Malata e febbricitante, penso lo stesso a voi.
Che martire…
(avete il permesso di zittirmi a ciabattate)
suni
Secondo Brano
Mi
rifiutai strenuamente di rivolgere lo sguardo il tavolo dei Grifondoro, durante
la cena. Avevo l’assurda sensazione che quei tre ragazzi si sarebbero
accorti che li guardavo e avrebbero capito tutto, avrebbero scoperto che nel
pomeriggio li avevo spiati e che avevo appreso cosa nascondessero due di loro.
Era impossibile e lo sapevo, ma ugualmente non riuscivo a evitarmi di pensarlo.
Impiegai
secoli ad addormentarmi. La mia mente era invasa dall’immagine delle mani
di Remus Lupin sui capelli di Black e di quel bacio cui avevo rubato
l’intimità. Neanche badavo al ciarlare di Julia
che tentennava sulle modifiche da apportare al suo vestito o
all’eccitazione per l’invito che Meg,
nostra compagna di stanza, aveva ricevuto da Mark Brown.
Ripensavo
al sorriso che tendeva le labbra dei due ragazzi mentre si congiungevano e al
motivo per cui quella scena potesse avermi tanto toccata.
Vedevo
gente che si baciava ogni giorno.
Julia e i suoi saltuari
fidanzati si lanciavano in acrobatici incontri di lingue anche sotto il mio
naso e soltanto tre giorni prima, al rientro delle vacanze, avevo visto in
corridoio lo stesso James Potter coinvolgere Lily Evans
in un bacio così mozzafiato che persino quel ghiacciolo di Snape, che evidentemente non apprezzava simili
dimostrazioni d’affetto in luogo pubblico, era diventato più
bianco e tirato del solito, mentre accanto a lui Regulus
Black mimava un convincente conato di vomito.
Insomma,
non avevo una grande esperienza personale in merito, ma di baci ne avevo visti
parecchi. Non avevo mai visto, però, due persone dello stesso sesso che
si baciavano.
D’accordo,
Julia e Christine
l’avevano fatto una volta per scommessa, ma era stato uno scherzo. Non
era affatto la stessa cosa e non solo perché erano due ragazze.
Il bacio
che avevo visto quel pomeriggio non gli somigliava affatto.
A
distanza di tanti anni mi capita di pensare che forse avere davanti un pezzo di
carne qual’era Sirius Black con un altro uomo,
e io lì a guardare comodamente come a teatro, potesse essere una
situazione con delle sue attrattive più meno perverse per una ragazzina
in piena fase puberale. E forse in parte è così.
Ma
c’era, soprattutto, la sensazione di aver colto qualcosa di raro. E
adesso so che il tipo di amore che avevo davanti era qualcosa che io non potevo
raggiungere. Io, che ho sposato un uomo tranquillo e per bene, che ho messo su
la mia comoda casetta nei sobborghi e dato alla luce due figli, sempre
felicemente accanto al mio compagno cui sono legata da un enorme affetto ma con
cui forse non ho mai conosciuto la vera passione, non ero fatta per un tipo di
amore assoluto e totalizzante. Quei ragazzi vivevano le loro vite in modo
epidermico e viscerale, attingendo ad ogni attimo come se fosse stato quello
definitivo, attraversando le sensazioni con ogni microscopica parte di
sé. E il modo in cui si amavano – il modo in cui sono vissuti e in
cui sono morti – era quella stessa corsa folle nel buio, al di là
di qualsiasi vincolo e di ogni logica. Lo stesso Remus, reputato razionale e
riflessivo, non sapeva impedire del tutto a se stesso di seguire l’onda
delle emozioni come se nella vita non ci fosse stato altro. Ed era questo modo di
essere, tanto lontano dal mio, questo modo di amare che mi aveva affascinata,
qualcosa che traspariva dal semplice modo in cui si baciavano. Anche se
impiegai del tempo a capirlo.
Non so
se il modo migliore fosse il loro o il mio e non mi è mai interessato
saperlo. Potrei dire che io oggi sono viva e loro no, e che questo potrebbe
significare qualcosa, ma d’altra parte, forse, se loro non fossero morti
non sarei viva io, la sanguesporco.
Non ha
molta importanza, adesso che l’erba cresce intorno alle loro lapidi.
L’indomani
mattina, quando mi svegliai, dissi a me stessa che per nessuna ragione sarei
tornata in quell’aula. Mi sembrava che la notte mi avesse schiarito le
idee. Ero sempre stata – e sarei stata in seguito – una persona discreta e
per nulla impicciona, in una parola: riservata. Qualunque cosa legasse quei
ragazzi non mi riguardava minimamente: il giorno prima era successo per caso,
ma non si sarebbe ripetuto.
Disgraziatamente
la situazione caotica della scuola era, se possibile, ancora peggiorata. Avevo
di nuovo bisogno di un angolo silenzioso in cui appartarmi.
