto, confuso, in parte scocciato ma anche... curioso?
Vedo mia madre fargli un cenno con gli occhi e si alza anche lui, venendomi incontro. C'è uno strano momento in cui nessuno dei due sa cosa fare, poi ci abbracciamo in maniera un po' impacciata.
«Buon Natale, papà.» sussurro quando ci separiamo, mettendolo leggermente in difficoltà.
«Buon Natale.» risponde un po' burbero, tornando al suo posto.
Quando ci sediamo tutti, penso che sarà difficile trovare qualcosa di cui parlare, però Morgan comincia un bel discorsetto.
«Grazie di essere tutti presenti. So che non è stato facile, però io e Alan lo apprezziamo molto. Ci terrei a dirvi due parole. Ecco... so che la nostra relazione è nata in maniera un po' particolare, che io sono ancora un ragazzino per tante cose e che lui sta attraversando un periodo particolare. Però il fatto di avere le nostre famiglie riunite mi dà speranza nel futuro e mi fa sentire più felice.»
Non credo che dimenticherò le sue parole. Sono state semplici, ma allo stesso tempo sentite. Non riesco a trattenere un sorriso.
«Buon Natale a tutti.» dice alzando in alto il proprio calice.
La serata prosegue bene; si è creata un'atmosfera tranquilla anche e soprattutto grazie a Morgan, che chiacchiera un po' con tutti e sembra davvero di ottimo umore. Ogni tanto mi guarda con quegli occhi brillanti e non riesco a non ricambiare con un sorriso, anche se sono intimidito dalla presenza dei miei genitori.
«Quindi, dopo la fine dell'anno?» mi sta chiedendo mio padre.
«Sì.» annuisco prendendo un altro stuzzichino. «L'ho promesso.»
In realtà, finché i controlli non evidenziano cambiamenti nel mio stato di salute, non dovrei far nulla di particolare. Ma questo glielo spiegherò più avanti.
«Mi dispiace per quanto accaduto.» continua mio padre in modo che solo io possa sentirlo. «Intendo, ehm, per Patrick.» tossisce imbarazzato.
Non credevo che si sarebbe mai scusato per quella storia. Chiaramente mi fa piacere, anche se mi rende allo stesso tempo anche triste. Forse perché in parte penso che mi chieda scusa soltanto perché mi crede malato. Odio essere trattato da malato.
---
Hai visto? Te l'avevo detto o no che sarebbe andato tutto bene!?» mi dice entusiasta Morgan, quando ci ritroviamo all'ingresso ed è arrivato il momento di salutarci.
Ho già salutato entrambi i genitori di Morgan, mentre i miei sono qui fuori che mi aspettano.
«Sono felice che tu sia il mio ragazzo.» ammetto sinceramente. Lui sorride in maniera meravigliosa. «Perdonami per non essermi appoggiato a te, finora.»
Lui mi avvolge dolcemente le braccia intorno, affondando il viso nel mio collo.
«Lo sai che puoi fidarti di me...» dice pianissimo, e sono colto da tanti piccoli brividi.
Ricambio quell'abbraccio molto volentieri, baciandogli la nuca, soddisfatto. Per alcuni versi, questa serata è stata davvero impegnativa. Cioè, entrambe le nostre famiglie riunite, insieme a noi due, che non ci stiamo più nascondendo. Beh, almeno da loro. Chiaramente non possiamo fare nulla di compromettente finché la scuola non sarà terminata.
A proposito della scuola, ho anche una mezza idea di chiedere a Morgan di venire a vivere con me dopo il diploma, sempre che lui sia d'accordo, ovviamente.
«Adesso vado.» dico sciogliendo quel dolce momento, quel dolce abbraccio. «Ci vediamo.» dico posandogli un breve bacio sulle labbra. Vorrei fare l'amore, ma l'ho già avuto per tutta la notte, ieri.
I miei genitori mi seguono a casa mia, dove mio padre non aveva finora mai messo piede.
«Ti sei sistemato bene.» dice soddisfatto, guardandosi intorno.
«Mi ha aiutato mamma.» gli comunico, anche se non è esattamente così. «So che abbiamo mangiato un bel po', ma sono passate diverse ore. Avevo preparato qualcosa per voi.»
Mia madre si sporge a spiare in cucina, curiosa.
«Eh?» domanda mio padre, un po' stupito.
Tiro fuori dal frigorifero due bei dolcetti: le mandorle caramellate, il dolce preferito di mia madre, e due cannoli alla crema.
