.I.
Trabucco
Il
Trabucco è una costruzione adibita a reggere immense reti da pesca.
Ma, nelle condizioni in cui è, dubito
che riesca a sorreggere qualcos’altro oltre se stesso. Pensa Manu, accarezzando la pietra liscia del basamento. Un tempo
era una struttura solida e robusta, rumorosa e brulicante di pesci e pescatori;
ora è lì, abbandonata, bruciata da un qualunque atto vandalico, a chiedersi
confusamente “perché”. Il portachiavi di Topolino tintinna leggermente sulla
pietra quando Manu vi si sdraia e il freddo contatto
tra la nuca e il suolo gli rizza per un paio di secondi i capelli neri sulla
testa. Poi più nulla, il terreno si riscalda al calore del suo corpo. Sospira Manu, canticchiando “O Fortuna” a mezza voce. Una testolina
dai lunghi capelli neri sbuca dall’apertura della piattaforma del Trabucco.
-Ehi,
cosa canti?-
La
testolina è in realtà il viso di una ragazza sorridente, in canotta e jeans.
Con un salto scende e si avvicina a Manu, che nel
frattempo si è seduto e la fissa scocciato ed imbarazzato.
-Non
pensavo ci fosse già qualcuno.-
-Sorpresa-
Ghigna
lei. Lui la ignora, si volta e ricomincia a cantare.
-Sors immanis
Et inanis-
-Rota
tu volubilis..-
Continua
Lei, con voce sottile.
Manu la fissa
sorpreso e si gira per guardarla.
-Conosci
i Carmina Burana?-
Lei
annuisce e Manu sorride, facendole cenno di sedersi
accanto a lui.
-Adoro
il ritmo delle percussioni in quel brano-
-Credevo
che le ragazze ascoltassero solo Tiziano Ferro-
Fa
lui. Lei scoppia a ridere senza più smettere.
-Cosa
diavolo c’è di così divertente?!-
-Ma
ti senti quando parli?-
Replica
lei, tra le lacrime ed il mal di pancia, piegata in due dal ridere. Lui
arrossisce e tace.
-Dai,
non te la prendere.-
Fissano
insieme il mare calmo. Sono le otto di mattina; le onde che increspano appena
la superficie azzurra luccicano come un’immensa distesa di zaffiro liquido. La
linea del porto, che si stende più lontano, è mossa da automobili, uomini e
barche. La Marina è così piccola che puoi tenerla in una mano.
E
lei lo fa, allungando il braccio davanti a sé, tentando di stringere tra le
dita un’enorme nave nera, bara marina.
-Pensa
come sarebbe bello se potessimo portare sempre la nostra città con noi!
Viaggiamo, andiamo lontano, ma in fondo siamo sempre a casa perché è qui, con
noi, in una tasca.-
Si
riscuote, come fulminata.
-Aspetta,
ho un’idea.-
Con
un salto scende dal primo gradino della scogliera e poi percorre gli altri,
correndo verso la spiaggia a rotta di collo.
La
voce di Manu risuona distante.
-DOVE
VAI?!-
Urla,
affacciandosi sulla scogliera, con le ginocchia e i palmi premuti sulla pietra
liscia.
Lei
ride in risposta, arriva lungo la strada e la percorre col fiatone, finché la
spiaggia è davanti a lei.
E
allora cammina piano, assapora la sensazione della sabbia sotto i piedi,
osserva il mare blu che è sempre nei suoi ricordi. Si ferma. Si siede. Afferra
un pugno di sabbia, la lascia scivolare tra le dita, ed è come polvere d’oro,
l’oro della sua terra. Ha una minuscola boccetta tra le dita, recuperata chissà
come, chissà perché, dalla tasca. La apre e la riempie di sabbia. La chiude. La
guarda contro luce. E’d’oro zecchino, e incastrata dentro c’è rimasta una
piccola conchiglia rosa a spirale.
Si
alza e camminando piano, tenendo la boccetta stretta in mano si gode il tepore
diffuso dalla sabbia, bollente attraverso il vetro, raggiunge Manu.
-Tieni-
Gli
porge la boccetta.
-Così,ovunque
andrai, avrai un pezzo del tuo mondo con te. E così, lontano da casa, ogni
posto diverrà casa.-
Manu la guarda,
sgranando gli occhi neri.
Poi
sorride.
-Grazie.
Io mi chiamo Manuele, comunque.-
Lei
ricambia il sorriso.
-Ili,
per gli amici.-