Potevo
infilarmi in qualunque altra aula vuota del castello, ce n’erano a
bizzeffe; ma mentre camminavo in corridoio sentivo che la stanzetta del giorno
precedente mi attirava, quasi chiamandomi sottovoce. Non capivo perché e
forse una parte di me voleva anche resistere a quell’impulso
sconsiderato, ma in fondo sapevo che non l’avrei fatto.
Quel
giorno non venne nessuno. Studiai per più di tre ore seduta allo
scrittoio di legno scuro, senza che il minimo suono turbasse la mia
concentrazione. Ogni tanto mi sorprendevo a tendere inconsciamente
l’orecchio, in cerca del ritmo dei loro passi e delle loro voci, e
immediatamente mi rimproveravo per quell’ardire scorretto e morboso. Avevo
vergogna di me.
Quando
me ne andai per tornare a cena ero sollevata: il mio stupido gioco era finito
ancor prima di cominciare e la mia sciocca fissazione si sarebbe dissolta da
sé entro pochi giorni, lontana dall’oggetto dei miei assurdi
pensieri.
A cena,
mi permisi il lusso di gettare un paio di occhiate veloci al tavolo di
Grifondoro: Sirius Black e James Potter ridevano, con Lily che svolazzava loro
intorno e Peter Minus che pendeva dalle labbra di
entrambi. Remus sedeva all’estremità del piccolo clan, sorridendo
quasi tra sé.
Era la
sera della vigilia della festa e tutti ne approfittavano per gli ultimi inviti
e gli accordi sugli appuntamenti. Appena posato il cucchiaino del dolce, Sirius
si alzò da tavola e fece qualcosa che sul momento mi riempì di
sconcerto ma che, col senno di poi, era soltanto quel che nella sua posizione
andava fatto per non destare sospetti: marciò con fare disinvolto e
seducente attraverso i tavoli, puntò deciso l’estremità di
quello di Corvonero, calibrò il più
sensuale dei sorrisi – da svenire, diciamocelo – e senza esitazioni
si parò davanti a Candice Murton.
La bella
Candice, la ragazza più popolare della scuola.
Candice, dai grandi occhi azzurri e i capelli di
filigrana dorata, il sogno della fauna maschile di Hogwarts, la fanciulla che
non degnava di attenzione nessuno che non fosse scrutato con adorazione da
almeno il quaranta percento degli altri studenti. E che, a sentire Meg, aveva all’attivo ventidue inviti per il Ballo
rifiutati perché, parole sue, i pretendenti non erano all’altezza.
Fu come
se qualcuno avesse messo il silenziatore alla Sala Grande, tanto fu repentino
il silenzio che piombò quasi ovunque.
Vidi
distintamente il Prefetto di Serpeverde posare la forchetta nel piatto e
puntare gli occhi intensi sulle due figure, senza riuscire a rendere del tutto
convincente il suo sguardo sprezzante, fisso su un Sirius straordinariamente
signorile e altero. Probabilmente gli ricordava la persona che suo fratello
avrebbe dovuto diventare, se le cose fossero andate come previste.
Candice, da
parte sua, dedicò al nuovo venuto un distratto sguardo cordiale,
raddrizzando appena il capo per ricevere i giusti omaggi.
Io avevo
sporto la testa in avanti e li fissavo sfacciatamente. Julia
non aveva nemmeno finito di masticare e li osservava a bocca aperta, col budino
spiaccicato tra le fauci.
“Buonasera,
Murton.”
“Black…”
Candice
inclinò appena il collo, civettuola e distaccata.
“Spero
di non disturbarti, e in caso contrario mi scuso sentitamente,”
esordì il Grifondoro, drappeggiandosi la divisa con fare casuale.
“Nessun
disturbo.”
Lei
sorrideva vagamente, sensuale.
“Naturalmente
sono certo che hai ricevuto dozzine di inviti per domani e da parte mia
è imperdonabile farmi avanti così tardi…”
“In
effetti ho parecchie richieste,” lo interruppe Candice,
con vaga freddezza.
“Ne
ero sicuro. Ma se per caso non avessi ancora scelto, aggiungerei il mio nome
alla lista. Mi farebbe piacere se venissi al ballo con me, Candice,”
concluse, con una nota profonda e graffiante della voce baritonale.
Fu come
se un unico, enorme sospiro femminile fosse stato emesso dalle pareti stesse
della Sala. Almeno la metà delle ragazze presenti sognavano da giorni
che Black rivolgesse loro quelle stesse, precise parole.
La
fanciulla, astutamente, non rispose.
“Sempre
nel caso in cui la cosa ti interessi, ovviamente” aggiunse lui, senza
scomporsi.
“Nel
caso, te lo farò sapere,” ribattè
Candice, noncurante. Ma un leggero sorriso le
increspava le labbra e quando Sirius si voltò indietro, con un breve
cenno di omaggio, sul suo viso era dipinto il trionfo: sapeva già quale
sarebbe stata la risposta. Lo sapevamo tutti.