«Li ho preparati apposta per voi.» dico facendo passare lo sguardo da uno all'altra e viceversa. «Con le mie mani.» preciso.
Mia madre sembra quasi commossa, dato che ha portato una mano alla bocca.
«Grazie, Alan.» mi dice felice, accomodandosi su una sedia del tavolo della sala da pranzo.
Mio padre, dopo l'iniziale titubanza, segue il suo esempio, così servo loro i due dolci.
Per quei minuti riesco quasi a sentirmi come quand'ero bambino, con noi tre che scherziamo e ridiamo per cose stupide, perciò quando è ora di andare a dormire, mi sento sereno e spensierato.
 
Capitolo 50
Diploma (Morgan)
A fine giugno c'è un caldo piuttosto afoso. Devo dire che studiare, con questo caldo, non è assolutamente semplice. Tanto più non posso vedere Alan in questo periodo, dato che sono sempre a studiare con Mark. Ho dovuto pensare anche a cosa farò del mio futuro, indipendentemente da Alan. Alla fine sono giunto alla conclusione che vorrei fare l'assistente sociale, o qualcosa del genere. Magari lo psicologo, di quelli che lavorano nei consultori per ragazzi, ascoltandoli e dando consigli quando non hanno nessun altro a cui rivolgersi.
Spero di riuscire ad aiutare famiglie in difficoltà. Forse sono troppo idealista, non saprei. Però ci voglio provare. Intanto durante il ritiro mistico, come lo chiamiamo io e Mark, discutiamo anche di ciò che vuole fare lui.
«Sarò pure banale, ma voglio fare l'avvocato.» aveva dichiarato facendo spallucce.
«Guarda che a me va bene, eh!» gli confermo per l'ennesima volta. «Devi solo convincere i tuoi. Poi vai a capire perché non gli va tanto a genio questa cosa. E dire che c'è chi sognerebbe di avere un figlio che vuol fare l'avvocato!»
«E dai!» sbuffa, fingendo di colpirmi con una penna. «Non prendermi in giro.»
Gli sorrido alzando le mani in segno di resa, poi ci rimettiamo a studiare.
Mi mancano solo alcune prove scritte, poi potrò fare l'esame orale. Non vedo l'ora di liberarmi di queste incombenze per trascorrere un po' di tempo con Alan.
«Guarda che lo vedo che ti sei distratto...» mi fa sornione Mark, dandomi una piccola gomitata amichevole.
«Uff, è vero. Ma che ci vuoi fare? Fa caldo...» mi lamento.
«Quindi non pensavi ad Alan?» continua malizioso.
«Ehm. Forse. Però lo sai che ora non possiamo vederci per la questione degli esami. E poi spero che dopo non cambi nulla, ecco. O meglio, spero che le cose tra noi migliorino. Ormai ho diciott'anni, ecco. L'ho detto.»
«Ah.» mi guarda Mark, quasi soppesandomi. «E cosa vorresti farci con questi tuoi diciott'anni?»
Arrossisco al solo pensiero di vivere con lui. Però non ne abbiamo mai parlato, neppure una volta, neppure per caso...
«Dici che corro troppo?» sussurro distogliendo lo sguardo da lui, per la vergogna.
«Mah, non saprei. Prima ci provi meglio è, no? Io ho già perso il conto delle ragazze che ho frequentato.»
«Tu sei un vero rubacuori!» gli faccio notare. «Del resto, sei proprio un bel ragazzo.»
«Ah sì? Lo pensi seriamente?» mi chiede con una punta di scetticismo.
«Ma certo! Ti puoi fidare del mio parere. Dopotutto, è affidabile perché sono omosessuale.»
Ormai riesco a dire queste cose tranquillamente, senza agitarmi. E poi a casa di Mark lo sanno tutti. Mi hanno sostenuto fin dall'inizio.
«Sì, ma non ti è saltato in mente che magari potrei non considerarti affidabile perché siamo amici praticamente da una vita?» domanda Mark come se fosse una cosa ovvia.
«Già.» annuisco. «Beh, pensa quello che vuoi. Ma tanto lo sai già, no? Con tutte le ragazze che hai frequentato...»
«Eh eh. Grazie, Morgan.» chiude la questione, dandomi un pugnetto su una spalla.