Quasi
senza che me ne rendessi conto, i miei occhi corsero al tavolo di Grifondoro,
ai posti occupati dai ragazzi.
Remus
Lupin non c’era più.
Sirius
si risedette, mentre James Potter gli riempiva il bicchiere.
Non
sembrava molto felice.
L’indomani
la scuola era immersa nella psicosi collettiva più dilagante di cui
abbia memoria. Seb non era riuscito a conquistare la
sua bella e io ovviamente avevo accettato volentieri di fargli da dama per la
serata. Nel pomeriggio Julia mi avrebbe stirato i
capelli e si sarebbe presa cura del trucco, ma avevo insistito perché
non occupasse la mattinata che intendevo, ufficialmente, dedicare allo studio.
Mi fiondai nella mia stanzetta prima ancora di aver deglutito
l’ultimo boccone della mia colazione. Era una cosa ridicola e mentre
quasi correvo per arrivarci in fretta ridacchiavo tra me, chiedendomi che ne
fosse stato del mio buonsenso. Era ovvio che nessuno sarebbe venuto lì e
ad ogni modo era stupido anche solo che lo sperassi, perché, per
l’ennesima volta, non erano fatti miei. Eppure continuavo a ripensare
alla silenziosa scomparsa di Lupin dalla Sala Grande della sera prima e a
chiedermi cosa fosse successo dopo, se ne avessero parlato e cosa li legasse
esattamente.
Lasciai
accuratamente la porta socchiusa e sistemai tutti i miei libri e le mie cose
sul tavolo. Avrei dovuto studiare, ma l’ansia involontaria che mi
percorreva e il desiderio che i due Grifondoro arrivassero mi deconcentravano
completamente. Allora presi ad aggiornare il mio diario, questo stesso diario
che ho davanti ora e da cui cerco di rimettere insieme i pezzi di questa storia
scompigliata e lacunosa.
Non
passò un’ora che sentii la porta dell’aula aprirsi, e dei passi
avanzare oltre la soglia. Udii distintamente alcuni rumori e dei movimenti
rapidi, poi lo stridio di una sedia che veniva spostata e il fruscio delle
pagine voltate.
Avevo
paura persino a respirare. C’era una persona, nella stanza accanto, ed
era da sola.
Poteva
trattarsi di qualcuno che non c’entrava nulla, ma mi sembrava improbabile
che un simile traffico affollasse una comunissima aula così fuori mano;
inoltre Black aveva detto solo due giorni prima che non ci veniva mai nessuno.
Pensai
che doveva essere per forza uno di
loro due.
Con
tutta la lentezza di cui ero capace mi alzai in piedi – ero seduta con il
corpo lontano dal tavolo apposta per non dover fare rumore se mi fossi alzata
– e avanzai in assoluto silenzio fino alla porta, trattenendo il fiato.
Esitai, inglobai aria e puntai gli occhi oltre la fessura.
Dovetti
storcermi un pochino e cambiare posizione, perché il ragazzo si era
seduto in un altro banco, più indietro, ma alla fine lo vidi: era Remus
Lupin.
Leggeva
attentamente dallo spesso volume che aveva aperto davanti a sé. Aveva un
gomito puntato sul tavolo e la guancia appoggiata mollemente nel palmo della
mano, con la testa leggermente piegata. Le sopracciglia erano appena corrugate,
con concentrazione.
Rimasi
immobile ad osservarlo. Di tanto in tanto distoglieva lo sguardo dal libro e lo
portava sulla pergamena accanto ad esso, scribacchiando velocemente qualche
appunto. E faceva continuamente un gesto istintivo con la mano, quando non
scriveva: ravviava rapidamente i capelli castani che gli ondeggiavano sul viso,
ma quelli ricadevano immediatamente davanti agli occhi costringendolo a
ripetere il movimento all’infinito. Era buffo, in un certo senso.
Studiava
alacremente, ma non dava l’idea di essere davvero avvinto da quel che
stava leggendo. Sembrava piuttosto molto malinconico. Pensai che dovesse avere
a qualcosa a che fare con quell’oca patentata di Candice
Murton. Scoprii che mi dispiaceva per lui.
Se il
suo ragazzo preferiva una sventola biondastra e senza cervello a una persona
tanto assennata e interessante, aveva davvero poco di cui stare allegro.
Mi
sorpresi di quel pensiero irragionevole, ma dopotutto era vero: Remus Lupin, o
meglio l’immagine che mi sono costruita di lui, mi sembra tuttora una
persona interessante. Aveva un bel modo di sorridere e una voce sempre cordiale
che difficilmente s’inaspriva, e i suoi occhi riflettevano sempre una
certa ironia piuttosto arguta. Ma tutto questo l’avrei focalizzato dopo,
la mia era una simpatia cutanea.
Quando ritenni di averlo sufficientemente consumato con lo sguardo
tornai a sedermi al mio scrittoio e rimasi pietrificata, senza fiatare. Non
potevo leggere perché mi avrebbe sentita sfogliare le pagine, non potevo
scrivere perché lo avrebbe udito. Non potevo fare niente.
Era
noioso da morire.
Dopo non
so quanti lentissimi minuti stabilii che sarei uscita dalla porta e gli avrei
fatto notare che ero lì. In fondo stavamo studiando tutti e due e non
vedevo che fastidio avrebbe potuto trarne. Gli avrei spiegato che quella
mattina in biblioteca era impossibile studiare e che mi ero cercata un
posticino isolato. Non avrei fatto menzione del pomeriggio di due giorni prima.
Mi
rialzai in piedi e tornai finalmente verso la porta con la coscienza sollevata
all’idea di non nascondere più quel dannato segreto. Ma non avevo
fatto i conti con il grande assente, che scelse quel preciso momento per
catapultarsi nella stanza, trafelato e scomposto.
“Moony.”
“Sirius.”
Maude, pensai di dire io
tanto per non sentirmi esclusa, interrotta sul punto di spalancare la porta.
“Ti…cercavo.”
“Eccomi.
Mi hai trovato, bravissimo.”
Non ci
voleva un genio a capire che Lupin non aveva molta voglia di parlargli. Non
aveva nemmeno alzato gli occhi dal libro, come se fosse stato completamente
assorbito dallo studio.
“Dove
sei sparito ieri sera?”
“Non
sono sparito. Si vede che non mi hai cercato bene.”
No,
decisamente non invidiavo Sirius Black, in quel momento. A dirla tutta ero
piuttosto offesa con lui, dal momento che aveva invitato Candice
al Ballo nonostante fosse impegnato. A quel pensiero irragionevole quasi
scoppiai a ridere: non era mica impegnato con me, poteva fare quel che gli
pareva.
“Sono
venuto persino qui.”
“Infatti
non ero qui.”
Logica
ferrea.
Sirius
Black sembrava essersi rassegnato alla freddezza dell’altro ragazzo, ma
si tormentava le labbra tra i denti e le sue dita giocherellavano nervosamente
con la giacca della divisa. Non disse più nulla. Lo guardava soltanto, e
la mia stizza immotivata nei suoi confronti svanì in pochi secondi.
Aveva uno sguardo talmente colpevole e dispiaciuto che poteva commuovere anche
un sasso.
Un
sasso, forse, ma evidentemente non Remus Lupin, il quale continuò a
studiare, apparentemente imperturbabile.
Dovetti
aspettare un paio di minuti perché si decidesse a sollevare lo sguardo
dalla pagina, con aria esasperata.
“Ti
serve qualcosa?”
“Cosa
volevi che facessi?”
Black
non aveva molti peli sulla lingua, a quanto pareva.
“Di
cosa stiamo parlando?”
Lupin
era piuttosto testardo. Dovevano esserlo entrambi.
“Di
ieri sera.”
“Ieri
sera? Non ricordo sia successo nulla di particolare, ieri sera.”
Mi
faceva tenerezza. Aveva il viso perfettamente serio e la voce calma e
controllata, ma evidentemente non sapeva come comportarsi e si dibatteva
nell’arrabbiatura, non trovando un modo per - o forse non osando -
sfogarla.
“Ma
sì che te lo ricordi, Remus, ho invitato la Murton
al Ballo.”
“Ah. Quello. Sì,
certo.”
Black
era stato piuttosto brutale e aveva parlato con un tono sbrigativo, quasi
sistemando ordinaria amministrazione. Lo guardava con leggera sfida, ma Lupin
reagì con una scrollata di spalle e una smorfia indifferente.
Tornò anche a guardare il libro ed ebbe persino l’accortezza di
voltare pagina, come se stesse davvero leggendo.
“Merlino,
cosa credevi che facessi?”
“Non
credo di avere capito la domanda, potresti esprimerti più
chiaramente?”
“Dovevo
invitare una ragazza a questo stupidissimo Ballo, lo sai benissimo. Te
l’avevo anche detto.”
“Ricordo
con precisione che non l’hai fatto. Giorni fa hai accennato che sarebbe
stato strano se non avessi invitato nessuna e poi la cosa è morta
lì.”
Lupin
aveva sollevato la testa di scatto e serrato le labbra, incollerito. I bagliori
emessi dai suoi occhi mi parvero alquanto minacciosi.
“Esattamente!
Ho mezza Hogwarts che mi sbava sulle scarpe, vado al Ballo e non invito
nessuna? Tanto varrebbe appiccicarsi un cartello fosforescente sulla fronte con
scritto ‘gay’ a caratteri cubitali!”
“Potevi
almeno evitare di farlo in mia presenza!”
Le voci
erano aspre, rabbiose. E io avvertii di nuovo la precisa sensazione che non
avrei dovuto assolutamente trovarmi lì.