---
Quando vengo a sapere che sono realmente stato il migliore di tutti, non riesco a trattenere la sorpresa. Seppure sia vero che mi sono impegnato al massimo per Alan, per la nostra promessa, non riesco a trattenere lo stupore. Purtroppo non potrò comunicare immediatamente la questione ad Alan, che per qualche motivo si trova fuori città. Me l'aveva detto qualche giorno prima con una breve chiamata, nella quale mi augurava buona fortuna.
D'altro canto, ero felice che lui non fosse stato scelto per far parte della commissione d'esame, perché così il mio voto sarebbe stato interamente imparziale. Non che lui fosse mai stato parziale, beh! Però in questo modo mi sentivo più tranquillo. Adesso mi chiedo se non sia stato un qualcosa di fatto apposta, anche se le sue materie non erano state così importanti durante il mio esame orale.
Non so per quanto tempo sarei capace di parlare di matematica e fisica...
«Sei stato bravissimo, tesoro.» mi dice mia madre. «Ho preparato i tuoi piatti preferiti per festeggiare.» continua felice.
«Grazie, mamma.»
«Bravo.» dice semplicemente mio padre, chiedendomi poi di Mark.
Trascorriamo una giornata tranquilla, poi per fortuna la sera mi arriva una chiamata inaspettata di Alan.
«Stasera ci vediamo?» mi chiede subito.
«Sì, ma... hai saputo?» gli chiedo.
«Ma certo che ho saputo. Secondo te? Io sono appena tornato a casa, perché non vieni a trovarmi?»
«Posso fermarmi da te?» gli chiedo con il cuore a mille.
«Se ai tuoi non dà fastidio...» conferma lui calmo, anche se mi sembra di notare una punta di aspettativa nel tono della sua voce. Tutto grazie al nuovo cellulare che mi ha regalato.
Senza neppure rispondere chiudo la chiamata e chiedo subito ai miei se posso andare da Alan.
«Certo.» dice mia madre.
«Torno domani mattina, okay?» aggiungo un po' imbarazzato.
«Ehm... okay. Credo.» fa mia madre guardando mio padre.
«Non guardare me. Decidi sempre tutto tu...»
«Vai pure.» continua mia madre, liquidando la questione.
Nonostante il caldo, percorro velocemente il tragitto da casa mia a quella di Alan, bussando alla porta ancora col fiatone.
«Non avevi le chiavi?» mi domanda Alan subito dopo aver aperto la porta.
Mi ero completamente dimenticato delle chiavi.
«Mi fai entrare?»
«Certo, scusa. Accomodati pure.»
Appena chiude la porta mi stringo a lui, felicissimo.
«Alan...»
«Quanto entusiasmo. Mi fa piacere che tu sia felice di vedermi, però... beh, puzzi parecchio.»
«Cavoli... cosa?! Ho sudato per venire fin qui più in fretta possibile.» dico distaccandomi, incrociando le braccia e mettendo il broncio. «Tu avevi l'aria condizionata in auto, scommetto.»
Alan ridacchia, confermando i miei sospetti. Accidenti a lui, è davvero bello vederlo ridere.
«Vuoi fare una doccia? Avrei qualcosa da dirti, dopo.»
Resisto alla curiosità e seguo il suo consiglio, senza poter comunque bloccare il mio povero cuore e i suoi battiti irrefrenabili. La doccia non riesce a calmarmi, nonostante io abbia più volte girato il regolatore dell'acqua verso il freddo...
Quando esco dalla doccia mi asciugo alla bell'e meglio, strofinandomi distrattamente l'asciugamano sui capelli e guardandomi allo specchio.
Sono diventato più alto. Mi ricordo della conversazione con Mark di qualche giorno fa e sorrido. Anche io sono diventato proprio un bel ragazzo. Anche se molto diverso da Mark. E poi c'è Alan, che è splendido, sul quale non poso le mani e le labbra da quasi un mese.
«Alan?» lo chiamo uscendo dal bagno ancora in quelle condizioni.
Lui, che stava beatamente disteso sul letto con il ventilatore puntato addosso e col cellulare in mano, alza gli occhi e mi vede. Capisco che ho avuto un certo impatto su di lui dal modo in cui mi guarda, da come deglutisce, come se fosse più caldo di prima. E spero proprio che lo sia.
«Morgan...»
«Che dovevi dirmi?» gli chiedo fingendo indifferenza, accomodandomi di fianco a lui sul letto. Accavallo le gambe lentamente. Sono emozionato ed impaziente. Voglio che lo sia anche lui. Metterlo un po' in difficoltà...
«Morgan, io...»
 
   
 
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