“Che
dovevo fare, aspettare la prossima luna piena così non mi avresti
visto?”
“Aspettare
che avessi finito di mangiare sarebbe stato sufficiente!”
A parte
il riferimento a me al momento incomprensibile alla luna piena, ero di nuovo
perfettamente d’accordo con Lupin. Black poteva avere almeno il buon
gusto di attendere che lui non fosse lì a guardare. Più tardi
avrei compreso che le cose non erano così semplici. Niente lo era, in
quella faccenda. Non era una relazione normale, primariamente perché era
clandestina, quindi perché era omosessuale e per finire perché
avevano diciotto anni. Erano due adolescenti alla prese con qualcosa di
decisamente strano da affrontare.
“L’ho
fatto appena me la sono sentita, prima che mi mancasse il coraggio!”
“Oooh! Oh, Merlino, che eroe!”
La
risposta sarcastica di Lupin mi costrinse a tapparmi la bocca con la mano per
non ridacchiare.
Black
distolse lo sguardo, puntandolo a terra. Era arrabbiato e nervoso, stringeva i
pugni con collera e anche con innegabile rammarico.
“Vuoi
che le dica che ci ho ripensato? Glielo dico. Sai quanto me ne frega?”
“Ti
sfido a farlo.”
Lupin
aveva chiuso il libro e osservava l’interlocutore con un sorrisino
saccente. Black lo guardò stranito per qualche istante, quindi
annuì con fierezza.
“Va
bene. Ma poi non venirmi più a dire che dobbiamo stare attenti a non
farci beccare.”
Si
voltò indietro con fare deciso e fui certa che sarebbe davvero andato
dalla Murton e le avrebbe detto di accettare un altro
dei suoi ventidue inviti. A quanto ne sapevo, era il tipo che fa cose del
genere.
Doveva
pensarlo anche Lupin, perché alzò una mano e lo fermò con
un brusco “no”. Poi sospirò, passandosi le mani sul viso e
stropicciandoselo.
“Hai
ragione. Vai…vai al ballo con Candice. Comunque
se lo aspettava tutta la scuola.”
Effettivamente
sì.
Black
sbuffò, passandosi le dita tra i capelli.
“Lo
so. Per questo ho invitato lei. E poi diciamocelo, chi altra sarebbe stata
abbastanza?”
Era
davvero uno sbruffone patentato. E’ proprio quello che ho scritto sul mio
diario dopo questa frase, “sbruffone patentato”.
Trascrivevo
quei primi incontri cui assistevo quasi alla lettera, come se avessi avuto
paura che dimenticando qualche parola mi sarebbe sfuggito qualcosa del puzzle
che dovevo aver già deciso inconsciamente di ricomporre.
Lupin
preferì non commentare la sua osservazione, ma dall’espressione
del suo viso doveva pensare che forse Mirtilla sarebbe stata la più
adatta. O magari un Marciotto.
La sua
mano si mosse per riaprire il libro, ma Black fu più rapido e
piazzò la propria sulla copertina, per tenerlo chiuso. Quindi lo
afferrò e lo lasciò cadere a terra senza tanti complimenti.
“Sirius?”
protestò Lupin pazientemente.
L’altro
non rispose. Sorrise – gli regalava sorrisi splendenti – e si
issò a sedere sul banco, andando a posare le gambe accanto ai fianchi
dell’amico, come per bloccarlo.
“Leggi
me,” esclamò scherzoso.
Lupin
gli diede uno spintone, anche troppo violento. Lui si sbilanciò indietro
e finì quasi gambe all’aria, e probabilmente si sarebbe rotto la
testa sul pavimento se Lupin non avesse avuto la prontezza di afferrare la sua
camicia e trattenerlo.
Non
dissero nulla. La mano di Lupin rimase stretta sul tessuto, finché
quelle di Black non la raggiunsero e la avvolsero per staccarla. La tennero
stretta come se fosse stata la mano di un neonato – non mi venne in mente
un altro paragone per esprimere quella premura – e Sirius dovette
piegarsi faticosamente per arrivare con la testa all’altezza di quella
dell’altro e sfregargliela contro.
Distolsi
per un secondo lo sguardo, mentre sussurrava qualcosa che nemmeno io riuscivo a
sentire. Qualunque cosa fosse ebbe il potere di far comparire un breve sorriso
sul viso amareggiato di Lupin, poggiato alla sua tempia. Vidi Remus passargli
intorno alla vita il braccio libero e poi spostare il capo, affondandolo nel
suo torace reclinato. A guardarli dall’angolazione in cui ero non si
distinguevano quasi più i due corpi distinti, ma sembrava di vedere un tutt’uno, una strana creatura anomala e malformata,
ma completa.
“Non
smetterei mai di guardarli,” scrissi nella riga seguente del mio diario.
Black aveva raddrizzato la testa e
poggiava il mento su quella dell’altro. La sua mano si muoveva senza
fretta sulle spalle del compagno, con piccoli cerchi sghembi e strofinii
delicati. Non potevo vedere Lupin in faccia ma ero pronta a scommettere che il
trattamento fosse piacevole.
“Tu
hai invitato qualcuna?” domandò Black d’improvviso.
Non
riuscii a capire il borbottio che si soffocò contro il suo stomaco,
proveniente da Lupin, ma la frase successiva di Black me ne diede
un’idea.
“Come
sarebbe che non ci vieni?”
Di nuovo
non capii nulla. Lupin sembrava parlargli direttamente nelle viscere.
“Stai
scherzando? E’ il Ballo, del secolo, devi venirci per forza! Sarebbe
troppo strano!”
Non si
sentiva una parola di quello che Lupin gli rispondeva, e mi domandai come
facesse Sirius a decifrare quelle parole biascicate contro la sua camicia. Mi
domandai anche se la mia non fosse solo un’impressione ma facessero
davvero parte di uno stesso, strano animale.
“Questo
che c’entra? Anche se sei un secchione sarà stranissimo. E che
dirà James? E Peter? E Frank? E tutti,
insomma…”
Lupin
sollevò finalmente la testa, sbuffando.
“Io
non ho usato la parola secchione… Comunque mi annoierò a morte. Mi
piacciono le serate di festa quando sono tra pochi intimi, lo sai.”
“Ma
questa non è mica una festa qualunque. Il prossimo millenario di Corvonero è tra mille anni, non due.”
“Per
questo si chiama millenario, Pad.”
Risero,
poi continuarono a discuterne per qualche minuto. Black non voleva saperne di
lasciare che Lupin se ne restasse in dormitorio o da qualche parte da solo,
mentre tutti gli altri sarebbero stati insieme a divertirsi. Effettivamente la
prospettiva avrebbe atterrito anche me, se fosse stato un mio amico.
Figuriamoci se fosse stato la persona che amavo.
Arrivò
a minacciare di disertare la festa a sua volta e quando nemmeno quel tentativo
andò a buon fine sfoderò un’espressione di assoluto
avvilimento.
“Pad,
non fare così. Sul serio, a me non pesa affatto non venire, altrimenti
lo farei.”
“Ma
pesa a me.”
Lupin
sospirò, sembrava stanco. Appoggiò il naso contro la pancia di
Black e lo abbracciò.
“Certe
volte mi piacerebbe che questa cosa non fosse successa.”
“Non
mi dire questo.”
La voce
di Black era veramente triste. L’avrei sentito parlare con quel tono
sordo e impotente altre volte, ma quella fu la prima e
m’impressionò.
In giro
per la scuola l’avevo sempre visto sghignazzante e baldanzoso, oppure
languido e dongiovannesco; e non solo io ma più o meno tutti quanti,
loro anche in seguito, avevamo quest’idea di lui come di un essere
fondamentalmente leggero e concentrato esclusivamente su se stesso. Adesso
sapevo che esisteva almeno una cosa al mondo che poteva cancellare il suo
sorriso spudorato.
Lupin
accennò una smorfia noncurante che doveva esprimere divertimento, quindi
fece spallucce.
“Hai
ragione, perché non lo penso.”
E alla
fine Black la spuntò. Tanto disse che riuscì a convincere Lupin a
recarsi al Ballo, e non solo: a invitare con lui una ragazza perché,
disse, persino Peter sarebbe stato in dolce compagnia.
Poi lo
vidi saltare giù dal banco e fare un giro intorno a Lupin,
posizionandosi alle sue spalle. Si chinò fino a poggiargli il mento
sulla spalla e gli mordicchiò un orecchio con dolcezza giocosa. Lupin
girò indietro la testa e per la seconda volta vidi i due ragazzi
baciarsi. E questa volta non si trattava di una cosa molto casta, ma
estremamente incalzalte. Si baciavano in una maniera
che mi fece venire in mente che siamo esseri mortali e tutto quel che abbiamo a
disposizione sono pochi attimi da impiegare nel modo più fruttuoso
possibile – ed avevo solo sedici anni. L’aria intorno a loro dava
l’idea di farsi calda e rarefatta, ma non provai il minimo disgusto. Non
vedevo perché avrei dovuto, visto che mi pareva si stessero scambiando
la linfa vitale stessa. Anzi,avevo ben poco fiato nei polmoni quando Black si
staccò da Lupin e borbottò qualcosa che non capii e che finiva
con stamberga.
Non ho
mai saputo di che parlasse. L’unica Stamberga che conoscevo io si trovava
ad Hogsmeade, era infestata dai fantasmi e non aveva
niente a che fare con quel momento.
Un
minuto dopo erano già spariti.
E io ero
contenta. I miei ragazzi avevano fatto pace.
Arrivai
a pranzo di buonumore e fui lieta di verificare la loro assenza. Speravo
fossero da qualche parte a fare cose che comunque mi auguravo di non dover mai
veder avvenire nell’aula incriminata. Perché, ormai ne ero certa,
avrei continuato a vegliare su quella strana relazione.
Del
Ballo di Corvonero ho dei bei ricordi che non hanno
quasi nulla a che fare con Sirius Black e Remus Lupin, ma non è di
questo che m’interessa occuparmi. La serata fu sfarzosa e entusiasmante e
tutti così decisi a renderla unica che finì per esserlo davvero.
Ricordo anche che a metà nottata in Sala Grande esplose una specie di
enorme fuoco colorato che si sparse verso tutto il soffitto e portò una
raggio rosso ad illuminare il punto in cui, guarda caso, James Potter stava facendo
volteggiare Lily Evans per poi prodursi in una
romantica dichiarazione. Il ragazzo era davvero plateale. Ci fu persino
qualcuno che battè le mani.
E
naturalmente ricordo l’entrata in scena del re e la regina del Ballo,
dichiarati tali all’unanimità senza bisogno di nessuna
proclamazione. Black e Murton erano così
divinamente, incredibilmente e perfettamente belli che, se non avessi saputo
quel che sapevo, li avrei decretati io stessa la coppia del secolo. E io di
cose simili mi interessavo davvero poco. Sembravano appena usciti da uno dei
film americani che guardava sempre mia madre, quelli con i violini e le rose e
tutte quelle smancerie. Lei era avvolta in un abito bianco e decisamente
scollato – in realtà quel vestito un collo non ce l’aveva
proprio – e le sue bionde chiome rilucevano in modo quasi innaturale;
sembrava una Veela, quella ragazza, e la sua comparsa
fece illividire più d’una fanciulla e strabuzzare gli occhi a
parecchi maschietti. Seb, accanto a me, emise uno
strano suono gutturale e trangugiò d’un colpo il contenuto del
bicchiere.
Sirius
era in grigio, quella sera. Avanzava con naturale eleganza e mi parve di
comprendere appieno il significato dell’aggettivo
“aristocratico”. Sembrava quasi finto, tanto era sbalorditivo. Tra
tutti e due facevano girare le teste come slot-machines.
Poi
ricordo di aver ballato con tutti gli amici e le amiche e penso di aver riso
raramente quanto quella volta. Passai ore deliziose a chiacchierare,
soprattutto con Seb. Al momento dell’apertura
delle danze quasi ci rimasi secca dalla sorpresa quando scoprii che sapeva
ballare, e anche bene (al contrario di me, che volteggiavo con la leggiadria di
un Dorsorugoso rinchiuso in una cristalleria). Era
stupefacente che Sebastian Deval,
lo stesso Seb che si alzava da sedere soltanto se
costretto, la persona più pigra che fosse mai comparsa nella mia vita,
fosse un così bravo ballerino.
In
realtà, quella sera notai molte cose di Seb
cui prima non avevo fatto molto caso, e questo perché lui era molto
più sociale di me. In effetti, Seb divideva il
suo tempo in due parti: me e tutti gli altri. Ci era costretto, perché
io non amavo stare in mezzo al baccano e alle grosse compagnie più del
minimo indispensabile. Ma quella sera scoprii che il mio ozioso amico era
più o meno l’anima della festa e intrattenne meravigliosamente
tutta la Casa.
Anche io
ero diversa dal solito, a sentire quel che ne dice lui. Ero più sciolta
e vivace, avevo smesso di “stare rigida come un manico di scopa”.
La verità era che tra l’attenzione al problema Black e Lupin, gli
inviti ad effetto, lo stiramento dei capelli, la vestizione e tutto il resto,
avevo finito per entusiasmarmi anche io per il Ballo.
Non so
se sia a causa di quella sera che avremmo iniziato a guardarci con occhi
diversi. Immagino che c’entri qualcosa, ma per parecchio tempo non ce ne
rendemmo davvero conto.
E di
sicuro non pensavo che l’avrei sposato. Questo proprio no.
Ma ci
divertimmo molto. Ci siamo sempre divertiti molto, insieme.
Al
termine della serata ero sfinita, esausta ed elettrizzata, io che di solito ero
l’icona della calma e della pacatezza. Seb mi
portava al braccio come una nonna, perché i piedi mi facevano male dal
gran ballare, e so che non riuscivo a smettere di sorridere.
Poi
sentii qualcuno ripetere il commento che si stava spargendo: Sirius Black e Candice Murton stavano baciandosi
nel giardino del castello. Cercai immediatamente Lupin con lo sguardo e lo
trovai accanto ad una brunetta graziosa, dirimpetto a Potter. James parlava
fitto, con entusiasmo, insieme a Minus ed entrambi indicavano
con ampi gesti il parco, dove era sparito Sirius Black.
Lupin
era immobile, disattento e composto. Non faceva commenti. Non cambiò
nemmeno espressione.
Poi Seb mi trascinò via, era ora di andare a dormire.
Grazie a tutti per la gentile accoglienza.
In Particolare:
fog: oooh… Tu
sempre mi fai tremare le ginocchia. Addirittura mi chiamasti con la S
maiuscola. Magari non era intenzionale ma mi toccò. Così come mi
ha lusingata la preferenza sulla fiducia… (ma la mail ti è
arrivata? Non per altro, ma mi sto iniziando a chiedere se non ho per caso
importunato per sbaglio qualcun altro che non c’entra nulla…)
FireAngel: grazie per la chance allora! Mi fa
piacere naturalmente che Maude risulti gradevole. In
realtà, comunque, non è davvero mia intenzione farne un narratore
onnisciente. Ci sono moltissime cose che lei ignora e continuerà ad
ignorare, lei è semplicemente un occhio esterno. Comunque sono contenta
che la storia ti piaccia.
Miki_Tr: ma grazie… che belle parole.
dunque, per cominciare sono molto contenta per quello che dici su Maude. Volevo precisamente che fosse così, definita
ma senza risultare eccessivamente accentratrice di attenzione, semplice. Quanto
al nome, non mi pare di essermi ispirata a qualcosa di particolare. Stavo nel
letto prima di dormire e pensavo a un nome da dare a sta creatura, ho
cominciato a fare un elenco e tra gli altri è saltato fuori questo. Che
libro era, per curiosità? Inoltre, grazie anche per il bacio – ma
non è merito mio, sono così perfetti che fanno tutto da soli.
E’ merito loro.
Simply_Switz: grazie! Va avanti discretamente,
purtroppo la salute non mi è amica e si fa quel che si può. Spero
continuerà a piacerti.
squizzz: Ti tengo d’occhio… -gulp- è una minaccia? ^__^ Haha,
comunque mi hai fraintesa… non sarà affatto quasi lunga come JaB, sarà molto più breve. Ma più
lunga delle altre. Mi fa piacere che maude ti sia
piaciuta e che anche tu l’abbia trovata concreta ma non eccessiva. Quanto
all’immedesimarsi con lei, inevitabile…ahm. Mi fa anche molto
piacere che tu abbia notato quella particolare frase, di cui sono stranamente
molto soddisfatta. E le mani…ahm. Che dire. Viva le mani di Moony!
lela: diabolica… No, Maude
da brava, onesta Tassorosso non di darà al
ricatto e all’estorsione. Comunque, lieta di aver incontrato il tuo
favore. Ah, niente occhiali a fondo di bottiglia… quelli li lasciamo a
Potter ^__^.
Briseide: mmmh…
Ti amo. Grazie mille per tutte le belle cose, per le lusinghiere parole su Maude – gli originals mi
mandano sempre un po’ in crisi – sui “miei” Marauders e sul loro rapporto, sull’ironia –
cerco di essere diretta e naturale, mi fa piacere che tu lo veda - per aver notato il disegno, James e il
disegno di James e per l’inchino a cane e lupo, che onorati ringraziano.
In effetti poi il personaggio di maude dovrebbe
servire proprio a un’analisi più oggettiva, distaccata. Che
dire…grazie.
Elly: orbene. Innanzitutto sentitissimissimi
ringraziamenti per il lungo excursus infarcito di complimenti sulla mia
precedente produzione. Sono oltremodo onorata di cotanto apprezzamento. Indi, tocchiamo
una nota dolente… la morte di Remus. Ahinoi. Avrei ancora esitato, ti
dirò, a citarla, perché è stato un durissimo colpo, che ha
definitivamente eliminato ogni mia stima residua per JK. E sì che dopo
il 5 già di punti ne aveva persi. Comunque, questa citazione vaga mi ha
permesso di affrontare la cosa senza soffermarmici e
tutto sommato sono lieta di aver superato lo scoglio. Quanto a Snape, chissà, forse il futuro riserva sorprese. I
disegnino, a quanto vedo, hanno fatto furore. Ne sono lieta. Per concludere,
quante volte Maude… Beh, non saprei.
Seriamente, non è così difficile spiare la gente. Tui sai che lei è lì e quindi pare strano, ma
loro non lo sanno. E poi mica stanno solo lì dentro… Non temere,
insomma, prossimamente si vedrà.
Jane Gallagher:
grazie, cara. In effetti sì, ho un debole per questi due fanciulli. E mi
fa piacere che tu abbia posto l’accento sul fatto che dall’esterno
i Marauders sono incomprensibili. Gli stessi
soprannomi non hanno veramente senso. Insomma, chiaramente Maude
qualche… niente. Shh… Il Pensatoio,
invece: in realtà, non mi sembra un oggetto che abbia chiunque. Voglio
dire, in HP lo vediamo solo a Silente e lui non è esattamente una Tassorosso qualsiasi. Non mi sembrava il caso, ecco, mi
pareva fuori luogo. E comunque mi piace di più così, lasciando le
cose più vaghe e confuse, come sono i ricordi.